Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA MIGLIAIA DI STUDENTI E DI GIOVANI SI RIVOLTANO CONTRO L’OLIGARCHIA CORROTTA DI MOSCA.. UNA GIOVENTU’ INFORMATA E ORGANIZZATA IN RETE, IGNORANDO LA TV DEL REGIME… QUESTA E’ UNA VERA GIOVENTU’ NAZIONALE, NON I MANUTENGOLI NOSTRANI DELLA DESTRA PATACCA VENDUTI AGLI INTERESSI DEL CREMLINO
«Siamo per la giustizia», dice l’alunno in prima fila. «E cos’è esattamente la giustizia per voi?» chiede la maestra. «è ciò che non abbiamo ora».
In Russia «gli studenti di Briansk», 350 km a Sud-Ovest di Mosca, sono già diventati un meme, nuovi eroi dell’opposizione che con Navalny ha visto in piazza per la prima volta anche molti minorenni in età scolare, organizzatisi via chat segrete, tra un esame e l’altro. Una novità assoluta.
Nella cittadina di 400 mila abitanti, una settimana fa la polizia locale aveva arrestato uno scolaro, Maxim Losyev, per aver invitato via social network i compagni alla protesta a Mosca.
La preside li ha radunati in classe con l’insegnante per «raddrizzarli» e convincerli a non unirsi alla manifestazione, paventando una «guerra civile» secondo gli schemi del patriottismo filo-Putin.
Ma gli allievi l’hanno contestata punto su punto sulla «linea di partito», in un dialogo da Operette Morali filmato in segreto: finito sul web ed è già una hit. «Di chi è la colpa se siamo in crisi economica?» chiede la donna. «L’America, l’Europa, sono tutti contro di noi. Perchè abbiamo preso la Crimea. Che politica estera è?».
Chiamano Maidan «rivoluzione». Sul supposto intervento americano in Ucraina, uno azzarda: «Voi le avete viste le truppe americane in Ucraina?». «E voi avete visto le russe?». «Beh, ci sono un sacco di video che girano, lei non ha idea, e conosco gente che ha amici lì a combattere».
La maestra si dispera: «Abbiamo fallito con l’educazione civica. Possibile, in questa classe non c’è nemmeno un patriota?». Risate dai banchi.
Su Navalny: «Le nostre tv ci mostrano solo ciò che è buono per il governo. Noi cerchiamo più fonti». Putin e Medvedev? «Semplicemente, sono stati troppo al potere».
È la «Generazione Putin», nata intorno al 2000: non ha respirato un minuto di Unione Sovietica, non ha conosciuto altro presidente che Vladimir Vladimirovich.
Finora nei sondaggi erano quasi tutti fan del presidente, sognavano di entrare nei tanti gruppi giovanili putiniani creati dal Cremlino dai Nashi, figli del boom anni Duemila, «ascensore sociale» per la carriera, o l’ultima Yunarmia, boyscout militarizzati che il 9 maggio simuleranno un assalto a un Reichstag di cartapesta.
O gli ultrà degli stadi, a destra. Non guardano la tv, vivono di smartphone. Troppo giovani per ricordare i «terribili Anni 90» di Eltsin, dopo i quali nella retorica ufficiale Putin avrebbe «salvato il Paese».
Impermeabili a orgoglio bellico-patriottico, propaganda nostalgica e mito della Vittoria nel 1945: funziona solo coi più anziani.
E la rivolta dei ragazzini russi contro il regime si diffonde e diventa virale: al Conservatorio di Mosca a un allievo del quarto anno, Daniel P., il docente ha chiesto di leggere ad alta voce una lista di «nemici del popolo», la «quinta colonna» russa — dissidenti, Ong, giornalisti, politici liberali.
Una pratica settimanale da due anni. Lui ha eseguito con tono sarcastico: «Anche noi per lei quindi siamo traditori della patria?», riferendo poi ai media d’opposizione.
È stato minacciato di espulsione.
Una moda? Su Telegram circola l’appello di un «anonimo studente» a volto coperto in stile hacker: «L’86% [allusione al rating di Putin] — sono io, e amo il mio Paese. Ho sostenuto Putin, fino a quando il governo ha iniziato nervosamente ad aver paura degli studenti. Siamo migliaia».
