Dicembre 17th, 2016 Riccardo Fucile LA MINISTRA DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE: “IL MIO METODO E’ L’ASCOLTO, MI AIUTERA’ ANCHE QUI”
“Posso fare la ministra – ministra, ci tengo – dopo una vita così intensa nel sindacato. Sono stata apprezzata, promossa, chiamata a Roma, poi a Bruxelles a guidare il sindacato europeo dei tessili. Ho contribuito a salvare grandi aziende, ho portato nella Cgil le competenze dei ricercatori della moda, mi sono occupata di Wto e dei round per far entrare i cinesi nel commercio internazionale. Sono diventata vicepresidente del Senato e ora sono qui, al ministero dell’Istruzione, e fino a quando questo governo esisterà cercherò di migliorare la scuola, l’università e la ricerca italiana 24 ore al giorno”.
Ministra Valeria Fedeli, l’esordio è stato difficile. Nel suo curriculum online aveva scritto di aver conseguito un diploma di laurea, in un secondo curriculum era evidenziata una laurea in Scienze sociali. Lei non ha la laurea.
“Non l’ho mai sostenuto. Non ricordo il curriculum con la dicitura laurea, ma quello con su scritto diploma di laurea, rilasciato dopo tre anni dall’Unsas, è stato solo una leggerezza. La laurea è una cosa a cui non ho mai pensato. Ho 40 anni di vita rigorosa nel sindacato, non ho mai usato quel diploma, sono stato sempre una distaccata di settimo livello, maestra d’infanzia distaccata”.
Ministra, il giorno dopo le polemiche lei ha cambiato il curriculum: solo diplomata, si legge adesso. Definirsi laureata è dipeso forse da un complesso psicologico? All’ex sottosegretario Faraone i docenti precari hanno sempre rinfacciato il fatto che non avesse il titolo, fino a quando lui non ha ripreso gli studi e dato la tesi.
“Io non mi sono laureata perchè il sindacato mi ha preso e portata via, è diventata la mia vita. Non una carriera, la vita. Alla laurea non ho mai pensato. Nel 1987 avrei potuto equiparare quei tre anni come assistente sociale al titolo di laurea, ma non l’ho fatto perchè era fuori dal mio mondo. Riunioni, incontri con gli operai, viaggi a Bruxelles, e chi l’aveva il tempo per la laurea?”.
Lei, dopo i tre anni delle superiori, ha fatto la maestra d’infanzia?
“Sì, ero giovanissima. E il fatto che abbia voluto studiare per altri tre anni alla scuola per assistenti sociali senza averne bisogno, avevo già un’occupazione, dimostra che il gusto della conoscenza l’ho sempre avuto. Poi, ho trovato ostacoli nella mia vita e, dopo l’esplosione del ’68, è arrivato il sindacato. In quegli anni ti assorbiva completamente”.
Che tipo di ostacoli?
“Non vengo da una famiglia ricca e molto presto mi sono resa autonoma: da Treviglio sono andata a vivere a Milano. Mio fratello ha fatto Giurisprudenza, io ho abbracciato la Cgil”.
Non si sentirà in difficoltà quando dovrà incontrare una docente ancora precaria con due lauree o parlare di Technopole con la scienziata Elena Cattaneo?
“Il mio metodo è l’ascolto e ascolterò con attenzione chi ha competenze straordinarie. Cresceranno le mie. Ascoltare, capire, conoscere. Quarant’anni di applicazione di questo metodo mi aiuteranno anche al ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca”.
A La7 lei disse: “Il giorno dopo, se ha vinto il no, tu ne devi prendere atto, non puoi andare avanti perchè non hai l’autorevolezza. Io non penso alla mia sedia”. Lei, però, ora fa la ministra.
“L’aver detto che bisogna prendere atto della sconfitta è coerente con la nascita di un governo che deve affrontare le urgenze del Paese”.
Ministra, quale sarà il suo primo atto per migliorare la scuola italiana ?
“Le prime telefonate le ho fatte ai cinque sindacati rappresentativi, lunedì li incontrerò. Vorrei il loro punto di vista sulla Buona scuola, dopo il lungo conflitto che c’è stato”.
Le piace la Legge 107?
“L’ho votata, al Senato. Ha dentro cose importanti, innovative, immaginate dalla ministra Carrozza e approdate con la Giannini. È legge vigente, la si deve far funzionare senza tradire il progetto”.
I sindacati le chiederanno di fermare gli spostamenti dei docenti dal Sud al Nord.
