Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
DA MARE NOSTRUM “CHE COSTAVA TROPPO” A FRONTEX CHE “CONTROLLA” MA NON HA COMPITI SPECIFICI DI SOCCORSO… L’IPOCRISIA DELL’EUROPA
Nel luglio del 2014 Matteo Renzi dichiarò che Mare Nostrum sarebbe andata avanti, perchè, disse, «noi pensiamo che quando in una nave mettono dei bambini, e la lasciano andare alla deriva, un popolo civile non manda alle deriva quei bambini: salva quei bambini.
Nel 2014, con le nuove strumentazioni a disposizione non si può consentire a quelle navi di andare a fondo perchè non sappiamo di chi è la competenza».
L’Italia aveva appena assunto la Presidenza del semestre europeo.
Ad ottobre però Renzi cambiò idea e decise di “rottamare” la missione di soccorso in mare.
Nove milioni e mezzo di euro al mese erano troppi, spiegò il governo, ed era ora che anche l’Europa si impegnasse concretamente.
Questo maggiore impegno si è tradotto prima con il sostegno di Frontex Plus a Mare Nostrume successivamente nell’avvio della missione congiunta guidata da Frontex e denominata Triton che iniziò ufficialmente il 1 novembre 2014 e che (con alcune modifiche) prosegue fino ad oggi.
Il principale vantaggio per l’Italia era la riduzione dei costi.
Mare Nostrum era finanziata dall’Italia (tramite il bilancio della Marina Militare) e utilizzava gli assetti della Marina e dell’Aeronautica Militare.
Frontex invece poteva mettere in campo gli assetti di diversi paesi europei ad un costo decisamente più contenuto: appena tre milioni di euro al mese.
La principale differenza tra Triton e Mare Nostrum, al di là dei costi e della gestione operativa, sta nel fatto che l’operazione di Frontex è un’operazione di controllo delle frontiere e non di soccorso in mare.
Questo non significa che le imbarcazioni di Triton non siano coinvolte in operazioni di salvataggio in mare ma che non è quello l’obiettivo della missione dell’agenzia di controllo delle frontiere europee.
Se si legge il piano iniziale di Triton si nota però che la maggior parte degli assetti navali è ancora italiano.
Gli altri paesi contribuiscono per lo più con l’invio di “debriefing expert” e di altro personale operativo ma non di mezzi.
Questo perchè, come ha detto la portavoce di Frontex Ewa Moncure «Il piano operativo di Triton dice che l’Italia è il Paese ospitante della missione. Se qualche altro Stato volesse aggiungersi, da un punto di vista teorico la possibilità ci sarebbe. Ma mi pare uno scenario molto complicato, anche perchè le attività sono tutte guidate dalla Guardia Costiera Italiana».
Lo si evince ad esempio dai numeri dei salvataggi in mare operati dalle unità di Frontex rispetto a quelli compiuti dagli altri assetti navali che partecipano alle operazioni di soccorso.
In poche parole le operazioni di salvataggio sono rimaste in carico alle unità navali italiane mentre per la parte restante delle operazioni di search and rescue sono subentrate le navi delle Ong.
Renzi, durante il semestre di presidenza europea, è riuscito sì nell’impresa di ottenere la partecipazione attiva di Frontex al largo delle coste meridionali del nostro Paese. Ma da subito è apparso evidente che l’impegno dei paesi europei non era proporzionato nè allo sforzo economico sostenuto dall’Italia da sola durante l’anno precedente (114 milioni di euro) nè alle necessità operative.
Il flusso dei migranti era in crescita e si mette in campo una missione che costa un terzo di quella precedente? Qualcosa evidentemente non andava.
Tanto più che nell’allegato 3 dell’Operational Plan di Triton è scritto nero su bianco che le unità navali di Frontex sono autorizzate dall’Italia a sbarcare sul suolo italiano tutte le persone “intercettate” sia nelle acque territoriali italiane sia in quelle di tutto il teatro di operazioni di Triton.
Il coordinamento delle operazioni SAR è posto sotto il controllo della Centro Operativo della Guardia Costiera che è responsabile sia per le aree SAR poste a sud delle coste siciliane sia per quella “aggiuntiva” immediatamente a nord delle coste libiche ed egiziane.
