Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE ALL’AMBIENTE DELLA GIUNTA RAGGI AVEVA SOSTENUTO DI NON AVER MAI VISTO UN TOPO A ROMA… IERI UN RODITORE LA SALITO LE SCALE DI PALAZZO SENATORIO
L’assessora all’Ambiente Pinuccia Montanari ha sostenuto di non aver mai visto un topo a Roma, e che
essendo lei una “sopralluoghista” se ne sarebbe accorta. Repubblica Roma e il Corriere Roma oggi pubblicano la fotografia di un topo scattata direttamente in Campidoglio.
Andrea Arzilli fa sapere che il topo ha deciso di entrare in Campidoglio dalla porta principale: è passato sotto la Lupa capitolina e ha fatto le scale che di solito usano Montanari, la sindaca Raggi e pure il leader del M5S Beppe Grillo.
Non si registrano finora reazioni da parte della sopralluoghista delle dive, ma è naturalmente partita la caccia alle ipotesi che hanno portato il roditore in Campidoglio per la comparsata davanti ai giornalisti.
La prima ipotesi è che il topo facesse parte del Sindacato Roditori e fosse l’avanguardia della manifestazione contro la Montanari dei sorci che si sono ritenuti offesi nei loro diritti di esistenza al grido di “Out of our closet”.
Un’altra ipotesi è che il topo fosse sì un rappresentante sindacale ma si trovasse in Campidoglio per un incontro con i pari grado romani al fine di trovare un accordo sulla deuominizzazione.
La terza ipotesi, finora sottotraccia, è che l’assessore all’epoca abbia detto una sciocchezza.
Ma questa, appunto, è soltanto un’ipotesi.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
IL TECNICO DEL CROTONE E LA SUA DEDICA SPECIALE: “AVREI VOLUTO GIORE CON TE, GUARDARE I TUOI OCCHI E IL TUO SORRISO, PRENDERTI PER MANO E CORRERE INSIEME”
Quella del Crotone è stata una corsa disperata verso la salvezza. Una salvezza a cui forse non credeva più nessuno se non i ragazzi di Davide Nicola riusciti a compiere l’impresa grazie ad un cammino strepitoso nelle ultime giornate di campionato.
Oggi, a mente fredda, il tecnico, ha scritto una commovente lettera su Facebook al figlio Alessandro, scomparso tre anni fa a 14 anni per un incidente, dedicandogli il miracolo della salvezza dei calabresi.
Ecco il testo.
“Ciao amore mio, Non so dove sei. Non so cosa starai facendo. Forse sei su quella nuvola che era su di me quella sera, quando correvo per far volare la tua lanterna. O forse sei qui accanto a me. Sì, sono sicuro che sei qui con me. Abbiamo lottato insieme in questo anno complicatissimo, ma… Oggi so che tu ci sei sempre stato lì con me. Sei riuscito con la tua energia a darmi la forza di lottare e di continuare a inseguire l’impossibile possibile, il possibile probabile, e il probabile certo. Ale, questa non è la mia vittoria, ma la nostra, proprio come quella della promozione in Serie A del Livorno. Avrei voluto gioire con te, guardare i tuoi occhi e il tuo sorriso, prenderti per mano e insieme correre e festeggiare. Tutto questo è solo per te e ogni mia conquista è la tua, ogni mia vittoria sarà la tua, ogni mio sogno sarà anche il tuo. Voglio che il mio cuore continui a battere per te e tu possa vivere ancora attraverso me…”.
(da agenzie)
argomento: radici e valori | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
CHI HA SBAGLIATO, IL COMUNE O IL CONI, DOVRA’ PAGARE
All’epoca della discussione sulle Olimpiadi il CONI aveva ventilato la possibilità di chiedere il danno
erariale al Campidoglio per le spese sostenute dal comitato promotore di Roma 2024.
Alla fine la Giunta Raggi decise per il no ma il CONI non si mosse. Oggi però un fascicolo è stato aperto dalla procura della Corte dei Conti per quel no, ventilando proprio la possibilità di un danno erariale.
Spiega oggi Lorenzo D’Albergo su Repubblica che l’indagine affidata al pm Bruno Tridico è nata da un esposto con cui l’Adusbef, associazione a tutela dei consumatori, “ha chiesto ai magistrati di viale Mazzini di chiarire se gli investimenti del Coni per la promozione sportiva della capitale abbiano comportato un danno al pubblico erario. E, nel caso, chi lo abbia causato: chi lo scorso settembre ha decretato la fine della corsa ai cinque anelli con una conferenza contro le «Olimpiadi del mattone» o chi ha speso milioni di euro senza prima essere sicuro di avere il supporto del Campidoglio a guida grillina?”.