“È una questione centrale e dovremo trovare nuove soluzioni, magari sperimentali. Con grande attenzione, tocchi una cosa e ne viene giù un’altra”.
La chiamata del preside?
“Cercheremo criteri oggettivi con i quali, poi, il dirigente scolastico potrà scegliere i docenti”.
Ereditate nove deleghe dal governo Renzi, una Buona scuola bis: il 15 gennaio scadono.
Voglio portarle in fondo tutte, ma prima studiarle bene. Chiederemo al Parlamento di rivotare quelle in scadenza. La legge 0-6, che prevede la materna unica e l’assunzione di maestre d’infanzia, è pronta. Sono stata la seconda firmataria”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 17th, 2016 Riccardo Fucile I PASSI E GLI STRAPPI CHE HANNO RIMESSO LA CHIESA IN PISTA
Come nelle “Confessioni di un ottuagenario” di Ippolito Nievo, anche l’ottantenne Jorge Mario
Bergoglio ha vissuto una vertigine della mente e dell’anima.
La più sconvolgente che possa investire, e rapire, un uomo, rendendolo il Vicario di Dio in terra. E tuttavia è rimasto se stesso. Non cambiando nel frattempo solo secolo, ma millennio. Non solo paese, ma continente. Non solo mare, ma oceano.
“Ci faccia sentire il respiro dell’oceano”, Eminenza, gli dissi nell’introdurre un suo intervento a Buenos Aires, durante una tavola rotonda sulle rive del Rio de la Plata, dieci anni prima che salisse al soglio.
“Nell’aria”, esordì, “aleggia la promessa di una pesca copiosa”, schiudendo gli orizzonti e paragonando la globalizzazione al lago di Galilea, dove Gesù ammaestrava, e sceglieva, i discepoli. E’ tempo di “prendere il largo”, proseguì poi, lungi dall’immaginare che un giorno, di lì una decade, sarebbe toccato a lui di pilotare la nave.
Come ne “Il vecchio e il mare”, Bergoglio somiglia dolcemente, amaramente all’anziano pescatore che vede il proprio marlin divorato dagli squali, mentre si sforza di portarlo a riva. Brandelli di umanità , di territori e popoli, strappati a morsi e inghiottiti dalla “guerra mondiale a pezzi”: didascalia di cui detiene il copyright e che gli storici canonizzano già per descrivere, sintetizzandolo, il quadro della nostra epoca.
“Grace under pressure”, eroismo gentile, ossia la definizione del coraggio secondo Hemingway, con espressione di eleganza e bellezza ineguagliabile, che in un pontefice riveste valenze aggiuntive. Specie in Francesco.
Evidenziando l’insanabile, insostenibile contrasto tra il soffio leggero della grazia divina e il giogo gravoso della storia terrena. Il cumulo, esponenziale, tra il peso degli anni e quello dei millenni
L’idea, tipica dei profeti e degli esploratori, che da qualche parte si nasconda un eden o un eldorado da scoprire, lo spinge ancora oggi a gettare le reti e remare forte.
Sarà per questo che in occasione del proprio genetliaco Francesco si è fatto la barca. Non quella della Chiesa, che lo Spirito Santo gli affidò e il conclave suffragò in una sera uggiosa del marzo 2013.
Quanto piuttosto un gozzo variopinto, color pastello. Un “luzzu”, ad essere precisi, tradizionale imbarcazione dei pescatori maltesi, che approda tra i pastori del presepe a San Pietro e lo trasforma, una tantum, da campestre in marittimo. Impensato e a sorpresa, proprio come si addice a un dono di compleanno.
Dal centro del Mediterraneo al centro del colonnato: con il suo scafo largo e un po’schiacciato, predisposto a ospitare più persone possibile, il “luzzu” fa pendant, sull’altra sponda del Tevere, con la celebre “Barcaccia” di Trinità dei Monti, che affiora dal selciato, inaffondabile, perennemente in bilico tra il cielo e l’asfalto. Emblema suggestivo degli 80 anni di Bergoglio, trascorsi a navigare tra la gente. Ieri prete e oggi Papa di strada.
Regalo più azzeccato non si poteva dare per un nocchiero che ha sovrapposto i due timoni, del Vaticano e dei Boat People, fondendone destini e destinazioni, anche a costo di entrare in conflitto, e in collisione, col bastimento della civiltà occidentale.
Poichè di questo si tratta.
In quattro anni dall’elezione – giusto il tempo e la scadenza di un mandato presidenziale nelle Americhe — Francesco ha completato il riposizionamento strategico della Sede Apostolica, conforme alla traiettoria della propria vocazione biografica e geografica.
