Dicembre 26th, 2016 Riccardo Fucile LA RAGGI E’ POLITICAMENTE IMPRESENTABILE, MA LA SUA VITA PRIVATA NON C’ENTRA NULLA, ATTRIBUIRLE FINTI AMANTI E’ UN’OPERAZIONE SQUALLIDA
In un’intervista al Fatto Quotidiano qualche giorno fa Daniele Frongia ha risposto in modo molto netto a una domanda sugli omissis delle intercettazioni nell’inchiesta su Raffaele Marra chiarendo la realtà di una chiacchiera inventata: «So che raccontano di una relazione tra lui e la sindaca, ma è solo fango. È la terza o quarta relazione che le viene attribuita in questi mesi: e in questo c’è molto maschilismo».
La risposta è molto precisa e corretta, visto che spiega che all’origine di queste chiacchiere c’è il maschilismo.
E infatti Il Giornale e Tiscali Notizie hanno ripreso, come molti, le dichiarazioni di Frongia riportando la risposta di Frongia.
Ma lo hanno fatto tentando di far passare il messaggio contrario, ovvero che Frongia stava ammettendo che esisteva questa relazione tra Marra e Raggi.
Il Giornale, infatti, senza conoscere vergogna, scrive nel titolo “Marra amante di Raggi”, e poi continua con un interessante “Il giallo degli omissis sul cerchio della sindaca”.
Non solo, nel sommario si sostiene che Frongia RILANCI i sospetti che invece l’ex vicesindaco si è premurato di fugare.
E che dice Frongia? Rivela che negli omissis delle intercettazioni per l’inchiesta su Marra si racconterebbe «di una relazione tra lui e la sindaca».
Aggiunge che «è solo fango» e che «è la terza o quarta relazione che le viene attribuita in questi mesi», ben sapendo che le voci hanno riguardato pure lui. Colpa del «maschilismo», sottolinea Frongia, ma intanto il sasso l’ha gettato.
Ovvero sostiene che Frongia confermi che ci sia una relazione tra Marra e la sindaca, mentre, come abbiamo visto, Frongia dice l’esatto contrario.
Ancora più furbi però sono quelli di Tiscali, i quali prima di tutto sono talmente interessati alla correttezza dell’informazione che come titolo per Google scelgano il lapidario “relazione Marra Raggi”:
Nel sommario usano la stessa tecnica del Giornale, tornando a sostenere che negli omissis ci sia quello che nessuno ha finora visto (ovvero la relazione tra la sindaca e Marra) e nel titolo aggiungono la parola “Fango” per far capire che si tratta di una bufala.
Ma i furbissimi di Tiscali Notizie, il cui direttore responsabile è Giuseppe Caporale, ex Repubblica, fanno un passo in più: il titolo che compare su Facebook è COMPLETAMENTE DIVERSO da quello che si trova nel sito (questo è possibile grazie a un tool che tutti i sistemi editoriali hanno) e, meraviglia delle meraviglie, il titolo divente: “La rivelazione di Frongia: nelle intercettazioni la relazione tra Marra e la Raggi”.
Insomma, le frontiere del click baiting non si fermano davanti a nulla. Anche perchè è evidente che certa gente non prova più quel sentimento che da che mondo e mondo ha spinto l’uomo a migliorarsi: la vergogna.
(da NextQuotidiano”)
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Dicembre 26th, 2016 Riccardo Fucile LE RISORSE EUROPEE SI PERDONO IN UNA VORAGINE DI GARE IRREGOLARI E INCAPACITA’ GESTIONALI
La spesa “cattiva”. Quella del Mezzogiorno, dove i fondi europei si perdono in una voragine fatta di
gare irregolari e incapacità gestionali.
Di chi è la colpa? Non tutto risiede nelle responsabilità di chi amministra le Regioni del Sud. Anche la macchina centrale, chiamata a guidare le Regioni nell’utilizzo delle risorse che arrivano da Bruxelles, l’Agenzia per la Coesione territoriale, si è inceppata.
Nata con il governo Letta e confermata nella sua struttura da Matteo Renzi, l’attività dell’Agenzia non sembra sufficientemente capace a invertire il trend negativo.
Un numero su tutti: a luglio 2016 è stato speso solo il 2,16% dei fondi strutturali previsti per il periodo 2014-2020, che ammontano a un totale di 64 miliardi di euro. Considerando che a luglio si è esaurito già il 40% dei 7 anni a disposizione per la spesa, il forte ritardo è evidente.
