Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile SONDAGGIO PRIMO TURNO KANTAR SOFRES PER “LE FIGARO”: LE PEN 25%, FILLON 22%, MACRON 21%, HAMON 13%, MELANCHON 10%….SECONDO TURNO: MACRON 65% LE PEN 35%, FILLON 60% LE PEN 40%
L’ultimo sondaggio del qualificato istituto francese Kantar Sofres-OnePoint per Le Figaro, RTL e LCI
è stato realizzato subito dopo la vittoria del socialista Hamon alle primarie socialiste e l’esplosione dello scandalo Fillon, circa l’assunzione sulla carta della moglie come assistente parlamentare.
La fotografia della situazione pochi giorni fa era la seguente: al primo turno in testa Marine Le Pen con il 25%, segue Fillon al 22% e poi l’indipendente Macron con il 21%. Staccati Hamon con il 13% e l’estrema sinistra di Melanchon al 10%, poi altri candidati minori.
Ma vanno fatte alcune precisazioni che rendono il quadro più dettagliato.
Marine Le Pen è ferma al 25% da tempo, lo scandalo di Fillon non ha determinato sostanziali passaggi di voti a suo favore.
Fillon ha perso un 5% di consensi (era dato intorno al 27% fino a qualche settimana fa) e il trend lo vede in caduta costante (tanto che qualcuno vorrebbe il suo ritiro).
Macron era dato al 10% e in poche settimane ha raddoppiato i consensi, pescando a sinistra come a destra, con il suo programma “anticasta ed europeista”.
Hamon ha riaperto i giochi nello schieramento socialista ma non è riuscito a rivitalizzarlo oltre il 13%: solo sommandosi all’estrema sinistra potrebbero insieme raggiungere gli avversari, ma ciò non avverrà .
Il polso del trend si è avuto a Lione: Marine Le Pen ha capito che il vero pericolo per lei è Macron, basti vedere il successo del giovane leader di “En marche” a Lione, con 8.000 fans stipati al palazzetto dello sport e altrettanti rimasti fuori davanti allo schermo gigante.
Mentre Marine può contare su un elettorato fidelizzato ma “bloccato”, Macron pesca ovunque. Marine avrà il 25% di consensi, ma anche il 75% che non la sopporta, mentre Macron non ha nemici dichiarati e pesca tra gli antisistema, in primis i giovani.
Infatti che accadrebbe al secondo turno secondo Kantar Sofres-OnePoint?
Se Macron fa il sorpasso su Fillon e arriva al ballottaggio stravince con il 65% sulla Le Pen, ferma al 35%.
Ma anche Fillon (se ci arrivasse) avrebbe la meglio con il 60% contro il 40% sulla candidata del Front National.
Se in questi ultimi due mesi di campagna elettorale il trend rimanesse lo stesso, la Le Pen è destinata alla sconfitta.
Salvo che Putin non decida di intervenire, manipolando anche le elezioni francesi.
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile SISTEMI DIVERSI PER POLITICHE SPESSO CRIMINALI… E I DUE ATTUALI PRESIDENTI RAPPRESENTANO AL MEGLIO LA CONTINUITA’
“Io lo rispetto. Se ci andrò d’accordo si vedrà “. Donald Trump insiste nel voler impostare il rapporto con il collega russo Vladimir Putin in termini ‘diversi’.
Ma lo fa questa volta con parole assolutamente inedite per un presidente degli Stati Uniti che, alle accuse mosse verso Putin, additato da qualcuno come “un assassino”, in un’intervista alla Fox News risponde: “Pensate l’America sia così innocente?”.
Una frase shock, secondo molti osservatori, sebbene non del tutto nuova.
Il tycoon in campagna elettorale aveva toccato il tema più volte e anche negli stessi termini.
Ma che ci torni in maniera così netta da presidente in carica, in un’intervista ‘di rito’ trasmessa come consuetudine per un presidente poco prima del Super Bowl – la finale di football americano per cui l’America si ferma e resta incollata agli schermi in tutto il Paese – suscita più di qualche perplessità .
Non solo nell’opposizione, ma anche tra i repubblicani.
Il passaggio in questione è emerso da un’anticipazione del colloquio con uno degli anchor di punta di Fox, Bill O’Reilly.
“Io rispetto Putin. Rispetto molte persone, ma non vuol dire che andrò d’accordo con lui, si vedrà “, premette Trump. Sollecitato poi dal giornalista sulle accuse rivolte al presidente russo di essere “un assassino”, il tycoon non ci pensa due volte: “Ci sono molti assassini. Credi che il nostro Paese sia così innocente?”.
La polemica è immediata, il punto è il paragone che emerge dalle parole del presidente in persona tra gli Stati Uniti e la Russia di Putin.