Ci voleva un figlio di emigranti, per intraprendere l’esodo della Chiesa fuori da se stessa, nell’accezione spazio-temporale del termine.
Fuori dai confini spaziali: modificando la pigmentazione purpurea del mappamondo e operando una redistribuzione di nomine cardinalizie, dunque di potere gerarchico, verso Sud e verso Oriente, nell’emisfero da cui proviene e in quello dove avrebbe voluto andare, se non gli fosse stato precluso dai superiori, a seguito dell’intervento chirurgico subito in gioventù.
Fuori dai confini temporali: passando il Rubicone del politicamente corretto e transitando dal collateralismo all’antagonismo.
Dalla collaborazione all’opposizione. Dalle Democrazie Cristiane del Novecento all’Internazionale del Terzo Millennio, degli ex-marxisti e neocomunisti, con un transfert emotivo tra il Vaticano e Cremlino, a cento anni dalla rivoluzione di ottobre.
Si potrebbe dire che Francesco, nei rapporti con i potenti, segue le regole, o la geopolitica, del tango.
Alla stregua di una milonga di Buenos Aires. Tirando dritto negli spazi stretti, dalle giungle colombiane alla via della seta. Dove guardarsi conta più che parlarsi. E ingaggiando una serie di abbracci asimmetrici, seducenti e audaci. Dai caudillos latinoamericani agli ayatollah di Teheran. Dal Patriarca ortodosso Kirill agli eredi protestanti di Martin Lutero.
Con il suo tango di misericordia, elevato a categoria diplomatica, Bergoglio rappresenta l’ultima spiaggia di un pianeta in cui le soglie di mediazione si assottigliano, mentre monta la marea dei nazionalismi.
“Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve, quattro, cinque anni, magari mi sbaglio”. Il Papa della Chiesa che esce da se stessa rivela di sentirsi, a sua volta, in uscita dal papato.
Come Abramo sulla via dell’Orbe, Francesco interroga Dio, che l’ha posto a iniziare in tarda età un nuovo cammino, nella stagione della vita in cui le forze diminuiscono e in una stagione della storia in cui le sfide aumentano.
Come Mosè, dalla vetta del monte, osserva l’Urbe, vicina e lontanissima. Città eterna ed eterna promessa. Illuminata, non luminosa, sotto i fari dell’ultimo scandalo.
Come Pietro, infine, mette in mare ogni giorno la sua barca di Papa di strada, lo scafo largo e colorato, le reti capienti, lungo le rotte tra l’asfalto e il cielo, confidando nella pesca promessagli dal Signore.
(da “la Repubblica“)
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Dicembre 17th, 2016 Riccardo Fucile GLI ORTODOSSI SFIDUCIANO LA RAGGI E ACCUSANO DI MAIO CHE (COME DIBBA) TACE…MANCA IL CORAGGIO DI SFIDUCIARLA, SI ASPETTA UN AVVISO DI GARANZIA
Il Campidoglio e l’Hotel Forum distano pochi metri l’uno dall’altro.
Oggi però lo spazio che separa la “casa” di Virginia Raggi e la residenza romana di Beppe Grillo sembra interminabile. Beppe è sempre più deluso da Virginia, sul futuro non può escludere nulla, neanche l’addio cioè il ritiro del simbolo M5S.
Ufficialmente la protegge, ma la misura è colma.
“Non possiamo permetterci di perdere Roma” dice ai suoi, ma la gestione del Campidoglio imbarazza il Movimento giorno dopo giorno.
Il futuro di Virginia è legato a un filo sottile quanto la fiducia che il leader pentastellato ripone ancora in lei.
“Le scuse non bastano”, dice Paola Taverna. Roberto Fico aggiunge: “Per me Marra non è un tecnico”, al contrario di quanto affermato dal sindaco.
L’arresto di Raffaele Marra arriva dopo le dimissioni dell’indagata Paola Muraro, e tante altre grane giudiziarie, che molti temono non siano finite qui e possano raggiungere perfino la prima cittadina.
Di questo hanno parlato Grillo, Casaleggio e Raggi durante una cena super segreta mercoledì scorso: i due capi hanno chiesto chiarimenti.
Ora in albergo il leader pentastellato apprende la notizia dell’arresto di Marra e prende il cellulare per chiamare subito la Raggi: “Te l’avevo detto, ora rimedia”. È furente. Virginia, dall’altro capo, nervosissima, scossa, praticamente in lacrime.
La sindaca vuole andare avanti, non ha alcuna intenzione di dimettersi.