Il CONI cominciò a lavorare alla candidatura a inizio 2015, stanziando 2 milioni e 681mila euro per attività propedeutiche alla candidatura, coperti con le risorse concesse a Roma 2024 dalla legge di stabilità 2016: due milioni nel 2016, 8 nel 2017.
Lo scambio di pennette usb e file con il Comitato olimpico internazionale si interrompe, però, lo scorso 11 ottobre.
Il «no» dei grillini è stato pronunciato da ormai 20 giorni e il segretario generale del Coni, «alla luce degli accadimenti determinatisi per effetto delle deliberazioni assunte in proposito dall’amministrazione della città di Roma Capitale», comunica all’ad di Coni Servizi che la corsa è finita. Stop a tutte le attività , «con conseguente risparmio delle spese complessive preventivate e destinate».
Se sul risparmio di quanto non è stato speso non ci sono dubbi, è sulle cifre impegnate che l’Adusbef (di Elio Lannutti, oggi grillino ma con un passato da senatore Idv) ha chiesto lumi alla Corte dei conti. Partendo da un assunto: «Le Olimpiadi sono un pacco». Confezionato da chi?
La candidatura olimpica, secondo il CONI, è però costata quasi 13 milioni di euro: per la prima fase sono stati spesi 4,6 milioni, mentre la seconda prevede un impegno di circa 8,5 milioni.
Il totale sono i 13 spesi oggi. A gestire la cassa è Coni Servizi spa (controllata del Coni), poichè il comitato Roma 2024 ne è a tutti gli effetti un’unità operativa interna.
Il pagamento dei danni che la Corte dei Conti potrebbe eventualmente richiedere ai consiglieri grillini non graverà sui portafogli di questi ultimi grazie all’assicurazione che i consiglieri possono siglare con ADIR, ovvero la mutua assicuratrice di proprietà del Campidoglio, che in cambio di una polizza pari a 700 euro l’anno copre fino a 5 milioni di euro di massimale in caso di richieste di risarcimento legati ad atti amministrativi.
Nel caso peggiore, quindi, pagherà ADIR, ovvero i romani visto che l’assicurazione è di proprietà del Comune.
In ogni caso l’esposto dell’ADUSBEF non punta il dito per forza contro la Raggi, ma chiede se a sbagliare sia stata l’amministrazione che ha detto no o il CONI che ha speso soldi prima dell’ok definitivo.
Il giudice deciderà chi ha ragione, ma se alla fine dovesse risultare colpevole il CONI oltre al danno ci sarebbe la beffa.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: olimpiadi | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA INVOCA UNO SFORZO ECCEZIONALE SU DEBITO E RIFORME
Ci sono due priorità che vanno al di là di quella “incertezza politica” che sta attraversando l’Italia e che corre lungo l’orizzonte del voto anticipato: andare avanti con le riforme e non rimandare più l’impegno per ridurre il debito pubblico che espone il Paese alla sfiducia dei mercati e a “fenomeni di contagio”.
L’impronta che il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, dà alle sue Considerazioni finali, le ultime del suo mandato a via Nazionale, è netta: servono passi in avanti, non “retromarce” sul terreno delle riforme, dei conti pubblici e delle banche. Ecco perchè, sottolinea, serve uno “sforzo eccezionale” che chiama in causa anche la politica.
Visco non cita direttamente lo scenario delle elezioni anticipate, ma ai parti chiede chiarezza e concretezza: “Il consenso – sottolinea – va ricercato con la definizione e la comunicazione di programmi chiari, ambiziosi, saldamente fondati sulla realtà “.
Nessuna improvvisazione per la Banca d’Italia. Le macerie della crisi sono ancora tangibili, con un Pil che ritornerà ai livelli pre-crisi solo nel 2025. E per sostenere i primi segnali di una crescita che registra ancora vulnus importanti occorrono “tempo, impegno, sacrifici”.
Nessuna scorciatoia, ma un’agenda, quella della Banca d’Italia, che punta alla soluzione dei mali atavici dell’economia italiana (debito in primis) e ad affrontare, in un dialogo con l’Europa da riassettare, le sfide attuali più difficili, a iniziare da quella delle banche in difficoltà , da Mps alle venete alla più generale questione dei crediti deteriorati.