Alla prestigiosa università Lomonosov, uno studente ha appeso la bandiera di Kiev per protestare contro le condizioni igieniche infami dei dormitori. Ora è sotto inchiesta.
In Siberia a Tomsk domenica al raduno ha preso il microfono Gleb Tomakov, quinta elementare, chiedendo una riforma della Costituzione e del codice penale.
Non un fenomeno di massa forse, la media dei giovani russi resta apolitica per i sociologi. Ma domenica in piazza i teenager scandivano: «Non vogliamo la Siria, vogliamo le strade a Irkutsk», «Mentre voi rubavate, noi crescevamo!» riferendosi a Putin e Medvedev, e definivano «feudale» la società russa.
Peccato non votino, notano gli scettici. Il vero nodo secondo Ekaterina Vinokurova, giovane reporter, è la fine del boom e la mancanza di prospettive: «Tra un anno la Russia dovrà scegliere un presidente, e non ci hanno ancora spiegato, perchè dovremmo prolungare il mandato di Putin. Quale visione del futuro offrono ai più giovani? Gli studenti di Bryansk non hanno nulla da perdere».
Lucia Sgueglia
(da “La Stampa”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
TRA INCERTEZZA E DELUSIONE: “CI SENTIAMO EUROPEI”… E C’E’ CHI PENSA DI CAMBIARE DESTINAZIONE… E NEL NOSTRO PAESE I SOVRANISTI ANTI-ITALIANI GIOIVANO PER LA BREXIT, FREGANDOSENE DEL DESTINO DI 600.000 CONNAZIONALI IN GRAN BRETAGNA
Antonio Polledri è il proprietario del Bar Italia, avamposto italiano a Londra. Siamo a Soho, il quartiere che per primo ospitò gli immigrati italiani, come gli avi di Antonio, in cerca di fortuna oltre Manica.
Il locale ricorda i bar di paese. Polledri sorride al paragone, gli piace l’idea. In fondo, spiega alternando l’inglese a un italiano che «ho imparato stando dietro al bancone», questo posto è come una comunità .
Il pavimento che posò lo zio di Antonio l’hanno calpestato in tanti, non solo turisti italiani, viaggiatori in cerca di lavoro, ma anche vip e star, Francis Ford Coppola è un habituè, Kylie Minogue ci viene per assaporare il gusto dell’espresso.
Quando tocchiamo il tema Brexit, Polledri sorride: «Nessuna paura – dice – certo l’economia soffrirà un po’, ma non ci sarà l’impatto sui turisti che possono godere di una sterlina più debole del 15-20 per cento rispetto a nove mesi fa».
Polledri ha votato Remain, e come lui moltissimi di origini italiane che stanno a Londra. Sono tranquilli, partecipi però dei timori che albergano in molti connazionali che hanno portato armi e bagagli in Gran Bretagna negli ultimi anni.
Alberto Costa è invece un deputato conservatore, ha votato Remain, si sente europeo ma lavora per la Brexit «perchè questa è la volontà popolare».
Sulla terrazza di Westminster racconta di aver ricevuto tantissime chiamate di italiani disperati. «Bisogna stare calmi, non succederà nulla».
La tranquillità di Costa non basta a placare quelle che più che paure sono delusioni. Barbara Fassoni, milanese 48 anni, architetto sposata con una figlia di 12 anni, ha scelto Londra due anni fa.
Non è pentita ma «sento un clima di incertezza, non so cosa accadrà ». «È come – si sfoga – sentirsi non più ospite gradito».
Andrea Guerini rischia invece di essere un cervello doppiamente in fuga. Ha 21 anni e presiede il gruppo studentesco italiano alla London School of Economics.
Originario di Crema, quando arrivò a Londra tre anni fa ebbe uno choc pazzesco. «Il Regno Unito dà chance ai giovani di essere artefici del proprio destino», dice.
Lui però il futuro lo edificherà negli Stati Uniti. «Il prossimo anno sarò alla Columbia University», aggiunge. La scelta americana non è del tutto estranea alla vittoria del Leave: Andrea aveva offerte da Cambridge e Oxford e dalla stessa Lse.