Un affresco infelice, che si inserisce nella cornice di un quadro che vede il Sud fanalino di coda in molti settori.
Il Pil, l’indicatore per eccellenza del benessere economico-sociale, è emblematico: secondo quanto emerge dai conti economici territoriali dell’Istat, nel 2015 il prodotto interno lordo per abitante nel Mezzogiorno è risultato inferiore del 44,2% rispetto a quello registrato nel Nord. In soldi fanno una media di 17.800 euro per chi vive al Sud, 33.400 euro per chi vive nel Nord-Ovest. Come sta il paziente Sud?
Non è vero che al Sud non ci sono risorse per la crescita
Se si prendono in considerazione i fondi strutturali per il periodo 2014-2020, l’Italia ha disposizione 64 miliardi di euro che per più di 2/3, pari a 44 miliardi, provengono dal bilancio della Commissione europea. Quasi 2/3, ovvero 42 miliardi, devono essere spesi nelle Regioni del Sud (Calabria, Campania, Sicilia, Puglia e Basilicata).
Si tratta di una cifra enorme e per rendersi conto basta fare qualche breve confronto. L’Italia e la Commissione europea litigano da mesi per uno scostamento tra il deficit previsto dal Patto di stabilità e il deficit proposto dalla legge di stabilità che è pari allo 0,5% del Pil. Lo 0,54% del Pil è pari circa 6 miliardi di euro, circa otto volte i 44 miliardi di euro dei fondi strutturali per la sola parte che viene interamente dall’Europa.
Alla luce di questi dati, la discussione che anima i rapporti tra Roma e Bruxelles è riassumibile in una considerazione: chiediamo all’Europa di poter spendere di più soldi che sono dell’Italia e nessuno si preoccupa di come l’Italia spende molti più soldi che sono invece dell’Europa.
Il paradosso dei fondi strutturali. Il Pil al Sud potrebbe crescere del 2,3% all’anno
Quarantadue miliardi di fondi strutturali da spendere al Sud in sette anni che sono, circa 6 miliardi all’anno: una cifra che è pari al 2,3% della somma del Pil delle cinque Regioni del Sud messe insieme.
Ciò equivale a dire che se i fondi strutturali potessero essere distribuiti in maniera automatica, senza alcuna intermediazione, all’inizio di ogni anno direttamente a ogni cittadino del Sud, avremmo un aumento del Pil di quelle Regioni superiore al 2% all’anno.
Ed invece ad occuparsi della spesa c’è una Pubblica amministrazione pagata per aggiungere valore e non per sottrarlo: il risultato finale è che, invece, il Sud sta crescendo (0,4%) quattro volte di meno rispetto ad un’ipotesi di distribuzione automatica. In altre parole, l’intermediazione della Pubblica amministrazione, che pure costa, riesce a farci perdere un punto e mezzo di Pil all’anno.
Ma questi soldi non riusciamo a spenderli
Per spendere questi 42 miliardi bisogna passare attraverso la macchina dell’Agenzia della Coesione, nata per accelerare la spesa.
Peccato che fino a luglio 2016 sia stato speso solo il 2,16% dei 64 miliardi a disposizione dal 2014 al 2020. Un valore molto inferiore rispetto a quello previsto dalla stessa Agenzia per la fine del 2016.
Nelle slide della stessa Agenzia si rende evidente che invece avremmo dovuto spendere già quasi 6 dei 44 miliardi che la Commissione europea mette a disposizione dell’Italia. Invece la spesa non arriva a un miliardo.
La spesa “cattiva”…
Lo dimostrano i numeri relativi, sempre ai fondi strutturali, ma che fanno parte della programmazione relativa al periodo 2007-2013.
A fine 2013 c’era un forte non speso e il governo italiano ha dovuto fare i salti mortali per recuperare. I dati della Ragioneria Generale dello Stato dicono che nel 2015 le cinque Regioni del Sud hanno “speso” più di 14 miliardi di euro (sette volte di più di quello che avevano speso nel 2014).
La Svimez ha recentemente celebrato come un successo il 2015, che ha visto una ripartenza del Sud con un aumento del Pil dell’1% (che però ritorna ad essere lo 0,4% nel 2016, la metà del tasso di crescita del Centro Nord). Peccato che 14 miliardi di euro sono il 5% quasi del Pil totale del Mezzogiorno: come dire le Regioni del Sud hanno effettuato nel 2015 investimenti pari al 5% del proprio Pil (a cui si aggiungono gli investimenti fatti dai ministeri che spendono fondi strutturali nel Sud), ma di 4 di questi 5 punti si è persa qualsiasi traccia.
