Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
UN “LIBRO” DI OTTO PAGINE CHE SEMBRA UNA TESINA DELLE SCUOLE MEDIE E CHE RACCONTA LA STORIA DI UNA FORZA POLITICA PRIVA DI CONTENUTI
Luigi Di Maio ha presentato alla stampa estera il Libro a 5 Stelle dei cittadini per l’Europa”.
Più che un libro, come ha fatto notare un giornalista, si tratta di una tesina di appena quindici pagine (in realtà tutto compreso sono diciannove).
Ma la cosa più interessante è che di quelle diciannove pagine solo otto sono di testo scritto perchè le altre sono occupate dai titoli dei vari capitoli.
Un vecchio trucco degli studenti universitari è quello di aumentare l’interlinea e le dimensioni del carattere per far credere di aver scritto di più: i 5 Stelle vanno oltre e inseriscono delle pagine colorate per rendere più “sostanzioso” il loro dossier.
Il problema di questo “Libro” è che oltre ad essere brevissimo e inconsistente è assolutamente privo di contenuti e di dati.
In un’era in cui ogni argomentazione è suffragata da prove, dati, tabelle, previsioni di spesa e di risparmio i 5 Stelle di distinguono per la totale mancanza di dati verificabili.
Ogni argomento del “Libro” viene trattato così in una paginetta scarsa. Non importa quanto sia importante, lo spazio è quello e spesso l’autore (o gli autori) fanno fatica a riempire tutto il foglio.
Si capisce, cosa mai ci sarà da scrivere su Schengen e l’Immigrazione, sulla Politica estera e la difesa comune o sulla marginale questione del Budget europeo alla quale gli autori dedicano pochissime righe, queste:
Riduzione sostanziale del budget europeo con tagli drastici degli stipendi dei parlamentari, eliminando ogni forma di benefit e privilegio. Eliminazione della tripla sede Bruxelles-StrasburgoLussemburgo e rimozione di tutte le agenzie europee non produttive. Abolizione dei finanziamenti destinati alla propaganda UE (moneta unica, propaganda contro la Russia, fake news e altro). Rimessa in discussione degli oltre 2 miliardi di euro destinati all’inutile Piano Juncker, che finanzia solo le grandi opere: li vogliamo per le PMI. Abolizione dei fondi concessi a partiti e fondazioni europee. Una larga fetta del budget europeo dovrà essere dedicato alla questione sociale, ad esempio proponendo un reddito di cittadinanza europeo come sembrava nelle intenzioni della Commissione a inizio legislatura. I fondi europei devono essere programmati sui veri bisogni del territorio e in sintonia con il programma di governo del Movimento 5 Stelle. Vogliamo la trasparenza e la pianificazione pubblica dei bandi.
Avete letto bene, questo “testo” che in realtà è solo la contrazione di un elenco puntato dove non c’è alcun ragionamento ma solo una serie di “proposte” è tutto quello che il M5S ha da dire su come dovrebbe essere speso il budget europeo.
In confronto Nigel Farage sullo stesso argomento quando stava facendo campagna elettorale per la Brexit ha scritto un trattato di economia.
Non ci sono dati, non ci sono numeri (ad eccezione di un non molto preciso “oltre due miliardi”).
Si parla di risparmi ma non si quantificano quanti siano in realtà .
Non si dice nemmeno la cosa più importante ovvero a quanto ammonta il budget europeo.
Non che sia difficile perchè l’Unione Europea mette a disposizione tutto il necessario quanto meno per avere un’idea generale di che cosa stiamo parlando. Ad esempio nel 2016 il budget annuale totale era di 155 miliardi di euro.
Sono tanti, sono pochi?
Per poterlo dire dovremmo guardare dove e come vengono spesi (ad esempio pagando 700 euro in posacenere o pagando rimborsi per ricerche fatte su Wikipedia).
È legittimo voler uscire dall’euro e pure combattere gli sprechi ma almeno prima di farlo — e per riuscire a trovare la porta — bisognerebbe sapere come funziona l’Unione Europea.
I 5 Stelle vogliono che una larga fetta del budget europeo venga destinato “alla questione sociale” per l’implementazione di un reddito di cittadinanza.
Quanto più grande deve essere di quella che viene già destinata ora?
In miliardi di euro possibilmente e non a spanne.
E quanto potrebbe ragionevolmente incidere il risparmio proposto rispetto a tagli degli stipendi e chiusura delle sedi non necessarie? Sarebbe stato interessante saperlo.
Nel “capitolo” destinato al budget salta all’occhio la proposta di abolire i “finanziamenti destinati alla propaganda UE (moneta unica, propaganda contro la Russia, fake news e altro)”.
In che modo l’Unione Europea dovrebbe smetterla di “fare propaganda” a favore della moneta unica e soprattutto cosa significa fare propaganda per la moneta unica? Significa dire ad esempio che — in nome del principio dell’uno vale uno applicato ai tassi di cambio — il rublo o il dollaro zimbabwiano hanno lo stesso valore?
Significa forse che la BCE deve dire che lo Yuan “è meglio”? Non lo sapremo mai perchè i 5 Stelle non lo spiegano.
Più chiaro invece il tentativo di dare una mano alla Russia e a quel fulgido esempio di democrazia che è Putin (a proposito non è che i 5 Stelle gli hanno chiesto dei Panama Papers?) dai sordidi attacchi dell’Europa.
La confusione regna sovrana anche nel — brevissimo — capitolo dedicato alla politica estera dove prima si chiede una:
Immediata sospensione di tutti gli accordi e dei rimpatri verso i Paesi extra UE che violano i diritti umani, usando la leva degli accordi commerciali e di cooperazione allo sviluppo per pretendere il rispetto dei diritti umani e ambientali.
E poi si torna a difendere la Russia che secondo una serie di report (Amnesty International, Human Rights Watch, e lo stesso Europarlamento) ultimamente non si può certo definire un fulgido esempio di difesa dei diritti umani.