Ha preferito i grattacieli di New York al Tamigi. «Vedevo un vantaggio nello stare qui se Londra fosse rimasta in Europa, ma chi può dire cosa accadrà ?».
Myriam Zandonini, anche lei lombarda trentenne, da 5 anni a Londra, lavora alla City dove spifferi sempre più forti narrano di banche e istituti sul piede di partenza.
L’idea di tornare indietro, per Myriam, magari a Milano dove la sua società sta pensando di aprire una sede dall’anno scorso, ha messo radici. Ma c’è pure chi non ci pensa nemmeno a riporre tutto in un container e ripartire.
Devid, 27 anni, romano fa il cameriere in uno dei locali adiacenti a Covent Garden. È qui dal 2013, divide un appartamento con alcuni amici italiani. «Voglio una mia attività » dice mentre distribuisce caffè e hamburger.
E la Brexit? «Qui c’è lavoro e ce ne sarà ancora, poi se qualcosa cambia me ne vado altrove, magari in Spagna o in Australia, il mio sogno».
La fuga o il ritorno in patria lo toglie subito dal tavolo Alba Lamberti, 41 anni napoletana, lavora per un think tank. «Per me Londra è casa da 10 anni, i miei figli sono nati qui e sono inglesi. Io sono europea dalla testa ai piedi e non so immaginare un futuro diverso per loro».
Theresa May stamane dirà ancora che il Regno Unito si sente parte dell’Europa. Non basterà a togliere l’incertezza agli italiani d’Oltremanica.
Alberto Simoni
(da “La Stampa”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
CONTINUA LA PROTESTA A GENOVA CONTRO LA GIUNTA LEGHISTA E LA SUA RUOTA DI SCORTA
Un emendamento “furbetto” per concedere un altro anno di proroga agli esercizi commerciali che ospitano slot machine e attività di gioco. In modo da permettere loro di derogare, per un anno, dalle rigide regole che la stessa Regione Liguria aveva imposto cinque anni fa sui limiti (distanze e metrature da rispettare) per contrastare la ludopatia.
La giunta regionale infila poche righe nell’ambito di un disegno di legge sull’urbanistica (sulla soppressione del comitato tecnico per il territorio) per prorogare la vita delle slot in Liguria.
Una giocata d’azzardo, che avviene il giorno dopo la manifestazione contro la proroga svolta sotto i portici della Regione. Ma i consiglieri di opposizione se ne accorgono e gridano allo scandalo:
«Una decisione vergognosa, degna dei peggiori stratagemmi della Prima Repubblica. Toti forza un testo che non c’entra nulla con l’azzardo perchè non ha il coraggio di portare un provvedimento specifico in aula. Ci chiediamo se anche il candidato alle amministrative genovesi Bucci condivida la stessa linea che hanno sul gioco d’azzardo Toti e i suoi padrini politici in Regione» provoca il gruppo Pd.
«Una vera e propria norma taglia-dissenso: Toti va avanti a colpi di provvedimenti calati dall’alto», denuncia Fabio Tosi per il M5S.
E il caso scoppia nello stesso giorno in cui la Consulta delle associazioni contro il gioco a premi in denaro e il Coordinamento regionale “Mettiamoci in gioco” hanno incontrato i capigruppo dei partiti in Regione.
«Opinioni così autorevoli meriterebbero un dibattito vero, non i sotterfugi rifilati da questa giunta. – carica Gianni Pastorino di Rete a sinistra – Avevamo proposto di sospendere temporaneamente le sanzioni, avevamo prospettato un’applicazione graduale del provvedimento che, lo ricordiamo, attende da 5 anni. Ci avevano promesso tavoli di lavoro sul tema. Tutte parole al vento — sottolinea Pastorino -. Il prossimo anno proporranno un’altra proroga, e avanti così, c’è da scommetterci. Non fosse stato sufficientemente chiaro, il centrodestra preferisce ossequiare i concessionari e le associazioni di categoria».
Inevitabile che sia negativo anche il commento delle associazioni, rappresentate all’incontro da Angelo Cifatte, Clizia Nicolella, Domenico Chionetti e altri.