Ci sono solo due possibili spiegazioni: o la “spesa” era falsa (è frequente la pratica di portare a rendicontazione dei programmi fatture relative a progetti finanziati con spesa pubblica nazionale per non subire l’onta del definanziamento da parte della Commissione) o, invece, la spesa era di così pessima qualità che non ha avuto alcun effetto.
…dipende in buona parte dalla gare che sono, quasi sempre, irregolari
Qui ci sono i dati dell’Economist che forniscono una chiave di lettura. Nel numero di fine novembre è contenuta un’analisi che fa luce su questo aspetto. Se nel 2006 in Italia il 15% delle gare per affidamento di lavori pubblici riceveva una sola offerta, nel 2015 ciò ha riguardato un terzo degli affidamenti.
Questo fenomeno è in crescita in tutta l’Europa, ma – come dice il giornale britannico citando studi di Oecd e dell’Università di Cambridge – riguarda specialmente i programmi cofinanziati dalla Commissione europea, come i fondi strutturali e specialmente l’Italia.
In Italia, poi, particolarmente, è pesante nelle gare per l’affidamento della consulenza alle amministrazioni pubbliche. Le gare presentano, sempre di più, anche solo per poter essere ammessi alla procedura, requisiti di fatturato sulla consulenza sui fondi strutturali talmente elevati da essere alla portata di pochissime società “incumbent”, come dimostrano i dati del ministero dell’Economia sulla distribuzione assai concentrata di tali contratti.
In pratica laddove ci sarebbe bisogno di ricambio, i consulenti già presenti nelle amministrazioni si cuciono addosso capitolati in maniera da escludere tutti gli altri. Con danni enormi sulle regole della concorrenza. Sulla necessità di fare innovazione. Sulla possibilità delle amministrazioni di poter scegliere.
E, infine, sui risultati che cittadini meridionali e contribuenti europei hanno dalla spesa dei fondi strutturali. Questa situazione, peraltro, riguarda non solo le Regioni. Ma anche i ministeri che spendono fondi strutturali sul Sud. E anche gare fatte da quella Consip che pure nacque per razionalizzare i processi di appalto.
Di chi è la colpa?
I punti evidenziati richiamano responsabilità . Il neo governo Gentiloni ha scelto di guardare al Sud con attenzione, conferendo all’ex sottosegretario Claudio De Vincenti l’incarico di guidare il ministero senza portafoglio con delega al Mezzogiorno. Dovrà partire da qui. Da una spesa “cattiva” su cui sarebbe opportuno accendere un faro.
Che fare?
Huffington Post ha chiesto una “ricetta” a Francesco Grillo, docente di politica economica e visiting scholar all’università di Oxford, dove ha appena scritto un libro (“Innovazione, democrazia ed efficienza: il caso delle politiche regionali di innovazione in Europa”, edito in inglese da Palgrave) su cosa rende le Regioni europee più o meno capaci di mettere in campo politiche di sviluppo efficaci.
“A mio avviso – sottolinea Grillo – dovremmo innanzitutto partire dalla consapevolezza che il problema del Sud non è in termini di risorse: i finanziamenti sono ingenti e la questione della loro spesa efficace deve diventare oggetto di dibattito in grado di coinvolgere le opinioni pubbliche che ne pagano il conto. Anche perchè spendere bene questi soldi può essere sufficiente per fare una differenza significativa in termini di crescita dell’intera Italia”.
“Dovremmo poi – aggiunge – rinunciare alla retorica e all’ideologia. Spendere bene queste risorse non ha un colore politico. Per riuscirvi abbiamo bisogno di organizzazione. Di persone competenti e di incentivi che premino chi ottiene risultati e scoraggino chi spreca. Ed invece troppo spesso abbiamo mantenuto sempre le stesse squadre (dirigenti pubblici e consulenti) nonostante le sconfitte. A questo proposito ci sono eccezioni: Regioni come la Puglia, ad esempio, che ha ottenuto risultati migliori. Anche se recentemente ci sono state accelerazioni poderose per evitare di perdere finanziamenti abbiamo sempre la stessa squadra per colpa delle regole sul turnover nell’amministrazione pubblica che impedisce l’ingresso di nuove persone. Ma anche perchè gli apporti di professionalità esterne vengono fatte con gare che premiano la continuità e escludono l’innovazione”, prosegue.