Di errori in passato ne sono stati commessi, mette in evidenza Visco, ma ora non vanno più ripetuti. Sul debito, in particolare, bisogna avviare “una diminuzione continua e tangibile” perchè proprio i mancati sforzi del passato sono costati cari al Paese, con manovre pesantissime.
Quello che serve, ora, è una “veduta lunga”. Una direzione, quella che via Nazionale indica all’Italia, che si inserisce in una cornice europeista imprescindibile. Visco si appella allo spirito di Carlo Azeglio Ciampi, che guidò la Banca d’Italia dal 1979 al 1993, in una delle fasi più difficili per il sistema bancario italiano.
Quello spirito europeista, che allora fece perno sull’euro, ora ritorna attuale nel messaggio che il governatore consegna alle forze antieuropeiste.
“E’ un’illusione – chiosa il governatore – pensare che la soluzione dei problemi economici nazionali possa essere più facile fuori dall’Unione economica e monetaria”. L’uscita dall’euro è uno scenario che non è nemmeno lontanamente ipotizzabile perchè, sottolinea Visco, “determinerebbe gravi rischi di instabilità “.
Europa sì, ma con un assetto diverso sulle sfide delle banche e degli Npl. A iniziare dalla bad bank, che palazzo Koch rilancia come misura “potenzialmente utile” a patto però che ci sia “un’effettiva determinazione a proseguire su questa strada”.
Messaggio chiaro da recapitare alla Commissione europea per sbloccare l’impasse sulla proposta dell’Eba. Ma c’è un altro elemento che Visco tira in ballo per sottolineare la necessità di un nuovo equilibrio tra le autorità nazionali e quelle europee: la vigilanza sul e il soccorso alle banche.
Il governatore difende l’operato di via Nazionale nei casi di “mala gestio”, ma sottolinea come le nuove regole europee hanno dato vita, in caso di crisi, a “una molteplicità di autorità e istituzioni – nazionali e sovranazionali – tra loro indipendenti, con processi decisionali poco compatibili con la rapidità degli interventi”.
Tradotto: manca un’azione di coordinamento in grado di frenare le situazioni più complesse. E anche l’impostazione data dall’Europa sugli aiuti di Stato mette in evidenza “limiti stringenti”. La casa europea è ancora incompleta nel campo economico e finanziario e per questo, secondo Visco, l’Unione è risultata “più forte nel proibire che nel fare”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: economia | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
SCATTA LA PROTESTA: “NON UNA PAROLA SUGLI INVESTIMENTI”
Inaccettabile. Il giudizio rimbalza da Taranto, dove lavoratori ed Rsu attendevano con ansia notizie da
Roma, e dalla Capitale, dove le delegazioni sindacali sono tornate ieri per conoscere il responso dei tre commissari sul futuro dell’Ilva.
Inaccettabile, dicono in fabbrica. Inaccettabile, confermano Fiom, Fim e Uilm, che assieme all’Usb hanno già convocato a Taranto per questa mattina alle 8 un incontro delle segreterie seguito a ruota da una riunione straordinaria del consiglio di fabbrica con tutti i delegati.
Lo scarto tra una città fiaccata dalla crisi ed una fabbrica che torna a ribollire è evidente. Il clima in città è surreale: nelle vie del centro lo struscio quotidiano ed il rito dell’aperitivo serale si svolgono come se nulla fosse, mentre l’acciaieria più grande d’Europa agonizza da mesi, gira ai minimi come testimoniano i cargo da giorni immobili in rada e le poche fumate che escono dalle sue ciminiere.
Per questo in città c’era attesa per l’annuncio della cordata vincente, perchè si poteva immaginare una ripartenza. Perchè si poteva mettere fine a mesi, anni, di inerzia.
«L’incontro non è assolutamente andato come speravamo — spiega Valerio D’Alò giovane segretario della Fim Cisl di Taranto appena rientrato dalla Capitale -. Per prima cosa nell’offerta di acquisto i numeri degli esuberi presentati non sono assolutamente accettabili, perchè è un prezzo che dal punto di vista occupazionale Taranto non può pagare dopo aver già abbondantemente pagato dal punto di vista ambientale e della salute. E poi perchè dall’incontro ci saremmo aspettati maggiori dettagli sul piano industriale, a cominciare destino dei tubifici, e sugli investimenti sugli impianti da ammodernare, temi che invece non sono stati minimamente sfiorati».