E l’imbarazzo, anche tra i sostenitori di Trump, è palpabile. “Non credo ci sia alcuna equivalenza tra la maniera in cui si comporta la Russia e gli Stati Uniti”, reagisce il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, dopo aver messo in chiaro che, a suo avviso, Putin è “un ex agente del Kgb e un delinquente”.
“Non mi metterò a criticare ogni commento del presidente, ma io credo che l’America sia eccezionale, l’America è diversa, in nessun modo operiamo nello stesso modo dei russi. Sussiste una distinzione chiara che tutti gli americani comprendono e io non avrei caratterizzato la cosa in quel modo. Ovviamente non vedo la questione nello stesso modo” in cui la vede il presidente.
Un altro esponente di spicco del partito, il senatore Marco Rubio, twitta: “Quando mai un attivista politico dei democratici è stato avvelenato dal Gop (il partito repubblicano, ndr) o viceversa? Noi non siamo la stessa cosa di Putin!”.
Magari non la pensano così le decine di migliaia di civili massacrati nelle varie parti del mondo dai bombardamenti dei “benefattori” Usa.
(da agenzie)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile RAGGI DAL 35,3% AL PRIMO TURNO CALEREBBE AL 22,3% SUPERATA DA MELONI E GIACHETTI TRA IL 26% E IL 28%… QUATTRO ROMANI SU DIECI NON VOTEREBBERO PIU’ LA RAGGI.. IL M5S HA PERSO A ROMA L’11% DI VOTI
I guai con le nomine, l’arresto del braccio destro Raffaele Marra, e infine il caso della polizza intestata
a Virginia Raggi da parte di Salvatore Romeo.
Tutte rogne che hanno avuto un peso notevole per la sindaca di Roma in termini di consenso.
Lo rivela un sondaggio di Scenari Politici per l’Huffington Post, secondo il quale la Raggi, se si andasse a votare oggi per le elezioni comunali, non arriverebbe al ballottaggio. Il 35,3% toccato dall’attuale prima cittadina alle elezioni del 5 giugno dell’anno scorso sono un miraggio, allo stato attuale: al 3 febbraio si fermerebbe al 22,3 per cento dei consensi tra i cittadini della Capitale.
Ma soprattutto sarebbe esclusa dal ballottaggio, a cui accederebbero il candidato del Pd Roberto Giachetti e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.
Quest’ultima sarebbe in testa ai consensi con il 27,9 per cento, seguita dal vicepresidente della Camera con il 25,8 per cento (un incremento minimo il suo rispetto a giugno, meno di un punto percentuale)
Tra coloro che hanno deciso di dare il proprio voto alla candidata del Movimento 5 Stelle, ben quattro cittadini su dieci dicono che oggi non rifarebbero la stessa scelta: il 41% sostiene che non rivoterebbe Virginia Raggi, mentre il 52 per cento confermerebbe il suo voto.
Ma l’emorragia di consensi dei grillini nella Capitale emerge anche da un’altra rilevazione di Scenari Politici: il Movimento 5 Stelle, che a giugno 2016 raccoglieva il favore del 35,2 per cento dei cittadini romani oggi arriverebbe al 24,6 per cento.
Si tratta di più di 10 punti percentuali andati persi. Mentre il Partito Democratico passerebbe dal 17,9 per cento al 23,4 per cento e la lista di Fratelli d’Italia dal 12,3 al 15,6 per cento.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile “IL 70-80% DEGLI ATTUALI EDIFICI NON REGGE A TERREMOTI”
“Ricostruire i paesi delle zone colpite dal terremoto come erano e dove erano? È tutto da verificare, in moltissimi casi è sconsigliabile”.
Alessandro Martelli, ingegnere, numero due della Associazione Internazionale per i Sistemi Antisismici e presidente della commissione tecnica del “Comitato Terra Nostra-2016” del Comune di Accumoli, demolisce un mantra.
Perchè?
“Per problemi geologici, in alcuni posti la ricostruzione è del tutto sconsigliabile, almeno se si vuole evitare che accada di nuovo quello che è già successo in questi mesi. Si possono riutilizzare le pietre degli edifici storici di pregio, se ne vale la pena. Il modello potrebbe essere il Castello di Gemona la cui torre ha al suo interno un telaio di acciaio e dissipatori antisismici. Gli stessi sistemi antiscosse possono essere applicati ai palazzi pubblici strategici, penso alle scuole, agli ospedali, ai municipi, ma non dappertutto. In certe aree non eviterebbero i crolli”.
Gli allevatori di bestiame hanno la necessità assoluta di non spostarsi.
“L’unica soluzione per loro (e anche per residenti che non vogliono andarsene) sono le casette di legno leggere e di dimensioni ridotte, sia per la fase di emergenza sia per quella successiva. In Giappone le costruiscono dotandole anche di isolatori antisismici. Lì Il 22 ottobre 2016 c’è stata una scossa di magnitudo 6,2 ossia superiore a quella di Amatrice del 24 agosto. Sa quante persone hanno perso la vita? Nessuna”.
