Destra di Popolo.net

SOTTOSEGRETARI, NIENTE POLTRONE PER VERDINI, SOLO ZANETTI CONFERMATO

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

L’IMPUT DI RENZI: RAFFORZARE IL PD, NON IL GOVERNO

Ancora poche ore e la squadra degli oltre 40 sottosegretari e viceministri di governo del ‘nuovo corso’ guidato da Paolo Gentiloni sarà  completata.
Il neopremier conta di chiudere giovedì, il giorno della conferenza stampa di fine anno. La settimana in più di riflessione lo avrebbe portato a due conclusioni nodali per lo sblocco delle trattative.
Nessun nuovo ingresso dei verdiniani: nel sotto-governo dovrebbe essere confermato solo Enrico Zanetti, attualmente viceministro uscente all’Economia.
E nessuna conferma al governo per Tommaso Nannicini: fedelissimo di Renzi, il sottosegretario uscente non andrà  al ministero del Lavoro a commissariare Giuliano Poletti.
Per lui invece si apriranno le porte del Nazareno: Renzi lo vuole nella nuova segreteria del Pd a curare il programma da qui alle prossime elezioni che il segretario continua a immaginare vicine.
I verdiniani
La scorsa settimana, è stato Gentiloni stesso a decidere di rimandare la questione ‘sottosegretari’ a dopo Natale.
Motivo: prendersi una settimana in più di riflessione per decidere se accettare l’abbraccio di ‘Ala’, la componente parlamentare di Denis Verdini che spesso ha aiutato il governo Renzi al Senato pur senza entrare formalmente in maggioranza. Nato il governo Gentiloni, Verdini ha chiesto un riconoscimento formale e politico, pur senza avergli votato la fiducia, non ce n’è stato bisogno.
Tradotto: Ala ha prima chiesto un ministero e 4-5 sottosegretari. Poi ha ridotto le pretese ai soli sottosegretari. E adesso pare debba accontentarsi della sola conferma di Enrico Zanetti, origini di Scelta Civica, da ottobre con i verdiniani nello stesso gruppo alla Camera. Su twitter fa chiarezza l’altro verdiniano, Saverio Romano:
Zanetti potrebbe traslocare dall’Economia allo Sviluppo Economico. Ma non è detto. Ad ogni modo, per Verdini avrebbe deciso Berlusconi, de facto. Perchè è stato l’abbraccio dell’ex Cavaliere a Gentiloni a scaricare il potere contrattuale di Ala verso il governo. Se c’è la stampella promessa da Forza Italia, i verdiniani perdono senso e potenza: parlando con gli interlocutori del Pd, Verdini stesso avrebbe ammesso che molti dei suoi stanno valutando se tornare con Berlusconi. Addirittura. Si vedrà .
I cambi
Intanto, Gentiloni prevede non più di 6-7 cambi nello squadrone dei 40. Molti dei quali all’Istruzione, ministero che nel passaggio di testimone tra Renzi e Gentiloni ha cambiato pure il ministro: da Stefania Giannini a Valeria Fedeli.
Così via Angela D’Onghia e Gabriele Toccafondi, dovrebbe arrivare la deputata Pd Manuela Ghizzone. Mentre il renziano siciliano Davide Faraone dovrebbe traslocare alle Infrastrutture.
Allo Sport con il neo-ministro Luca Lotti dovrebbe arrivare Laura Coccia, deputata Pd ed ex campionessa paralimpica.
Scendono le quotazioni per uno spostamento dell’attuale presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Emanuele Fiano agli Interni: viceministro con Minniti dovrebbe rimanere il lucano Filippo Bubbico, agli Interni anche con Enrico Letta.
A conferma delle previsioni della vigilia, Gentiloni dovrebbe tenere per se anche le deleghe ai servizi segreti.
Mentre Luciano Pizzetti, sottosegretario uscente alle Riforme, potrebbe andare alla presidenza della Prima commissione del Senato, al posto di Anna Finocchiaro, neo-ministro per i Rapporti con il Parlamento.
Confermati tutti gli altri: anche Sandro Gozi, sottosegretario agli Affari Europei sul quale si era ipotizzato un trasloco alla Farnesina, sempre con le stesse deleghe.
Pare che ora resti sotto Palazzo Chigi.
Rafforzare il Pd, non il governo
Ma non è confermato Tommaso Nannicini, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, voluto a Palazzo Chigi da Renzi, fedelissimo dell’ex premier.
Tanto fedele da seguirlo nella nuova ‘avventura’ da semplice segretario del Pd.
Renzi infatti vuole che Nannicini sia il responsabile del Programma nella nuova segreteria che dovrebbe ‘battezzare’ al Nazareno dopo l’Epifania.
Nella squadra del partito dovrebbero esserci anche il ministro all’Agricoltura Maurizio Martina, l’ex sindaco di Torino Piero Fassino come responsabile Esteri del Pd e poi i sindaci: da Falcomatà  (Reggio Calabria) a Bonajuto (Ercolano), Decaro (Bari). Per una segreteria plurale, che dialoghi con i territori: è questo il piano di Renzi.
Insomma, per Renzi che ancora ci tiene a tornare al voto a primavera, la parola d’ordine in questo momento è: rafforzare il partito.
E, raccontano fonti Dem qualificate, Renzi e Gentiloni ragionano in perfetta intesa: sul Pd e sul governo.
Se il progetto è rafforzare il Pd, il governo si prende gli ‘avanzi’, diciamo così.
E durerà  fin tanto che ci sarà  una nuova legge elettorale. Quando ci sarà .

(da “Huffingtonpost”)

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IL SINDACO DI ALASSIO CONDANNATO PER L’ORDINANZA RAZZISTA: ORA I 3.750 EURO DI SANZIONE LI PAGHI DI TASCA SUA

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

E’ L’ORA DI FINIRLA CON I SINDACI RAZZISTI CHE FANNO PAGARE AI CONTRIBUENTI LE LORO CAZZATE, MANO AL PORTAFOGLIO E INTERVENGA LA CORTE DEI CONTI

Da inizio luglio 2015 un’ordinanza del sindaco di Alassio Enzo Canepa vieta l’ingresso in paese alle persone provenienti da Africa, Asia e Sud America “sprovviste di un certificato medico che attesti l’assenza di malattie infettive”.
“Fin dal primo momento insieme ad altri colleghi e associazione avevamo evidenziato i diversi profili di illegittimità  di questa ordinanza. Non solo viene chiesto un certificato che non esiste — sottolinea Emilio Robotti, avvocato e segretario ligure dell’Unione Forense per la Tutela dei Diritti Umani — ma rivolge questa richiesta esclusivamente a persone di determinate provenienze, senza nessuna emergenza che giustifichi questi controlli.”
Per questo e altri motivi il 22 dicembre 2016, il Gip del Tribunale di Savona, ha notificato al sindaco di Alassio un decreto di condanna e una sanzione di 3.750 euro per discriminazione razziale.
Ovviamente il suo compagno di merende, alias il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, esprime la sua solidarietà  al sindaco di Alassio Enzo Canepa, suo degno sodale. Peccato che non accenni a pagargli di tasca sua la sanzione…
Il sindaco nel commento non si smentisce: “la nostra è un’ordinanza con scopo preventivo, che ha come scopo la tutela del territorio, dei cittadini e dei turisti da chi viene per degradare il paese”.
L’unico che degrada il paese è lui, visto le delibere razziste per cui è stato condannato.
Ora metta mano al portafoglio e paghi di tasca 3.750 euro, invece che scaricarle sui contribuenti.
In uno Stato civile un sindaco con una condanna di quel genere sarebbe già  stato commissariato.