Sugli esuberi ieri al tavolo ministeriale secondo i sindacati non solo «sono usciti numeri un po’ a prescindere», ma non è stato nemmeno spiegato come si intende gestirli.
«Le nostre preoccupazioni, per quel poco che ci è stato detto — sostiene a sua volta il segretario provinciale della Uil, Antonio Talò — diventano realtà . Abbiamo subito malattie, danni sanitari e ambientali e adesso ci risarciscono con i licenziamenti. Quel numero di esuberi lo inviamo al mittente».
Il presidente di Confindustria Taranto Vincenzo Cesareo, che ha da poco incontrato alcuni dei candidati sindaco facendo in molti casi fatica a strappare prese di posizione nette e idee realmente praticabili per uscire da una crisi che rischia di diventare decennale, non crede che il livello reale degli esuberi Ilva «una volta entrata in campo la nuova proprietà sia davvero quello annunciato. Non credo ai 5-6 mila esuberi – spiega — credo che gli esuberi reali, strutturali, dell’Ilva una volta passata ai privati, siano nell’ordine dei 2500-3000. E questo è un numero che non deve spaventare, nemmeno se si dovesse arrivare a 4 mila. Infatti 1000-1500 possono essere ricollocati decidendo di esternalizzare tutta una serie di attività che nulla hanno a che fare con la produzione di acciaio e al contrario di quanto hanno fatto negli anni i Riva possono tranquillamente essere date in outsourcing. Attraverso accordi quadro questi lavoratori potrebbero essere agevolmente ricollocati attraverso le aziende dell’indotto che — lo dico per esperienza personale visto che il mio gruppo opera in questo campo — potrebbero assorbire abbastanza agevolmente. I restanti 2000-2500 sarebbero invece l’esubero strutturale che andrebbe gestito attraverso gli ammortizzatori sociali. Però oggi non si può essere sorpresi più di tanto da questi annunci, perchè era chiaro che la nuova Ilva avrebbe prodotto di meno e se produco meno ho certamente bisogno di meno gente».
Cesareo tra ArcelorMittal e Jindal non si sbilancia, «noi i piani li abbiamo conosciuti dalla stampa», precisa. Ma è chiaro che vede di buon occhio la prima soluzione visto che i 600 milioni offerti in più potrebbero agevolmente risolvere il problema dei crediti vantati dalla galassia di piccole e medie imprese dell’indotto Ilva. Sono centocinquanta milioni di euro che pesano sui loro bilanci e che in questi anni non hanno fatto altro che amplificare l’effetto di questa crisi.
(da “La Stampa”)
argomento: Lavoro | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
CON IL M5S DA OUTSIDER STUPI’ TUTTI, ORA CON LA SUA LISTA VERSO LA CONFERMA… NOVE GLI SFIDANTI, MA IL VERO RIVALE E’ IL CENTROSINISTRA
«In bocca al lupo, sindaco! Anche se forse non ne ha bisogno», saluta una signora nell’elegante bar del Teatro Regio. «Ce n’è sempre bisogno», replica scaramantico Federico Pizzarotti, pur conoscendo bene i diversi sondaggi che lo danno in testa nella corsa per la riconferma.
«Lusingano, ma non cambiano il nostro impegno e la nostra campagna elettorale». Anche perchè, vatti a fidare: cinque anni fa c’era chi lo dava a poco più del tre per cento, e finì che sbaragliò tutti facendo di Parma il primo grande comune a Cinque stelle, «la nostra Stalingrado», esultava Beppe Grillo.
Era l’outsider, ora è il favorito. L’antisistema, ora in città molto lo considerano il candidato dei poteri forti. Soprattutto, era grillino, ora è uscito rumorosamente dal M5S e, con la sua lista Effetto Parma, guarda lontano. Primo obiettivo: umiliare i suoi ex vertici con una sonora sconfitta.
«Parma ama gli eretici. Tra la città e Grillo, Pizzarotti ha scelto la città : e questo ai parmigiani piace», analizza Pier Luigi Bersani, che da piacentino conosce bene la provincia “cugina”, ex cuore del Ducato con ambizioni da Petite capitale che in passato portarono a vagheggiare di metropolitana e scalo aereo di primo piano.
«Se fossi ancora dentro al Movimento non avrei lo stesso apprezzamento: i miei concittadini amano l’autonomia», si dice certo il sindaco in cerca del bis.
Nel 2012, a sostenere la sua cavalcata verso l’amministrazione si presentò in città due volte il comico genovese: nei giorni scorsi, ha telefonato al candidato M5S, Daniele Ghirarduzzi, che di Pizzarotti è stato tra i primi critici.
