Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile PER GLI ESTERI SFIDA TRA FASSINO, CALENDA E BELLONI… CONFERMATO LOTTI, CARTA REALACCI PER L’AMBIENTE
Come dice saggiamente un vecchio amico di Paolo Gentiloni, un conto è il governo che il ministro
degli Esteri uscente vorrebbe fare; e un altro è quello che, date le condizioni, potrà fare.
Tenuto conto della situazione, degli equilibri dentro e fuori dal partito, del necessario beneplacito di Renzi.
Cambiare tutte le facce o quasi, ragiona nel Pd chi gli è vicino, sarebbe un segnale forte da dare al 60 per cento del no.
Ma i tempi stringono: e questo, accanto al rischio di incrinare un fragile equilibrio di pesi e correnti, fa propendere più probabilmente per una soluzione di sostituzioni «chirurgiche».
Se oggi verrà incaricato di formare il governo, la prima casella da riempire sarà quella del capo della Farnesina.
A Gentiloni piacerebbe l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, già suo capo di gabinetto, dalla primavera scorsa segretario generale del ministero degli Esteri.
Ha il vantaggio di essere donna, avere con lui un buon rapporto e grande conoscenza dei dossier aperti.
Ha però lo svantaggio di essere un tecnico: i precedenti non depongono a favore (l’ambasciatore Terzi scelto da Monti non ha lasciato un buon ricordo) e poi circolano altre candidature, «politiche».
Come quella di Piero Fassino, della corrente «Areadem» di Franceschini, o dello stesso ministro della Cultura che potrebbe trasferirsi dal centro al Lungotevere. Oppure, potrebbe arrivare Carlo Calenda, per un periodo ambasciatore italiano a Bruxelles.
Al ministero del Lavoro, probabile l’abbandono di Giuliano Poletti, da sostituire con Teresa Bellanova, ex sindacalista Cgil, o con il sottosegretario alla presidenza Tommaso Nannicini.
Resterà a tenere alto il tasso di renzismo a Palazzo Chigi il sottosegretario Luca Lotti, un fratello minore per il premier dimesso; probabile anche Maria Elena Boschi, difesa da Renzi nonostante la bocciatura della sua legge, lasci le Riforme ma non le altre due deleghe che ha (Pari opportunità e Rapporti col Parlamento).
Dovrebbero essere confermati Padoan all’Economia, Pinotti alla Difesa, Alfano all’interno.
Molto a rischio Marianna Madia, che però deve concludere gli ultimi decreti della riforma della Pubblica amministrazione, e la Lorenzin alla Salute.
Resta Andrea Orlando alla Giustizia, anche se lui avrebbe preferito spostarsi al partito: il salto che dovrebbe fare Maurizio Martina, diventando vicesegretario unico. Al contrario, si dovrebbe spostare dal Pd al governo Lorenzo Guerini.
Altra bocciatura assai probabile, è quella della responsabile dell’Istruzione Stefania Giannini: potrebbe sostituirla la renziana Francesca Puglisi.
Ma c’è anche un’altra possibilità : che entri in maggioranza Ala, il gruppo di Verdini, e, in sua rappresentanza, chieda quella casella per l’ex presidente del Senato Marcello Pera. O per l’ex ministro Giuliano Urbani.
Ancora, viene dato in uscita il ministro dell’Ambiente Galletti: potrebbe sostituirlo un amico fraterno di Gentiloni, l’ex presidente di Legambiente e deputato Pd Ermete Realacci.
Della sua costellazione di antiche, solide frequentazioni – il gruppo dei «rutelliani», di cui fanno parte anche i deputati Michele Anzaldi e Roberto Giachetti; l’attuale portavoce di Renzi, Filippo Sensi; l’ex direttore di «Europa», Stefano Menichini — è l’ingresso più probabile, per le sue competenze specifiche.