(da agenzie)

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PALERMO, AL VIA LE COMUNARIE DELLE FIRME FALSE, MENTRE SUL WEB LE DUE FAZIONI CONTINUANO A PRENDERSI A MAZZATE

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

GLI ASPIRANTI SINDACI HANNO INVIATO IL MODULO DI CANDIDATURA… SITUAZIONE SEMPRE PIU’ DIFFICILE PER I DEPUTATI

Verranno ricordate come le Comunarie delle firme false. Entro la mezzanotte di ieri infatti gli aspiranti candidati a sindaco di Palermo hanno dovuto inviare un modulo in cui dovevano confermare la loro candidatura e affermare, sotto la loro responsabilità , di non essere sottoposti a indagini o procedimenti penali, di non essere iscritti ad altri partiti politici, di non essere nè avere parenti che sono dei servizi segreti e di avere la fedina penale pulita.
Le Comunarie quindi si faranno anche se il caso delle firme false ha devastato il MoVimento 5 Stelle di Palermo e da lì uscirà  un candidato che avrà  ottime probabilità  di diventare sindaco.
E proprio a causa delle regole non faranno parte della partita, tra gli altri Samanta Busalacchi e Riccardo Ricciardi, indagati per il caso delle firme false mentre esce a pezzi Il Grillo di Palermo: nei giorni scorsi si era parlato dell’appoggio all’ingegnera Tiziana De Pasquale, poi smentito dallo stesso Riccardo Nuti su Facebook.
Nel frattempo è stato creato un altro gruppo attivo (su Facebook) e il meet up Palermo in MoVimento in seguito all’oscuramento del forum e alla mancata ammissione del professor Pintagro e di altri che avevano parlato della storia delle firme false.
Dopo aver chiesto le dimissioni di Claudia La Rocca, che ha deciso di ammettere davanti al magistrato di aver falsificato le firme e ha fatto i nomi di chi l’avrebbe aiutata, i deputati e le senatrici coinvolte hanno consegnato un esposto in cui si disegna una curiosa teoria del complotto alla base delle accuse rivolte loro dalla La Rocca, che vedrebbe implicato anche l’avvocato Ugo Forello, fondatore di Addiopizzo e non a caso considerato oggi uno dei favoriti per le Comunarie.
Anche perchè nel frattempo Forello ha incassato il sostegno di Adriano Varrica, collaboratore al parlamento europeo dei 5 Stelle e attivista storica palermitano, che ha deciso di ritirare la sua candidatura.
Non a caso, infatti, negli status sulla pagina di Nuti in cui si parla della vicenda spesso spuntano utenti fake che prendono in giro l’onorevole o gli ricordano le mancate risposte davanti al magistrato.
Ieri intanto Chiara Di Benedetto è tornata ad attaccare, stavolta prendendosela (senza mai nominarlo) con William Anselmo, “colpevole” di essersi ritirato dalla corsa alle Comunarie in un post pubblico in cui ha criticato il Grillo di Palermo: «Il vecchio Meetup ha fallito negli uomini, nei numeri, nella programmazione, negli ideali: molti degli attivisti storici sono stati coinvolti dallo scandalo delle firme false e sono tuttora indagati dalla procura; la base è rimasta rachitica per via di scelte ottuse che al posto di includere hanno escluso chi voleva partecipare; in quattro anni non si è stati in grado di produrre un programma per le prossime elezioni e ciò oggi costringe a fare le cose di corsa; e, purtroppo, qualcuno ha smarrito anche gli ideali, perchè trasformare “onestà -onestà ” in “omertà -omertà ” ha danneggiato tutti».
La Di Benedetto, con la lucidità  tipica di chi immagina complotti più o meno ovunque, ha scritto tre ore dopo che il ritiro poteva essere semplicemente “tattico”:
Non mi stupirei affatto se dietro a molti, non tutti, ritiri di candidatura, giustificati con i più nobili degli intenti e dei saldi principi etici e morali, si nasconda il più infimo progetto di boicottare scientemente le “comunarie” online per poter, poco dopo, presentare una lista bella e pronta, probabilmente da mesi, che al proprio interno annovera tutti questi “duri e puri” dell’ultimo minuto e, magari, con qualche professionista dell’antimafia come candidato a sindaco…
E non mi stupirei nemmeno se, invece, ambissero piuttosto ad un posto da Deputato Regionale dato che le prossime Elezioni Regionali sono dietro l’angolo e, come sappiamo, buona parte dei portavoce palermitani è stata messa, chirurgicamente, fuori gioco…
Il riferimento al “professionista dell’Antimafia” è lampante: si tratta sempre di Ugo Forello anche se la Di Benedetto, così come Giulia Di Vita e Riccardo Nuti, ha la simpatica abitudine di non nominare mai quello che attacca, forse in omaggio alla tipica trasparenza a 5 Stelle.
A parte le illazioni sulle ambizioni altrui, la Di Benedetto accusa taluni candidati di arrivismo: «Tutta questa gente che si riempie la bocca di belle frasi ad effetto, che cambia la propria foto su fb e ne mette una in giacca e cravatta, come se questo bastasse a renderla più credibile, non ha MAI fatto un banchetto o altre attività  del Grillo Di Palermo negli ultimi 9 anni ma ha sentito l’irrefrenabile richiamo del carro del vincitore proprio a ridosso di un’importante tornata elettorale. Insomma più che ATTIVISTI sono ARRIVISTI di cui i meetup di tutta Italia e il M5S sono, ahinoi, sempre più affollati…».
Il che è un’accusa curiosa nei confronti di qualcuno che ha appena ritirato una candidatura. Nei giorni scorsi l’onorevole aveva anche pubblicato la mail che “proverebbe” (il condizionale è d’obbligo) il “complotto” di Forello.
Eppure anche nei commenti c’è chi le ricorda che i meetup da soli non sono il M5S, come da lettera di Di Battista e Fico.
In tutto ciò, e mentre gran parte degli iscritti a cui il Grillo di Palermo ha fatto la guerra si spostano dentro Palermo in MoVimento, rimane ancora in piedi l’indagine sulle firme false di Palermo e soprattutto la questione principale: chi ha inviato i documenti con le firme raccolte che hanno consentito la prova grafica che ha messo nei guai gli indagati e i loro amici?
Dalla risposta a questa domanda si potrebbe comprendere meglio come sono andate le cose e se davvero qualcuno si è approfittato della vicenda del 2012 per costruire consenso intorno a una candidatura alle Comunarie di Palermo.
Si tratta di una persona a cui erano state evidentemente affidati quei documenti, e questo non può essere ignoto a chi all’epoca c’era.
Ma a questa domanda quelli del Grillo di Palermo non hanno ancora voluto fornire una risposta.