«Beppe, in questi anni ci siamo sentiti un po’ abbandonati», si è sentito dire; «capisco, siete stati pazienti, ora siete degli eroi a voler riprendere il cammino», ha rassicurato il fondatore del Movimento, consapevole di percentuali da ricostruire dopo le liti e la scissione.
«Per me queste parole sono già una vittoria», sospira Ghirarduzzi, così deluso da Pizzarotti («ci fidavamo ciecamente, ci ha traditi») da definirlo “un renzino”: Grillo probabilmente non tornerà , ma lui spera in Di Maio o Di Battista.
«Se verranno i super big della tv, sappiano che Parma si ricorda di come l’hanno trattata», ammonisce Pizzarotti.
Dallo scranno più alto della città lavora da sindaco e fa campagna elettorale.
In un equilibrio preso di mira dagli sfidanti, ben nove da Casa Pound ai comunisti: è di pochi giorni fa l’esposto di un candidato consigliere al Comitato regionale per le comunicazioni con l’accusa di «usare impropriamente il proprio ruolo per promuovere se stesso».
Perchè la questione della visibilità non è secondaria. Proprio uno dei sondaggi diffusi in queste ore – firmato da Ixè per Agorà di Raitre – individua sì in prima posizione Pizzarotti come candidato sindaco, ma ribalta la situazione nel voto delle liste: la somma delle tre, Pd e due civiche, che sostengono l’aspirante di centrosinistra, Paolo Scarpa, supererebbe di tre punti Effetto Parma.
Un dato che molti sostenitori dei dem interpretano come una speranza, dopo una traversata del deserto che dura dall’elezione del civico Ubaldi nel 1998, in cui l’unica cosa che manca ancora è riuscire a rendere più noto il candidato, l’ingegnere 60enne Scarpa vincitore a sorpresa delle primarie da indipendente.
«Sconto un gap di conoscenza», ammette lui davanti a un succo di pompelmo, «ma sono convinto di vincere. E mi sto divertendo un sacco», sorride, persuaso di voler rammendare pezzi di società , tanto che nelle liste che lo sostengono ci sono due ex assessori della giunta Vignali, il sindaco di centrodestra che lasciò per gli scandali giudiziari, ma anche una delle protagoniste delle proteste cittadine del tempo, e l’ex procuratore La Guardia che coordinò quell’inchiesta.
«Bisogna recuperare parti di questa città , riconnettere le persone per bene», predica mentre si incammina verso il suo comitato elettorale, in quell’Oltretorrente che è uno dei quartieri più belli di Parma, simbolo di Resistenza e barricate antifasciste, oggi al centro di discussioni su sicurezza e degrado.
Il tema più sentito della campagna elettorale: è il primo dei punti in programma per Scarpa. Come della candidata leghista, l’avvocatessa Laura Cavandoli. Su di lei punta tutta l’alleanza di centrodestra, uno schieramento travolto dalla fine dell’esperienza Vignali, nel 2011: per loro, queste elezioni sono l’occasione per ripartire.
Per il centrosinistra per provare a riprendersi la città . Per Pizzarotti, per tenersi stretto un trampolino che chissà dove lo porterà .
(da “La Stampa”)
argomento: elezioni | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
POLIZIA IN TESTA CON IL 64,7%, CHIUDE IL PARLAMENTO CON IL 7,4%
Dubbio e pregiudizio sono due tratti che spesso qualificano i nostri atteggiamenti di fronte agli eventi,
come se avessimo sviluppato degli anticorpi che ci fanno diffidare, a prescindere, di ciò che ci circonda.
La nostra vita quotidiana è costellata di news. E, talvolta, di fake news. Sommersi da una simile valanga di informazioni, siamo spinti a erigere una sorta di barriera difensiva, a dubitare della veridicità dei fatti o della spiegazione che viene fornita. Non è un atteggiamento esclusivo della nostra epoca, ma certamente aumenta e si propaga in modo più rapido con le nuove tecnologie. Web e social network rimpallano di continuo notizie cui possiamo accedere individualmente, in un’operazione di aggiramento (oggi si usa dire «disintermediazione») dei canali tradizionali che in qualche modo selezionavano precedentemente i contenuti: famiglia, associazioni, quotidiani, figure autorevoli.
