Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile VIOLATO LO STATUTO CHE GRILLO STESSO AVEVA FATTO VOTARE…NON POTEVA ESCLUDERLA SENZA GRAVI MOTIVI E PROVE MAI ESIBITE… NON POTEVA FAR VOTARE GLI ISCRITTI DI TUTTA ITALIA, MA SOLO QUELLI GENOVESI…FACILE CHE IL TAR LA REINTEGRI: ECCO COSA PUO’ ACCADERE
Marika Cassimatis insieme ad altri dieci attivisti del MoVimento 5 Stelle ed aspiranti consiglieri, componenti della lista che ha vinto le comunarie di Genova, ha deciso (ex articolo 23 C.C.), assistita dagli avvocati Alessandro Gazzolo e Lorenzo Borrè, di chiedere al tribunale civile di Genova l’annullamento della decisione con cui Beppe Grillo l’ha esclusa dalla corsa.
Siamo in grado di raccontarvi quali argomenti la candidata porterà in tribunale. In attesa della decisione del giudice
I motivi sono sostanzialmente tre.
Il primo è la violazione dell’articolo 2 del regolamento del M5S: nel post che ha annunciato la decisione Grillo ha ricordato che “era stabilito che il Garante del MoVimento 5 Stelle si riserva di escludere dalla candidatura, in ogni momento e fino alla presentazione della lista presso gli Uffici del Comune di Genova, soggetti che non siano ritenuti in grado di rappresentare i valori del MoVimento 5 Stelle”.
Ma, si spiega nell’atto, la figura di garante del M5S non è presente nel regolamento del MoVimento 5 Stelle: gli organi sociali stabiliti sono esclusivamente l’Assemblea, il Capo Politico, il Collegio dei Probiviri e il Comitato d’appello.
Non solo: nello stesso articolo 2 c’è scritto che le decisioni prese dall’assemblea — tra le quali c’è la scelta dei candidati da presentare alle elezioni sotto il simbolo del M5S — “sono vincolanti per il capo politico del MoVimento 5 Stelle”.
Insomma, Grillo, che non è il garante del M5S semplicemente perchè quella figura non esiste, doveva sottostare alla scelta del voto per Statuto e, tecnicamente, è lui che lo sta violando.
Per quanto riguarda la clausola che Grillo ha citato nel post per giustificare la cacciata della Cassimatis, nell’atto si afferma che va letta interamente:
“ il Garante del MoVimento 5 Stelle si riserva di escludere dalla candidatura, in ogni momento e fino alla presentazione della lista presso gli Uffici del Comune di Genova, soggetti che non siano ritenuti in grado di rappresentare i valori del MoVimento 5 Stelle. In ragione di ciò si comunica che ai fini della partecipazione alle comunarie è requisito necessario e fondamentale, pena l’esclusione, non essere sottoposti a procedimenti penali, ad indagini preliminari e non aver riportato nessuna [sic] condanna in qualunque grado di giudizio”.
Per come è scritta l’intervento del garante potrebbe essere valido in caso di “scoperta”, a carico dei candidati, di procedimenti penali, indagini o condanne.
Ma niente di tutto ciò è venuto fuori a carico dei candidati
Il secondo motivo di nullità è il processo staliniano che ha subito la Cassimatis.
Che è stata accusata di aver tenuto comportamenti che hanno “danneggiato l’immagine del MoVimento 5 Stelle, dileggiando, attaccando e denigrando i portavoce e altri iscritti, condividendo pubblicamente i contenuti e la linea dei fuoriusciti dal MoVimento 5 Stelle”.
Ma questi fantomatici comportamenti non sono stati mai elencati o spiegati da Grillo, che ha solo detto agli iscritti “fidatevi di me” senza fornire prove.
E quindi ha preso una decisione “in violazione dei principi di difesa e contraddittorio stabiliti dagli artt. 24 e 111 Cost.”, visto che non ha permesso alla Cassimatis e agli altri di replicare alle accuse e di difendersi.