«La Giunta regionale formula il suo frettoloso verdetto a favore dell’azzardo avendo ascoltato esclusivamente le ragioni economiche dei commercianti e dimostrando completa insensibilità alle ripercussioni del gioco sulla salute, sull’integrità delle famiglie, sulla tenuta della legalità , sulla sicurezza e sul decoro dei quartieri, mentre le opinioni di operatori pubblici e privati e delle associazioni che riportavano i gravi costi sociali della piaga del gioco non sono state ascoltate», denunciano.
Siamo di fronte, qualora ce ne fosse bisogno, all’ennesima ipocrisia della giunta leghista con ruota di scorta Toti: nelle piazze contro il gioco d’azzardo, quando governano con i biscazzieri.
Perchè sia chiara una cosa: chi ha un bar o una tabaccheria vuol dire che ha scelto il mestiere di vendere caffè, panini e bibite o sale e tabacchi, non di guadagnare con il gioco d’azzardo.
Per qualche anno ha lucrato, grazie allo Stato, anche su questo? Bene, la pacchia è finita, torni al suo mestiere.
Di famiglie rovinate ce ne sono troppe.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
MANDANTE DELL’AGGRESSIONE AI DANNI DI UN CLIENTE CHE AVEVA FATTO COMMENTI SUI SUOI GUAI GIUDIZIARI
Il giudice monocratico Adriana Petri ha condannato l’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito a 5 mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena per lesioni in concorso.
Belsito, difeso dagli avvocati Alessandro Storlenghi e Paolo Scovazzi, era accusato di essere il mandante del pestaggio, avvenuto nel novembre del 2012, all’interno della discoteca Sol Levante di Cavi di Lavagna, ai danni di un cliente “colpevole” di aver fatto commenti sarcastici sui suoi guai giudiziari.
Sei mesi di reclusione con pena sospesa per il buttafuori Giuseppe Fragalà , autore materiale del pestaggio.
Il giudice ha stabilito che Belsito e Fragalà dovranno pagare in solido una provvisionale da 9 mila euro alla vittima del pestaggio, mentre il risarcimento complessivo del danno sarà quantificato in un separato procedimento civile.
Belsito di fatto era il proprietario-gestore della più grande discoteca del levante ligure anche se le quote erano intestate ad altri , così come della più rinomata gelateria di Genova, intestata alla madre.
Interessi acquisiti dopo aver fatto il tesoriere della Lega.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
UNO DEI FERMATI ERA STATO ARRESTATO PER DROGA E RILASCIATO IL GIORNO PRIMA, PUR AVENDO 300 DOSI DI COCAINA, 150 DI CRACK E 600 DI HASHISH…AVVOCATI RINUNCIANO ALLA DIFESA: “COLLEGHI MINACCIATI E MALMENATI”… I DUE ARRESTATI IN ISOLAMENTO, SI TEMONO VENDETTE IN CARCERE
Fermato dai carabinieri la sera del 23 marzo, rilasciato il 24 mattina. E dopo qualche ora protagonista del pestaggio che ha causato la morte di Emanuele Morganti.
Mario Castagnacci, uno dei due presunti assassini del 20enne di Alatri, era stato arrestato dalle forze dell’ordine la sera prima dell’omicidio perchè con tre suoi amici era stato trovato in possesso di droga.
Non si parla di piccole quantità : 300 dosi di cocaina, 150 di crack e 600 di hashish. Tanta droga. Ad eseguire l’operazione erano stati i carabinieri della Stazione San Pietro durante un’operazione in un appartamento a Roma.
Il 24 marzo, ovvero il giorno dopo, i 4 erano comparsi davanti al gip di Roma che aveva convalidato gli arresti ma rimettendoli in libertà senza richiedere l’osservanza di nessun tipo di obbligo.
Il motivo? Il giudice ha riconosciuto la tesi difensiva del “consumo di gruppo” e, di fatto, ha sancito la scarcerazione dei quattro.
Tutto secondo la legge? Saranno le indagini a stabilirlo.
Fatto sta che Castagnacci è libero. E ritorna ad Alatri. La sera esce con gli amici e con il fratellastro Paolo Palmisani e, nella notte il 24 e il 25 marzo, avviene l’omicidio di Emanuele Morganti: il 27enne Castagnacci è considerato dagli investigatori autore anche del colpo mortale. Non solo.