(da “NextQuotidiano”)

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CARLO VERDONE: “SOFFRO PER LO STATO DI ABBANDONO DELLA MIA CITTA'”

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

“SU ROMA E’ SCESO UN TELO OPACO CHE NE STA OSCURANDO LE MERAVIGLIE”

Sulla capitale è sceso “un telo opaco oscurandone le meraviglie”.
Carlo Verdone mostra tutta la sua amarezza per lo stato di abbandono di Roma in un intervento sull’Osservatore Romano.
L’attore regista romano partecipa, insieme a Giancarlo Giannini, al documentario realizzato da Piero Angela con Rai1 ‘Stanotte a San Pietro. Viaggio tra le meraviglie del Vaticano’, progetto frutto di una collaborazione con il Centro televisivo vaticano.
Chi sta leggendo questo breve articolo conosce bene lo stato di abbandono di Roma – scrive Verdone -, e come un telo opaco sia sceso su di lei, oscurandone le meraviglie che ci hanno donato i grandi ideali di bellezza e spiritualità  dei secoli scorsi. Siamo circondati da un’infinità  di meraviglie che ci riportano a una grande città  ora solo città  grande.
L’attore continua:
Abbiamo perso lo stupore dell’insieme e del dettaglio, e quando ci muoviamo nella città  non siamo molto coscienti di cosa stiamo attraversando. Ci basta dire che Roma è Roma, e che resta la più bella. Ma sono solo frasi fatte, perchè poche anime sensibili sanno ancora godere – tra auto mal parcheggiate, muri imbrattati e asfalto dissestato – dei gioielli che ci stanno accanto. Che sembrano solo chiedere di esser ammirati per un istante.
Nel suo articolo sull’Osservatore Romano, Verdone spiega:
È ovvio che anch’io soffro per questo stato di abbandono e di mancanza di sensibilità . E forse per questo sapevo che una notte nelle strade e nei luoghi del Vaticano mi avrebbe regalato un umore diverso. Sì, Roma quella sera mi è apparsa come rigirata, diversa, ma affascinante come sempre. E ricorderò quella emozionante serata, trascorsa ad attraversare quell’imponente scenografia, con una semplice riflessione: l’elevata bellezza, la nostra storia, il talento supremo di alcuni artisti devono essere conservati nella nostra memoria. La visita di quei luoghi mi ha aiutato a comprenderlo ancora di più. L’immortalità  può esistere, per certi versi. Dipende solo da noi e dalla nostra buona volontà .

(da “Huffingtonpost”)

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LA VERA STORIA DELLA GIUNTA RAGGI E DELLA CHIUSURA DEI CAMPI ROM

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

CHIUDERE I CAMPI ENTRO IL 31 GENNAIO 2017? SOLO UN BLUFF… E INTANTO L’ANAC HA BOCCIATO UN BANDO DA SEI MILIONI DI EURO PER LA GESTIONE DEI CAMPI

Che fine faranno i campi rom della Capitale?
È questa la domanda da sei milioni di euro (a tanto ammontano le spese del Campidoglio per la gestione dei campi) alla quale la Giunta Raggi è chiamata a dare una risposta.
Prima dell’attuale amministrazione capitolona ci aveva provato Ignazio Marino che nel 2014 aveva annunciato l’intenzione di voler chiudere i campi nomadi (senza dare corso al proposito) e successivamente dal Commissario Francesco Paolo Tronca che il 19 dicembre 2015 aveva bandito una gara d’appalto da 6,1 milioni di euro per la manutenzione dei sei campi nomadi   (denominati villaggi attrezzati) di Roma ovvero quelli di Castel Romano, Via Lombroso, Via Salone, Via Candoni, La Barbuta e Via dei Gordiani.
Questa gara però è stata bloccata il 20 dicembre 2016 dall’assessora al sociale di Roma Capitale Laura Baldassarre perchè quell’appalto (voluto dalla precedente gestione commissariale della Capitale) era finito a novembre nel mirino dell’Autorità  nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone per presunte irregolarità .
La Baldassarre ha così dato disposizione di congelare quel bando sul quale sono piovuti numerosi ricorsi al TAR fino a quando l’ANAC non avrà  espresso un parere nel merito.
Allo stesso tempo la Giunta Raggi ha dovuto congelare anche un altro bando di gara da un milione e mezzo di euro questa volta per la creazione di una nuova area — da individuarsi nel territorio del XV Municipio e denominato Camping River — che avrebbe dovuto accogliere circa 120 famiglie nomadi.
A chiedere il ritiro di questo secondo bando, oltre alla cooperativa Ermes è stato anche il consiglio del XV Municipio (governato dai Cinque Stelle) e l’Associazione Nazione Rom (ANR) che si è rivolta ufficialmente ad ANAC con numerosi esposti in cui si denunciavano illegalità  strutturali presenti in Italia, violazioni di norme e principi europei, frodi sui Fondi Strutturali destinati all’inclusione dei poveri e di Rom Sinti e Caminanti.
Inoltre anche su questa seconda gara l’ANAC ha aperto un’inchiesta.
La giunta capitolina sembra in ogni caso intenzionata a porre mano al problema dei campi rom, lo ha fatto nel frattempo con due mosse: la prima è stata la nomina di una consulente — Monica Rossi — esperta di tematiche relative ai rom arruolata nello staff dell’assessora Baldassarre a 30 mila euro l’anno.
La seconda è stata la delibera del 16 dicembre con la quale è stato istituito il “Tavolo cittadino per l’inclusione delle popolazioni Rom” (al quale però inizialmente non era prevista la partecipazione dei residenti dei campi), un organismo il cui compito sarà  quello di individuare — entro il 31 gennaio 2017 — le modalità  con le quali arrivare allo sgombero dei campi nomadi della Capitale anche secondo quanto previsto nella Comunicazione n.173 del 4 aprile 201 della Commissione Europea recante il quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020.
Si tratta di un documento con il quale, come è spiegato sul sito dell’UNAR (Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali), la Commissione ha sollecitato gli Stati membri all’elaborazione di strategie nazionali di inclusione dei Rom o all’adozione di misure di intervento nell’ambito delle politiche più generali di inclusione sociale per il miglioramento delle condizioni di vita di questa popolazione.
Nel 2012 il Governo italiano ha deciso di attuare quanto stabilito dalla Comunicazione 173 e ha stilato un piano con la strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti.
Come è facile immaginare una delle situazioni più delicate nell’ambito della discriminazione delle persone rom, sinti e caminanti è l’accesso all”edilizia residenziale pubblica e pertanto — come già  avvenuto qualche giorno fa proprio al campo rom di Via Salviati — per sgomberare i campi sarà  necessario trovare un accordo per far sì che i residenti che ne hanno diritto possano accedere alle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi dell’edilizia residenziale pubblica.
Quanto avvenuto in Via Salviati (altro storico e problematico campo) è fondamentale perchè sancisce la partecipazione di Rom Sinti e Caminanti al tavolo d’inclusione aperto da Roma Capitale.
Entro il 31 gennaio quindi il Tavolo dovrà  elaborare un “piano di programmazione e progettazione di interventi di breve e lungo periodo per la graduale chiusura dei centri di raccolta e dei campi Rom presenti a Roma” e non, come titola oggi Il Messaggero, “chiudere i campi rom”.
Per arrivare alla chiusura dei campi si dovrà  invece presumibilmente attendere ancora del tempo perchè queste modalità  di gestione della problematica sono ancora tutte da stabilire.
Non è chiaro però in che modo i cosiddetti stanziali potranno integrarsi e mettersi in regola, se alcuni degli stanziali — ovvero di quei rom che non sono propriamente “nomadi” — avranno diritto (per reddito) ad accedere alle graduatorie per la casa non si capisce come mai in nome dell’integrazione dovranno continuare ad essere discriminati e tenuti fuori dalle suddette liste.
Forse per quelli di Fdi-An è meglio tornare alla gestione Alemanno del problema, quella che ci ha regalato i campi rom grazie allo stanziamento dei fondi ministeriali elargiti da Roberto Maroni su richiesta dell’allora sindaco di An e che è stata scoperchiata dalle inchieste dei magistrati che hanno indagato sul sistema di gestione della cosiddetta emergenza rom.
Come ricordava qualche tempo fa sul Fatto Quotidiano Carlo Stasolla, Presidente dell’Associazione 21 Luglio da venti mesi nei sei campi rom della Capitale “non sono più attivi sportelli socio sanitari e legali, azioni di sostegno alla scolarizzazione, presidi di controllo” e già  diverse famiglie — quelle che ne avevano la possibilità  — hanno iniziato ad abbandonare i campi alla ricerca di altre soluzioni abitative.
Per chi resta non è chiara quale forma di integrazione sarà  prevista, negare anche la possibilità  di accedere ai bandi pubblici significa però una cosa sola: la volontà  di tenere quelle persone all’interno dei campi.