Si parla anche di Giachetti, già candidato sconfitto a sindaco di Roma: formazione radicale, qualcuno lo indica ai Rapporti col Parlamento se la Boschi alla fine decidesse di mollare, per le sue conoscenze di ogni cavillo dei regolamenti parlamentari.
Ma i suoi pessimi rapporti con la presidente della Camera Boldrini non aiutano.
E poi, forse, se gli fosse possibile, Gentiloni vorrebbe lasciare la sua impronta , magari riaprendo un ministero, alle Comunicazioni, che lui stesso ricoprì nel secondo governo Prodi.
Ma il tempo stringe, e gli equilibri sono delicati. Poche ore e si saprà se è lui il capitano, e quale la squadra.
Francesca Schianchi
(da “La Stampa”)
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Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile LA PROVA? UNA RISPOSTA SU TWITTER E LA FACCENDA DEL MAR DI SARDEGNA… SONO GLI STESSI CHE POI SI LAVANO LE MANI SU REGENI O TIFANO PER HOFER CHE VOLEVA RIPRENDERSI IL TRENTINO
C’è chi si porta avanti con il lavoro.
Paolo Gentiloni non era ancora stato incaricato da Mattarella di formare un nuovo governo, ma già era diventato un traditore della patria su Twitter, dove gli alfieri della sovranità della domenica hanno già trovato un paio di prove schiaccianti. –
In particolare gli ispettori dell’Internet hanno concentrato l’attenzione su una reply riguardo l’Europa e sulla faccenda del mare della Sardegna.
La prima “prova” è la risposta a un utente che partiva da un suo tweet: «Sogno gli Stati Uniti d’Europa. Se esistessero, la crisi dell’euro sarebbe gestita. E nel medagliere olimpico oggi saremmo primi con 18 ori».
L’utente gli faceva notare che in questo modo si ribadiva il concetto di cedere sovranità all’Europa e lo sventurato rispose (cit.). Il tweet risale al 2 agosto 2012:
“Esatto, dobbiamo cedere sovranità a un’Europa unita e democratica”
E la riesumazione del tweet provoca un attacco di gentismo che lèvati: “Basta golpe”, “Ecco un altro massone di area margherita che vuole cedere sovranità totale a Bruxelles della Merkel”, “Lo capite che solo l’idea che Gentiloni possa diventare presidente del consiglio è 1 dimostrazione che l’italia ha perso la sua sovranità ??”, spiegano molti espertoni di geopolitica, giurisprudenza e altre faccenducole del genere autoconvocatisi in riunione permanente su Twitter
La sovranità del Mar di Sardegna
La seconda accusa riguarda invece la vicenda del mare sardo ceduto alla Francia, che risale allo scorso febbraio.
Il 21 marzo 2015 a Caen le firme dei ministri degli Esteri Fabius e Gentiloni su un accordo il cui negoziato era cominciato nel 2006 con Prodi ed era stato chiuso nel 2012 con Monti. Il caso scoppiò a causa del fermo di alcuni pescherecci effettuato da Parigi dopo che alcuni pescherecci avevano “sconfinato”.
In realtà l’accordo non era ancora in vigore, come spiegò lo stesso Gentiloni alla fine di febbraio 2016.
“L’accordo — disse all’epoca Gentiloni — è il frutto di un negoziato andato avanti dal 2006 al 2012, ha coinvolto diversi governi e diverse amministrazioni tecniche all’interno dei governi”.
Per quanto riguarda il peschereccio, il capo della diplomazia italiana ha precisato che il dissequestro è avvenuto dopo l’intervento del governo italiano che ha posto “le basi all’avvio di un risarcimento su cui sarà chiamata a esprimersi la magistratura francese”.
Sulle acque al nord della Sardegna, Gentiloni chiarì che “le linee già tracciate nell’unico accordo bilaterale in vigore, quello sulle Bocche di Bonifacio del 1986, resterebbero, se l’accordo entrasse in vigore, immutate”.