Magari si potrebbe chiedere alla Russia almeno di rispettare gli accordi della WTO, dove è entrata a far parte nel 2012 anche grazie ai buoni uffici della UE.
Chissà come Putin prenderà la proposta del M5S (nel capitolo “Energia, materia e resilienza”) di raggiungere un’indipendenza energetica e il passaggio ad una totale produzione di energia elettrica rinnovabile (non da fonti rinnovabili, rinnovabile).
Lo sanno i portavoce che la maggior parte delle importazioni dalla Russia riguarda materie prime in particolare gas e petrolio?
La cosa preoccupante è che per scrivere queste otto pagine scarse (molto scarse) i 5 Stelle e i loro assistenti parlamentari sono stati pagati dai cittadini italiani (e dai cittadini europei nel caso degli europarlamentari).
Ed e è molto fastidioso leggere ben otto pagine dove ogni “e” accentata maiuscola è scritta E’ invece che È.
Forse quei soldi avrebbero potuto essere spesi meglio.
E a proposito di fake news: questo non è un libro.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
PRIMA DEL REFERENDUM CI VUOLE UN ALTRO REFERENDUM PER CONFERMARE LA LEGGE DI RIFORMA COSTITUZIONALE CHE AMMETTA LA POSSIBILITA’ DI FARE UN REFERENDUM SU QUESTO TEMA… E DI MAIO NASCONDE COSA SUCCEDERA’ CON L’USCITA DALL’EURO
Ieri Luigi Di Maio ha presentato alla Stampa estera il “libro” (in realtà più una tesina di quindici pagine) del MoVimento 5 Stelle sull’Europa.
I 5 Stelle hanno annunciato il loro progetto per cambiare l’Europa una volta che andranno al Governo e per consentire agli italiani di esprimersi in merito alla permanenza o meno nella moneta unica.
Non è proprio una novità visto che l’idea di un referendum per l’uscita dall’euro i 5 Stelle l’hanno tirata fuori parecchie volte, l’ultima all’indomani del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 quando Alessandro Di Battista era tornato a parlare della possibilità di chiedere ai cittadini di esprimersi sulla moneta unica.
L’idea di un referendum era stata presentata da Grillo nel 2014 durante la manifestazione al Circo Massimo.
All’epoca il M5S aveva avviato la raccolta di “un milione” di firme per la presentazione di una legge d’iniziativa popolare per arrivare all’istituzione del referendum consultivo sull’euro.
Il MoVimento aveva anche stabilito anche i tempi entro i quali si sarebbe arrivati al referendum consultivo (che nel nostro ordinamento non esiste).
Detta consultazione si sarebbe dovuta tenere tra dicembre 2015 il gennaio 2016 e quindi all’uscita dall’euro sarebbe dovuta avvenire entro i primi mesi del 2016. È passato un anno,
Grillo ha presentato in Senato le 200.000 firme raccolte ma l’iniziativa di legge popolare non è mai stata discussa in Parlamento (che del resto non ha nessun obbligo di farlo) e di sicuro non verrà discussa ora.
Ieri Di Maio ha di nuovo tirato fuori dal cassetto quella vecchia proposta per quella che ha definito un’Europa più democratica che comporta il fatto che anche la politica monetaria debba diventare più democratica (non è chiaro quindi se ogni volta la modifica dei tassi d’interesse debba essere decisa da consultazioni popolari, magari online, o dal Parlamento e non dalle banche centrali).
Ad ogni modo per Di Maio l’euro non è una moneta democratica e l’unico modo per renderla tale è chiedere al famoso popolo sovrano di esprimersi sulla moneta unica:
In realtà dire che l’euro non è democratico non vuol dire nulla, di per sè.
Ma la frase evoca tutto quell’immaginario di lotta contro il potere delle banche, delle lobby e dei potentati economici che tanto è cara al MoVimento.
Per la verità non è vero che l’euro non è democratico: in primo luogo perchè l’adesione alla moneta unica è stata fatta sulla base di un trattato internazionale che come tutti i trattati è stato democraticamente ratificato dal Parlamento italiano (che secondo la nostra Costituzione è uno dei luoghi dove viene esercitato il potere democratico) dai rappresentati democraticamente eletti del popolo italiano.
In secondo luogo nemmeno una moneta nazionale sovrana è — in senso stretto — democratica, la differenza è che le politiche monetarie vengono decise unicamente dalle autorità nazionali e non da quelle comunitarie dove, per una semplice ragione numerica, il rischio che una nazione venga (democraticamente) messa in minoranza è maggiore.
Abbandonata l’idea di una legge d’iniziativa popolare il MoVimento punta tutto su una legge di riforma costituzionale (guardacaso quella stessa Costituzione che qualche mese fa era intoccabile) per introdurre in Costituzione l’istituto del referendum consultivo.
Il passaggio è un po’ più complicato e non ha — anche se Di Maio la fa molto facile — moltissime garanzie di successo.
La nostra Costituzione prevede infatti che per evitare un referendum popolare confermativo l’eventuale riforma costituzionale dei 5 Stelle debba essere approvata da almeno i due terzi dei componenti di entrambe le Camere.
In caso contrario la legge di modifica costituzionale che introduce il referendum consultivo deve a sua volta essere sottoposta essere a referendum (senza contare che si andrà a referendum qualora entro tre mesi dall’approvazione definitiva ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali).
Se e solo se il popolo sovrano si esprimerà a favore della legge di riforma costituzionale allora si potrà indire un referendum consultivo per chiedere ai cittadini di esprimersi sulla permanenza nella moneta unica.
Anche in quel caso però l’uscita dall’euro non sarà automatica perchè il Parlamento dovrà votare l’abrogazione della legge che ratifica il trattato di adesione all’euro.
In tutto questo i 5 Stelle però non hanno ancora fatto sapere quale indicazione di voto daranno agli elettori in occasione del referendum consultivo.
Di Maio ieri ha evitato di affrontare la questione quando ha parlato di “altri paesi” che potrebbero uscire dall’euro per le loro ragioni lasciandoci “senza un piano b”, senza contare che ci sono altre forze politiche anti-euro (ad esempio Forza Italia) che sulla moneta unica e il ritorno alla lira hanno proposte differenti.