I due paesi nordafricani infatti non sono in grado di garantire lo svolgimento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare.
Questo è quello che ha detto anche Emma Bonino — che invece è una forte sostenitrice di Mare Nostrum — la settimana scorsa.
Da un lato gli sbarchi devono avvenire in Italia perchè i porti italiani sono i porti più vicini e sicuri (questo in ottemperanza con la Convenzione di Amburgo del 1979), dall’altro le cose vanno così perchè durante la stesura del piano operativo di Triton è stato deciso così.
Le cose avrebbero potuto andare diversamente: ad esempio si sarebbe potuto chiedere (e non ottenere) il trasferimento immediato di una parte delle persone soccorse verso altri paesi europei. Così non è stato
E la redistribuzione dei migranti a livello europeo?
Per affrontare quell’aspetto, si dirà , è stato deciso (successivamente) un regime di quote.
Ogni paese membro della UE deve fare la sua parte e accettare la redistribuzione dei richiedenti asilo. L’unico paese UE che ha chiesto e ottenuto di essere escluso dall’accordo di redistribuzione è stato il Regno Unito, che l’ha fatto minacciando la UE di uscire dall’Unione. E poi uscirà lo stesso dall’Unione.
Non solo nessun paese ha rispettato le quote stabilite dalla UE ma quasi nessun paese europeo ha rispettato l’impegno che si era assunto nell’accettare la redistribuzione dei richiedenti asili sbarcati sul territorio italiano.
Ci sono paesi, come l’Austria, l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca che si rifiutano di accogliere un numero insignificante di richiedenti asilo.
Per l’Austria stiamo parlando di 50 persone.
(da “NextQuotiidiano”)
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Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
C’E’ SOLO UN PROBLEMA: MA CASA LORO DOV’E’? LA LIBIA CON DUE GOVERNI E 140 TRIBU’? LA NIGERIA CON 36 STATI E ALTRETTANTI SULTANI? L’ERITREA ALLA FAME DOVE NON SI VOTA DA 24 ANNI?
Dal pentolone dei nostri leader politici ecco apparire una nuova pozione magica capace di
mettere d’accordo sia Renzi che Salvini, sia Grillo che la Meloni.
“Aiutiamoli a casa loro” è finalmente qualcosa di semplice e comprensibile a tutti.
Se la Ue stanzia qualche miliardo “per scavare pozzi e costruire scuole” (l’articolato programma di Salvini) basta sbarchi, basta Cie e Cara, l’emergenza si risolve senza troppo disturbo per tutti i 28 Stati membri.
C’è solo un problema. Ma “casa loro” dov’è?
In Libia con due governi appoggiati da potenze straniere in competizione e 140 tribù bene o male armate?
Non va meglio in Nigeria, una federazione di 36 stati alcuni dei quali governati da principi o sultani.
O in Eritrea dove il presidente Isaias Afeweky governa un popolo che ha ridotto alla fame da 24 anni senza che ci siano più state elezioni.
Che si fa in questi casi? Come li aiutiamo “a casa loro”?
Potremmo mandare una squadriglia di elicotteri Augusta-Westland del nostro esercito a spargere un numero cospicuo di schede prepagate da utilizzare presso le cooperative locali? Da lì in poi se la vedano loro.
Vi è nel dibattito politico una disarmante approssimazione che induce a credere che nessuno pensi prima di parlare.
Pensare in questo caso significa avere il senso della complessità del problema. Nessuno può ragionevolmente affermare che tutto è a posto. Ma nessuno, soprattutto se ha responsabilità politiche o di governo, può esimersi dal verificare le basi del proprio ragionamento.
Pensare significa innanzitutto guardare e prevedere gli equilibri e gli squilibri demografici dei prossimi decenni. Quella è la forza più grande cui nessun provvedimento governativo può mettere argine.
Poi vi sono i nuovi equilibri economici.
L’Africa, per la maggior parte, è un continente ancora nelle prime fasi dello sviluppo. L’Europa è un continente nella fase molto avanzata dello sviluppo.
Come dialogano due continenti così diversi ma condannati a confrontarsi?
Si può veramente pensare che riversare un po’ di soldi (anche tanti) su quel continente ristabilisca l’equilibrio?