Il terzo motivo è quello più curioso: la decisione di inibire la corsa della Cassimatis con il simbolo del M5S a Genova e quella di chiedere agli iscritti se far correre al suo posto lo sconfitto Luca Pirondini è stata presa in violazione del regolamento e dello statuto del M5S.
L’articolo 3 del regolamento infatti prevede che per la scelta dei candidati si voti con un preavviso di 24 ore mentre Beppe ha indetto subito la votazione per incoronare il candidato “favorito” dalla scelta di escludere la Cassimatis.
Poi: potevano votare solo gli iscritti di Genova perchè lo stesso regolamento M5S — citato dagli eletti nei giorni successivi per “spiegare” la decisione di far votare tutti — prevede che “l’unica ipotesi in cui gli iscritti nazionali possono votare su questioni di ambito locale riservate agli iscritti residenti in detto determinato distretto locale, riguarda l’ipotesi in cui il Capo Politico o un quinto degli iscritti chieda di sottoporre a convalida le decisioni adottate in votazioni limitate agli iscritti di singoli ambiti territoriali”.
Poteva quindi convalidare il voto di Cassimatis (ovvero chiedere all’assemblea di invalidarlo), non farne fare un altro.
Per questi motivi la Cassimatis e gli altri chiedono una procedura d’urgenza per chiedere al giudice di sospendere il provvedimento nei suoi confronti.
Se il tribunale le darà ragione lei tornerà ad essere la candidata dei 5 Stelle a Genova, oppure Grillo deciderà di far votare il ritiro della lista come prevede lo Statuto che lo stesso Grillo ha fatto votare agli iscritti.
Gettando il MoVimento nel caos.
A Genova e nel resto d’Italia.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile DA DUE ANNI E MEZZO I GRILLINI AMMINISTRANO IL COMUNE E DA DUE ANNI E MEZZO NON RIESCONO A FAR APPROVARE IL BILANCIO… QUALCUNO CI SPIEGA CHE COLPA HA LO SPAZZINO DEL COMUNE SE L’ASSESSORE GRILLINO NON FA IL SUO DOVERE?
Il sindaco di Bagheria Patrizio Cinque, del MoVimento 5 Stelle, ha annunciato che il Comune
sospenderà il pagamento degli stipendi dei dipendenti comunali fino a che non verrà presentato il bilancio previsionale del 2017.
Fino a quel momento il sindaco, gli assessori e soprattutto i circa 400 dipendenti comunali non percepiranno lo stipendio.
Nell’aprile 2014 i 5 Stelle hanno ottenuto un successo storico: Patrizio Cinque, candidato del MoVimento, è diventato sindaco di Bagheria, un comune di cinquantamila abitanti in provincia di Palermo.
Lì come altrove i 5 Stelle hanno sperimentato le difficoltà del governo di una città , perdendo un gran numero di assessori lungo il cammino.
Uno dei problemi principali è il ritardo nella presentazione dei bilanci.
Il Comune amministrato dai pentastellati ha accumulato un grave ritardo per la redazione dei documenti contabili relativi agli anni 2013-2014-2015-2016 e 2017.
In buona sostanza è dal 2013 che i bilanci e rendiconti del Comune di Bagheria non vengono approvati e quindi il Comune sta operando in una “fase” di gestione provvisoria.
Il sindaco ha così deciso di premere sull’acceleratore sospendendo il pagamento degli stipendi nella speranza che questo sia da stimolo a procedere con le operazioni di redazione dei bilanci:
In poche parole i 5 Stelle stanno accusando gli uffici comunali di non aver lavorato abbastanza.
Qualche settimana fa il collegio dei revisori dei conti aveva fatto notare all’Amministrazione comunale come il ministero degli Interni avesse dato 120 giorni di tempo — a decorrere dal 5 agosto — per l’approvazione dei bilanci.
Il termine è scaduto e il Comune, hanno scritto i revisori, “non risulta essersi dotato degli strumenti programmatori quali bilancio di previsione annuale e pluriennale che le consentono una corretta gestione finanziaria”.
Il sindaco ha promesso che nei prossimi giorni tornerà sulla questione ma nel frattempo le opposizioni scalpitano e vanno all’attacco chiedendo le dimissioni dell’assessora al bilancio.