Il procedimento di revisione costituzionale però è piuttosto lungo e complesso e ai tempi necessari per l’approvazione della legge di modifica della Costituzione si aggiungono quelli per il referendum e l’eventuale successiva discussione per l’uscita dell’Italia dall’euro (ma a quanto pare non dall’Unione Europea).
Durante tutta questa fase il nostro Paese potrebbe esperire una preoccupante fuga di capitali all’estero (con che prospettive i grandi gruppi industriali potrebbero rimanere in Italia durante un periodo di incertezza tale?) senza contare che una volta fuori la nostra moneta finalmente sovrana si troverebbe sottoposta alle fluttuazioni dei mercati finanziari (e della tanto temuta speculazione) dalle quali fino ad ora l’euro, con tutti i suoi difetti, ci ha protetti.
Se l’Italia uscisse dall’euro la nostra nuova moneta si svaluterebbe consistentemente nei confronti della valuta europea.
Chi riuscisse a mantenere i risparmi denominati in euro, quindi, guadagnerebbe in poco tempo il 20 o 30 per cento.
L’operazione è estremamente semplice: basta vendere Bot e Btp e comprare titoli di stato tedeschi.
Non va inoltre esclusa la possibilità di un’irrazionale corsa agli sportelli per prelevare i contanti e chiudere i conti.
Qualche tempo fa Di Maio parlava di un non meglio precisato “euro 2” spiegando che «abbiamo sempre detto che l’euro così non funziona e che dobbiamo preferirgli l’euro 2 o monete alternative» ieri invece ha parlato apertamente di un ritorno alla lira.
I 5 Stelle sotto sotto sperano che anche altri paesi contestualmente al nostro decidano di uscire dall’euro, qui Di Maio non sta guardando tanto al Regno Unito che nell’euro non ci è mai stato e che mai accetterà di far parte di altre unioni monetarie ma alla proposta avanzata da Marine Le Pen che vorrebbe la Francia fuori dall’euro e un contemporaneo ritorno del franco nelle tasche dei francesi e di una moneta virtuale sulla falsa riga dell’Ecu per gli scambi monetari internazionali e per proteggere le monete nazionali “sovrane” dai mercati.
Ma il vero problema della proposta dei 5 Stelle è un’altra, al di là della procedura che sarà lenta e inutilmente dolorosa per le tasche degli italiani Di Maio non ha detto che cosa succederà dopo.
Qual è il piano dei 5 Stelle per gestire l’uscita dalla moneta unica e il ritorno alla sovranità monetaria?
Quali saranno le misure economiche che un eventuale governo Di Maio adotterà per salvare il Paese dal collasso e gestire il ritorno alla lira?
Dopo tre anni che si parla di questo benedetto referendum sull’euro forse qualcosa di più Di Maio poteva dircela.
O dobbiamo eleggerlo per saperlo?
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
SETTE AFFIDAMENTI DIRETTI SENZA FARE UN PUBBLICO APPALTO, CON LA SOLITA SCUSA, TIPICA DELLA KASTA, DI FARE IN FRETTA
I 5 Stelle di governo continuano a sorprendere per la capacità di adottare gli stessi metodi amministrativi dei vecchi partiti e delle amministrazioni precedenti.
Nel Municipio XI di Roma Capitale, retto da una giunta a 5 Stelle, l’amministrazione municipale ha fatto affidamenti diretti per lavori di manutenzione del patrimonio per un importo complessivo pari a 270.000 euro opportunamente frazionando gli importi in contratti di 39.900 euro per rimanere sotto la soglia dei 40 mila euro che permette di poter affidare i lavori senza gara.
Niente di illegale o di illecito quindi, perchè è il codice sugli appalti a consentire gli affidamenti diretti a imprese differenti se l’importo non supera quella cifra, ma non è possibile non notare come in campagna elettorale il MoVimento avesse promesso di non ricorrere agli affidamenti diretti.
Questi affidamenti diretti hanno gratificato sette imprese che nel gennaio 2017 hanno svolto quelli che vengono definiti come lavori di ripristino in seguito agli eventi sismici del 30/10/2016.
Peccato che quei lavori non abbiano niente a che vedere che il terremoto dell’ottobre 2016 perchè nel novembre dello stesso anno il Presidente del Municipio Mario Torelli chiariva che i sopralluoghi effettuati dopo il sisma gli edifici pubblici del Municipio XI non avevano rilevato alcuna criticità strutturale conseguente al terremoto e che le eventuali problematiche emersa non compromettevano la tenuta strutturale degli immobili ed erano da attribuirsi ad una carenza di manutenzione ordinaria che non era stata effettuata nel corso degli anni precedenti.
Insomma il terremoto non c’entra nulla e mancava quindi il carattere d’urgenza per non bandire una gara d’appalto pubblico.
Il Municipio XI però ha preferito rivolgersi direttamente a sette imprese scelte non si sa bene con quale criterio.
Inoltre gli atti amministrativi di affidamento — in nome della trasparenza — non sono nemmeno stati pubblicati sul sito del Municipio XI ma sono stati “seppelliti”all’interno dell’elenco, obbligatorio per legge, di tutti i bandi del municipio XI, che è un file Excel di 900 righe, non è ordinato neppure cronologicamente che rende se non altro poco agevole e difficoltoso tenere traccia de
Il MoVimento ha replicato con una nota nella quale (ti pareva…) addossa alla precedente amministrazione la situazione disastrosa del patrimonio immobiliare pubblico alla quale l’attuale amministrazione ha tentato di mettere mano proprio con quelle sette assegnazioni dirette: “a fine 2016 nel bilancio era emersa l’esistenza di soldi non spesi che potevano essere utilizzati per la manutenzione scolastica, per non perdere quei fondi è stato deciso quindi di procedere d’urgenza ”
Al di là del fatto che la procedura sia legittima (anche se forse la Conte dei Conti potrebbe aver qualcosa da ridire sul frazionamento degli importi) rimane la questione dell’opportunità di ricorrere agli affidamenti diretti e di come siano state scelte le imprese, questo il M5S lo chiarisce.