Poi c’è la politica. Si può pensare che il rapporto con l’Africa non passi dal ruolo che colossi come la Cina e la Russia intendono svolgere in quel continente?
C’è un solo modo serio di affrontare la questione.
Riconoscere che il rapporto tra i due continenti costituirà un nodo fondamentale della storia dei prossimi decenni. Che i due continenti devono rafforzare i loro legami, mettendo in luce i punti di forza e quelli di debolezza di ciascuno dei due. Che un riequilibrio di risorse e di opportunità è inevitabile. Che gli strumenti di governance globale sono gli unici a disposizione. Che bisogna far emergere delle leadership da entrambe le parti, che sappiamo dialogare e ben rappresentare tutti gli interessi in gioco.
(da “Hufingtonpost”)
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Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
IL CONGELAMENTO DEI SALARI, ORMAI SCOLLEGATI DALLA PRODUTTIVITA’… I POSTI DI LAVORO PERSI NEL MANIFATTURIERO RIMPIAZZATI DA POSTI NEI SERVIZI, PAGATI PEGGIO
Maurizio Ricci su Repubblica di oggi ci racconta il mistero del salario scomparso: la recessione è finita ma i salari continuano a ristagnare. l’economia appare in buona salute di qua e di là dell’Atlantico, la disoccupazione continua a scendere, ma i salari stanno appena a livello dell’inflazione.
Senza la spinta dei salari, l’inflazione non riesce a risalire sopra il 2 per cento e la deflazione resta in agguato.
Ovviamente questo si riflette sulla stagnazione dei consumi (chi non ha soldi non può spenderli, chi non ha abbastanza soldi può spenderne pochi). La ripresa, insomma, non è in grado di sostenersi da sola.
E questo dipende dall’evidente scollamento tra ripresa e salari. L’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi sviluppati, ha provato ad analizzare come queste due tendenze agiscono concretamente nel mercato del lavoro:
Il congelamento dei salari, ormai privi di collegamento con la produttività , è per un terzo il risultato del fatto che i posti di lavoro persi nell’industria manifatturiera vengono rimpiazzati da posti nei servizi, pagati peggio.
Per altri due terzi, dalla decimazione che software e tecnologia hanno portato, in generale, in quelli che una volta erano “i buoni posti delle classi medie”: quelle occupazioni a media qualifica (dal contabile alla hostess) che stanno scomparendo sempre più in fretta.
Negli ultimi vent’anni questi posti di lavoro sono diminuiti del 10 per cento, mentre sono aumentati quelle a bassa qualifica (pagati peggio) e quelli ad alta qualifica (che però sono pochi). In Italia, basse e alte qualifiche sono aumentate del 5 per cento.
L’effetto, sul mercato del lavoro, è la formazione di un “esercito industriale di riserva”, assai più ampio di quanto dicano le statistiche. Lo nota la Bce di Draghi: il tasso di disoccupazione ufficiale, nell’eurozona, è al 9,5 per cento, ma, se aggiungiamo gli scoraggiati, cioè quelli che non pensano di poter trovare un lavoro adeguato, e quelli che hanno accettato un posto part time, ma lavorerebbero volentieri di più, si arriva ad un impressionante 18 per cento. In Italia, ancora peggio, al 25.
I posti ben pagati vengono sostituiti da software, part time o da chi accetta di lavorare con uno stipendio più basso. I pochi lavoratori sono più qualificati e le imprese sono capaci di grande produttività .
Un circolo vizioso che continua ad alimentarsi. E che non ci consente di uscire dalla crisi.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
SONO TANTE LE BUONE CAUSE ALLE QUALI SI DEDICANO, A DIFFERENZA DI CHI SA SOLO PENSARE A SE STESSO
Secondo una ricerca Istat (2013) circa 1 italiano su 8 svolge attività a titolo gratuito volte al
beneficio degli altri, della comunità o dell’ambiente.
In Italia il numero di volontari è stimato in quasi 7 milioni di persone, che si impegnano in un gruppo o in un’organizzazione e altri 3 milioni invece lo fanno in maniera non organizzata.
Possiamo quindi affermare che la disponibilità dei nostri concittadini a impegnarsi per una buona causa è un ottimo indice di solidarietà del nostro Paese. Un dato piuttosto confortante.