Nell’Italia centrale il terreno si è abbassato. Come lo spiega?
“La faglia si è allargata. La componente verticale del sisma è stata molto forte, si è aggiunta a quella orizzontale e ha provocato uno smottamento del terreno sotto la superficie. Il fenomeno si è esteso a territori vicini, prevalentemente a nord e ad est. Insomma c’è stato un effetto domino che può aver caricato anche una faglia non lontana, in questo caso quella dell’Abruzzo. Penso in particolare a quella di Montereale, l’epicentro del sisma devastante del 1703 e della prima delle scosse del 18 gennaio”.
In 4 ore sono state quattro.
“E di magnitudo compresa fra 5 e 5,5 gradi. Un fenomeno che non avevo mai osservato in vita mia”.
In ogni caso si parla di questi argomenti solo nelle situazioni di emergenza. Poi si inabissano. Fino alla sciagura successiva.
“Purtroppo si ragiona di terremoti solo dopo i disastri. Questo ci porta a mettere fra parentesi il tema della prevenzione, delle cose che si dovrebbero fare prima degli eventi sismici. Continuiamo a trascurare la possibilità che terremoti possano colpire, per esempio, zone che in passato hanno conosciuto sismi ben più gravi di quello in atto nell’Italia Centrale”.
A quali località sta pensando?
“Soprattutto alla Calabria meridionale e alla Sicilia sudorientale. In quelle aree mi risulta che si temano decine di migliaia di vittime nel caso che si ripetano terremoti come, ad esempio, quelli del 1908 o del 1693, i sismi di Messina e della Val di Noto”.
Quanta parte degli edifici italiani potrebbe essere a rischio?
“Dal 70 all’80 per cento del costruito non regge a terremoti già avvenuti in passato nell’area nella quale si trovano. Il dato sulla percentuale di territorio italiano a rischio sismico era conosciuto già nel 1998, ma la discussione fra lo Stato e le Regioni sulle rispettive competenze ha ritardato fino al 2003 l’entrata in vigore della legge che ha sancito la nuova classificazione”.
Viviamo nella Repubblica del rinvio.
“Dal 2003 le verifiche di vulnerabilità sismica degli edifici strategici e pubblici sono obbligatorie. Ma la data di completamento dei controlli , grazie a provvedimenti come i decreti “Milleproroghe”, è slittata almeno fino al 31 marzo 2013”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile LA SOTTOSEGRETARIA PIAZZA UN FEDELISSMO NELLA CABINA DI REGIA DEL GOVERNO
A due mesi dalla sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale che portava la sua firma,
Maria Elena Boschi è tornata a farsi vedere in pubblico.
Nella nuova veste di sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, giovedì ha partecipato alla conferenza stampa sul decreto terremoto, ma senza prendere la parola. Qualcuno ha ironizzato su un presunto declassamento di quella che era stata la ministra più importante del governo Renzi. Errore.
Al riparo dalla scena mediatica, Boschi ha vinto la guerra tutta al femminile che covava da un anno a Palazzo Chigi.
Mentre lei ricompariva davanti alle telecamere, al Consiglio di Stato s’insediava Antonella Manzione, l’unica che nello staff di Palazzo Chigi era in grado di tenerle testa.
Antonella Manzione era approdata a Roma con Renzi, che l’aveva avuta come capo della polizia municipale a Firenze.
Subito malevolmente ribattezzata «la vigilessa» per sottolinearne il curriculum giuridico modesto a fronte dei predecessori (in genere alti magistrati) nel prestigioso incarico di capo dell’ufficio legislativo della presidenza del Consiglio, in realtà non aveva sfigurato.
Nei cosiddetti «preconsigli», le riunioni dei capi staff cui seguono quelle dei ministri, si segnalava per formalismo e pignoleria.
Ma la sua autorevolezza derivava dalla piena copertura politica di Renzi. Di fronte a un contrasto, per chiudere la discussione le bastava dire «chiedo a Matteo» e dopo pochi minuti, mostrando il cellulare, «Matteo mi ha detto di fare così».
Quando comincia a tessere la sua rete di relazioni a Roma (grand commis, magistrati di carriera, amministratori pubblici anche non renziani), Boschi mette nel mirino le posizioni chiave di Palazzo Chigi.
Gli snodi da cui passano tutti gli atti normativi del governo.
In quel momento Manzione è intoccabile, ma con la rottura Renzi-Delrio, nei primi mesi del 2015, si libera un altro posto strategico, quello di segretario generale della presidenza del Consiglio, in cui l’ex sindaco di Reggio Emilia aveva collocato il fedelissimo Mauro Bonaretti.
Boschi ne approfitta e mette il primo piede a Palazzo Chigi, facendo promuovere a segretario generale Paolo Aquilanti, suo fidato collaboratore ministeriale.