Per gli inquirenti, all’origine della ferocia insensata messa in atto da Castagnacci e dal fratellastro Paolo Palmisani (fermato anche lui) vi sia stata l’assunzione di un mix di droghe e alcol.
Castagnacci, poi, ha anche alcuni precedenti specifici: nel 2011 era stato arrestato perchè in possesso di 5 chili di hashish ed attualmente ha un procedimento in corso, sempre per traffico di stupefacenti.
L’avvocato Tony Ceccarelli, legale di Mario Castagnacci, uno dei fratellastri accusati di aver pestato a morte Emanuele Morganti ad Alatri, ha deciso di rinunciare all’incarico. “E’ stata una decisione autonoma, presa senza alcuna pressione”, sottolinea il legale. “Lo dico — specifica — perchè in questi giorni sono stati molti i colleghi, anche di indagati più marginali, che sono stati minacciati e malmenati”.
Intanto Castagnacci e Paolo Palmisani, i due ragazzi fermati per l’omicidio, sono stati posti in regime di isolamento nel carcere romano di Regina Coeli.
La decisione è stata presa per il rischio di ritorsioni e minacce nei confronti dei due ragazzi da parte di altri detenuti.
Ieri sera ad Alatri si è svolta una fiaccolata in memoria di Emanuele a cui hanno partecipato circa mille persone. Tanti giovani e tanta commozione.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
NON HA FATTO IN TEMPO A FARE LA FOTO RICORDO CHE SONO FINITI OUT SETTE MEZZI SU QUINDICI IN DUE GIORNI
Ieri abbiamo parlato dei quattro filobus finiti in panne nel giorno dell’inaugurazione in pompa magna da parte dell’ATAC e della Giunta Raggi. Un mezzo surriscaldato, due con problemi alla centralina e un quarto disperdeva corrente elettrica. N
el frattempo, scrive oggi Repubblica Roma, se ne sono fermati altri tre
Dopo le 4 vetture rotte durante l’inauguration day, ieri tre filobus hanno accusato guasti al motore e alle centraline. Il primo sul 60 alle 5 di mattina, sulla Colombo, altezza largo Loria, mentre la vettura si recava – al di fuori della linea elettrica – dal deposito di Tor Pagnotta al capolinea di Porta Pia per prendere servizio: il motore si è bloccato e la vettura è stata riportata in deposito.
Gli altri due casi sul 90, sulla Nomentana, durante il percorso elettrico: a causa di un guasto alle centraline la prima vettura non riusciva a passare alla corrente elettrica. Infine una terza costretta viaggiare con le porte aperte: immediato lo stop e il rientro in deposito.
In sostanza siamo al secondo giorno e le vetture ferme ai box sono già sette su quindici. E ci rimarranno ancora: l’azienda non ha meccanici specializzati per riparare filobus di ultima generazione e il contratto di manutenzione, affidato al costruttore Breda Menarini, parte fra un mese.
A gettare acqua sul fuoco è il presidente della commissione mobilità , Enrico Stefano, che parla di «guasti fisiologici dopo anni di abbandono. I filobus sono operativi, abbiamo impresso una svolta»
Lo stesso Stefà no ieri su Facebook se l’è presa con il Corriere della Sera Roma, “reo” a suo dire di essere in contraddizione perchè prima si lamentava dei 45 filobus fermi e oggi si lamenta “perchè camminano”. In realtà , come gli fanno notare nei commenti, «Enrico sei abbastanza intelligente da capire che si grida allo scandalo perchè sono fermi, e si grida allo scandalo perchè oggi camminano a Benzina . E sono filobus, cioè elettrici. Tanto è che di 15, 4 si sono già guastati».
In effetti il punto che pare sfuggire al consigliere esperto di mobilità della Giunta Raggi è proprio questo: le vetture sono state progettate per viaggiare con il motore elettrico, il diesel è previsto solo per piccoli spostamenti, per evitare ostacoli improvvisi, in caso di caduta nella tensione di rete.
In più le vetture che si sono rotte rimarranno ferme in deposito a Tor Pagnotta e non è chiaro se l’azienda potrà riutilizzarle, anche perchè non dispone di tecnici specializzati per la riparazione di filobus di ultima generazione.