(da “NexrQuotidiano”)

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LA MOSSA DEL PD: CAMBIARE I “VITALIZI” PER ANDARE AL VOTO SUBITO

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

L’IDEA DI UN ASSEGNO DA 50.000 EURO PER EVITARE UNA “PROROGATIO” DEL GOVERNO GENTILONI

La mossa del Pd per evitare una prorogatio del Governo Gentiloni e al contempo mettere nell’angolo l’M5s.
Repubblica racconta oggi in un retroscena il provvedimento in rampa di lancio a Montecitorio che “può segnare una svolta, un punto in favore dei renziani: convincere peones e new entry parlamentari a chiudere anzitempo la legislatura con una contropartita niente male.
Una “buonuscita” da 50 mila euro cash.
Passa attraverso l’abrogazione di qualsiasi pensione in favore di deputati e senatori a partire dalla diciottesima legislatura, la prossima: i 950 euro netti mensili da incassare a 65 anni dopo una sola legislatura (1.500 a 60 anni dopo due)”.
Una opportunità  che dovrebbe convincere tutti gli onorevoli a incassare l’assegno e mettere fine a questa legislatura senza la tentazione di dover attendere il 15 settembre per maturare i diritti alla pensione minima
“I deputati – continua Repubblica – sceglieranno che fare in futuro dei loro contributi e potranno solo nel 2017 ottenerne la restituzione. 50 mila euro: neanche pochi e maledetti, di questi tempi, e da incassare subito

(da “Huffingtonpost”)