Se alle nuove tecnologie aggiungiamo la grande quantità di trasmissioni denuncia, talk show urlanti e l’uso dei social come sfogatoio, possiamo intuire come l’immaginario collettivo sia abitato da orientamenti disfattisti oltre misura.
Così, fatalmente, vengono poste le premesse per intaccare uno degli aspetti fondamentali della coesione sociale: la fiducia generalizzata, nei confronti della comunità in cui siamo inseriti, delle istituzioni. Al punto che oggi sembra prevalere la sfiducia, e non solo verso la politica.
Chi sale e chi scende
Quale sia il sentimento della popolazione verso alcune istituzioni, e come sia mutato nel tempo, è l’oggetto dell’ultima rilevazione di Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa .
Se non c’è dubbio che in generale gli italiani guardino alle istituzioni con distacco e prevalga un orientamento di sfiducia, l’esito presenta però alcune significative articolazioni e qualche mutamento.
In primo luogo, solo due entità fra quelle proposte ottengono un apprezzamento positivo dalla maggioranza degli interpellati.
Le forze dell’ordine (64,7%) e il presidente Mattarella (51,2%) sono le uniche istituzioni a superare la soglia del 50%.
Se quest’ultimo, rispetto allo scorso anno, ottiene un consenso analogo (-0,7%), le prime accrescono ulteriormente il loro primato (+5%).
Seppure in modo diverso, ambedue le entità rispondono a una domanda di sicurezza e stabilità .
Il Presidente della Repubblica rappresenta un elemento di garanzia, custode dei valori costituzionali. Le forze dell’ordine, a fronte dell’insicurezza dettata da attentati terroristici e rapine, costituiscono un elemento di tutela fondamentale. Soprattutto, è mutata la loro immagine nel tempo.
Non solo accrescono di consenso, ma si svelano quale elemento di tenuta del tessuto sociale: basti pensare al loro utilizzo protettivo nelle città , a sostegno delle popolazioni colpite da eventi naturali o alle missioni di pace.
È interessante osservare, però, come non tutte le istituzioni che afferiscono alla dimensione di garanzia e difesa dell’ordine ottengano apprezzamento.
La magistratura, ad esempio, si colloca al 4° posto della classifica (39,8%), in significativo calo (-9,4%) rispetto al 2016, seguita dallo Stato (27,9%, sebbene in crescita dell’8,5%) e dalla Chiesa (26,0%, +4,4%).
Dunque, la fiducia in chi ci tutela è affidata alle forze dell’ordine, assai meno a chi amministra la giustizia e allo Stato.
Un’analoga differenziazione la possiamo scorgere nell’ambito della politica. Oltre la Presidenza della Repubblica, non vi sono istituzioni politiche che ottengano un apprezzamento elevato.
Seppur con un apprezzabile 40,9% di consensi, l’Ue si colloca al 3° posto. Stabilmente in fondo alla graduatoria, e ben distanziati, troviamo il governo (22,1%, +0,3% rispetto al 2016) e il Parlamento (7,4%, +1,8%).
I tre profili
È possibile calcolare un indice di fiducia che individua tre profili.
Il gruppo prevalente è rappresentato dagli «esitanti» (48,5%): sono quanti esprimono una fiducia convinta verso alcune entità , ma sono molto scettici verso altre, realizzando così un gioco a somma zero.
È interessante osservare come questo assieme sia in crescita rispetto allo scorso anno (+11,2%), denunciando così un miglioramento del clima generale. Il secondo gruppo è costituito dai «diffidenti» (44,1%) ed è composto da chi nutre una profonda sfiducia verso quasi tutte le istituzioni. Un novero di assoluto rilievo, ma in calo rispetto al 2016 (-8,2%).
Largamente minoritario, invece, è l’insieme dei «fiduciosi» (7,4%) che attribuiscono a quasi tutte le entità una sicura fiducia, quota analoga al 2016 (-3,0%).
Dunque, la popolazione guarda alle istituzioni in modo selettivo e polarizzato attorno a due entità principali: le forze dell’ordine e il presidente Mattarella.