Passa un anno e Manzione torna sulla ribalta perchè Renzi la nomina consigliere di Stato. Un incarico che vale una forzatura giuridica (secondo taluni puristi, Manzione difetta dei requisiti per curriculum e anzianità ).
La nomina va in porto, ma Manzione vuole rimanere a Palazzo Chigi, con lo status del magistrato «fuori ruolo», lasciandosi il Consiglio di Stato come sinecura per gli anni a venire.
Renzi è disposto ad accontentarla, ma l’esito del referendum cambia lo scenario. Crolla il governo, arriva Gentiloni e Boschi non solo resta a galla, ma si riposiziona a Palazzo Chigi come sottosegretario alla presidenza. Manzione ha i giorni contati. E infatti trasloca. Dopo il giuramento, nei prossimi giorni prenderà servizio come giudice del Consiglio di Stato con funzione consultiva.
Ma a sostituirla nel ruolo di capo legislativo del governo non è un fedelissimo del nuovo premier, Paolo Gentiloni.
Il capolavoro di Boschi si completa insediando al posto di Manzione un altro suo uomo, anzi il suo più stretto collaboratore, Roberto Cerreto (era capo di gabinetto al ministero). Funzionario parlamentare quarantenne, Cerreto è laureato in filosofia e viene generalmente considerato preparato e brillante.
Arrivata nella cabina di regia di Palazzo Chigi e affiancata dalla falange tecnico-giuridica guidata da Aquilanti e Cerreto: il ruolo di Maria Elena Boschi nel nuovo governo è tutt’altro che ridimensionato.
Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile LA PICCOLA FIAMMIFERAIA AL CUI CONFRONTO SCAJOLA SEMBRA UN PIVELLO
“Hanno la faccia come il culo“, recitava uno dei più famosi titoli a nove colonne del settimanale di resistenza umana “Cuore”, allora diretto dall’immenso Michele Serra, durante gli anni di Tangentopoli.
L’immagine di quella imperitura apertura mi è subito venuta alla mente mentre guardavo l’intervista che Rocco Casalino e Virginia Raggi hanno ottraiato a Enrico Mentana, alla trasmissione Bersaglio Mobile.
Infatti, l’aspetto che più colpisce della sindaca di Roma — una che nel giro di 8 mesi ha saputo far apparire le sciocchezze imputate a Marino, dagli scontrini alle multe della Panda Rossa nella loro giusta luce — è proprio quell’aria da finta tonta, da persona che mai nulla sa, che mai nulla poteva pensare, che “signora mia, non ne sapevo nulla [di essere la beneficiaria di quella polizza di Romeo], sono sconvolta“. Una sindaca naturaliter al di fuori di tutti i giri e i magheggi e le zozzerie che pure — per mero, sfortunato caso — vedono protagonisti a uno a uno tutti gli uomini e le donne politiche da lei accuratamente selezionati per guidare Roma.
Ricordate gli occhioni da cerbiatta che guardano dritto in camera mentre pronuncia con cura il plurale latino dei “curricula” che stava valutando?
Ecco: diciamo almeno che come selezionatrice di curricula ha lasciato un’anticchia a desiderare? A oggi, l’elenco dei suoi collaboratori, compagni, assessori, bracci destri e sinistri finiti nei guai è ormai talmente lungo che se volessimo farne un riassuntino qui, sarebbero finiti i caratteri del post.
Non è un’iperbole giornalistica: è più agevole elencare i nominati made in Raggi che non sono stati arrestati, inquisiti, indagati, licenziati, dimessi che tutti gli altri.
Tuttavia, seguendo la mia sindaca in tv, mi sono resto conto che Virginia Raggi ha assolutamente la stoffa per fare politica.
O meglio: quel certo tipo di politica capitolina e italica alla Buzzi e Alemanno.
Infatti solo una persona con alcuni centimetri di strato di pelliccia sullo stomaco è in grado di uscire da un interrogatorio davanti alla magistratura di nove (9) ore, e andare dinanzi alle telecamere nazionali di Mentana con quell’aria un po’ così che abbiamo noi allo Studio Previti, e recitare, in rigoroso plurale majestatis, la parte della piccola fiammiferaia che è proprio serena, rilassata, tranquilla, sine ira et studio perchè in fondo “è tutto bello, bellissimo” (cit.) Scajola, diciamocelo, in confronto era un pivello.
Una che si lamenta perchè la stampa ha osato dare risalto alla bocciatura della presentazione del primo bilancio da parte dei revisori, ma poi non ha aperto sulla sua successiva approvazione.
Nemmeno sfiorata dal dubbio che esista forse un concetto di notiziabilità , per cui un cane che morde un uomo (bilancio comunale approvato) non fa notizia tanto quanto un uomo che morde il cane (bilancio comunale bocciato).