Per la baia di Mentone “la questione della pesca sarà affrontata anche alla luce della pertinente legislazione in materia a cui si aggiungeranno elementi tecnici forniti dal ministero competente al fine di studiare eventuali strumenti legislativi”
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile CHI E’ E COME GOVERNERA’… SOPRANNOMINATO “IL PRUDENTE”, POCHI NEMICI NEL PD, FEDELE A RENZI MA DIVERSO NEL CARATTERE, MITE MA CHE SA ALZARE LA VOCE
Pochi nemici dentro il Pd, forse nessuno, renziano ma non del Giglio magico, anche perchè non è
fiorentino, bensì romano.
Mite (“non rimprovera nessuno, piuttosto usa giri di parole”) e pragmatico. “Incarna continuità con il vecchio esecutivo, tuttavia con un certo distacco. È indipendente ma leale”, dice chi li conosce bene.
Paolo Gentiloni, dopo la batosta referendaria scriveva su Twitter: “Capisco la delusione, ma si può essere tristi per un giorno. Bisogna saper perdere come ha indicato Matteo Renzi. E poi ripartire”.
E il governo adesso potrebbe ripartire proprio da lui, a cui il presidente Sergio Mattarella ha dato l’incarico per formare un nuovo esecutivo.
Per l’ormai ex ministro degli Esteri, la passione politica è arrivata prestissimo, grazie al fascino della sinistra extraparlamentare e ‘gruppettara’.
Radici profondamente diverse quindi rispetto ai renziani. Così Gentiloni è entrato nel Movimento studentesco di Mario Capanna.
Si è laureato in Scienze politiche e ha presto scoperto il giornalismo (scrivendo sul settimanale ‘Fronte popolare’, su ‘Pace e guerra’ di Luciana Castellina).
Poi, la prima vera svolta, quella ambientalista. Nei primi anni ’80 è diventato direttore di ‘Nuova Ecologia’, il periodico di Legambiente, e ha conosciuto Ermete Realacci, Chicco Testa e, soprattutto, Francesco Rutelli.
Più tardi è arrivata la Margherita, partito che Gentiloni ha fondato, gli anni da deputato semplice e l”escalation’ fino al ruolo di ministro delle Comunicazioni ricoperto nel governo ‘Prodi II’, dopo essere stato presidente della Vigilanza Rai.
Con Rutelli c’è stato un lungo sodalizio che ha segnato la discesa in campo di Gentiloni in prima persona.
Di Rutelli sindaco di Roma, infatti, il premier incaricato è stato prima portavoce e poi assessore al Giubileo. Della squadra facevano parte anche Filippo Sensi, Michele Anzaldi, Roberto Giachetti ed Ermete Realacci.
Una volta l’ex primo cittadino della Capitale ha spiegato, riferendosi a quanti della Margherita sono entrati a far parte della cerchia del premier Renzi o hanno a ricoperto ruoli importanti, che “la Margherita è stata una sorta di cantera, il vivaio del Barcellona”.
Sarà vero o no, sta di fatto che lo stesso Gentiloni avanza verso Palazzo Chigi.
Il cognome è doppio e, per la precisione, è Gentiloni Silverj (con la j), perchè vanta nobile lignaggio, origini marchigiane e un palazzo di famiglia dalle parti del Quirinale, dove ha festeggiato i sessant’anni con gli amici più stretti.
Non ama i salotti e la vita mondana. Il resto è storia recente.
C’è stato anche un tentativo di scalare il Campidoglio con la candidatura alle primarie per il sindaco di Roma (chiuse al terzo posto dopo Ignazio Marino e David Sassoli). Con Renzi ha sempre avuto un dialogo sincero, come quando nel 2014 gli disse che la sua ascesa a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta gli era sembrata prematura, salvo poi ricredersi ed entrare a far parte del governo. Cosa che qualcuno della sinistra-sinistra dem non ha visto di buon occhio.