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OMICIDIO STRADALE, UNA LEGGE CHE SBANDA: SOLO IL 4,8% IN MENO

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

STESSE VITTIME DOPO NOVE MESI DI LEGGE, SCARSI GLI EFFETTI SULLA SICUREZZA

Nove mesi forse non bastano per promuovere o bocciare una legge, soprattutto quando ha a che fare con un tema complesso come fa quella sull’Omicidio stradale, entrata in vigore il 25 marzo 2016.
Di certo non c’è stato però l’effetto deterrenza ottenuto con altre norme come ad esempio quella sulla patente a punti.
Il provvedimento voluto dall’allora ministro dei Trasporti Pietro Lunardi entrò in vigore il 1 luglio 2003 e nel giro di 5 mesi permise un calo degli incidenti del 17,16% rispetto allo stesso periodo del 2002, mentre la diminuzione nel numero di morti e feriti fu rispettivamente del 23,4 e del 20,2% (dati relativi ai rilievi della Polizia Stradale in autostrade e strade extraurbane).
A confronto i risultati ottenuti nei primi 5 mesi di applicazione dell’Omicidio Stradale (luglio-novembre 2016) rispetto alla situazione precedente (luglio-novembre 2015) sono estremamente deludenti: incidenti, morti e feriti scendono del 3,1%, 4,8% e 3,7%.
Se sul piano dei numeri qualche margine di dubbio legato al breve tempo trascorso resta, nove mesi sono sufficienti invece per capire quali sono i punti critici delle norme e cosa va cambiato, con urgenza.
Di sicuro non c’è stata un’ondata di arresti in flagranza, non c’è stata una diminuzione di incidenti e morti significativa (anzi i dati di luglio e agosto mostrano un picco di crescita preoccupante), le condanne “esemplari” sono ancora lontane. Una delle poche è arrivata proprio pochi giorni fa a Messina.
Se è vero che sino ad oggi di applicazioni esemplari del nuovo reato di omicidio stradale se ne sono viste poche, una è arrivata proprio pochi giorni fa quando il Giudice per l’udienza preliminare di Messina Salvatore Mastroeni ha inflitto con rito abbreviato 11 anni di carcere a Gaetano Forestieri, un ex finanziere colpevole di aver travolto con la sua auto un’altra vettura, provocando la morte della donna che si trovava al volante.
Forestieri,secondo quanto ricostruito in aula, stava gareggiando in velocità  in pieno centro cittadino con un altro giovane, Giovanni Gugliandolo, condannato a 7 anni. Le accuse contestate a vario titolo ai due imputati sono state quelle di omicidio stradale e competizione non autorizzata e, nel caso di Gugliandolo, anche quella di omissione di soccorso
Al netto di questi casi eclatanti, il primo effetto concreto della legge rischia di essere piuttosto un diluvio di patenti revocate in automatico a migliaia di automobilisti rei, magari, di aver provocato un banale colpo di frusta in un tamponamento.
Quella che la stessa Polstrada, pur non commentando gli aspetti politici della legge, definisce una “possibile forzatura”. Senza contare che il provvedimento, evitando di prendere in esame gli incidenti provocati dal dilagante uso dello smartphone mentre si guida, è di fatto nato vecchio.
Da gennaio a giugno del 2016 l’Istat ritiene gli incidenti siano stati 83.549, provocando 118.349 feriti e 1.466 morti.
Si tratta di una stima perchè se i dati della Polizia Stradale e dei Carabinieri (autostrade e strade extraurbane) sono aggiornati giorno per giorno, quelli della polizia locale sono calcolati invece su cifre parziali.
Numeri fondamentali ai fini delle statistiche perchè vengono forniti da 172 Comuni e riguardano zone caldissime per gli incidenti: strade cittadine e quelle immediatamente vicine. Rispetto allo stesso periodo del 2015 (dati definitivi) la diminuzione degli incidenti con lesioni a persone è dello 0,8% , quella dei feriti dello 0,5%, quella dei morti del 4,7%.
Sulle autostrade i morti, grazie anche all’effetto tutor nel controllo della velocità , sono stati il 15% in meno, mentre nelle strade urbane ed extraurbane siamo fra il 2 e il 5% in meno
Ma, avverte ancora l’Istat, “in base ai dati già  pervenuti dalla Polizia Stradale nel periodo luglio-settembre si registra tuttavia un picco per il numero delle vittime nel complesso degli ambiti stradali nei mesi di luglio e agosto”.
Nei primi sei mesi dell’anno, spiega ancora il resoconto dell’Istat pubblicato il 19 dicembre, le multe per uso del telefono cellulare fatte dalla Polizia Stradale (quindi non in ambito urbano dove lo smartphone è molto più usato) sono aumentate del 25%.
Voluta in modo forte dalle associazioni delle vittime della strada e da quelle sulla sicurezza stradale, nata sulla scia dell’indignazione per il ripetersi di drammatici episodi di cronaca, la legge 41 sull’Omicido Stradale aveva soprattutto uno scopo: colpire chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto della droga causando con comportamenti criminali la morte di innocenti.
“Devono andare in carcere, non devono guidare mai più”. Questo il messaggio, la richiesta. E sull’onda di questa emotività  è nato il testo che interviene, modificandoli, su tre Codici: quello della strada, quello penale e quello di procedura penale.
Innanzitutto sono state aumentate le pene previste per l’omicidio colposo, creando la categoria giuridica di un omicidio colposo aggravato detto “stradale”.
Inoltre le pene già  aumentate sono state ulteriormente inasprite con aggravanti specifiche: la guida in stato di ebbrezza, quella sotto effetto di droghe, il fatto di essere fuggiti senza dare soccorso (i pirati della strada).
Nel corso dei lavori parlamentari sono state aggiunte altre aggravanti: il sorpasso in presenza di un attraversamento pedonale, l’inversione a U con scarsa visibilità , la velocità  eccessiva, la guida senza patente, il mancato rispetto del rosso al semaforo.
Oggi per l’omicidio colposo su strada la pena varia quindi da 2 a 7 anni, se si commette in stato di ebbrezza o sotto effetto di droga sale da 8 a 12 anni, se la morte è provocata in seguito ad altri comportamenti previsti dalla nuova legge (velocità , passare con il rosso ecc.) la condanna varierà  da 5 a 10 anni. Aumenti fino a due terzi della pena (mai comunque meno di 5 anni) per i pirati della strada.
Giro di vite anche sulle pene detentive previste quando di provocano lesioni gravi (più di 40 giorni di prognosi) e gravissime (perdite di arti o menomazioni irreversibili di un organo). Poi ci sono le sanzioni accessorie, non negoziabili con il giudice, che prevedono la revoca della patente che non può essere riottenuta da nessuno per minimo 5 anni (si parla dalle lesioni gravi in su) fino a 15, 20 o 30 anni di revoca nei casi di omicidio stradale più gravi.
Nonostante la richiesta di associazioni ed esperti, fra le aggravanti non è stata inserita però la distrazione, soprattutto quella per uso del cellulare o smartphone.
“Ormai — dice Enrico Pagliari, capo dell’area tecnica dell’Aci — sappiamo che 3 incidenti su 4 sono riconducibili alla distrazione e i dati a nostra disposizione dimostrano che un guidatore morto su 4 è vittima del telefono. Un recente studio condotto negli Stati Uniti dice che il 57% delle vittime della strada stava facendo uso del cellulare al momento dell’incidente”.
“La verità  – spiegano alla Polizia stradale — è che dimostrare che il guidatore stesse usando uno smartphone è quasi impossibile.
Le procure chiedono espressamente a chi fa i rilievi, quando ne trovi uno sul luogo dell’incidente, di sequestrarlo. Ma strumenti elettronici sicuri per dimostrare l’uso del cellulare al momento dell’incidente non esistono”. Distratti, ma impuniti.
“L’Omicidio Stradale è una buona legge”, dice Stefano Guarnieri, presidente dell’associazione Lorenzo Guarnieri, dal nome del figlio 17enne ucciso da un guidatore ubriaco.
“Certo può avere degli effetti collaterali indesiderati, ma non si può mandare all’aria una buona legge per quelli. Smettereste di prendere un farmaco perchè nel bugiardino c’è scritto che può far male?”.