“C’è, a suo avviso, un fattore che più degli altri incide sul fatto che al Sud la spesa sia gestita in modo sbagliato?”, chiediamo.
Risponde Grillo: “Ormai il ritardo di sviluppo sembra essere vissuto dai cittadini meridionali come condizione permanente. A cui consegue la dipendenza dall’aiuto pubblico. Una specie di metadone che tiene in vita classi dirigenti (fatta di politici, consulenti, commercialisti, avvocati, formatori e altri mestieri nati attorno ai fondi strutturali) e che hanno fatto da tappo allo sviluppo del Sud, espellendo la parte migliore di tante generazioni. In realtà per gestire le politiche di sviluppo – che, sempre, di più sono fondate sull’innovazione e sulla specializzazione di Regioni e città – occorrono competenze nuove, in alcuni casi sofisticate. Ovviamente maturate in contesti internazionali. Perchè se non sai cosa fanno le altre Regioni o le altre città europee sarà impossibile capire, ad esempio, su quali clienti può puntare un’azione di rilancio del turismo a Catania su cosa può realisticamente competere un distretto dedicato all’aerospazio in Puglia”.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 26th, 2016 Riccardo Fucile IL MONDO DEL VOLONTARIATO DICE NO: “LA DIGNITA’ NON HA COLORE E IL CRITERIO DELL’AIUTO E’ SOLO UNO, IL BISOGNO”
Bocciato, da cima a fondo e senza appello.
Perchè «ispirato a principi di esclusione e discriminazione, illegittimo, di efficacia trascurabile e anche mal formulato dal punto di vista tecnico».
Se stroncatura doveva essere non poteva essere più chiara di così quella del progetto «Un aiuto nel rispetto della dignità tricolore», ideato dall’assessore all’Assistenza di Acqui, Fiorenza Salamano.
A contestarlo, sette associazioni di volontariato, che già non avevano gradito l’idea in principio – distribuire aiuti alimentari agli acquesi in difficoltà economica e solo a loro, escludendo gli stranieri.
«Qui non è neppure razzismo ma il più ristretto localismo, visto che si discriminano pure gli italiani non residenti ad Acqui da abbastanza tempo, ossia meno di dieci anni – scrivono in una nota Tribunale del malato, Cittadinanza Attiva, Pensa, Movimento per la Vita, Agesci Acqui 1, Aido e Gva -. I requisiti non possono essere arbitrari, irrazionali, estranei alle finalità del servizio, altrimenti dovrebbero valere anche il numero di scarpe o il segno zodiacale. In più, si parla di borse alimentari erogate una tantum: ma la gente mangia tutti i giorni».
Insomma, per le associazioni il progetto fa acqua da tutte le parti: «La dignità non ha colore e il criterio dell’aiuto è solo uno, il bisogno».
(da “Il Secolo XIX”)
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Dicembre 26th, 2016 Riccardo Fucile A CAMBIARE PROGRAMMI SONO PRINCIPALMENTE I GIOVANI
Cresce in Italia la paura di un attentato terroristico, alimentata dalla strage dei mercatini di Natale a
Berlino e dal recente attentato a Nizza.
A pensarlo ben il 75% dei cittadini, giovani in testa, molti dei quali, circa 6 milioni, hanno deciso di rinunciare alle vacanze «fuori casa» di fine anno nelle città italiane o all’estero dopo i recenti attentati terroristici, preferendo le «più sicure» mura domestiche. Insomma, il terrorismo condiziona gradualmente la quotidianità collettiva, a tal punto che, poco più della metà degli italiani (54,1%) sta cambiando le proprie abitudini.
A cambiare programmi, decidendo di disdire la vacanza fuori casa, sono principalmente i giovani nel 18,5% dei casi.
Sul versante opposto, gli italiani che non ci stanno a farsi cambiare le abitudini e le decisioni di viaggio per le festività imminenti superano di poco il 30% del panel intervistato.
Lombardia e Lazio si confermano, per il secondo anno consecutivo, le realtà territoriali più «esposte» al terrorismo secondo l’Italian Terrorism Infiltration Index 2016 ideato dall’Istituto Demoskopika, che ha tracciato una mappa delle regioni più a rischio potenziale di infiltrazione terroristica sulla base di tre indicatori ritenuti «sensibili»: le intercettazioni autorizzate, gli attentati avvenuti in territorio italiano e gli stranieri residenti in Italia provenienti dai primi cinque paesi considerati la top five del terrore dall’Institute for Economics and Peace (lep) nello studio «Global Terrorism Index 2016»: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria.