Inoltre non è possibile non notare come Roma abbia affrontato in tempi recenti uno scandalo dovuto agli affidamenti diretti di denari pubblici e come il Comune sia attualmente in difficoltà di fronte alla questione posta dagli affidamenti diretti — anch’essi legittimi — di spazi pubblici alle Onlus e alle associazioni no profit che sono sotto sfratto.
Fino ad ora la risposta dell’Amministrazione comunale è sempre stata quella di promettere l’apertura di bandi di gara per sanare quelle problematiche. Forse, anche se legale, non è stato poi così politicamente opportuno ricorrere agli affidamenti diretti. Infine come mai il Municipio si è accorto a solo dicembre di avere dei fondi disponibili quando la nuova amministrazione a 5 Stelle si è insediata a luglio 2016?
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
“L’EUROPA NON DEVE ESSERE UN MECCANISMO CHE STRITOLA I DIRITTI SOCIALI”… “L’EUROPA SI ERA STABILIZZATA SOLO INTORNO A SOGNI EGEMONICI. OGGI PER LA PRIMA VOLTA E’ UNA CREAZIONE DEMOCRATICA CHE HA IMPEDITO LE GUERRE”…”E’ UNO SPAZIO DI LIBERTA’ MA ANCHE DI REGOLE E SOLIDARIETA’ CHE INVECE NON CI SONO STATE”
Dopo venti minuti cita per la prima volta Marine Le Pen, ma non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno, ogni frase che pronuncia ci ricorda la posta in gioco, il bivio di fronte al quale si trovano la Francia e l’Europa.
“Viviamo tempi drammatici e la sfida non è più tanto tra destra e sinistra ma tra apertura e chiusura”. Ma davvero è ancora possibile parlare di progresso? Parlare di Europa? Chiedere ai cittadini di fidarsi, di guardare avanti, di aumentare l’integrazione?
Pochi ormai hanno il coraggio di farlo, spaventati dalla Brexit, da Trump, dall’ascesa dei populismi. E di fronte ad agende che parlano di paura, invasioni di migranti, che identificano l’Europa, la moneta unica e le istituzioni comuni come le radici di tutti i mali, la reazione è quella di cercare compromessi o di inseguire i radicalismi.
Emmanuel Macron invece ha scelto una strada netta, quasi un referendum.
Un passo pericoloso in un Paese come la Francia che 12 anni fa bocciò la costituzione europea: “Ma se siamo solo un po’ europei, se lo diciamo timidamente, abbiamo già perso”.
“Marine Le Pen vuole ricreare la conflittualità tra i Paesi europei, ma io sono nato in una zona piena di cimiteri militari e per me vale sempre la frase di Mitterrand: il nazionalismo è la guerra”.
Chi cita il vecchio presidente – uno dei padri dell’Europa che sul campo di battaglia di Verdun (dove nella prima guerra mondiale tedeschi e francesi si massacrarono) si fece fotografare mano nella mano con il cancelliere Helmut Kohl – non è un anziano nostalgico ma il più giovane dei candidati alla presidenza, quello che sembra destinato ad arrivare in finale con la leader del Front National.
Macron ha solo 39 anni e un curriculum che in questi tempi gli avrebbe dovuto consigliare di stare a casa, ben camuffato.
Ha studiato all’Ena, la scuola di pubblica amministrazione vista come il fumo negli occhi dai populisti, parla tre lingue, ha letto tanto, ama Svevo, ha lavorato alla Banca Rothschild, è stato consigliere di Hollande e ministro dell’Economia.
Ha sempre l’abito blu, modi gentili, mai una parola fuori posto, nessuna concessione al linguaggio della strada. Non parla di veleni, di paure, ma di collaborazione tra Stati, tra popoli, pronuncia parole desuete e quasi naà¯f come buonumore, responsabilità , solidarietà e pace.
Rifiuta la confusione tra rifugiati e migranti e chiama con il loro nome coloro che non amano l’Europa, siano essi Trump e Putin, o ungheresi e polacchi verso i quali non fa sconti: “Mi dispiace ma se non rispetti le decisioni europee devi pagare un prezzo, non c’è niente da inventare, è già tutto previsto dai trattati”.
Sul tavolo giornali, pile di cartelline azzurre con gli appuntamenti della giornata, la trascrizione completa del dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza, dietro di lui un libro che sembra calzare a pennello per un candidato che non ha un partito tradizionale alle spalle, ma solo un movimento nuovo di zecca che si chiama En Marche!: “Oggetto politico non identificato”.
Sul muro un grande quadro, una Marianna con la scritta Libertè, Egalitè, Fraternitè disegnato nello stile dei manifesti di Obama.
In molti Paesi europei lei viene presentato come l’uomo che potrebbe evitare una vittoria di Marine Le Pen. È consapevole di quanta attenzione ci sia all’estero intorno alla sua candidatura?
“Prima di tutto vorrei avere un pensiero per le vittime dell’attacco a Londra. Purtroppo in Europa rimane una minaccia terrorista che dobbiamo combattere insieme, senza tregua. Sulla domanda che riguarda Le Pen, la sfida in Francia si gioca anche in altri Paesi, è un dibattito che attraversa l’Europa. Ho avuto molto presto la convinzione che la vera spaccatura non fosse più tra destra e sinistra, anche se esistono ancora delle differenze. La linea di divisione oggi è tra apertura o chiusura, pro o contro Europa, conservatori o progressisti. Mi rendo conto delle responsabilità che pesa su di me quando difendo l’apertura, l’Europa. Ma non devo ritrovarmi da solo. Nei tempi tragici che stiamo vivendo, ognuno di noi dovrebbe avvertire l’importanza di essere europeista”.
Perchè gli elettori francesi dovrebbero seguirla?