Ma chi vuole prendere in giro, Virginia Raggi? Che domande: anzitutto noi romani.
O meglio: quei due terzi di elettori romani che se la sono votata.
Poi i militanti e gli iscritti al M5S, che se la tengono a sindaca ob Grillo collo solo perchè Beppe ha deciso così.
Il Caro Blogger ha infatti valutato che togliere il simbolo o imporre a Raggi le dimissioni sarebbe più dannoso al movimento che non tenere questa donna al Campidoglio e modificare il non-statuto del M5S via via in modo da non doverla licenziare.
E se Raggi non sarà sfiduciata dal Consiglio comunale, o dal Caro Blogger, non c’è da sperare in una sua improvvisa botta di dignità e di senso della decenza che la spinga a dare lei stessa le dimissioni per manifesta inadeguatezza al compito.
No, Virginia Raggi non lascerà il suo scranno per nessuna ragione al mondo.
O, almeno, non lo farà se non costretta.
Perchè come sentivo stamattina su un 80 Express incagliato nel traffico ben poco express: “Ce s’è ‘mbullonata a’ seggiola, e poi, quanno je ricapita a quella?”
Vox populi, ma Virginia sa che chi ha vinto una volta la lotteria, difficilmente la vince una seconda volta.
E perchè ormai tutta Roma, a partire dal M5S locale, ha imparato a conoscerla, e prova un leggero senso di nausea verso quella sua sempieterna aria da giuggiolona mannara.
E nel frattempo, Roma? Roma niente, Roma non conta.
Olimpiadi no, nuovo stadio della Roma ma che scherzi, metro C: salute!, foglie che intasano i tombini e conseguenti allagamenti quando piove, corse degli autobus diminuite del 35%, ore di lavoro degli autisti ulteriomente ridotte, strade sempre più zozze, vigili urbani (anzi, pardon, “appartenenti al Corpo di polizia locale di Roma Capitale”: se li chiamo “vigili urbani”, mi scrivono per lamentarsi) talmente rari per le strade che quando capita di trovarne uno, ormai gli chiediamo di farsi un selfie con noi, a mo’ di testimonianza storica per i posteri: er viggile de Roma c’è, e lotta insieme a noi.
Sciltian Gastaldi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile “MARRA CE LO PRESENTO’ ROMEO IN CAMPAGNA ELETTORALE”: L’ULTIMA INCONGRUENZA
Durante l’intervista tv a Enrico Mentana, la sindaca ha raccontato che Salvatore Romeo aiutò
tantissimo il gruppo consiliare M5S quando erano all’opposizione, e «durante la campagna elettorale Romeo ci ha presentato Marra».
La Raggi dice «ci» riferendosi al quartetto di consiglieri municipali M5S (oltre a Raggi, Frongia, De Vito, Stefà no).
Tuttavia lo stesso Marra, in un’occasione attestata, ha raccontato una storia non coincidente.
Durante una celebre intervista al Fatto, l’ex vicecapo di gabinetto, oggi arrestato, disse qualcosa che fu riferito da quel giornale un mese e mezzo dopo l’intervista, in un articolo uscito subito dopo l’arresto di Marra.
Il 18 dicembre, il Fatto scrisse la versione di Marra: «Il giorno prima di essere nominato vicecapo di gabinetto mi fu chiesto da Marcello De Vito di fare il presidente di municipio: io avevo un buonissimo rapporto sia con lui che con Raggi, mentre conoscevo meno Frongia e Stefà no. Conoscevo più di tutti De Vito: tutte le cose di cui ora mi chiedono conto, infatti, erano già state oggetto di approfondita indagine da parte sua a quel tempo».
Nessuno dei citati – a partire da Marra – ha smentito nulla.
Insomma, Raggi dice che Marra lo conobbero «durante la campagna elettorale», presentato da Romeo. Marra cita un «buonissimo rapporto» che aveva con Raggi e De Vito.
Ma potevano avere un buonissimo rapporto, se erano appena stati presentati (da Romeo) «in campagna elettorale?
C’è una terza versione, quella di Daniele Frongia, all’Ansa (venerdì, ore 14,02): «Con Raffaele Marra non c’è stato alcun contatto da novembre 2013 alla primavera 2016». Vuol dire che qualche contatto c’era stato prima di novembre 2013?
Smentendo l’esistenza di un dossier anti-De Vito, Frongia risponde all’Ansa sottolineando che i contatti con Marra furono ripresi dopo la vittoria della Raggi alle comunarie del M5S che la incoronarono candidata sindaco a scapito proprio di De Vito.
I contatti furono ripresi; segno che c’erano, e si erano interrotti? L’Ansa su quel «ripresi» ci fa titolo. Nessuna smentita.
Il punto è cruciale, e spinge a chiedersi: quand’è che Raggi e Marra incrociano le loro strade?