Una circostanza che ieri ATAC ha negato in una nota stampa: «questi motori sono progettati per consentire la marcia autonoma del mezzo anche in assenza della rete filoviaria e che i percorsi di esercizio sono stati valutati anche in relazione all’autonomia disponibile dei motori termici diesel».
Visto che anche ieri se ne sono rotti tre, forse i filobus non lo sanno?
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »
Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
A CARTA BIANCA PENOSA GAFFE DEL “FUORICORSO GRILLINO” CHE VUOLE CITARE COSE CHE NON CONOSCE… DE BORTOLI ASSISTE ALLIBITO
Luigi Di Maio ha dato un’altra prova del fatto che è ormai pronto a diventare Imperatore del Mondo for ever and ever: nell’intervento a Carta Bianca su Raitre ha detto che i Certificati di Credito Fiscale (che il blog di Grillo ha di recente riproposto in un post firmato da Gennaro Zezza) “li hanno inventati economisti come Ortona e il defunto psicologo come Gallini che tra l’altro ha scritto proprio sul giornale di Giannini”.
In realtà lo “psicologo Gallini” è il sociologo del lavoro Luciano Gallino, scomparso nel novembre 2015, che firmò la prefazione a un e-book di Micromega (e quindi non “sul giornale di Giannini”) che ospitava gli interventi di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini e che è stato recentemente riproposto sul sito di Micromega.
I “certificati di credito fiscale” consistono in titoli con i quali lo Stato dovrebbe pagare spese varie e che, nelle intenzioni dei promotori, avrebbero valore perchè con essi ci si potrebbero pagare le tasse.
I CCF secondo costoro diverrebbero quindi una moneta di fatto, che potrebbero essere utilizzati anche per comprare la frutta al mercato. Anche Berlusconi ha parlato di questa possibilità e il responsabile economico della Lega ha proposto dei “mini-bot” da emettere prima di uscire dall’euro.
In realtà , come ha spiegato ieri Guido Iodice, l’idea non è così semplice da attuare come sostengono i promotori, i quali in primo luogo danno per scontato che l’emissione di questa quasi-moneta non violi i Trattati.
Ammesso che sia così, tuttavia è facilmente immaginabile che la Commissione europea chiami lo Stato a rispondere davanti alla Corte di giustizia.
L’incertezza sull’esito farebbe precipitare il valore del CCF nei confronti dell’euro, rendendoli poco più che carta straccia.
Ammettendo però che la Commissione non ci porti davanti alla Corte per violazione dei Trattati, in ogni caso i CCF andrebbero sommati allo stock del debito pubblico. Anche qui, i promotori insistono sostenendo che non sia un problema, ma la Commissione potrebbe porre comunque ostacoli che minerebbero la fiducia del pubblico.
E siccome il valore di un mezzo di pagamento dipende dalla fiducia del pubblico, i CCF presto precipiterebbero nei confronti dell’euro, con effetti sociali noti: nei paesi in cui vige la doppia circolazione valutaria la moneta forte diventa quella dei ricchi, la moneta debole è per i poveri.
Secondo i promotori l’aumento di spesa tramite CCF dovrebbe generare effetti moltiplicativi che permetterebbero maggiore crescita e quindi aumento del gettito fiscale.
La gente però potrebbe semplicemente decidere di non spendere i CCF, ma detenerli fino a quando potranno essere usati per pagare le imposte, peraltro l’unico momento in cui il valore dei CCF potrebbe essere considerato sicuro ed uguale a quello stampato sul pezzo di carta. In tal caso, l’effetto espansivo sarebbe nullo e lo Stato si troverebbe con un buco di bilancio imprevisto.
Il modello spesso richiamato è quello dello Stato della California che nel luglio 2009, di fronte ad una grave crisi delle proprie finanze, emise delle “promesse di pagamento” (Registered Warrants) per pagare i dipendenti pubblici, i fornitori e coloro che vantavano diritti a rimborsi fiscali per 2,37 miliardi di dollari.
Anche i Warrants potevano essere usati per pagare le tasse dovute allo Stato della California e avevano persino un tasso di interesse. L’esperimento non fu propriamente un successo: le principali banche si rifiutarono dopo pochi giorni di accettare questi “pagherò” (o come li chiamano gli americani, IOU, che sta per I Owe You, “io ti devo”).