“È la prima volta che ci troviamo in un contesto mondiale nel quale così tanti leader stranieri auspicano l’indebolimento dell’Europa. Basta ascoltare Trump e Putin per accorgersene. Avrete forse notato che nella campagna elettorale francese diversi candidati soffrono di una fascinazione deleteria nei confronti della Russia. Non significa che non si debba parlare con Mosca ma dobbiamo capire che oggi, ancora più che in passato, abbiamo bisogno d’Europa”.
Cos’è esattamente l’Europa oggi, a sessant’anni dal Trattato di Roma: un mercato, una moneta unica, uno spazio di pace?
“È un progetto inedito che ha permesso decenni di pace e prosperità come mai. Quando guardiamo l’Europa su scala mondiale ci rendiamo conto che non esiste uno spazio così piccolo con altrettante lingue e culture diverse. L’Unione europea è un formidabile vantaggio contro la conflittualità senza che ci sia quella vocazione egemonica descritta dall’intellettuale tedesco Peter Sloterdijk che parla di “trasferimento tra imperi”, a partire da quello romano, poi carolingio, napoleonico, bismarckiano, hitleriano. L’Europa si era stabilizzata solo intorno a sogni egemonici. Poi, negli ultimi sessant’anni, l’Europa è diventata per la prima volta una creazione democratica plurale. È il tesoro che ci ha tramandato il Trattato di Roma”.
Vediamo invece che aumentano gli egoismi nazionali.
“L’Europa si è snaturata per mancanza di leadership politica. A partire dagli anni Novanta, il Mercato unico è stato deviato nel suo utilizzo. Come diceva Jacques Delors, è nato come uno spazio di libertà ma anche di regole e solidarietà che, invece, non ci sono state. Questo squilibrio, rifiutato dai popoli, è stato spinto da alcuni stati ultra-liberisti, come la Gran Bretagna. Per ironia della Storia poi la Brexit è stato lanciata proprio in nome dello squilibrio del Mercato unico. Oggi dobbiamo rimettere ordine con un’armonizzazione fiscale e sociale”.
Non è già troppo tardi?
“Si è smarrita quella che chiamo la “logica del desiderio”. Da quando ci sono stati i “no” francesi e olandesi, nel 2005, nessuno ha più voluto proporre un movimento in avanti, anzi ha prevalso la logica del dubbio. Così abbiamo avuto la discussione sulla Grexit, poi sulla Brexit e non so quale altro “exit” dobbiamo aspettarci”.
Forse anche perchè l’asse tra Parigi e Berlino ha smesso di funzionare?
“All’indomani della crisi economica, la sfiducia è iniziata nell’eurozona nei confronti dei Paesi indebitati che non avevano fatto gli sforzi necessari pur avendo goduto della protezione del tasso d’interesse unico. La diffidenza si è poi diffusa tra Paesi dell’Est e dell’Ovest”.
L’allargamento a 28 è stato un errore?
“L’Europa non ha saputo gestire l’allargamento, e si è paralizzata. Dobbiamo ammetterlo con onestà , è lampante nelle discussioni che abbiamo oggi con l’Ungheria o la Polonia. C’è stato anche un impatto negativo sull’eurozona. Alcune riforme non sono stata fatte per non contrariare britannici e polacchi. Abbiamo visto il ringraziamento: i primi se ne sono andati, gli altri non rispettano i valori dell’Unione”.
Franà§ois Hollande non è riuscito a “riorientare” l’Europa come aveva promesso?
“Senza la Francia e Hollande nell’estate 2012 non ci sarebbe stata neppure l’Unione bancaria e saremmo andati incontro al peggio. Ho avuto dei disaccordi con il Presidente sulla sua strategia europea ma l’Unione bancaria è stata una conquista indispensabile”.
Senza l’intervento francese la Grecia sarebbe uscita dall’euro?
“Non solo la Grecia, tutto sarebbe andato in fumo. L’Unione bancaria è la porta anti-incendio tra i debiti pubblici e le banche, è la base dell’impegno di Mario Draghi e del suo famoso “whatever it takes”, ovvero il nuovo ruolo della Bce”.
Come pensa di ristabilire un clima di fiducia con la Germania?
“Se la Francia vuole ridiventare il motore dell’Europa deve intanto ammettere di non aver fatto tutte le riforme necessarie. È per questo che ho presentato delle riforme chiave su lavoro, formazione professionale, istruzione e concertazione sociale, mantenendo una linea credibile sui conti senza le ambiguità che ci sono state nel 2013”.
La Francia negli ultimi anni ha trattato per sè deroghe con la Commissione, senza appoggiare una battaglia più ampia sulle regole come chiedeva l’Italia. È stato uno sbaglio?
“Penso che nell’estate 2012 la Francia abbia fatto la sua parte, mentre invece sono critico sulla posizione adottata nella primavera 2013, ovvero la rinuncia a un dibattito sugli equilibri finanziari nel timore di sollevare un polverone. C’erano gli elementi macro-economici per farlo e avremmo trovato al nostro fianco altri Paesi, come l’Italia. Oggi il contesto è cambiato. Sono convinto che se facciamo le riforme necessarie, se rispettiamo una traiettoria finanziaria che confermi il rapporto 3% deficit/Pil, allora si può lanciare un vero piano di investimenti, in Francia e in Europa. Sono favorevole a un New Deal. E sono anche l’unico candidato francese ad esprimere un discorso di verità e credibilità “.
Molte critiche all’Europa si concentrano sulla concorrenza interna tra lavoratori, la minaccia sui diritti sociali, le differenze tra sistemi fiscali. Come risponde?
“In questo caso la pressione è ancora più potente perchè non viene dai mercati ma dai popoli. È ciò su cui fa leva ad esempio Marine Le Pen. Dobbiamo mostrare una gran fermezza se non vogliamo che i cittadini scambino l’Europa per un meccanismo che stritola i diritti sociali. È anche la dimostrazione che troppa eterogeneità indebolisce l’Europa “.
Occorre tornare a un’Unione europea con meno Paesi, più simile a quella dei fondatori?