Alla Farnesina, da ministro degli Esteri si è trovato ad affrontare missioni delicate, tra cui la liberazione dei due marò e l’uccisione di Giulio Regeni.
In entrambi casi, il mite Gentiloni ha invece fatto uso della durezza che in pochi conoscevano. Stile e carattere sono diversi rispetto a Renzi, anche in questi giorni chi ha parlato con lui racconta che Gentiloni non si è mai sbilanciato e aspetta di consultare i gruppi parlamentari.
Non a caso tutti i suoi amici lo chiamano: “Il Prudente”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile “NON MI FACCIO INCASTRARE, MI RICANDIDO ALLA SEGRETERIA SFIDANDO D’ALEMA O CHI METTERA’ LUI”
Una delle riflessioni che sta facendo Matteo Renzi in queste ore dopo la vittoria del No al referendum, e le sue dimissioni da premier, è semplice e difficilmente confutabile dati alla mano: ho perso perchè ho perso la fiducia del voto dei giovani.
Ed è su questo terreno – ragiona – che m’impegnerò da oggi in avanti, fino alle elezioni, in qualunque momento ci saranno. Ricostruire comunità , riconquistare i giovani. Puntando anche molto sul web, come spiegheremo meglio più avanti.
Proprio lui, l’ex rottamatore, che comparve sulla scena scompaginando un apparato Pd stantìo, ha poi totalmente perso freschezza, la guasconeria che l’aveva fatto sembrare così esterno al Palazzo, e così in grado di sintonizzarsi con una generazione nuova di italiani, s’è presto mutata nella percezione in arroganza.
È stata una nemesi impressionante che Renzi finisse con l’essere identificato, a torto o a ragione (o, come spesso accade nella vita, in un mix di entrambe le cose), col simbolo di quella Casta che doveva combattere. Ma è andata così, è un fatto.
La riflessione renziana sui giovani l’ha raccontata ieri in tv Massimo Gramellini durante “Le parole della settimana”, riferendo di uno scambio al telefono, non un’intervista, semmai più un flusso di pensieri, con il presidente del Consiglio dimissionario.
Seduto su uno sgabellino con accanto Serena Dandini e Fabio Volo, Gramellini ha raccontato alcune valutazioni interessanti, che vale la pena di riferire.
Innanzitutto Renzi rivendica di avere lasciato la poltrona con stile, pur avendo ancora in Parlamento una maggioranza, e di esserci rimasto male nel vedere politici ed editorialisti che maramaldeggiano in tv, invitarlo a tornarsene a casa.
Uno spettacolo, possiamo aggiungere, del tutto italiano, che colpisce sempre il potente in difficoltà , e tanto più quanto più il potente è (stato) forte (corollario: i primi ad accoltellare sono di solito personaggi dal potente beneficiati).
Contrariamente a quanto uno potrebbe credere, Renzi non è pentito di essersi lanciato nell’avventura del referendum – cosa che s’è rivelata fatale anche per la sua promessa di lasciare in caso di sconfitta.
Negli ultimi giorni prima del voto l’allora premier aveva più volte ammesso l’errore di aver personalizzato la consultazione sulla riforma costituzionale, ma è anche vero che ogni volta che l’ammetteva gli tornavano a chiedere cosa avrebbe fatto in caso di sconfitta: insomma, s’è impiccato a una sua stessa frase.
Eppure, è il ragionamento di Renzi, il mio errore più grosso è stata la riforma della scuola: non è riuscita come avrebbe voluto.
Mentre il referendum a suo dire è stata una battaglia giusta perchè le riforme erano necessarie, e lo dimostra la vicenda del Monte dei Paschi; Renzi di questo è totalmente convinto (la Bce proprio ieri l’altro ha negato qualsiasi proroga per la ricapitalizzazione, e dunque i 5 miliardi andranno trovati, probabilmente con l’aiuto dello Stato).