Se da un lato il MoVimento 5 Stelle si difende addossando alle amministrazioni precedenti le ragioni del grave dissesto dei conti pubblici è pur vero che in questi due anni e mezzo i pentastellati non sono riusciti a presentare i bilanci consuntivi del 2013 e del 2014 e quelli previsionali per il 2015, 2016 e 2017 (la cui scadenza peraltro è il 31 marzo).
In particolare in un video pubblicato su Facebook il segretario PD Orazio Amenta chiede come “come siano stati effettuati da questa amministrazione affidamenti a ditte, come sono state fatte le gare d’appalto, come sono stati banditi i concorsi, come sono stati pagati gli straordinari e come sono state fatte consulenze a pagamento”.
Se è vero che la situazione ereditata dai 5 Stelle era già disastrosa è impossibile non far notare come i 5 Stelle in campagna elettorale avessero promesso di risanare completamente la città , i conti pubblici e la macchina amministrativa.
C’è anche da chiedersi cosa abbia fatto in questi due anni e mezzo l’amministrazione comunale (ed in particolare gli assessori al bilancio) per lavorare alla redazione e all’approvazione del bilancio.
Dopo tutto questo tempo continuare ad incolpare chi li ha preceduti e, da oggi, l’inerzia degli uffici sembra un tentativo di trovare una comoda scusa.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile PERCHE’ E’ STATA SCELTA LA SPIAGGIA DI SAN FOCA NEL COMUNE DI MELENDUGNO, AREA A VOCAZIONE TURISTICA, E NON SQUINZANO, GIA’ COMPROMESSA A LIVELLO INDUSTRIALE E CHE E’ PIU’ VICINA A MESAGNE, SNODO DELLA RETE DEL GAS?…QUALI INTERESSI SI NASCONDONO?
Una domanda molto semplice vorremmo rivolgere al ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti a proposito del Tap, il gasdotto che farà affluire in Italia il metano estratto in Azerbaigian: chi sono i proprietari originari dei terreni lungo i quali corre il tracciato della Trans Adriatic Pipeline?
Il ministro dichiara al “Corriere della Sera” che lo Stato ha valutato quattordici scenari alternativi prima di decidere che il miglior punto di approdo dell’opera è la spiaggia di San Foca nel comune di Melendugno, in provincia di Lecce.
E che per far transitare l’infrastruttura basterà espiantare e ripiantare qualche centinaia di alberi di ulivo.
C’è tuttavia qualcosa che sfugge in questa vicenda e che si scontra con la logica e con il buon senso: perchè è stato scelto Melendugno, area a vocazione agricola e turistica, come punto d’arrivo del tubo sottomarino proveniente da Grecia e Albania e non invece la costa del comune di Squinzano, zona già compromessa a livello industriale e a un tiro di schioppo da Mesagne, punto di snodo della rete nazionale di trasporto del gas?
Che senso ha realizzare una bretella terrestre di 55 chilometri tra San Foca e Mesagne, i cui costi graveranno sulla bolletta degli italiani, quando il gasdotto potrebbe sfociare a pochi chilometri da Mesagne con minori spese e minore impatto ambientale e da lì innestarsi direttamente nella grande rete della Snam che si dirama in lungo e in largo per l’Italia?
Questo chiedono le popolazioni locali e questo chiede da tempo e a gran voce il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che sul trasferimento del punto di arrivo del Tap aveva assunto un preciso impegno con gli elettori in campagna elettorale.
Peraltro il consiglio comunale di Squinzano ha posto come condizione ineludibile al possibile arrivo del Tap entro i confini municipali la trasformazione della non lontana centrale a carbone di Cerano in un più moderno impianto alimentato a gas naturale.
Per motivi di trasparenza, sarebbe quanto mai opportuno che il governo facesse chiarezza sia sull’itinerario preciso dell’opera, sia sugli eventuali passaggi di proprietà dei terreni che saranno attraversati dal “tubo” lungo i 55 chilometri compresi tra Melendugno e Mesagne.