“Non ho alcuna remore nell’appoggiare un’Europa a più velocità , che tra l’altro esiste già . Sull’Unione a ventotto Paesi, e presto a ventisette, potremo continuare ad avanzare su temi come l’energia e il digitale. Sulla Difesa, invece, dobbiamo aprire una cooperazione ad hoc, prevista dai trattati, con Francia, Germania, Italia e Spagna, associando la Gran Bretagna. Nell’eurozona sono per una convergenza fiscale e sociale, con un bilancio, un esecutivo e un Parlamento. Propongo di lanciare una consultazione democratica su questa road map”.
Come si svolgerà la consultazione?
“Saranno degli Stati generali organizzati in ognuno dei ventisette Paesi. C’è oggi un vero bisogno di partecipazione. Gli europeisti hanno avuto sinora troppa paura della democrazia. Non si può far avanzare l’Europa senza i popoli. Ma dobbiamo essere chiari. Se un Paese decide di non andare avanti, non deve poter bloccare gli altri. È un concetto che ho ripreso da Mario Monti”.
Al livello europeo il suo movimento si potrebbe collocare nel gruppo dei liberali?
“Dico spesso che il mio obiettivo è libertà e protezione. Oggi vediamo che i partiti socialisti europei si stanno ricomponendo, con una parte della sinistra che si radicalizza e una parte che si avvicina ai liberali, davanti a una destra conservatrice che si dissolve o si radicalizza. Quel che accade in Francia assomiglia molto alle divisioni che attraversano in questo momento la destra e la sinistra italiana”.
Non le dispiace essere definito populista?
“È una parola con diverse accezioni. Se significa parlare al popolo allora, sì, non ho problemi a essere chiamato così. Se invece viene usata per definire chi lusinga i popoli, ovvero chi è demagogo, non è il mio caso. Sull’Europa e su altri temi non dico alla gente ciò che vorrebbe sentirsi dire”.
Quale ruolo può avere l’Italia nella “rifondazione” dell’Europa di cui parla?
“La coppia franco-tedesca è necessaria ma non sufficiente. Dobbiamo lavorare a stretto contatto con l’Italia per stabilizzare il cuore dell’Europa e dell’eurozona insieme a Germania, la Spagna, i Paesi del Benelux, e altri che vorranno unirsi”.
L’Europa si è rivelata impotente nella crisi dei rifugiati. Cosa farebbe se fosse eletto capo dello Stato?
“La Cancelliera ha mostrato responsabilità e dignità nel rifiutare la confusione tra migranti e rifugiati. L’Italia aveva allertato con anticipo sui problemi nel Mediterraneo e sui limiti al sistema di Dublino. Purtroppo l’Europa ha reagito tardi. Abbiamo voluto redistribuire i rifugiati quando erano ormai già arrivati, poi abbiamo negoziato un accordo con la Turchia che ha chiuso la rotta dei Balcani aprendo invece quella dalla Libia. La soluzione che propongo è una gestione coordinata delle domande d’asilo nei paesi di partenza o di transito, con una migliore vigilanza alle frontiere esterne dell’Ue. È l’unico modo di essere efficaci, mantenendo la nostra umanità . Solo così ci potrà essere una redistribuzione tra gli Stati membri”.
Abbiamo già visto che non funziona. Molti governi, tra cui quello ungherese, hanno rifiutato di prendere le loro “quote” di rifugiati.
“Ne ho abbastanza di un comportamento insidioso che autorizza il non rispetto dei nostri principi da parte di alcuni Stati membri. Nei trattati esistono delle sanzioni finanziarie previste in questi casi. Non si può minacciare una procedura d’infrazione solo quando si tratta di deficit o conti pubblici e non invece quando sono in gioco i nostri valori fondamentali “.
Un ballottaggio tra lei e Marine Le Pen sarebbe quasi un referendum tra un sì e un no all’Europa. Nel 2005, quando si votò per la Costituzione europea si sa come risposero i francesi. Non corre un rischio enorme schierandosi in modo così netto?
“Chi è solo timidamente europeista ha già perso. Amo furiosamente l’Europa ma ammetto che non funziona, che dobbiamo rifondarla. Franà§ois Mitterrand l’aveva detto a suo tempo: il nazionalismo è la guerra. La mia regione, ad Amiens, è disseminata di cimiteri militari. È quel che propone Marine Le Pen: ricreare la conflittualità in Europa. Se davanti agli estremismi il partito della ragione si arrende e cede alla tirannia dell’impazienza, allora saremo tutti morti”.
La sfida è totale, la scommessa: tornare indietro o correre il rischio di andare avanti.
Tra noi e il salto nel passato è rimasto solo questo ragazzo che ha capito che il tempo è adesso anche se non porta l’orologio, ma ha due iPhone che non guarda mai per oltre un’ora, due fedi di oro bianco una all’anulare sinistro l’altra su quello destro, due penne, un pennarello e una stilografica, che sorride, risponde con calma, ascolta le domande e guarda l’interlocutore negli occhi.
Sembra sicuro e tranquillissimo, come lo slogan della grande pubblicità di una serie tv che occupa tutta la stazione della metropolitana dall’altra parte della strada: “Dalla fiducia nasce la forza”. Lui sembra crederci fino in fondo. Un marziano.
Poi torni a guardargli le mani e ti accorgi che si mangia le unghie: è umano.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
LA NOTA DI YEVHEN PERELYGIN, AMBASCIATORE DI UCRAINA A ROMA
Sono convinto che nel mondo globalizzato non esista un’alternativa al processo di integrazione, proprio perchè il successo può essere raggiunto solo unendo le forze.
Senza fare una lungo excursus storico vorrei menzionare due esempi della storia europea moderna sui progetti d’integrazione, uno di successo e l’altro no:
Il primo è l’Unione Europea, un progetto riuscito e in crescita da 60 anni;
L’altro è l’Unione Sovietica che, fondato sulla violenza e sulla costrizione, si è rivelato fallimentare.
Le differenze che hanno influito sullo sviluppo delle due Unioni (o sul successo di due progetti), stanno nei principi e nei valori.