E se dovessimo stilare una classifica delle “Buone Cause” che spingono gli italiani a offrire il proprio aiuto, vedremmo che la violazione dei diritti, soprattutto i maltrattamenti verso i bambini (60,8%) e le donne (56%), si trova al primo posto. Seguono l’assistenza agli anziani (58%), alle persone con disabilità (56%) e ai malati gravi o terminali (52%).
Il supporto giunge poi alle categorie più disagiate con un’elevata attenzione alla povertà e all’emarginazione (54%), la tutela e il sostegno ai lavoratori e ai disoccupati (50%).
Coinvolgenti sono inoltre le cause per la difesa e la conservazione dell’ambiente sia in Italia (49%) sia nel mondo (44%) (Astra Ricerche, 2015).
Spesso si pensa che fare volontariato sia un lusso per pochi, associando l’impegno gratuito all’elevato status socio-economico.
La ricerca Istat afferma invece che è lo status socio-culturale a incidere maggiormente: il 22,1% di coloro che hanno conseguito una laurea ha avuto esperienze di volontariato contro il 6,1% di quanti hanno la sola licenza elementare.
È dunque una questione di ricchezza culturale e la vera solidarietà di coloro che fanno volontariato sta proprio nel dono che fanno agli altri di sè stessi, del proprio tempo e della propria conoscenza.
Alcuni inoltre credono che diventare volontario sia quasi esclusivamente una missione. Invece vorrei permettermi di dire che questa attività non deve essere pensata come una di quelle cose che si fanno solo per bontà d’animo o per trovare qualcosa che faccia passare il tempo sentendosi utili.
Essere volontario significa sentire propria una causa e offrire il proprio tempo, il proprio bagaglio culturale e il proprio know-how con lo scopo di rispondere concretamente ai problemi a essa legati. Ovviamente auspicando, in un mondo perfetto, di risolvere il problema.
Questo è lo spirito che mi ha mosso da sempre, per esempio quando ancora ventenne, con alcuni amici avevo organizzato un’attività di doposcuola per i ragazzi con difficoltà di apprendimento, nell’oratorio del mio quartiere, a Milano.
E anche Roberta, 33 anni, una nostra volontaria di Palermo ha iniziato con questo proposito:
“Non tollero la disuguaglianza sociale e mi fa rabbia l’idea che l’accesso alla cultura non sia uguale per tutti. Così ho cominciato a collaborare con WeWorld Onlus perchè penso che per cambiare le cose sia necessario agire. Per l’Associazione svolgo attività nel Centro Frequenza200 della mia città , offrendo un supporto nell’organizzazione degli eventi e nella promozione dei progetti. – E a chi desidera diventare volontario dice – Credetemi, riceverete sempre più di quanto date. Il volontariato apre la mente, aiuta a conoscere e ad aprirsi all’altro. Rende migliore il posto in cui vivete, migliorando anche voi.”
A lei si unisce il pensiero di Roberto, pensionato di 68 anni di Milano che ci supporta da diversi anni e riassume così la sua esperienza:
“Per me fare il volontario è un momento di gratificazione. Non importa se quello che fai sono piccole cose come, per esempio, aiutare i visitatori ad Expo o insegnare l’uso di un Pc a un profugo. Sono proprio le piccole cose che aiutano qualcuno e ti fanno provare e sentire la vicinanza a chi aveva un problema.”
E dai piccoli gesti scaturisce quel meccanismo di solidarietà che porta gratificazione e riconoscenza a chi dona e a chi riceve. Come in un progetto di vita ideale: se tutti trasportassimo nelle nostre attività la profonda dedizione e l’impegno sentito di chi svolge volontariato, e innescassimo un meccanismo in cui chi riceve un aiuto debba ricambiare il favore verso un’altra persona che ha bisogno, le prospettive per un futuro migliore aumenterebbero tempestivamente.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE AL COMMERCIO ORA SOSTIENE DI AVER CHIESTO LUI MARRA AL TURISMO… MA QUESTO COZZA CON QUANTO DA LUI SOSTENUTO DAVANTI AI MAGISTRATI
A Roma tutto procede in perfetta trasparenzaquannocepare.