È solo l’ultima di tante incongruenze che risaltano dopo le parole della sindaca, sul triangolo politico Raggi-Marra-Romeo.
Proviamo a ricapitolare le altre (sorvolando sulle omissioni o incongruenze sul caso Muraro).
La prima sospetta bugia è quella per cui è indagata per falso: all’Anticorruzone Raggi scrisse che «il ruolo svolto da Raffaele Marra nella procedura (di nomina del fratello Renato, ndr) è stato di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali».
Ma dalle chat agli atti dell’inchiesta, in due passaggi, emerge un ruolo attivissimo di Marra, ruolo noto alla Raggi (la sindaca gli scrive «questa cosa dello stipendio mi mette in difficoltà , me lo dovevi dire»).
Seconda incongruenza. Il 16 dicembre, in conferenza stampa in Campidoglio dopo l’arresto di Marra, senza rispondere a domande, Raggi reclama con piglio: «Marra non è un esponente politico, ma un dirigente. È solo uno dei 23 mila dipendenti capitolini, il mio braccio destro sono i cittadini romani».
La cosa cozza con l’esistenza stessa della chat preferenziale (i «quattro amici al bar»), e il tipo di legame politico che quella chat fa emergere (per fare solo un esempio, la defenestrazione di Carla Raineri è salutata dai quattro con emoticon che vanno dai tricchetracche ai fuochi d’artificio).
Ancora. «La cosa più grave di Marra? Il fatto di non esser stata messa a conoscenza da lui di alcune cose», lamenta Raggi a Mentana.
Proprio lei che omise la sua pratica legale da Cesare Previti, il lavoro nello studio Sammarco, o l’aver presieduto per un anno e cinque mesi (2008-2009) una società (Hgr) legata a Gloria Rojo, storica collaboratrice di Alemanno.
Alemanno che, a sua volta, ha voluto smentire ogni rapporto con Romeo, dopo che il Corriere aveva scritto che gli incontri dell’ex sindaco con Romeo erano stati più di uno (Romeo invece dice «uno solo» testimoniando nel processo Mafia Capitale).
A Bersaglio mobile, la Raggi dice di Romeo «voglio credere alla buona fede», circa la decisone di Romeo di intestarle le due polizze.
Ma poi in un altro passaggio – parlando del rapporto del M5S coi due – dice «mi fidai, col senno di poi in maniera sbagliata, di Marra e di Romeo».
Ma dunque scarica anche Romeo, o crede alla buona fede?
E se lo scarica, perchè, visto che non è neanche indagato?
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile ORTODOSSI IN TRINCEA: “LA RAGGI DOVREBBE SOSPENDERSI”
La sindaca che ama i tetti risponde e sorride, ovunque. Perchè quelli che comandano, Beppe Grillo e Davide Casaleggio, l’hanno blindata per la milionesima volta.
Ma la pancia ortodossa del M5s continua a gorgogliare di rabbia contro Virginia Raggi. Torna a invocare “l’autosospensione”, minaccia addii, pensa a rivalse.
Eresie, per il Grillo che in mattinata fa una lunga telefonata alla sindaca: “Tranquilla, stiamo con te. Però ora lasciati alle spalle queste cose, mettiti a lavorare con la tua squadra”.
Lei gli ripete la sua versione sulle polizze, gli spiega i prossimi passi della giunta.
E lui semina battute sulle polizze, alla sindaca e ad altri eletti (“Da quanto la vuoi?”). Però lì fuori restano gli ortodossi: tanti.
Sulle chat chiedono altre spiegazioni “su queste polizze”. Poi si sfogano per telefono e nei corridoi.
Con alcuni, tre o quattro, che mormorano parole di addio, giurano di non volersi ricandidare “perchè questo non è più il M5s”.
Troppi princìpi sacrificati per la Raggi. Ma tanti altri restano in trincea. Come un parlamentare di peso, che al Fatto sibila: “Otto ore di interrogatorio sono un brutto primato per il M5S, che pone domande a cui una nostra eletta dovrebbe rispondere. Magari dopo essersi autosospesa. C’è chi lo ha fatto per cose molto più lievi”. Un’opzione impossibile, per il Campidoglio come per i vertici. Ma l’ortodosso insiste: “Capisco i problemi della sindaca, ma anche il Movimento ha i suoi. Fino a quando si può continuare così, tra pm e casi giudiziari? Tutto questo non è nel nostro Dna”. Parole come codici, nel M5S dove nei capannelli dei parlamentari si parla ossessivamente di ricandidature.
Perchè si teme la tagliola dei vertici, dopo le liste di proscrizione fatte circolare, e dopo i post bellici (“non faremo sconti a nessuno”).
Così tanti si aggrappano a Roberto Fico, perchè si candidi a premier contro Luigi Di Maio, il prescelto dei capi, “quello che copre la Raggi”.