Per entrare nell’Unione Europea c’è la fila dei Paesi che sono pronti a compiere un duro lavoro per assicurare democrazia, diritti umani e rule of law.
Non solo: i Paesi, e questa non è cosa di poco conto, anzi, hanno scelto liberamente di parte dell’Europa unita.
Al contrario, l’Unione Sovietica ha “annesso” quindici Paesi membri tramite l’occupazione militare, l’annessione e l’eliminazione fisica di tutti i dissidenti.
Per tutte le persone non allineate con il Cremlino sono stati riaperti molti gulag in Siberia.
Per me che rappresento oggi il Paese con la più alta percentuale di cittadini con aspirazioni europeiste, è un grande onore essere presente oggi a Roma, dove, ancora una volta, si lancia un innovativo progetto europeo.
E se in passato ho studiato la storia dell’integrazione europea dai libri e dagli incontri con i politici che partecipavano a questo processo, oggi sono testimone attivo della rinascita dello Spirito di Messina, che portò agli storici Trattati di Roma.
Yevhen Perelygin
Ambasciatore di Ucraina in Italia
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
ORMAI IL GIOCO DI DESTABILIZZARE L’EUROPA E’ SCOPERTO, RESTA L’OMBRA SUI FINANZIAMENTI… PUTIN SI E’ RESO CONTO CHE HA APPOGGIATO UN CAVALLO PERDENTE E PRENDE LE DISTANZE: “DISPONIBILE A INCONTRARE ANCHE TUTTI GLI ALTRI CANDIDATI”
Vladimir Putin ha ricevuto a sorpresa al Cremlino Marine Le Pen, la leader del Front National, partito di estrema destra francese, in visita a Mosca a un mese dalle presidenziali francesi.
“La Russia non sta cercando in nessuna maniera di interferire nelle elezioni”, ha subito precisato il presidente russo alle tv nazionali prima del bilaterale che non era stato annunciato in precedenza. “Ma ci riserviamo il diritto di incontrare i rappresentanti di tutte le forze politiche nel Paese, come fanno i nostri partner, ad esempio in Europa e negli Stati Uniti”, ha continuato aggiungendo che Le Pen rappresenta “un elemento crescente delle forze politiche europee”.
“Quest’incontro è particolarmente importante ora che la minaccia terroristica incombe su tutti noi”, ha ribattuto Le Pen, che non ha mai nascosto la sua ammirazione per il leader del Cremlino.
Sul tavolo dei colloqui, ha assicurato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, non c’è stato alcun riferimento a possibili finanziamenti da parte russa al Front National.
Marine Le Pen si trova in visita a Mosca su invito del presidente della Commissione Esteri della Duma Leonid Slutskij. Poche ore prima dell’incontro con Putin, mentre era a colloquio con il presidente della Duma Vjacheslav Volodin, la leader del partito di estrema destra francese aveva definito “controproducenti” le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia nel 2014 all’indomani dell’annessione della Crimea. Mentre solo ieri il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov aveva definito Le Pen e il presidente statunitense Donald Trump “realisti” e non “populisti”.
La visita a Mosca sembra la carta della disperazione della Le Pen, ormai sorpassata nei sondaggi da Macron e rischia di essere anche controproducente agli occhi dei francesi questo servilismo verso una potenza imperialista straniera.
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
ESULTANO MILIONI DI POVERI AMERICANI CHE AVREBBERO PERSO OGNI DIRITTO A FARSI CURARE… IL MITO DEI SOVRANISTI NOSTRANI HA PRESO IL PRIMO CALCIO IN CULO DAI SUOI REPUBBLICANI
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha chiesto al presidente della Camera Usa, il repubblicano Paul Ryan, di ritirare il testo di legge di riforma sanitaria, il cosiddetto Trumpcare che avrebbe dovuto sostituire l’Obamacare voluto dall’ex presidente Barack Obama.
Lo ha detto il presidente Usa al Washington Post pochi minuti fa
Ciò significa che l’affordable care act – la riforma tanto voluta da Barack Obama – resta in vigore, almeno per il momento, e che una delle principali promesse di Trump non viene realizzata.
Dopo la prima e dura sconfitta legislativa di Trump, resta da capire se il Gop è capace di quella unità necessaria per approvare altre legislazioni importanti tra cui quella per un taglio alle tasse e per spese infrastrutturali da 1.000 Miliardi di dollari.
Parlando con il giornale della capitale Usa, Trump ha spiegato di “non dare la colpa a Paul Ryan”. In vista del voto, il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, aveva detto che lo speaker della Camera “aveva fatto tutto il possibile” per ottenere i 261 voti necessari per il via libera del ddl, ma il suo stesso partito si era ribellato a una misura impopolare che avrebbe tolto ogni tutela sanitaria ai più indigenti.
E pensare che dei cazzari hanno votato questo evasore razzista credendo che avrebbe combattuto i poteri forti…
(da agenzie)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
IL PRIMO VERBALE DI POLIZIA DOPO L’ORDINANZA DEL SINDACO… INSORGONO ASSOCIAZIONI, CURIA E MONDO CIVILE… INVECE CHE DENUNCIARE CHI ISTIGA ALL’ODIO, INIZIA LA CACCIA A CHI FA VOLONTARIATO
Sul verbale della Polizia di Stato, commissariato di Ventimiglia, si legge: “Indagato per aver somministrato senza autorizzazione cibo ai migranti”.
È datato 20 marzo ed è il primo provvedimento di cui si ha notizia, in seguito all’ordinanza dell’11 agosto 2016, con la quale il sindaco della città di confine con la Francia, Enrico Ioculano (Pd), vieta la distribuzione di alimenti ai migranti.
I denunciati in realtà sarebbero stati tre, tutti di cittadinanza francese.
«Siamo di fronte al capovolgimento di ogni logica. Utilizzare il diritto per colpire e punire episodi di solidarietà non può avere e trovare alcuna giustificazione», dice il presidente di Antigone Patrizio Gonnella.