Che l’Omicido Stradale abbia degli “effetti collaterali”, e non irrilevanti, è stato chiaro nel giro di poco tempo.
L’aspetto più delicato non riguarda tanto le conseguenze sugli incidenti mortali, quanto su quelli con “feriti gravi”, soglia che viene oltrepassata quando la prognosi supera i 40 giorni. In Italia nel 2015 i feriti gravi sono stati 15.901, il 6,3% del totale. Quando si verifica un incidente di questo tipo il guidatore del veicolo che lo ha causato viene denunciato all’autorità  giudiziaria che apre un’istruttoria.
Se venisse ritenuto colpevole, qualunque sia la pena detentiva inflitta e anche se sospesa con la condizionale, scatta in automatico la pena accessoria della revoca della patente per un minimo di 5 anni.
Con il risultato che anche per un colpo di frusta causato al conducente di un’auto tamponata, la cui gravità  viene magari “gonfiata” ai fini assicurativi, il rischio è non poter guidare per almeno 5 anni, al termine dei quali sarà  necessario ripetere l’esame. “Cinque anni come revoca minima della patente dal punto di vista dell’automobilista sono forse una forzatura — osservano alla Polizia Stradale — anche perchè la misura non è parametrabile su quanto davvero accaduto, il magistrato non può interpretarla, la deve solo applicare”.
Visto dalla parte di chi è abituato a difendere le ragioni degli automobilisti in tribunale si tratta di un chiaro eccesso.
“Mi sfugge il motivo logico perchè debbano essere accettate soluzioni così penalizzanti nei casi con i feriti, e gli incidenti con feriti sono la stragrande maggioranza”, osserva Luigi Cutolo, avvocato specializzato in infortunistica stradale. “Così come è congegnata la norma – sottolinea il legale – il rischio è che si possa ridare l’esame della patente dopo 15 anni con conseguenze particolarmente gravi soprattutto con persone che non hanno precedenti, che possono essere state vittime di una circostanza”.
La sua collega Alessia Diorio la vede diversamente: “Evitare che il colpevole di un incidente con gravi conseguenze torni alla guida è comunque giusto. Io anni fa mi sono trovata con una cliente rimasta incastrata nella porta di un autobus, caduta e investita dal bus ha perso una gamba, ma l’autista guida ancora”.
Le aggravanti della legge prevedono inoltre che il prefetto possa sospendere la patente in via cautelare per un periodo da un mese a 5 anni anche prima del giudizio definitivo mentre nei casi più gravi (morte di persone coinvolte, fuga dell’automobilista o guida in stato di ebrezza etc) la revoca può arrivare a 30 anni, il cosiddetto “ergastolo della patente”.
“Questo — dicono ancora alla Polizia Stradale — potrebbe essere il migliore deterrente contenuto nella legge, ma finora non ha avuto un grande impatto sul numero dei sinistri”.
“Per un’istruttoria il magistrato ha a disposizione sei mesi — spiega l’avvocata Diorio — poi se le cose non sono chiare può chiedere una proroga. Non mi stupisce che l’impatto della pena accessoria della legge non sia ancora stato percepito: non ci sono state sentenze”.
Ma le compagnie assicurative hanno percepito la tempesta in arrivo tanto che molte si stanno attrezzando aggiungendo alle garanzie della RcAuto la “tutela legale”.
Le perplessità  su quella che la Polstrada definisce “una forzatura” potrebbero arrivare presto all’attenzione del Parlamento che il senatore di Idea-Popolari per l’Italia Carlo Giovanardi vorrebbe fosse chiamato ad emendare gli “effetti collaterali” dell’Omicidio Stradale.
“Presenterò un Disegno di Legge per correggere le demagogiche forzature della norma”,   ha promesso, aggiungendo che “con la legge precedente in alternativa alla reclusione c’era la multa da 500 a 2000 euro e la sospensione della patente poteva arrivare fino a un massimo di 2 anni. Migliaia di cittadini italiani sono già  incappati, da marzo in avanti, in questo incredibile provvedimento, che non colpisce, come è giusto, chi è ubriaco, drogato o si comporta da pirata della strada, ma punisce in maniera indiscriminata anche chi, guidando con tutta la prudenza del mondo, può aver causato un incidente, che in caso abbia conseguenze mortali, può costare fino a 18 anni di carcere”.
Su quest’ultimo punto Giovanardi troverà  però difficilmente consensi.
Se la questione sono gli anni di carcere, è necessario chiedersi prima se qualcuno in carcere ci va effettivamente.
E domandarsi, soprattutto, se l’arresto in flagranza, che la legge prevede come obbligatorio, viene utilizzato dalle forze dell’ordine che intervengono per i rilievi dell’incidente.
“L’arresto per essere convalidato deve rispondere a più esigenze cautelari: il pericolo di fuga (guidatore straniero o senza fissa dimora), precedenti specifici, stato di ebbrezza o effetto di droghe. Se non ce ne sono più insieme l’arresto non verrà  convalidato e avremo tenuto venti agenti che potevano essere impiegati diversamente a lavorare su una cosa che non serve”, chiarisce la Polizia Stradale.
I dati confermano che l’arresto del conducente coinvolto in uno scontro avviene raramente.
Da quando la legge è entrata in vigore ce ne sono stati 16 su quasi 260 incidenti mortali (dati sugli incidenti rilevati dalla Polizia Stradale). “Dieci erano conducenti in stato di ebbrezza o sotto effetto di droga, per gli altri c’era pericolo di fuga”. E che l’argomento sia controverso lo dimostra anche la direttiva, tredici pagini di istruzioni e riferimenti alla Legge 41, che il Procuratore di Grosseto, Raffaella Capasso, si è sentita in dovere di mandare a tutte le forze dell’ordine della provincia.
E il carcere?
“Il problema resta l’atteggiamento dei magistrati nell’applicare le norme — dice Giuseppa Cassaniti, presidente Aifvs (Associazione familiari vittime della strada) — già  si parte dal minimo, poi scatta la riduzione di un terzo della pena. In prigione ci finiscono in pochi, mi creda. Più che il nuovo reato di omicidio stradale serviva l’applicazione delle norme che già  c’erano”.
Mettersi al volante in stato di ebrezza, ad esempio, è vietato da sempre, ma a mancare sono i controlli e la prevenzione.
“In Svezia un automobilista in media viene sottoposto all’etilometro una volta ogni 3 anni, in Italia una ogni 40 — ricorda Stefano Guarnieri — e di solito a posteriori, quando l’incidente c’è già  stato. Se si viene fermati per un controllo si sta facendo prevenzione, non repressione”.
La vigilanza anti-alcol alla guida è scarsa insomma, eppure gli strumenti ci sono. Quello che manca, come spesso accade in Italia, è semmai la manutenzione ordinaria. “Di etilometri — fanno sapere dalla Polizia Stradale — ne abbiamo in abbondanza, ma per legge devono essere sottoposti a una certificazione una volta all’anno, certificazione che deve essere fatta dalla Motorizzazione. E qui i tempi si allungano”.
Prevenzione che secondo molti passa anche da un diverso approccio culturale al tema. “Il concetto che dovrebbe passare è che l’utente della strada partecipa alla condivisione dello spazio pubblico”, dice Giulietta Pagliaccio, presidente della Fiab, Federazione italiana amici della bicicletta, 160 associazioni in network, 18mila iscritti.
Negli ultimi sedici anni, dicono i dati Aci, i ciclisti sono il segmento di utenti della strada che ha visto il più alto incremento di vittime, più 30%.
“La mistificazione parte già  dalle pubblicità  delle auto – insiste Giulietta Pagliaccio – Non è che perchè sei dentro una vettura, magari grossa, potente, hai più diritti degli altri, non significa che occupi uno spazio della strada che è solo tuo. Invece gli spot fanno passare il messaggio che in auto sei dentro uno luogo privato, esclusivo, che il fuori non esiste e se esiste è irreale: strade vuote, dove si corre veloci, dove si è sempre connessi. Dove, come possiamo vedere in una pubblicità  recente, se piove premendo un tasto dell’auto si ferma la pioggia, con un senso di onnipotenza. Che messaggio mandiamo a un bambino che sta guardando? Che guidatore diventerà  da grande?”.