Sostiene il segretario del Pd che ci si è trovati, con la vittoria del No, in una situazione kafkiana: i senatori hanno votato la propria abolizione e sono stati rimessi in sella dai cittadini che li detestano.
Scherzando, ha aggiunto: quando torno al governo, la prima cosa che faccio sarà nominare il Cnel, quello che non mi hanno fatto abolire.
Scherzando ma chissà fino a che punto, si potrebbe chiosare: il «rimettersi in cammino» allude chiaramente a una rivincita, che però va costruita un po’ da lontano, e con un Pd non esattamente suo complice. Almeno, non tutto.
Renzi ha consegnato a Gramellini alcune riflessioni anche sugli aspetti più formali della crisi di governo che in queste ore il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dovuto dipanare, sul ruolo del Pd, ma anche su quello del suo leader. Molti suoi nemici hanno ipotizzato che il passo indietro fosse solo di facciata, o che Renzi si fosse dimesso nella speranza di restare lui dimissionario fino al voto, oppure con l’idea di accettare una plausibile ipotesi di reincarico.
Gramellini ha raccontato invece di un premier uscente determinato: non mi faccio incastrare, gli ha detto. Do la campanella con un sorriso al mio successore, sia Gentiloni, Padoan, Godzilla o Jack lo Squartatore.
Poi me ne torno cittadino tra i cittadini, senza stipendio nè vitalizio. E mentre il nuovo governo Renzi senza Renzi governa, lui si ricandida alla segreteria del Pd, dove sfiderà D’Alema o l’uomo che lui gli metterà contro.
Vinco e sparisco da Roma, ha spiegato Renzi, girando l’Italia fino alle elezioni politiche e allargando la squadra, come tutti mi avete chiesto.
Renzi è convinto di avere con sè circa un terzo degli italiani: che non sarebbe poco – anche se non è esattamente il 40 per cento dei voti per il Sì che alcuni renziani, troppo ottimisticamente, s’intestano, ma è una base su cui impostare una rivincita.
Nello scambio telefonico riportato ieri su Raitre, il discorso è andato a cadere inevitabilmente sui giovani, anzi, sull’accoppiata giovani più Internet (e social network).
Renzi ha detto a Gramellini di avere perso il voto giovanile perchè il Pd è assente dal web, e dunque lui nei prossimi mesi dedicherà tutte le sue energie a ricostruire una comunità digitale.
Non sarà facile, si può aggiungere, senza mettere a fuoco anche cosa si vuole dire; e quanta cattiveria si è disposti a sprigionare nello spazio cyber, che non è più solo terra di promesse.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Dicembre 11th, 2016 Riccardo Fucile “NON CREDO IMPARERA’ DALLA SCONFITTA, MA NON SI DIRIGE COSI’ LA SINISTRA”
Antonio Pennacchi è “classe operaia, industria e magnifiche sorti e progressive”: perciò, se pure
per ipotesi gli accenni l’idea della decrescita felice, ti risponde: “Te prego, non me rompe ‘li cojoni alle dieci di mattina”.
Scrittore, vincitore del Premio Strega con “Canale Mussolini”, “nella vita ho collezionato molte più sconfitte che vittorie — racconta all’Huffington Post —: le cadute mi sono servite per crescere, correggere gli errori e affinare il talento”.
E chissà che perdere non serva anche a Matteo Renzi, allora: “Non ce conta’ troppo, la sconfitta è maestra, ma ha bisogno di allievi disposti a imparare. Detto questo, non credo che Renzi sia finito”.
Al referendum, Pennacchi ha votato sì come consigliava di votare la Democrazia cristiana Indro Montanelli: turandosi il naso.
Ora, raggiunto da una nostra telefonata, si tira un po’ indietro: “Nun so’ la persona adatta a parla’ de politica. Ho lavorato tutta la notte. Me so’ svejato adesso. Te dico che non so un cazzo di come vanno le cose nei palazzi, lo vuoi capi’?”.