Solo dopo ingenti tagli di spesa e aumenti delle imposte decisi dallo Stato, alcune di esse tornarono sui loro passi e ricominciarono ad accettare i Warrants.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
QUALCUNO LO AVVISI CHE ESISTONO ANCHE GLI IDRANTI… IL GOVERNO DOVEVA COINVOLGERE LA REGIONE E I COMUNI NELLA LOCALIZZAZIONE, NON L’HA FATTO… ESISTEVANO SOLUZIONI MENO IMPATTANTI SUL TERRITORIO
I manganelli della polizia,i malori della gente, gli spintoni, e volano sassi.
Otto i feriti, tutti in maniera lieve, fra agenti e popolo che contesta: è stata una giornata di tensione quella trascorsa davanti ai cancelli del cantiere Tap di Melendugno, in Salento, dove sono ricominciati i lavori di espianto di circa 200 ulivi dal tracciato del microtunnel del gasdotto che porterà in Italia il gas dell’Azerbaijan e dove da giorni protestano gli attivisti No Tap: chiedono la sospensione delle operazioni di eradicazione degli alberi e sono contrari al progetto di Trans Adriatic Pipeline.
Le forze dell’ordine in assetto antisommossa hanno cinturato il cantiere in località San Basilio, a San Foca di Melendugno, e forzato per tre volte i sit-in messi in atto da un centinaio di manifestanti, mentre un elicottero della polizia sorvolava la zona, presidiata da circa 300 persone, tra cui anche una cinquantina di studenti di scuole medie superiori, accompagnati da docenti.
“E’ una giornata triste per la democrazia”, dice il sindaco di Melendugno, Marco Potì. “Quando sono avvenute le cariche sono stato allontanato insieme a sei sindaci con la fascia, a consiglieri regionali, a donne e bambini: il capo di una società privata ha chiesto e ottenuto la protezione dello Stato italiano per fare la sua attività e lo Stato italiano ha inteso assecondarlo malgrado il parere negativo di istituzioni e cittadini”.
L’attacco di Emiliano.
Ancora più duro il governatore della Puglia: “Il governo – attacca Michele Emiliano – dà la misura della sua incapacità di ascoltare e elaborare politicamente le richieste di una regione”. La Puglia – ricorda Emiliano – non ha mai detto no al gasdotto Tap, ma vuole favorirne la realizzazione attraverso una sua diversa localizzazione. La Regione ha annunciato che sarà impugnata davanti al Tar la nota del ministero dell’Ambiente con la quale ha autorizzato Tap a effettuare le attività preparatorie alla effettiva fase di inizio dei lavori dell’approdo.
I lividi del consigliere regionale M5S.
E’ stato proprio quando uno dei camion ha varcato i cancelli, dopo che la polizia aveva caricato già un paio di volte, che i manifestanti hanno cominciato a lanciare sassi, colpendo due agenti che sono rimasti leggermente contusi. Al tentativo dei manifestanti di forzare il cordone, le forze dell’ordine hanno reagito con una nuova e breve carica. Sei complessivamente i contusi tra i manifestanti.
Il consigliere regionale Cristian Casili (Movimento 5 Stelle) ha riportato lividi sulla schiena determinati – ha raccontato – dalle spinte della polizia con gli scudi. Con lui anche i consiglieri regionali Antonio Trevisi (M5S) e Cosimo Borraccino (Si).
Il tavolo tecnico-politico.
Nel corso dei tafferugli, avvenuti a più riprese, alcuni attivisti sono stati colti da malore. Tra questi anche Ippazio Luceri, 65 anni, da giorni in prima linea e da una settimana in sciopero della fame. L’uomo è stato soccorso dagli operatori del 118 e trasportato in ospedale.
Il presidio davanti al cantiere andrà avanti a oltranza. In serata Emiliano ha convocato via telematica la prima riunione del tavolo tecnico-politico che è stato formato tra Regione e i sindaci interessati alla vicenda:
“E’ ancora pendente – ricorda – un ricorso presso la Corte costituzionale sulla autorizzazione unica. La Puglia non è mai stata messa nelle condizioni, durante le procedure preliminari, di indicare il luogo dove voleva avere l’approdo”.
Il percorso del gasdotto.