Perchè il fossato è sempre più ampio con Casaleggio. E in parte perfino con Grillo.
La scorsa settimana il leader ha telefonato a tanti scontenti: “Io ci sono, chiamami quando vuoi, parliamo”.
Voleva attutire gli effetti degli ultimi post. Con esiti modesti. E ora più d’uno invoca una soluzione, “una vera segreteria politica”, che mesi fa nessuno avrebbe evocato. Anche Alessandro Di Battista è in difficoltà , in mezzo al fuoco tra ortodossi e lealisti. È stufo del caso Roma, lo sanno tutti.
Tanto che ieri per tamponare ha scritto su Facebook: “Raggi risponderà a tutte le domande di Mentana”. In questo quadro, nessuno ha voglia di parlare.
Fa eccezione l’ortodosso Carlo Sibilia, che al Fatto rilascia sillabe agro-dolci: “Con tutte le cose belle che facciamo come M5s, dispiace dover discutere di questioni come quella di Roma, su cui magari qualcuno della stampa marcia”.
Luca De Carolis
(da “La Stampa”)
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Febbraio 5th, 2017 Riccardo Fucile LA FOLLA LANCIA L’ANTI-LE PEN AL GRIDO DI “EUROPA”: A LIONE 15.000 PERSONE SCATENATE PER IL “FENOMENO EMMANUEL”… CRITICA GLI SCHIERAMENTI TRADIZIONALI, NO ALLE IDEOLOGIE, PRAGMATISMO… “GLI ALTRI HANNO FALLITO, SOLO LUI CI DA’ SPERANZA”
Sono le quattro di un sabato pomeriggio e il palazzetto dello sport di Lione, pieno fino all’orlo, fa la ola
sventolando bandiere dell’Europa e della Francia.
Per essere dei disillusi della politica, sono tanti e fanno un gran rumore.
Dentro ottomila persone, fuori altrettante che aspettano in coda l’arrivo del candidato-star, Emmanuel Macron. “Ci vuole del coraggio a organizzare una cosa del genere”, dice Loic che ha 20 anni, viene da Grènoble e si è infilato la t-shirt bianca con la scritta En marche sopra i vestiti.
A venti minuti di metro di distanza c’è Marine Le Pen che fa la sua pomposa due giorni per dare il via alla campagna per le presidenziali: all’improvviso il mostruoso Front National sembra diventato un puntino.
“La sinistra e la destra hanno fallito, siamo qui perchè vogliamo finalmente un cambiamento”, è la versione quasi unanime della platea.
Contro i partiti tradizionali, contro chi fa politica di professione e per l’onestà e il rigore.
Eccolo il fenomeno Macron: per battere il populismo della famiglia Le Pen ci voleva qualcuno che scendesse sul loro campo e raccattasse i voti senza preclusioni ideologiche e soprattutto presentandosi come il nuovo. Il come e cosa succederà nella pratica è ancora difficile da capire, ma in questo momento importa a pochi.
Macron, quello che Renzi ha sognato di poter essere
L’ex ministro dell’Economia di Franà§ois Hollande, ex socialista ed ex banchiere, arriva in anticipo sulla tabella di marcia e va a salutare quelli che non sono riusciti ad avere un posto a sedere e seguiranno il discorso all’aperto.
Sorridente e sicuro, cammina con l’aria sfrontata di chi sa di avere la fortuna dalla sua parte. Quando sale sul palco sembra già un’investitura: per un’ora predica l’unione di destra e sinistra e l’importanza di unire invece che dividere.
“Non vi dico”, scandisce dal palco, “che gauche e droite non significano più niente, che non esistono più o che sono la stessa cosa, ma queste divisioni in questo momento storico non sono superabili? Non bisogna essere l’uno o l’altro, bisogna essere francesi”.
Sembra quasi una missione: Macron, davanti alla nausea per la politica tradizionale, tenta la strada impossibile di una specie di sincretismo tra valori condivisi da tutti. Libertè, fraternitè, egalitè, i principi intoccabili del suo discorso.
Anche perchè tra i pochi che uniscono tutta la popolazione. Poi il candidato attacca finalmente con il programma, o meglio una parte di un testo che forse sarà distribuito a marzo. Intanto mette al primo punto gli investimenti per una maggiore sicurezza e quindi l’aumento del budget per la difesa. Il resto è un flusso con pochi dettagli e tanti verbi al futuro, cercando di restare vaghi e scontentare il meno possibile.
Gli applausi: quando chiede di snellire le regole sul lavoro e quando si schiera apertamente contro il reddito universale proposto dai socialisti.
Ma anche nella sua invettiva contro i muri e quando lancia un appello ai ricercatori e alle imprese ostacolate da Trump negli Usa: “Venite in Francia”.