A chi appartenevano quei terreni, a chi appartengono oggi?
Che tipo di contratti sono stati stipulati con i proprietari? Perchè il Tap deve assolutamente approdare a San Foca e non altrove?
Perchè tutti gli altri siti esaminati durante l’iter autorizzativo sono stati scartati? E quali sono questi altri siti?
In Commissione antimafia, durante una sua audizione, Emiliano ha posto una serie di interrogativi sul Tap. Sono stati presi in considerazione?
Nessuno mette in discussione la necessità di un’opera importante per un paese manifatturiero con una forte dipendenza dagli approvvigionamenti esteri di gas naturale. Tanto meno Emiliano.
Però non è la prima volta che un’attività industriale collegata al settore dell’energia suscita appetiti inconfessabili, soprattutto al Sud.
Negli anni ’50, in Sicilia, la realizzazione del petrolchimico di Gela da parte dell’Eni arricchì i vecchi proprietari dei terreni su cui sorge l’impianto, e sembra che la mafia ne avesse fatto incetta essendo stata informata anzitempo dei progetti dell’allora ente petrolifero.
E intorno al rigassificatore di Panigaglia, costruito negli anni ’60 dalla Esso in una delle più belle località del golfo di La Spezia (oggi di proprietà della Snam), sembra abbia costruito parte delle proprie fortune un altissimo dirigente dell’Eni il quale sarebbe stato azionista occulto della società che gestiva il traffico delle navi metaniere per il trasporto del gas liquefatto dalla Libia alla Liguria.
La storia non si ripete mai uguale, ma ignorarla del tutto sarebbe un errore imperdonabile.
(da “Business Insider”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile INCONTRO ORGANIZZATO GRAZIE ALLA MEDIAZIONE DI TAJANI…E SALVINI ROSICA
Faccia a faccia con “Angela”, Cancelliera d’Europa. E pazienza per le risate ironiche e i dissapori di
un tempo.
Il momento è delicato per Silvio Berlusconi, a meno di un anno dalle Politiche e a pochi mesi dalla sentenza di Strasburgo per l’agognata riabilitazione.
Bisogna riannodare i fili con i leader popolari e con chi conta in Europa. A cominciare proprio dalla Merkel.
Ci sono voluti giorni di lavoro sottotraccia e tutta la diplomazia di Antonio Tajani – all’esordio nella kermesse Ppe da presidente del Parlamento – per ritagliare nell’agenda del capo del governo tedesco i minuti necessari a un incontro con l’ex premier italiano. Un bilaterale informale – come viene definito da chi ci ha lavorato – è previsto tra i due domani, a margine della giornata conclusiva del congresso del Ppe che inizierà oggi a Malta e al quale prenderanno parte anche Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini.
Nelle ultime ore – dopo vari ripensamenti – Berlusconi ha deciso che pur andando non prenderà la parola, nessun discorso ufficiale dal palco dell’Intercontinental dove si terranno i lavori.
“Basta, parlerò davanti ai colleghi europei quando tornerò nel pieno delle mie facoltà politiche”, è stata la conclusione.
Ascolterà piuttosto dalla platea gli interventi più attesi, quello di Frau Merkel in primo luogo.
“Per me è importante, lo capisci”, è la raccomandazione rassegnata dal capo forzista al “suo” Tajani per caldeggiare un incontro con lei.
Il presidente del Parlamento europeo gode di un ottimo rapporto personale con la Cancelliera, costruito con pazienza anche negli anni bui della guerra berlusconiana alla Germania e alla Francia di Sarkozy (post conferenza stampa con ghigno ironico dei due all’indirizzo dell’allora premier italiano in procinto di dimettersi, era il 2011).
Ma il tempo passa e le condizioni mutano.
Con la Merkel Berlusconi ritiene di aver già chiarito le incomprensioni, comprese le voci su una sua presunta battuta poco elegante, già a margine del precedente congresso del Ppe, nell’autunno 2015 a Madrid.