Poi beve un caffè e parte. “Renzi e i suoi sono spuntati all’improvviso come i funghi. Hanno pensato che il mondo fosse nato insieme a loro, senza rendersi conto che c’era un prima e ci sarà un dopo”.
Ignorano la storia, dice
Dalle mie parti si dice che nun tengono le scole. Non hanno letto i libri. Non sanno niente. Hanno creduto che quelli che li hanno preceduti fossero solo delinquenti o coglioni, che non ci fossero state altre storie, altri modi di stare nel presente, che finalmente sarebbero arrivati loro a spiegarci come va il mondo. E sono andati a sbattere.
È finita per Renzi?
Gli dei rendono ciechi coloro che vogliono perdere e Renzi è stato travolto dalla sua enorme e spropositata hubris, quella tracotanza che l’ha reso nemico di tutti, fuori dal suo partito e dentro: non si dirige così la sinistra, ignorando che dietro le persone c’è una storia.
Sta pensando a D’Alema?
Sulla guerra contro di lui, Renzi ha costruito la sua fortuna. Sapeva che D’Alema aveva molti nemici e li ha coalizzati. Ora si stupisce di essere odiato. Fijo mio, hai preso a calci negli stinchi tutti, adesso ti lamenti se le botte te le restituiscono?
Doveva mettere in conto anche quelle dei compagni di partito?
Neanche Togliatti dirigeva il partito comunista nel modo in cui lui ha diretto il partito democratico. Per Renzi, la politica è come una partita ad asso piglia tutto: ho vinto io e si fa come dico io. Il partito è un’alta cosa. È lavoro collettivo. È sintesi. È mediazione. Pure Togliatti costruiva il consenso. Non indicava la linea e pretendeva che tutti lo seguissero.
Renzi le direbbe che è falso quello che dice
Perchè lui è proprio un bullo, uno che esce di casa e deve trovare quello con cui litigare. Alla fine, uno che te le dà lo trovi.
Sta riscrivendo il suo romanzo, “Il fasciocomunista”.
La scrittura è un’ossessione. Non sono mai contento del lavoro che faccio. Cerco la perfezione. So che non c’è. Ma questo è il mio demone: inseguirla.
Il fascio-comunismo è sembrato realizzarsi a Latina, la sua città , quando l’Anpi e Forza Nuova hanno protestato nella stessa piazza per il No.
Renzi ha fatto incazzare così tanta gente da riuscire a mettere insieme di tutto. Un po’ fascicomunista è pure lui: “Molti nemici, molto onore” era un motto di Benito Mussolini. (ride).
Destra, sinistra: mi confonde.
Nel regime, c’era una corrente — quella di Berto Ricci ed altri — che propagandava il corporativismo come dottrina politica universale. Sulla carta l’internazionalismo è di sinistra. Nei fatti, l’Unione Sovietica, la Cina e Cuba hanno sventolato le bandiere delle nazione con grande orgoglio.
I giovani — che hanno votato in massa contro Renzi — sono la nuova classe sfruttata?
I giovani italiani non hanno un problema di reddito. A camparli, tanto, ci pensiamo noi padri. Il problema è che non sanno che fare tutto il giorno.
Col reddito di cittadinanza saprebbero inventarsi dei modi?
Il reddito di cittadinanza è una stronzata. Nessun giovane oggi muore di fame. Il problema è di funzione. Se tu mi dai dei soldi per non fare niente, fai di me un assistito. Ma ognuno di noi è ciò che fa. E se non fai niente, sei un parassita e basta. Perciò, quello che si dovrebbe ridistribuire è il lavoro. Non solo i soldi. Meno ore, ma per tutti.
Alcuni sostengono che la soluzione sia la decrescita.
Sono quelli a cui piace andare nei parchi in bicicletta a godersi la natura, dimenticando che la bici su cui vanno in giro fischiettando è uscita dagli altiforni, non l’hanno costruita le fate o gli elfi.
(da “Huffintonpost”)
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