Ieri Adriano Meloni, assessore al Commercio della Giunta Raggi, rispondendo a chi gli chiedeva se fosse stato lui a selezionare Renato Marra (fratello di Raffaele) alla guida della Direzione Turismo, come sostenuto nella memoria difensiva della sindaca Virginia Raggi depositata ieri alla Procura di Roma, ha confermato tutto.
La versione di Meloni è stata regalata alle agenzie di stampa e ribadita oggi in un’intervista a Repubblica: «È una puttanata che non lo conoscevo prima. Era al Gssu dei vigili urbani e me lo hanno presentato due ore dopo che sono arrivato in Campidoglio. Poi ha manifestato il suo interesse per la direzione Turismo e mi è sembrato il migliore. Ora devo tornare in aula».
In un’intervista a Repubblica rilasciata l’8 gennaio scorso però Meloni aveva detto tutt’altro: “Non ricordo… noi, però, non lo avevamo richiesto. Non lo conoscevamo. Ci è stato suggerito. So che della sua nomina poi sono stati informati anche i consiglieri. La sindaca condivide tutte le scelte con la maggioranza”.
L’intervista venne rettificata ben cinque giorni dopo con una lettera al quotidiano, nella quale l’autore dell’articolo (Lorenzo D’Albergo) confermava le prime parole di Meloni:
Ma soprattutto la versione giornalistica di Meloni va a cozzare con le dichiarazioni ufficiali sue e di Virginia Raggi. Meloni ha dichiarato ai magistrati che la nomina di Renato Marra a capo dell’ufficio turismo fu suggerita da Raffaele:
Adriano Meloni, […]sentito dai magistrati come persona informata sui fatti, ha dichiarato che a suggerirgli la nomina di Renato Marra era stato suo fratello Raffaele. Concetto ribadito anche in un’email agli atti dell’inchiesta. Questa è stata inviata da Meloni al delegato al Personale, Antonio De Santis e per conoscenza a Raffaele Marra e Raggi. Nella email Meloni ringrazia per il suggerimento su Renato e ne loda l’operato.
Quella email — così si difenderà la Raggi — è stata inviata mentre lei si trovava ad Auschwitz e su un indirizzo pubblico, quello che si trova sul sito del Comune di Roma: virginia.raggi@comune.roma.it, dove ogni giorno arrivano centinaia di segnalazioni dei cittadini.
Non l’ha letta quindi? Vedremo cosa risponderà ai pm. Di certo spiegherà che in tanti, compreso l’assessore Meloni, le avevano parlato in modo positivo di Renato Marra, che pensava essere la persona giusta al posto giusto.
Meloni ha quindi detto ai giudici che la nomina di Raffaele Marra fu suggerita dal fratello Raffaele, sono le sue parole verbalizzate che valgono: se intende correggerle dovrà spiegare perchè ed essere molto credibile perchè altrimenti rischia di ritrovarsi nella posizione di chi dovrà spiegare perchè a distanza di sei mesi fornisce due versioni diverse sull’accaduto.
Ma anche Virginia Raggi dovrà spiegare qualcosa. La sindaca il 21 dicembre scorso scriveva a Cantone che il ruolo di Raffaele Marra nella nomina del fratello ‘è stato di mera pedissequa esecuzione delle determinazioni da me assunte, senza alcuna partecipazione alle fasi istruttorie, di valutazione e decisionali, peraltro affidate in via esclusiva dalla normativa vigente’.
Quindi la decisione è stata presa direttamente dalla sindaca. Senza assessori-suggeritori. Che spuntano soltanto oggi. Molto opportunamente.
Nell’intervista rilasciata oggi a Repubblica, Meloni dice che la sindaca gli ha suggerito di stare sereno.
All’ultimo a cui è stato detto non è andata benissimo.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
“HO LAVORATO COME CAMERIERE, NON HO MAI VISTO RIFERIMENTI AL FASCISMO”… SCARPA NON E’ IL TITOLARE DEI BAGNI MA SOLO UN DIPENDENTE “ANIMATORE”
Il segretario del Pd di Chioggia, Terry Manfrin, aveva un contratto a chiamata nella “spiaggia
nera” di Punta Canna.
Lo ha scoperto il giornale la Verità , che ha anche pubblicato un’intervista in cui Manfrin conferma di aver firmato un contratto con lo stabilimento balneare lo scorso 23 giugno, pur non avendo mai prestato servizio.