Europa e Italia devono considerarsi in guerra e sotto assedio: è la percezione nutrita dal 75,6% dei cittadini secondo la rilevazione, effettuata all’indomani della strage ai mercatini di Natale nella capitale tedesca.
La paura di un attacco terroristico in Italia è assolutamente trasversale per le classi di età (giovani, adulti e anziani).
Qualche differenza, invece, analizzando l’area territoriale: la paura maggiore sembra essere avvertita al Sud (78,1%) e nelle realtà regionali del Nord Ovest (74,8%).
Inoltre, per 8 individui su 10 del campione (81,6%) occorrono maggiori controlli interni per garantire più sicurezza e il 60,8% si spinge a ritenere necessaria la chiusura delle frontiere del nostro Paese per non far giungere nuovi immigrati dai paesi a maggiore «vocazione terroristica».
Demoskopika rileva anche che dal 2005 al 2014 il numero delle utenze telefoniche controllate dietro autorizzazione delle procure italiane, per indagini relative a reati di terrorismo internazionale e interno, è stato complessivamente pari a 7.991 ma che l’attività di «ascolto» nel 2014 è cresciuta del 30,4%.
Sono 59 gli attacchi terroristici avvenuti in Italia negli ultimi 10 anni, inclusi nel Global Terrorism Database.
Dall’analisi di Demoskopika emerge che la regione che ha subi’to il maggior numero di attacchi terroristici in questo arco temporale è stato il Lazio, con 15 episodi (25,4% del totale), la Lombardia con 11 eventi (18,6%) e il Piemonte con 8 eventi (13,6%).
(da agenzie)
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Dicembre 26th, 2016 Riccardo Fucile IL MISTERO DELL’AUDIO E DEI GIUBBOTTI… LE QUATTRO IPOTESI DI MOSCA
Quattro versioni difficili da accettare. Quattro versioni – dove è esclusa quella del terrorismo – che vanno lette come le uniche ipotesi finora avallate dal governo russo sui motivi della tragedia del volo Tu-154.
Il giorno di Natale l’ aereo militare decollato da Sochi, e diretto in Siria con 92 persone a bordo tra cui il celebre e prestigioso Coro dell’Armata Rossa, è precipitato nel mar Nero al largo di Sochi.
Il velivolo, del 1983, sarebbe precipitato pochissimi minuti dopo il decollo, tanto che non era ancora in quota. Inizialmente il governo di Mosca ha incluso la possibilità di un sabotaggio – viste le possibili ritorsioni per l’impegno siriano – ipotesi negata però nelle ultime ore perchè da accertamenti non ci sarebbero “indicazioni che facciano pensare ad un attentato”.
Le quattro piste ancora in piedi restano, secondo i ministri del Cremlino, “corpi estranei nel motore, carburante di scarsa qualità con conseguente perdita di potenza, errore “umano” dei piloti o un guasto tecnico del velivolo”.
Le due scatole nere, così come i corpi (poco più di una dozzina quelli recuperati), potrebbero essere a decine di metri nelle profondità dei mari, spostate probabilmente dalle correnti.
Se saranno trovate, le scatole nere potranno fornire le ipotesi di una tragedia per ora davvero poco chiara: una registrazione audio della conversazione finale tra controllori del traffico aereo e i piloti indicherebbe come sul volo non ci fosse una situazione di panico ma, al contrario, di totale tranquillità .
Altre fonti non confermate che hanno parlato con l’agenzia Ria Novosti e con i giornali russi indicano che alcuni dei corpi recuperati indossavano giubbotti di salvataggio. Informazioni da prendere con le pinze: i giubbotti, al contrario della conversazione, indicherebbero che a bordo era stato dato l’allarme.
Tutto questo, va ricordato, nei soli due minuti fra decollo e schianto. L’ipotesi dei giubbotti è stata fortemente negata dal ministero della Difesa russo.
Al momento circa 3.000 persone, tra cui più di 100 subacquei, e una flotta composta da navi, elicotteri, e sommergibili sono coinvolte nelle operazioni di recupero.
La fusoliera si troverebbe a 1,7 km dalla riva e circa 27 metri di profondità .
L’aereo, che era atterrato da Mosca per un rifornimento, è scomparso dai radar come detto due minuti dopo il decollo dall’aeroporto Adler di Sochi (era diretto a Latakia in Siria).
L’aereo era stato controllato ito l’ultima volta nel mese di settembre e aveva subito alcune riparazioni importanti nel dicembre 2014.
(da “Huffingtonpost”)
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