Grillo glielo consente, anche perchè Roma è Roma, il Movimento non si può permettere di fallire così.
Ma Virginia resta a patto che “non saranno commessi errori d’ora in avanti e che le decisioni importanti, come le nomine, avranno l’ok dei vertici”.
Decidono la linea, viene scritto un comunicato, vidimato dal capo e così il sindaco va in scena davanti a una miriade di telecamere.
Legge un foglio, chiede scusa ai romani, al Movimento e a Grillo che appunto “aveva sollevato perplessità ”, ammette di aver sbagliato ad essersi fidata, tiene a dire però che Marra non era il suo braccio destro, ma “un dipendente qualunque”.
Lo dice nonostante rimbombi ancora una sua vecchia frase: “Se va via lui, vado via anch’io”. L’imbarazzo per l’intera vicenda la porta a parlare per un minuto e mezzo e poi ad andare via senza rispondere alle domande.
La giornata è solo all’inizio.
Le chat sono infuocate, sul blog di Beppe Grillo va in onda una sorta di web processo, fra tanti delusi e qualche strenuo difensore della sindaca.
Nel pomeriggio i consiglieri litigano a Palazzo Senatorio mentre i parlamentari litigano all’Hotel Forum.
È emergenza assoluta: i flash mob previsti a Siena e in Val di Susa per far dimenticare le vicende capitoline vengono annullati. “Impossibile nascondere i fatti e urlare onestà onestà in un momento così difficile per il Movimento”, ammette un deputato grillino che era pronto a prendere il pullman per la Toscana.
Come forse mai successo prima, a parte pochi che preferiscono parlare a taccuini chiusi, la maggior parte dei parlamentari escono alla scoperto, nonostante la consegna del silenzio imposta dai vertici.
È una reazione a catena: la spaccatura emersa sei mesi fa sul ‘caso Roma’, sulla gestione del Campidoglio e sulle nomine di Raffaele Marra e Salvatore Romeo, adesso viene fuori in tutta la sua interezza.
Roberta Lombardi entra nel quartier generale di Grillo e afferma: “Sono fiera di stare dalla parte giusta”. Era stata lei a parlare di Marra come un virus che ha infettato il Movimento. Su Facebook la pasionaria grillina affida il suo sfogo a una citazione di Martin Luther King, la cui morale è “no a vigliaccheria e vanagloria”.
Il concetto viene condiviso da Carla Ruocco, Paola Taverna e Nicola Morra. Condivisione che nel linguaggio pentastellato vuol dire molto. Roberto Fico e Carlo Sibilia, dell’ex Direttorio, hanno già parlato.
Fico ha definito la vicenda “molto grave” e chiede una riflessione, Sibilia dice che “così andiamo a sbattere”.
Parole che avranno un certo peso nel lungo incontro con Grillo, al quale hanno partecipato Fico, Lombardi, Morra e Taverna, l’ala più critica ma soprattutto ortodossa del Movimento.
Sul banco degli imputati finisce Luigi Di Maio, anche lui presente al vertice e reo, secondo chi lo accusa, di aver difeso il sindaco e sottovalutato i problemi che Raggi ha creato in Campidoglio “fidandosi delle persone sbagliate”, tra queste anche l’assessore all’ex Ambiente Paola Muraro, raggiunta da un avviso di garanzia.
Di Maio era venuto a conoscenza mesi fa dell’iscrizione nel registro degli indagati ma non disse niente al resto del Direttorio, da qui in poi una parte del Movimento gli si è rivoltata contro.
Tanto che Danila Nesci chiede che vengano presi provvedimenti, mentre Giuseppe Brescia lo definisce “un piccolo stratega”. Anche Riccardo Nuti attacca “i volti che funzionano in tv”.
Oggi alla prova della leadership Di Maio tace, così come tace Alessandro Di Battista, assente alla riunione del Forum.
Chi ha parlato viene rimproverato da Grillo: “Dobbiamo restare uniti, non possiamo farci vedere così”, avrebbe detto. Il filo diretto tra Campidoglio e Campidoglio è continuo. Tante le telefonate.
Il leader dice a Raggi che adesso “vanno verificati tutti gli atti fatti da Marra” per vedere se vi sono irregolarità .
La paura tra i grillini è che però la vicenda non sia finita qui, che presto possano venire fuori altre carte e altri avvisi di garanzia, forse per abuso d’ufficio.
Per adesso la linea è distinguere la figura di Marra da quella del Movimento 5 Stelle. Fino a prova contraria.
In quel caso anche scaricare il sindaco di Roma sarà possibile.
(da “Huffingtonpost”)
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