Adesso vuole spiegarle che è ancora lui il leader di riferimento dei moderati in Italia. Che con i sovranisti alla Salvini lui non c’entra, ma che con la Lega amministra già da anni in comuni e regioni.
Che solo la sua presenza garantirà da una deriva dei populisti nel nostro Paese. La convincerà ? Un analogo vertice il leader dovrebbe averlo anche col premier spagnolo Mariano Rajoy, col quale i rapporti invece sono consolidati.
E come nelle precedenti, rare puntate all’estero, Berlusconi sarà seguito da una maxi delegazione (stavolta una cinquantina) di parlamentari-supporter, in genere la claque più rumorosa e affollata, che non passa mai inosservata in casa Ppe.
Facile immaginare come il leader leghista – già in campagna con tanto di manifesti “Salvini premier” – abbia preso la notizia.
“Berlusconi andrà a Malta con la Merkel e tutti i leader democristiani d’Europa. La domanda sul nostro rapporto fatela a lui, non a me”
(da “La Stampa”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile A LIVELLO NAZIONALE RENZI 69%, ORLANDO 27%, EMILIANO 4%
“Arrivano i primi dati dai circoli Pd della provincia di Lecce, provincia della sottosegretaria Bellanova, stravince Emiliano, seguito da Orlando, mentre Renzi rimane a bocca asciutta. A Parabita Emiliano al 97%, Orlando al 3%, Renzi 0. Così a Castro di Lecce, con Emiliano all’82%, Orlando al 18 e Renzi a 0. A Bagnolo di Lecce Emiliano 88%, parimerito di Orlando e Renzi al 6%. A Presicce Emiliano al 97%, Orlando al 3%, Renzi 0”.
E’ quanto si legge in una nota della mozione Emiliano.
Ieri il comitato di Matteo Renzi ha fornito i dati della votazione nel circolo Pd di Bari Murat, il seggio del governatore pugliese.
Tra i 107 votanti, 59 hanno scelto il segretario uscente (il 55%), 38 hanno votato per Emiliano, in 10 hanno scelto il terzo contendente della segreteria Pd, Andrea Orlando. A livello nazionale l’ex presidente del Consiglio è al 69%, Orlando al 27%, Emiliano al 4%.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile GIOVANNINI: “LA PROPENSIONE ALL’EVASIONE SALITA DAL 23,6% AL 24,8%, IL SOMMERSO E’ AL 30% NEI SERVIZI ALLE FAMIGLIE, AL 26% NEL COMMERCIO, AL 24% NELLE COSTRUZIONI, AL 20% NEI SERVIZI ALLE IMPRESE”… L’IRPEF SUL LAVORO AUTONOMO ARRIVATO AL 59%
Centodieci miliardi l’anno. A tanto ammonterebbe, in media, l’evasione fiscale e contributiva annua
in Italia.
A snocciolare il dato è stato il presidente della Commissione per la redazione della “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, Enrico Giovannini, in audizione alla Commissione Bicamerale, illustrando i dati del triennio 2012-2014.
Secondo i quali nel 2014 il tax gap, la differenza tra le imposte che si dovrebbero pagare e quelle effettivamente pagate si è allargato a 111,6 miliardi di euro da 108 miliardi del 2012 e in termini percentuali è compreso tra il 20 e il 30%.
Quindi nel triennio la propensione all’evasione è salita dal 23,6% al 24,8%, ha aggiunto Giovannini, sottolineando che “i settori dove maggiore è l’evasione quelli a più bassa crescita di produttività ”: il sommerso è al 30% nei servizi alle famiglie, 26% nel commercio, pubblici esercizi, 24% costruzioni, 20% nei servizi alle imprese. Caso a sè il tax gap per l’Irpef del lavoro autonomo e d’impresa: che nel 2014 si attesta al 59% (57% la media del triennio), mentre per il lavoro dipendente è al 4% e per l’Iva al 30%.
L’ex numero uno dell’Istat ha quindi ricordato che “l’Italia soffre di un problema di crescita della produttività da molti anni ed è evidente che nel momento in cui una impresa riesce ad andare avanti semplicemente attraverso l’evasione, ha molti meno incentivi a trovare una struttura più efficiente, ad investire, innovare, quindi l’evasione ha un ruolo molto importante in un generale grado di arretratezza del sistema economico”.