Alessandro Cecioni
(da “La Repubblica“)

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TARIFFE, CIBO, TRASPORTI: NEL 2017 PREVISTI RINCARI PER 986 EURO

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

STIME CODACONS: 64 EURO DI AUMENTO PER I MEZZI DI TRASPORTO, 193 EURO PER ALIMENTARI

Costerà  un po’ di più muoversi, ma anche fare la spesa. Qualche beneficio arriverà  dal canone Rai, ma di contro i prezzi per il carburante e le tariffe dell’assicurazione per l’auto appesantiranno il portafoglio delle famiglie italiane.
Nel complesso per l’anno prossimo gli italiani dovranno mettere in conto una “stangata” pari a circa 986 euro a famiglia per gli aumenti dei prezzi e delle tariffe.
E’ quanto stima il Codacons, secondo il quale nel 2017 si assisterà  alla ripresa dei prezzi al dettaglio, rimasti sostanzialmente fermi nel corso dell’intero 2016.
La crescita dei listini determinerà , esclusi gli alimentari – sottolinea lo studio dell’associazione di consumatori – una maggiore spesa pari a 302 euro a famiglia, mentre per gli alimentari occorrerà  mettere in conto 193 euro in più; aumenti che si ripercuoteranno anche nel settore della ristorazione (+28 euro).
Per i trasporti (aerei, treni, taxi, mezzi pubblici, traghetti, ecc.) un nucleo familiare tipo – sottolineano i consumatori – dovrà  affrontare una maggiore spesa pari a 64 euro, mentre viaggiare sulle autostrade comporterà  un aggravio medio di 35 euro: i gestori autostradali hanno infatti già  presentato al Ministero dei trasporti le richieste di aumento delle tariffe per il 2017.
Per i servizi bancari spenderemo 16 euro in più rispetto allo scorso anno (oltre ai 7 euro aggiuntivi per i servizi postali).
Torneranno a crescere anche le tariffe Rc auto, e assicurare una automobile costerà  mediamente 10 euro in più.
Il Codacons prevede rincari anche nel settore energetico: il 2016 si chiude infatti con una raffica di rialzi del petrolio, che dovrebbero proseguire anche nel corso del 2017, determinando effetti sulle bollette (luce e gas +29 euro) e sui rifornimenti di carburante (+175 euro).
Costerà  meno il canone Rai, che scende da 100 euro a 90 euro, mentre per scuole, mense, libri ed istruzione in generale la spesa media di un nucleo familiare salirà  di 45 euro. Leggeri incrementi sono previsti anche per le spese sanitarie con 37 euro in più.