Il segretario aggiunge dei retroscena interessanti sulla spiaggia di Chioggia: ad esempio, spiega che Gianni Scarpa, presentato sui giornali come il gestore dello stabilimento, e intervistato per le sue presunte simpatie fasciste, è in realtà solo un dipendente della spiaggia.
Un “volto storico” per i clienti che però non ha quote dell’azienda.
Lo spiega bene Manfrin: “A Punta Canna il signor Gianni Scarpa figura come dipendente. Ma non è in azienda. Siccome Chioggia non è grandissima, alcuni miei amici coetanei sono proprietari di alcune quote societarie e mi hanno chiesto se, in caso di bisogno, avessi potuto andar lì ad aiutare”.
Ed era risaputo in paese che Gianni Scarpa fosse un personaggio fuori dalla norma: “Quello che tengo a precisare è che a Chioggia giravano voci da alcuni anni circa questo personaggio un po’ eclettico, ma io nulla sapevo circa i messaggi di apologia del fascismo”.
Il segretario locale chiarisce le sue responsabilità : spiega di non essere stato al corrente dei simboli “fascisti” che venivano esposti nello stabilimento, e di essersi dimesso non appena questo è venuto fuori.
Il segretario di Chioggia era già stato allo stabilimento “per prendere un caffè” ma non aveva visto il busto di Mussolini e cartelli nostalgici: “Ho visto i cartelli sulla disciplina e sull’ordine ma di Mussolini io non ho mai visto nulla”.
Tuttavia, la posizione del Pd di Chioggia è chiara: “Noi chiediamo che il signor Gianni Scarpa venga punito…Nel caso vi sia la presenza di reati, chiediamo che sia revocata la concessione demaniale”. Intanto Terry Manfrin ha già tratto le sue conclusioni e si è dimesso dalla spiaggia.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 12th, 2017 Riccardo Fucile
ORA ANCHE L’APPARTENENZA A UNA RELIGIONE E’ DIVENTATA UN CRIMINE… CORSARO FAREBBE BENE A TOGLIERE IL DISTURBO DAL PARLAMENTO
“Che poi, le sopracciglia le porta così per coprire i segni della circoncisione…”.
È con questo commento che Massimo Corsaro, ex Fratelli d’Italia e oggi nella componente fittiana al gruppo Misto alla Camera di Direzione Italia, ha attaccato via Facebook il deputato Pd Emanuele Fiano, primo firmatario della proposta di legge che mira a introdurre il reato di propaganda fascista.
Un insulto, lo definisce Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma, “antisemita e per giunta su un particolare fisico: ricorda esattamente le vignette antisemite degli anni ’30, il ‘Manifesto della razza’”, commenta ad HuffPost.
“Massima solidarietà a Emanuele Fiano. Ma io mi ritengo indignato da ebreo”, prosegue Della Rocca.
La storia della famiglia di Fiano è ben nota: oltre a essere un esponente della comunità ebraica milanese, è figlio di Nedo, deportato ad Auschwitz con tutta la sua famiglia e unico sopravvissuto al campo di concentramento nazista.
“Non è possibile che nella dialettica politica si scelga l’insulto per contrastare l’avversario”, prosegue il vicepresidente della comunità ebraica della Capitale.
“Per di più è un insulto legato a una regola religiosa e sacra dell’ebraismo. Sono molto preoccupato per l’Italia perchè mi sembra che questo fenomeno ricorra abbastanza spesso e da più parti. L’altro giorno abbiamo avuto gli ultras di una squadra di calcio che inneggiavano ad Hitler senza che nessuno dicesse nulla. Milioni di morti non sono una goliardata”, conclude Della Rocca.
A stretto giro arriva anche la replica del diretto interessato: “Questo commento è di un deputato della Repubblica italiana. Gruppo Fitto. Sì io sono circonciso ed ebreo. Orgogliosamente. Massimo Corsaro invece esprime oggi il peggio dell’antisemitismo con questo post. Mi dispiace per mio padre e per tutti quelli che per via della circoncisione sono stati torturati, massacrati o uccisi. Mi dispiace che la mia battaglia culturale non sia stata abbastanza forte contro tutti questi. Non mi farete tacere”, scrive Emanuele Fiano su Facebook.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Razzismo | Commenta »