Secondo Giovannini “nell’attività di contrasto all’evasione viene fatto tantissimo ma ci sono anche dei limiti fisici dovuti alle risorse disponibili”.
Circa 200mila soggetti sono verificati annualmente rispetto a quattro milioni di imprese e ciò “mostra che c’è un limite fisico alla possibilità di indagini in loco”.
L’ex ministro del Lavoro ha quindi spiegato che “la nuova agenzia per le attività ispettive ha messo insieme la parte Inps, Inail e Ministero del Lavoro” e inoltre “ci sono molti altri soggetti che fanno ispezione, è c’è dunque una possibilità di aumentare ulteriormente la efficienza nell’integrazione delle banchi dati tra soggetti non statali e soggetti statali che potrebbe aiutare a fare una migliore attività di contrasto” all’evasione.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile IL PARTITO DIMEZZA I VOTI E CROLLA AL 7%, IN SASSONIA VIENE ATTACCATA DA AVVERSARI INTERNI NEONAZISTI E SCOPPIA IN UN PIANTO… TE LI SEI CRESCIUTI, ORA TE LI GODI
Le lacrime amare di Frauke Petry. Ora che l’Afd, il partito della destra populista tedesca è crollato al 7% nei sondaggi, stanno tornando a galla le sanguinose faide dei capi.
La caduta della Alternative fuer Deutschland ai minimi dall'”inverno dei profughi”, dal novembre del 2015, si fa sentire anche ai vertici.
A dicembre i populisti anti euro ruotavano attorno al 13-15%, al livello federale.
Ora galleggiano attorno alla metà , con tendenza al ribasso.
Così durante un congresso in Sassonia che l’ha votata con scarso entusiasmo capolista dell’Afd, attaccata frontalmente dai suoi avversari, Petry non è riuscita a trattenere il pianto.
In Germania i populisti si stanno rimpicciolendo. Merito, ovviamente, di una crisi dei profughi che sta rientrando, ma che tra il 2015 e il 2016 aveva regalato in cinque elezioni regionali al partito della Petry una popolarità da capogiro, attorno al 25% nei Land dell’Est, oltre il 10% in quelli dell’Ovest.
Nella regione del seggio elettorale di Angela Merkel, nel Meclemburgo-Pomerania, la destra era arrivata seconda, scalzando la Cdu. Uno schiaffo dolororo, per la cancelliera.
L’altro motivo della caduta dell’Afd si chiama Martin Schulz. Con il suo forte accento sui temi sociali, sta attirando una fetta di elettorato arrabbiato che si sentiva dimenticato dai partiti tradizionali.
Più in generale, il “grande centro” dei due partiti al governo si sta mangiando via i margini. In tutti i sondaggi da dicembre a oggi, cioè dalla discesa in campo di Martin Schulz e la ricandidatura di Angela Merkel, la Cdu e la Spd si sono ripresi tra il 60 e il 65% dell’elettorato tedesco. Rosicchiando voti ai Verdi, alla Linke e, appunto, all’Afd.
Frauke Petry, intanto, fatica a tenere insieme il partito.
Incinta al sesto mese del quinto figlio, la leader 41-enne è strattonata da alcuni membri di primissimo piano dell’Afd che vorrebbero imprimerle una svolta più nazionalista.
L’ala destra dei populisti è molto forte nei Land più cruciali, a Est, e continua a criticarla per aver avviato l’espulsione dell’antisemita Bjoern Hoecke.
L’opposizione a Petry si è anche espressa nella scelta del partito di non farla correre da sola, ma in tandem con il vice Alexander Gauland.
Di negarle insomma l’opportunità di essere la “spitenkandidat” unica del suo partito. Al congresso recente che con una percentuale piuttosto bassa, il 72% dei voti dei delegati, l’ha scelta come capolista, ha dovuto subire le sparate di due rivali, Roland Ulrich e Norbert Mayer, che l’hanno massacrata per la sua scelta di stigmatizzare gli antisemiti e i colleghi in odore di simpatie naziste.