I lavori di costruzione del gasdotto, che trasporterà gas naturale dalla regione del Mar Caspio in Europa, sono cominciati nel 2016. Collegando il Trans Anatolian Pipeline (Tanap) alla zona di confine tra Grecia e Turchia, il metanodotto attraverserà la Grecia settentrionale, l’Albania e l’Adriatico per approdare sulla costa salentina di San Foca di Melendugno e collegarsi alla rete nazionale.
Tra i principali azionisti di Tap ci sono le più importanti società del settore energetico: Socar, Snam, Bp, Fluxys, EnagàŸs e Axpo.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER SOCIALISTA SCARICA HAMON, MACRON RINGRAZIA MA VA AVANTI CON VOLTI NUOVI
L’ex primo ministro socialista Manuel Valls annuncia: «Voterò per Emmanuel Macron sin dal primo turno della presidenziale, perchè penso che non si debba prendere alcun rischio per la Repubblica».
In questo modo Valls dice di volere sbarrare la strada a Marine Le Pen, ma molte voci nel suo partito comunque reagiscono scandalizzate e gridano al tradimento nei confronti del candidato socialista Benoà®t Hamon.
Lo stesso Macron ha accolto la dichiarazione di voto con gentile freddezza: «Lo ringrazio. Questo indica che i socialdemocratici e le donne e gli uomini di sinistra sono pronti a seguire il mio cammino. Sarò comunque il garante del rinnovamento dei volti e delle pratiche politiche».
Con quest’ultima frase Macron chiarisce, un po’ imbarazzato, che non darà alcuna poltrona in cambio
La dichiarazione
La dichiarazione Valls ha invocato una «scelta della ragione». «Non ho niente su cui negoziare e non domando nulla. È una presa di posizione responsabile, non è il momento delle discussioni».
Valls non entra a fare parte della squadra di Macron nè farà campagna per lui, ma annuncia il voto a suo favore sperando che i francesi facciano altrettanto.
«Niente è deciso, contrariamente a quel che molti dicono. Nè per il primo, nè per il secondo turno». Secondo più sondaggi, Emmanuel Macron e Marine Le Pen arriverebbero in testa più o meno a pari merito al primo turno del 23 aprile, e al ballottaggio del 7 maggio Macron vincerebbe nettamente contro Le Pen con circa il 68% dei voti.
Valls mette in dubbio questo scenario, e parla di un rischio di vittoria di Marine Le Pen che sarebbe, in realtà , a un livello «molto più alto di quanto i sondaggi non dicano».
Partito socialista sull’orlo dell’esplosione
Proprio ieri Emmanuel Macron aveva convocato una conferenza stampa per parlare del «rinnovamento della politica», annunciando di avere ricevuto dalla società civile 14 mila curriculum tra i quali verranno scelti i candidati del movimento «En Marche!» per le legislative di giugno, che dovranno dargli una maggioranza parlamentare nel caso in cui vincesse effettivamente la corsa all’Eliseo.
L’annuncio del socialista Valls potrebbe lasciare pensare a un accordo sottobanco tra il partito finora al governo e l’astro nascente Macron, che per questo si è affrettato a ribadire «sarò il garante del rinnovamento dei volti».
All’interno del partito socialista, invece, la rabbia è enorme. Partecipando alle primarie, Valls aveva come tutti firmato una dichiarazione solenne: «Mi impegno a sostenere pubblicamente il candidato che sarà designato al termine delle primarie e a partecipare alla sua campagna».
Dunque Valls avrebbe dovuto appoggiare Benoà®t Hamon, il candidato del partito socialista perchè vincitore delle primarie, come ha fatto per esempio Arnaud Montebourg.
Progetto mancato
Appoggiando Macron, Valls rompe definitivamente la fragile unità di un partito socialista diviso tra una linea più social-liberale – la sua – e un’altra più radicale impersonata dal candidato ufficiale Benoà®t Hamon.
Il sogno di Valls era arrivare a una ricomposizione del quadro politico dove la divisione tra destra e sinistra non sarebbe più esistita e lui si sarebbe posto al centro dello scenario. Quel risultato sembra averlo raggiunto, a beneficio però non suo ma di Emmanuel Macron.
(da “Il Corriere della Sera”)
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