(da “La Repubblica”)

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LA VERA STORIA DELL’ULTIMA GUERRA DI SILVIO: LA SCALATA DI VIVENDI A MEDIASET E’ LA PARTITA DELLA VITA

Dicembre 27th, 2016 Riccardo Fucile

IN GIOCO IL FUTURO DEGLI EREDI CHE COME MANAGER FINORA NON HANNO BRILLATO

Sul palcoscenico di questo “Natale in casa Berlusconi” il presepio è un campo di battaglia.
I Re Magi venuti da paesi lontani, il bretone Vincent Bollorè di Vivendi, il mediatore tunisino Tarak ben Ammar e l’australiano Rupert Murdoch di Sky, portano doni di dubbio gusto alla grotta di Arcore.
E Silvio si trova sotto assedio proprio quando iniziava a rivedere un raggio di luce in fondo alla galleria dell’emarginazione politica e dei problemi di salute.
Gli amici per resistere al raid dei francesi di Vivendi, che li si conti o li si pesi, si sono rarefatti. Fra questi, c’è il neopremier Paolo Gentiloni, che già  da ministro delle Comunicazioni con Romano Prodi (2006-2008) firmò una riforma del settore tv non troppo dura con le reti Fininvest.
C’è l’Agcom, tradizionale vaso di coccio deciso a sostenere la strategicità  dell’asset Barbara D’Urso nel quadro dell’imprenditoria nazionale. Ci sarà  la Consob a chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. E contro Bollorè è stato chiamato in soccorso il Maligno in persona, la Procura di Milano. Forse non basterà .
La tempra dell’uomo non si discute. Ma è messa a dura prova in due delle sue caratteristiche principali, entrambe irrazionali: il sentimento di essere immortale e la paura di finire in povertà .
Gli attacchi esterni esaltano questi poli in contraddizione come non accadeva da oltre vent’anni.
Per trovare un momento altrettanto critico nella vicenda del Cavaliere bisogna risalire al 1993, con la Fininvest oppressa da 4 mila miliardi di lire di debiti e la magistratura alle porte.
Berlusconi uscì dall’impasse con la doppia mossa della fondazione di Forza Italia e della realizzazione del progetto Wave, la quotazione di Mediaset.
Quasi un quarto di secolo dopo, il pericolo arriva proprio dalle tv. Le scelte di questi giorni festivi segneranno il futuro del gruppo del Biscione e degli eredi di un impero creato dal nulla.
La caduta di Piersilvio
Riunioni su riunioni hanno scandito la settimana prenatalizia nei tre poli di via Paleocapa a Milano, la sede storica di Fininvest, negli uffici di Mediaset a Cologno Monzese e ad Arcore, dove il patriarca riunisce i figli,.
La scalata di Bollorè ha portato in luce il problema del passaggio di mano dal fondatore ai cinque eredi.
Voci interessate riportano di conflitti fra i due tronconi rappresentati da Marina e Piersilvio, da una parte, e dai figli del matrimonio con Veronica Lario, Barbara, Eleonora e Luigi, dall’altra.
La realtà  è che decide solo il capo, quel signore che ha tuttora il 61 per cento della holding Fininvest. I ragazzi si allineano.
Il dissenso non è previsto ed è comunque ininfluente. È vero che i tre figli minori si interessano poco o nulla a Mediaset e che i due figli maggiori vorrebbero disfarsi quanto prima del Milan, attribuito a Barbara.
Ma il problema vero, che nessuno in famiglia confesserebbe, è la caduta di Piersilvio. A differenza di Marina, che presiede Mondadori-Rizzoli ma ha affidato la gestione a un manager esterno, Ernesto Mauri, il secondogenito di Silvio è vicepresidente e amministratore delegato delle reti tv.
Le scelte strategiche portano la sua firma. È stato lui a partire per una guerra che non poteva vincere contro Sky a colpi di dumping tariffario su un mercato di abbonati pay irremovibile a quota 5 milioni complessivi.
È stato lui che ha cacciato Mediaset nel pasticcio dei diritti della serie A, sancito da una multa dell’Antitrust da 51 milioni di euro annullata dal Tar prima di Natale con ricorso in appello dell’authority al Consiglio di Stato.
È stato lui a buttare via 700 milioni di euro per strappare a Murdoch la Uefa Champions League con risultati che hanno dissestato i conti e con una politica di programmazione fallimentare fra chiaro e criptato.
Nè è stato troppo aiutato da un altro esponente della seconda generazione, il direttore dei contenuti di Premium Yves Confalonieri, figlio di Fedele, presidente di Mediaset, melomane, francofilo e sostenitore della linea dura nello scontro con il raider venuto dalla Bretagna.
A Confalonieri senior, amico di gioventù di Silvio, non è sfuggita la perfidia con la quale Arnaud de Puyfontaine, braccio destro di Bollorè in Vivendi, ha dichiarato al Corriere della Sera di avere sempre piacere a incontrare Piersilvio.
Anche se va di moda la tesi che Mediaset è un’azienda in declino, le cifre di bilancio dicono che, al netto della catastrofe Premium, le tv del Biscione non vanno poi così male, pur se incassano meno rispetto ai tempi d’oro.
Il fallimento di Piersilvio si aggiunge a quello di Barbara, l’altro rampollo che ha chiesto e ottenuto dal padre un ruolo operativo in un’azienda di casa, l’Ac Milan.
La cogestione con Adriano Galliani è stata quanto meno problematica e i 200 milioni di euro arrivati dai fantomatici acquirenti cinesi non hanno neppure sfiorato le casse del club rossonero e, per ora, nemmeno quelle della holding.
In compenso, una cifra almeno pari alle due rate bonificate dalla Cina è stata investita per tamponare con acquisti sul mercato la scalata a Mediaset
La scalata in tre scenari
Appena i francesi hanno dichiarato il raid, anche se il rastrellamento è iniziato mesi fa, commentatori e insider hanno prodotto vari scenari interpretativi.
Il dato di cronaca è che Fininvest ha tenuto dal primo momento una posizione molto chiara.
Secondo la capogruppo berlusconiana, Vivendi ha disatteso un contratto valido per l’acquisto di Premium firmato la scorsa primavera.
Il venditore Mediaset continua a ritenere l’accordo in vigore e ha continuato a notificare a Vivendi ogni suo atto di gestione come se la partnership fosse andata a buon fine.
Quando ha annunciato l’intenzione di non finalizzare l’acquisto di Premium («un Macdonald, non un ristorante a tre stelle», secondo de Puyfontaine), il finanziere bretone ha fatto crollare il corso borsistico di Mediaset per comprare a prezzi di saldo e in particolare ha violato l’impegno scritto a non rastrellare titoli Mediaset oltre il 5 per cento nel biennio.
Una clausola, sia detto en passant, che dimostra le cautele berlusconiane verso il modus operandi di Bollorè.
L’ipotesi più fantasiosa è che Berlusconi abbia concertato col supposto nemico la scalata che gli sta rivalutando il titolo. Ma le sue plusvalenze sono virtuali.
Sono invece reali i soldi spesi per contrastare Bollorè comprando sul mercato ed è reale l’esposto per turbativa di mercato presentato da Niccolò Ghedini alla Procura di Milano dopo la causa civile per il mancato adempimento dell’acquisto di Premium.
La seconda ipotesi, più attendibile, è che ci sia un gioco al massacro con Berlusconi preso in mezzo fra Bollorè e gli arcirivali di Sky, unici possibili acquirenti di Premium purchè a un costo vicino allo zero.
Questa opzione mira all’espulsione definitiva dell’inventore di Canale 5 dal mondo che gli ha consegnato il successo.
Negli scorsi anni, la cessione di tutta Mediaset a Sky è emersa più e più volte ma più come strumento per creare attenzione mediatica che come negoziato reale.
Impegnati dall’incorporazione della Fox per 14 miliardi, gli uomini di Murdoch non perdono di vista il campo di battaglia, pronti a intervenire.
La terza ipotesi, accreditata in via informale anche da fonti del Biscione, è che il muro contro muro annunciato da Confalonieri e ribadito dall’aggressività  di Bollorè sul mercato sia il passo d’inizio di un’inevitabile trattativa a 360 gradi per risolvere con una transazione la grana Premium senza che una delle due parti in causa perda la faccia.
In fondo, molti fra Cologno, Milano e Arcore confidano o sperano in un armistizio. Ma, si è detto, solo uno decide.
L’epilogo pacifico ha una controindicazione molto seria che va al di là  del gioco Opa-contro Opa.
Ormai su Mediaset indaga la magistratura penale. A differenza della causa civile per danni contro Vivendi, in questo caso Fininvest non può più dire, ammesso che lo voglia, “abbiamo scherzato”.
Nè si può dimenticare che la Procura milanese non è proprio nella lista dei migliori amici del Biscione.
L’ultima richiesta di rinvio a giudizio contro Silvio Berlusconi è datata 15 dicembre, due giorni dopo che Ghedini ha denunciato l’aggiotaggio su Mediaset, e riguarda la presunta corruzione dei testimoni che va sotto il nome di processo Ruby ter
L’indagine penale andrà  avanti comunque. Certo non sarà  breve. Potrebbe chiudersi con i giochi societari già  decisi e comunque in un nulla di fatto.
Bollorè è tutto fuorchè un pivellino e la Consob o la Guardia di finanza faticheranno a districarsi fra opzioni put/call, derivati, futures e portage di investitori amici che forse già  garantiscono al raider bretone una quota ben superiore al 30 per cento
Tre ruoli in commedia per Tarak
Sky, Mediaset e Vivendi hanno, o hanno avuto per molti anni, un consulente in comune. Si chiama Tarak ben Ammar, storico consigliere di Mediaset all’indomani della quotazione per conto del principe al Walid bin Talal al Saud.
Il suo ruolo fra le tre sponde si è sempre più spostato verso la Francia, dove il produttore cinetelevisivo ha la sua residenza principale.
Rispetto a Sky, dove sostengono di non avere più a che fare con Ben Ammar da almeno sei anni, e a una Fininvest declinante, Bollorè ha un profilo molto più promettente per Ben Ammar.
Si è visto a novembre 2015 nella vicenda della conversione delle azioni di risparmio Telecom, proposta dall’ad del tempo Marco Patuano.
Vivendi, rappresentata in consiglio di amministrazione proprio da Ben Ammar, ha lasciato trapelare di essere favorevole a un’operazione che pure avrebbe diluito la partecipazione dei francesi nel gruppo delle tlc.
Il via libera sulla conversione è stato però subordinato all’allargamento del cda a vantaggio degli uomini di Vivendi, azionista di riferimento con il 23,9 per cento. Approvato l’ampliamento a 16, con l’inserimento fra gli altri di de Puyfontaine alla vicepresidenza, i francesi hanno fatto dietrofront e hanno bocciato la conversione (dicembre 2015).
Sostituito Patuano con Flavio Cattaneo, Vivendi si è dedicata alla pratica Premium revocando il contratto il 25 luglio, quaranta giorni dopo l’operazione a cuore aperto di Berlusconi.
Ad Arcore non hanno gradito la scelta di campo di Ben Ammar, che ha negato fino alla fine la discordia con Fininvest pur di tenersi il ruolo di mediatore al quale tiene molto.
Ma i fatti sono eloquenti e Berlusconi non ha gradito il voltafaccia del suo consulente che, come imprenditore, ha qualche difficoltà .
La holding di Ben Ammar Holland coordinator è in rosso per circa 9 milioni all’anno nel 2014 e nel 2015. A fronte di un’attività  a rilento, il produttore punta molto sulla moral suasion che va dai consigli di amministrazione di Mediobanca e Telecom alle redazioni dei giornali, dove svolge da sempre un ruolo di media relator, o spin doctor. Sapere per conto di chi chiarirebbe i profili di una manovra che coinvolge a cascata tutto il mondo degli investimenti targati Bollorè, dalle Assicurazioni Generali, salite del 30 per cento in Borsa negli ultimi tre mesi, alla stessa Mediobanca dove nel 2003 proprio Ben Ammar guidò lo sbarco di Bollorè.
In quel caso, intervennero a difesa dell’italianità  Mps e Capitalia. Alla fine, si arrivò a un accordo garantito da un nuovo patto di sindacato e dall’uscita dell’ad Vincenzo Maranghi.
Anche in questo caso, l’assedio non sarà  indolore. Il lupo bretone è in casa. Fin da adesso
Vivendi ha il potere di bloccare le operazioni straordinarie di Mediaset, di intervenire sulla gestione, di chiedere spazi in cda, di mettere naso e bocca in tutti i contratti mentre Fininvest può rafforzarsi secondo scadenze di legge acquistando un 5 per cento di azioni entro l’aprile 2017 e un altro 5 per cento entro l’aprile 2018.
In quanto ai pareri dell’Agcom contro Bollorè, i francesi contano sulla catena dei ricorsi amministrativi.
Tutte dilazioni di cui Berlusconi è sempre stato maestro e che ora giocano contro di lui in un durissimo finale di partita a eliminazione diretta

Gianfrancesco Turano
(da “L’Espresso”)

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