E lei, sul palco di Weinboehla, non è riuscita a controllare la rabbia ed è scoppiata in lacrime.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile DIVERSI CASI GIUDIZIARI …. “LEGAMI CHE POSSONO AVER INFLUENZATO LA POLITICA AMERICANA”
Donald Trump, la sua società e i suoi partner si sono rivolti ripetutamente a ricchi cittadini e
oligarchi russi – molti dei quali legati alla criminalità organizzata – per espandere negli anni le loro attività immobiliari.
Lo sostiene il quotidiano Usa Today che cita casi giudiziari, documenti legali e governativi e un’intervista a un ex procuratore federale: sono emersi legami con almeno 10 uomini d’affari dell’ex Unione sovietica collegati ad organizzazioni criminali o al mondo del riciclaggio.
Ciò, afferma Usa Today, “solleva preoccupazione sulla possibilità che le politiche siano influenzate”.
Le indagini.
I collegamenti russi di Trump hanno suscitato interesse dopo che un’indagine dell’FBI ha evidenziato una possibile collusione tra la campagna elettorale del tycoon e la capacità di alcuni operatori russi di interferire sulle elezioni dello scorso autunno.
Ma non finisce qui: a quanto pare, Trump e le sue aziende hanno avuto rapporti d’affari con i russi risalenti a decenni fa, cosa che solleva dubbi sul fatto le sue politiche sarebbero state influenzate da interessi commerciali.
Lo scorso febbraio, Trump ha dichiarato di non avere avuto “rapporti con la Russia”: “Io non ho affari con la Russia, non ho contratti che si devono realizzare in Russia perchè mi sono tenuto lontano e non ho debiti in Russia”.
Eppure nel 2013, dopo aver incontrato alcuni investitori a Mosca, si vantava del suo patrimonio immobiliare e di conoscere russi ricchi e potenti. “Ho un ottimo rapporto con molti russi e quasi tutti gli oligarchi erano nella mia stanza”, aveva dichiarato, riferendosi ai russi che hanno fatto fortuna quando le ex imprese statali sovietiche sono state cedute a investitori privati.
Tra le persone che si sospetta abbiano avuto rapporti d’affari con Trump c’è un membro della società che ha sviluppato il Trump SoHo Hotel di New York: si tratta di un criminale condannato per due volte che ha trascorso un anno di prigione per aver accoltellato un uomo e poi tenuto sotto controllo per gli investimenti di Trump in Russia.
Un altro è un investitore del progetto di SoHo, accusato dalle autorità belghe nel 2011 per il riciclaggio di 55 milioni di dollari. Tre proprietari di immobili di Trump in Florida e Manhattan sono stati accusati accusati di appartenere a un gruppo criminale organizzato russo-americano.
C’è, poi, un ex sindaco del Kazakistan accusato a Los Angeles nel 2014 di nascondere milioni di dollari rubati dalla sua città : alcuni di questi soldi sono stati spesi per tre unità del l’hotel SoHo di Trump.
Infine, il proprietario ucraino di due palazzi di Trump in Florida è stato incriminato per riciclaggio di denaro in un’inchiesta federale che coinvolge un ex primo ministro dell’Ucraina.
Il mediatore immobiliare newyorkese, Dolly Lenz, ha detto di aver venduto circa 65 immobili di Trump a investitori russi, molti dei quali hanno chiesto di avere incontri personali con Trump. “Ho avuto contatti a Mosca con persone che volevano investire negli Stati Uniti – ha detto Lenz -. Tutti volevano incontrare Donald. Sono stati molto amichevoli. Molti di questi incontri sono avvenuti nell’ufficio di Trump nella Trump Tower o in occasione delle vendite”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile MA MOLTE ALTRE AZIENDE LI SEGUIRANNO
Il colosso assicurativo Lloyd’s of London è pronto a traslocare da Londra. È il primo segnale del grande esodo che interesserà una parte consistente del mondo finanziario, bancario e assicurativo alla luce dell’avvio della Brexit.