Esprimono un’elevata fiducia verso chi tutela l’ordine e chi è garante della tenuta del sistema politico. È una stima elevata e, come dimostra l’indice sulla fiducia, in leggera crescita rispetto allo scorso anno, frutto plausibilmente di un clima meno rovente sotto il profilo economico e dei consumi. Tuttavia, non è una fiducia generalizzata ma che sottolinea come il sistema politico venga ancora percepito come «in-credibile».
a cura dell’Università di Padova
(da “La Stampa“)
argomento: polizia | Commenta »
Maggio 31st, 2017 Riccardo Fucile
“PUTIN HA INVESTITO MOLTO PER CORTEGGIARE POLITICI ITALIANI E STACCARE L’ITALIA DALLA UE, CANALE PRIVILEGIATO CON IL M5S, TRUMP NON HA NEANCHE ANCORA NOMINATO UN AMBASCIATORE A ROMA”
Fatto il pieno di incontri in Italia a Roma e concluso il G7 di Taormina, l’amministrazione Trump potrebbe “tornare al nuovo normale disinteresse” nei confronti dell’Italia, con la conseguenza che il vuoto lasciato dagli Stati Uniti venga riempito dalla Russia.
A farsi portatori di questo timore sono funzionari europei ed americani cui dà voce il New York Times in un articolo nel quale sostiene che Mosca “sta assiduamente corteggiando l’Italia, Paese che una volta aveva il più forte Partito comunista fuori dal blocco sovietico e che molti analisti considerano il ventre molle dell’Unione Europea”.
A Roma, osserva il quotidiano americano, Donald Trump non ha ancora nominato un ambasciatore, “rinunciando a un campo di gioco geopolitico che sta sfruttando” l’ambasciatore russo, Sergei Razov.
“La sua diplomazia energica – scrive il giornale, preannunciando “un suntuoso banchetto” nella residenza di Villa Abamelek il mese prossimo in occasione della Festa nazionale russa – come buona parte della costruzione delle relazioni con la Russia avviene alla luce del sole, ma c’è il timore, tra funzionari italiani, europei e americani, che Mosca stia anche usando lo stesso genere di influenza dietro le quinte e confusione sui media impiegati negli Stati Uniti e altrove per creare un’inclinazione italiana a favore della Russia”.
Mosca, dice al New York Times l’ambasciatrice dell’Estonia a Roma, Celia Kuningas-Saagpakk, “ha investito molto per influenzare l’opinione pubblica in questo Paese”.
E gli effetti, secondo il giornale, sarebbero già visibili, dal momento che politici italiani appartenenti a ogni schieramento, preoccupati dei rapporti energetici e imprenditoriali, “stanno tentennando più che mai di fronte alla linea dura dell’Unione Europea sulle sanzioni alla Russia”.
Ricordate le visite di Paolo Gentiloni a Sochi, di Matteo Renzi lo scorso anno a San Pietroburgo e gli stretti rapporti tra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi, il giornale osserva poi come il M5S, “in testa ai sondaggi” per le prossime elezioni, sia il partito che ha una posizione di maggiore apertura nei confronti di Mosca.
Apertura che procede di pari passo con la delusione dei grillini nei confronti di Trump, la cui vittoria era stata inizialmente salutata come un altro dito nell’occhio dell’establishment.
Ma ora, dinanzi alla posizione ambigua del presidente nei confronti di Mosca, nel movimento cova un crescente sentimento antiamericano.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile
SECONDO EMG-LA7, ALLO STATO ATTUALE I SEGGI SAREBBERO QUESTI: M5S 219, PD 208, FORZA ITALIA 96, LEGA 94…. PD + FORZA ITALIA + AUTONOMIE ARRIVEREBBERO A 310, M5S + LEGA A 313
Se non fosse tragica, sarebbe da ridere: dopo aver discusso per mesi di maggioritario e premio di lista o
di coalizione, ora Pd, M5S e Lega sono diventati gli alfieri del proporzionale alla tedesca con soglia di sbarramento al 5%., ovvero quel sistema che per Cinquestelle e padani fino a pochi giorni fa era un “attentato alla democrazia”.
Ma per chi segue le simulazioni dei sondaggisti c’è un aspetto ancora più esilarante: se con il maggioritario nessuno sarebbe riuscito a raggiungere quota 316 deputati alla Camera (quota minima per formare un governo che duri almeno un mese), ora si scopre che non si riesce a fare neppure, allo stato attuale, un governo di coalizione.
Non ci sono infatti i numeri nè per un governo Pd-Forza Italia, nè per uno targato M5S-Lega: il primo si fermerebbe a quota 310, il secondo a quota 313.
E se anche vi fossero minimi spostamenti da qui a settembre-ottobre sarebbe sempre un governo dai numeri risicati, esposto alla prima influenza stagionale di due-tre parlamentari.
In questa prospettiva fanno davvero ridere tutti, in primis i quattro megalomani che guidano i partiti maggiori e che parlano come se fossero già premier senza aver fatto due semplici conti.