Uno dei fermati si è rifiutato di firmare la denuncia perchè nessuno era in grado di tradurre il documento e i contenuti in francese.
Dura condanna anche da parte di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International in Italia: “Questa sanzione non è che l’ennesimo segnale dell’avvio, anche in Italia, di un allarmante processo di criminalizzazione della solidarietà . Iniziano a moltiplicarsi i provvedimenti amministrativi e giudiziari, in varie parti d’Italia, ma soprattutto in liguria, che rischiano di avere un effetto raggelante nei confronti di chi intende manifestare solidarietà nel modo più pratico e semplice possibile, con l’effetto paradossale di andare a colpire persone e associazioni che si assumono la responsabilità di colmare le gravi lacune lasciate dalle istituzioni”.
L’ordinanza del primo cittadino di Ventimiglia, Enrico Ioculano, era nata adducendo motivi di ordine igienico-sanitario.
Ma “l’ordinanza è inattuale – commenta l’avvocato Alessandra Ballerini, che a Ventimiglia collabora con Caritas e Terres des Hommes – perchè fa riferimento a ragioni igienico-sanitarie correlate alle ‘temperature medie della stagione estiva’ e si basa inoltre su una situazione diversa, ovvero quella di agosto, quando a Ventimiglia il centro predisposto dalla Prefettura e gestito dalla Croce Rossa Italiana era aperto a tutti, mentre oggi l’accesso è vincolato alla disponibilità , da parte dei migranti, di lasciarsi identificare e avviare la richiesta di asilo. L’articolo 2 della Costituzione italiana – aggiunge l’avvocato – impone il dovere della solidarietà , non capisco come si possa legittimamente vietare di dare cibo e acqua a chi si trova in condizioni di bisogno” .
Per questo, ogni giorno a Ventimiglia, nel tardo pomeriggio, dai paesi francesi della Val Roja, arriva un’automobile piena di panini, acqua e tè che vengono distribuiti a decine di migranti che vagano in attesa di provare a fare il grande salto verso la Francia: non facile, perchè la frontiera di fatto è chiusa.
Se gli arrivi sono costanti, il numero dei migranti che dormono in strada è aumentato nelle ultime settimane da quando, al Centro gestito dalla Croce Rossa al Parco Roja, è presente posto di polizia che identifica i migranti attraverso le impronte digitali e quindi li avvia al ricollocamento in altri centri in Italia.
Per questo, dal momento che chi è arrivato fino a Ventimiglia con l’intenzione di passare la frontiera con la Francia non ha alcuna intenzione di essere trasferito in altre parti d’Italia, da settimane molti migranti si tengono lontani dal campo governativo. Per mangiare, chi dorme in strada può ora rivolgersi solamente presso la Caritas e il campo totalmente autofinanziato “Ventimiglia Con-Fine Solidale” presso la Chiesa di Sant’Antonio.
Ma non essendo possibile sfamare tutti, sono gli stessi volontari “autorizzati” a dichiarare che il servizio svolto ogni sera dai cittadini francesi, che distribuiscono un centinaio di pasti in strada, si rivela essenziale.
Nel verbale di identificazione, consegnato al cittadino francese, si legge che “verrà segnalato in stato di libertà alle competenze dell’autorità giudiziaria in quanto indagato per aver somministrato senza autorizzazione cibo ai migranti, art. 650 c.p. contravvenendo ad un’ordinanza del Sindaco di Ventimiglia”.
Torna attuale il commento del Vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta, che all’entrata in vigore dell’ordinanza che avrebbe impedito la distribuzione diretta da parte di volontari e attivisti di cibo a acqua ai migranti, aveva dichiarato: “L’accanimento su chi aiuta è una forma moderna di martirio, ma non bisogna aver paura e bisogna andare avanti: la storia dell’umanità è fatta di persone che , pagando sulla propria pelle, hanno sfidato delle leggi ingiuste, e se quelle persone non avessero fatto questi passi coraggiosi noi oggi non potremmo godere di certe libertà che hanno reso migliore la nostra società .”
Contattato l’avvocato d’ufficio del foro di Imperia indicato nel verbale, riferisce di non aver ancora ricevuto la notifica dall’autorità giudiziaria.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2017 Riccardo Fucile
L’ATTO DEPOSITATO OGGI, ORA CI SARA’ DA RIDERE
Marika Cassimatis, l’ex candidata sindaco di Genova per il M5S, votata dagli attivisti e poi sconfessata da Beppe Grillo , ha presentato querela per diffamazione nei confronti del garante del movimento, Beppe Grillo, e del deputato del M5S Alessandro Di Battista.
La querela è stata depositata oggi in Procura a Genova.
In particolare Cassimatis – che resta chiusa nel suo silenzio stampa – contesta a Grillo di averle attribuito comportamenti scorretti che invece la ormai ex candidata dei 5 Stelle non avrebbe tenuto.
L’ipotesi di diffamazione riguarderebbe i contenuti di quanto lo stesso Grillo ha scritto sul suo blog il 17 marzo accusando Cassimatis e i candidati della sua lista di aver «ripetutamente e continuativamente danneggiato l’immagine del MoVimento 5 Stelle, dileggiando, attaccando e denigrando i portavoce e altri iscritti, condividendo pubblicamente i contenuti e la linea dei fuoriusciti dal MoVimento 5 Stelle; appoggiandone le scelte anche dopo che si sono tenuti la poltrona senza dimettersi e hanno formato nuovi soggetti politici vicini ai partiti».
Sulla sua pagina Facebook, Cassimatis ha reiterato questo messaggio:
«Ripeto questo post perchè non ho ancora ricevuto notizie da Beppe Grillo. Lista non idonea?
1) fedina penale linda e pulita
2) militanza con altri partiti? Non pervenuta
3) precedenti candidature in liste concorrenti al M5s? Non pervenute
4) anni di attivismo sul territorio? Pervenuti
5) lavoratori e lavoratrici economicamente indipendenti? Pervenuti
…ma allora? Di che stiamo parlando? …»
(da “il Secolo XIX”)
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