Bruxelles o Lussemburgo? In lizza per accogliere lo spostamento di parte delle attività in Europa di Llyod’s sono in due, ma la concorrenza, secondo quanto spiegano alcuni quotidiani stranieri come il belga Le Soir, è stata agguerrita fino all’ultimo e ha visto in campo città del calibro di Dublino, Francoforte, Parigi e La Valletta.
La scelta definitiva sarà comunicata questa sera, ma il dato è palese: il mito di Londra come capitale europea della finanza e dell’economia è già in caduta libera. E ora sono tutti pronti a raccogliere un’eredità che vale tantissimo.
Il trasferimento di Llyod’s sarà solo il primo di una serie che si preannuncia lunga e che interesserà anche il mondo bancario.
Hbos si accinge, infatti, a trasferire circa mille dipendenti a Parigi e, soprattutto, un quinto dei ricavi del trading generato nel Regno Unito nel giro di due anni.
Si muoverà anche Ubs, che riunirà a Francoforte una parte consistente della sua attività di gestione patrimoniale.
In subbuglio sono anche le banche inglese, piccole e grandi.
A ottobre scorso il capo della British Bankers’ Association, Anthony Browne, l’ha detto chiaramente: “Le loro mani sono sul pulsante del trasloco”.
Con la “hard Brexit”, infatti, Londra perderà il diritto di vendere servizi e prodotti finanziari all’Europa senza il pagamento di dazi e tariffe doganali. Un giro d’affari che rappresenta attualmente il 20% del fatturato della City e che ora rischia di azzerarsi.
Anche l’Italia proverà a giocare la sua partita, provando ad attrarre investimenti e capitali stranieri dalla City.
I piani allo studio vanno dallo sconto fiscale sui fondi di investimento, alla flat tax per attrarre i Paperoni stranieri, fino alla candidatura italiana per trasferire a Milano una delle più ambite sedi delle agenzie europee di base a Londra, l’Agenzia Europea per i Medicinali (Ema).
Ed è proprio il capoluogo lombardo il luogo deputato a captare chi sceglierà di lasciare Londra. Si guarda “non tanto a Roma, ma a Milano che abbiamo lanciato come possibile hub finanziario europeo, ha spiegato Il capo segreteria del Mef, Fabrizio Pagani, presentando la flat tax.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue si accinge, quindi, a sconvolgere il puzzle della ricchezza europea.
E i riflessi economici si intrecciano con quelli politici, come nel caso della Germania, ora decisamente “più dura” sulla Brexit, come titola il Financial Times.
Un irrigidimento che potrebbe mettere fortemente in bilico gli auspici di Londra che contava in una posizione di Berlino più morbida facendo leva sulla lobby dell’auto tedesca che è molto preoccupata per un possibile calo delle vendite e degli investimenti nel Regno Unito.
L’aria che tira in Germania si è fatta più tesa sulla Brexit e incidere in questo cambio di passo della Cancelleria sono molti fattori, dall’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti alla candidatura di Martin Schulz.
Prima Merkel auspicava che Londra restasse “il più vicino possibile” all’Unione europea. Ora, al contrario, sposa la linea della Commissione Ue, che “insiste – scrive Ft – sul fatto che i termini dell’uscita della Gran Bretagna siano negoziati prima che inizino i colloqui su qualsiasi altro tipo di relazione tra Londra e l’Unione europea. Il punto di vista della Merkel è che un accordo sulla Brexit venga siglato in via di principio, fuori del negoziato ufficiale, prima che possano essere discussi altri tipi di accordi”.
La posizione della Merkel, tra l’altro, è pienamente condivisa dai “falchi” di Berlino, a iniziare dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che non è disposto a concedere sconti a Londra.
“Qualsiasi intesa sull’articolo 50 (l’articolo che sancisce il divorzio dall’Ue ndr) – ha dichiarato Schaeuble – dovrà includere l’assicurazione da parte della Gran Bretagna che onorerà gli impegni finanziari che ha preso come stato membro dell’Ue”.
(da “Huffingtonpost”)
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