Per non parlare dei partitini destinati al massacro che fingono di non temere quota 5% ma se la stanno facendo sotto perchè rischiano di scomparire.
Cominciano da questi:
All’estrema sinistra ce ne sono tre: Mpd ha circa il 3,2%, Sinistra Italiana il 2,2%, il movimento di Pisapia potrebbe arrivare a un 2%.
Diciamo che esiste una sinistra radicale che in teoria potrebbe raccogliere un 6-7% se fosse unita, ma unita non è. E non è detto che se si unisse raccoglierebbe quella percentuale. Metterli d’accordo è quasi impossibile, l’unico collante potrebbe essere la paura di perdere le poltrone.
Quanto a leadership, tolte le mezze tacche e le vecchie glorie, vediamo solo due personalità di livello che potrebbero avere le phisique du role: Landini (che non ci pensa neppure) e Pisapia. Chi vivrà vedrà .
Al centro è rimasto con il cerino in mano Alfano: ha due alternative, inserire qualche suo uomo nelle liste del Pd e qualcun altro in quelle di Forza Italia o tentare qualche aggregazione estemporanea. Il problema è che non esistono più altri partiti di centro e AP parte da un 2,8%-3% e qui rischia di rimanere.
O trovano un leader credibile e nuovo o le esequie sono annunciate.
A destra con il cerino in mano è rimasta Giorgia Meloni, con il suo 4,5%: passare dalla certezza di 30 deputati a zero è una brutta botta, anche se cerca di ostentare ottimismo.
Che fare? Due possibilità : andare da soli e rischiare di scomparire o fare con Salvini il partito sovranista unitario, ma quanti posti può cederle Salvini?
Non certo al Nord, qualcuno al centrosud, ma non certo trenta. Senza contare che finora la Meloni, con il suo partito personale, ha potuto promettere posti a destra e a manca perchè avrebbe triplicato i deputati, in un’alleanza non sarà possibile.
Altro problema: farsi assorbire da Salvini sarebbe digerito dalla base elettorale? Vedremo se la Meloni avrà il coraggio di andare da sola, rischiando anche la propria poltrona.
E arriviamo ai quattro partiti che passeranno il turno.
Salvini aveva solo una priorità , andare a votare prima di perdere altri voti e monetizzare il numero dei parlamentari: se fossero 94 vorrebbe dire quadruplicare gli attuali e sistemare le fameliche truppe padane. Di governare non gliene frega nulla, l’unica possibilità è farlo con il M5S ma i numeri non ci sono .
Berlusconi è stato il più abile nella trattativa, ma se non riesce ad arrivare a un 16% recuperando altri 10-15 deputati, oltre ai 96 che gli sono attribuiti oggi, non riesce nell’operazione “grande alleanza” con Renzi e resta al palo pure lui. Come chi, in vista del traguardo, fora la gomma allo striscione dell’ultimo chilometro.
Renzi è l’altro leader capace di cambiare le carte in tavola in 24 ore: ha massacrato la sinistra, cacciandola di fatto fuori dal partito, ha “tradito” i centristi, ha fatto un accordo con Forza Italia, sperando di tornare premier con l’aiuto di Silvio.
Vale per lui lo stesso discorso: se non sale almeno al 32% la sua corsa è finita, i numeri per governare non ci sono. E quanto sia difficile mettere insieme due “faccio tutto io” sarà uno spettacolo per i mesi a seguire.
Infine il M5S che ha la solita posizione ambigua: da solo non va da nessuna parte, solo Di Maio non l’ha capito, ma prima o poi ci arriverà anche lui.
La preniata azienda Grillo-Casaleggio (lo scriviamo da mesi) ha in mente un governo con la Lega, ma si vergogna a dirlo, nel timore di perdere voti.
Ma vale lo stesso discorso di Renzi: dato che la Lega è bollita e non arriva al 12%, per superare quota 316 occorre che Il M5S arrivi ben oltre il 32% o tutte le contorsioni xenofobe non sono servite a nulla e dobbiamo chiamare Frontex per salvare i profughi grillini.
Il modello tedesco dovrebbe insegnare una cosa: le grandi coalizioni si fanno tra due grandi partiti, non basta uno grande e uno medio-piccolo.
In Italia vorrebbero governare due soli partiti con uno al 29-30% e altro al 12-13%.
Mi sa che hanno sbagliato i conti anche questa volta.
argomento: Politica | Commenta »