Per la cultura va a pescare addirittura il bonus da 500 euro per i giovani di Matteo Renzi, che probabilmente da oltre confine lo ascolta mangiandosi le mani: un movimento che nasce a sinistra e ruba voti al centrodestra, senza avere la minoranza del partito che lancia anatemi a ogni proposta, è forse la mossa coraggiosa che l’ex presidente del Consiglio italiano si sogna di notte.
Macron da una parte è un po’ l’ex candidato dei socialisti Manuel Valls se non avesse avuto sul groppone il compito di difendere la presidenza di Hollande, ma dall’altra è soprattutto il voto utile che molti a sinistra si sentiranno costretti a fare.
La resistenza al populismo al grido di “Europa!”
La campagna elettorale per le presidenziali francesi si conferma uno show pieno di colpi di scena.
Quella che per tutti avrebbe dovuto essere la discesa agli inferi di un Paese travolto da terrorismo e problemi di integrazione, potrebbe diventare all’improvviso il modello di resistenza al populismo a livello europeo.
Macron riempie un palazzetto dello sport con la facilità e l’arroganza dei talentuosi. Era nei socialisti: gli avevano detto di stare fermo un turno e di aspettare perchè la vita politica è fatta di code.
Lui gli ha stretto la mano e se ne è andato portandosi dietro parlamentari e soprattutto elettori.
Con la stessa faccia di bronzo fa distribuire bandiere blu dell’Unione europea e propone maggiori poteri a Bruxelles. Gli risponde una platea che grida in coro “Europe!” e nel giro di cinque minuti sembrano destinati all’archivio mesi di sondaggi sulla disaffezione dei cittadini per l’Ue.
“I partiti tradizionali hanno fallito, lui ci dà speranza
La coreografia è organizzata nei dettagli da uno squadrone di volontari che, come prima regola, hanno quella di trasmettere entusiasmo quasi fossimo a un raduno di motivatori.
A bordo palco gli eletti che lo sostengono in Francia, primo fra tutti il sindaco di Lione Gèrard Colomb che tra l’altro non ha mai lasciato i socialisti.
Poi le “star” che hanno scelto Macron e che lui fa proiettare sul maxi-schermo: il matematico Cedric Villani e la capitana della nazionale di calcio femminale Wendy Renard.
Intorno una platea che ha storie e origini politiche delle più disparate. “Io ho sempre votato scheda bianca”, spiega Omer Petek, 42 anni, idraulico disoccupato.
“Questa volta invece ho già scelto — dice — Macron è il mio candidato perchè finalmente dà speranza al Paese. E’ giovane e dinamico e soprattutto ha fatto altro nella vita prima di diventare politico”.
Jean-Yves Toussaints ha 60 anni e fa il ricercatore all’università . “Io sono un socialista — risponde con la faccia di chi è stato beccato mentre compie il grande tradimento — ma mi sto facendo molte domande. I partiti tradizionali hanno fallito e io mi spavento quando vedo dei reazionari a destra, ma anche a sinistra. E’ un momento difficile: rischiamo di trovarci Marine Le Pen al potere e dobbiamo fare qualcosa”.
La terza via contro la Le Pen: “Basta ideologie tra destra e sinistra
Doyen Jugwali ha 22 anni e studia diritto alla Sorbona. A Lione si è trascinato l’amico Dylan per convincerlo che Macron è la scelta del futuro: “La Francia è bloccata da partiti che fanno i loro interessi. Serve un movimento che vada oltre queste dinamiche. E poi mi piace che sia a favore dell’Europa”.
La parola che usano tutti all’uscita del palazzetto è “seducente”. Macron per due ore incanta la folla con storie e citazioni, da Alexis de Tocqueville a Simone Veil, e convince.
Hèlène, Joelle, Gillette e Christine hanno poco più di 60 anni e sono venute in macchina dalla Provenza: “Tra noi qualcuna ha votato a destra, altre sono storicamente di sinistra. Ora ci siamo ritrovate perchè i partiti bloccati nei loro dogmi hanno rovinato questo Paese”.
La folla dei sostenitori non ha dubbi: “Questa distinzione netta è da archiviare, piuttosto serve lavorare sui valori comuni”, commenta la consigliera comunale di un paesino vicino a Grènoble Anges Rolin.
E’ come se davanti al populismo crescente e di estrema destra di Marine Le Pen, o alla sinistra radicale di Jean-Luc Melenchon, all’improvviso i cittadini avessero visto una terza via e si ritrovassero insieme per convincersi che non c’è alternativa.
Macron li guarda con la tenerezza di chi sa di averti in pugno, spiega loro che quel voto è inevitabile, e poi saluta tutti cantando la Marsigliese.
Jean-Ives si mette la giacca e prima di andare scoppia in una risata imbarazzata: “Mi ha convinto. Peccato solo che non sia di sinistra”.
Martina Castigliani
(da “il Fatto Quotidiano”)
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