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L’UNICEF: “RINVIO IUS SOLI, TRADIMENTO DELLA POLITICA”

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL DIRETTORE PER L’ITALIA: “VIOLATO L’ART 7 DELLA CONVENZIONE ONU SULL’INFANZIA, RATIFICATO DALL’ITALIA, PER SQUALLIDI INTERESSI POLITICI”

“La riforma dello ius soli non può essere tradita. Se un governo rischia di cadere su una legge così importante e di buon senso, significa che la nostra classe politica non è al passo coi tempi”.
Paolo Rozera, direttore da due anni di Unicef Italia, a fine giugno ha firmato un appello a favore della “nuova cittadinanza” assieme a Save the Children e Rete G2.
Oggi segue con preoccupazione le fibrillazioni politiche attorno alla legge, ma non perde la fiducia: “Confido che queste norme finalmente passino, altrimenti si correrebbe il rischio di un distacco tra vita reale e vita politica”.
Di che tipo di distacco parla?
“Il nostro Paese è ancora fermo alla legge del 1992, che rispondeva alle esigenze degli italiani all’estero e dei loro figli. Un testo anacronistico: oggi la realtà  è che abbiamo migliaia di ragazzi figli di immigrati che vivono qui da due generazioni e che si sentono italiani a tutti gli effetti, ma la legge ancora non glielo riconosce”.
Ma c’è chi denuncia i rischi di una cittadinanza troppo “facile”.
“La verità  è che molti la riforma neppure l’hanno letta. Parlare di un’invasione di “nuovi italiani” è un abbaglio”.
Perchè?
“Perchè qui discutiamo di una legge assai moderata, che introduce uno ius soli non puro, ma temperato da varie condizioni, come aver completato un ciclo scolastico di cinque anni o avere genitori lungo soggiornanti in Italia, cioè stabilmente residenti”.
Eppure il governo sullo ius soli rischia di rimanere senza maggioranza.
“È assurdo che si rischi una crisi politica su una legge tanto equilibrata. Il problema è che ormai il tema è entrato nella bagarre elettorale. Si mette tutto assieme, emergenza sbarchi e cittadinanza ai bambini, facendo una grande confusione”.
Facciamo chiarezza, allora.
“Oggi chi arriva via mare o è un adulto o è un minore solo che ha generalmente tra i 15 e i 16 anni. Qui dunque non parliamo di loro, ma delle tante persone che vivono, studiano o lavorano in Italia da due generazioni e che chiedono solo di essere riconosciute per quello che sono. Purtroppo c’è chi ad arte fa di tutta l’erba un fascio, denuncia l’invasione e parla solo alla pancia del Paese”.
Cosa si rischia se la riforma dovesse naufragare?
“La politica volterebbe le spalle al Paese reale e a questi ragazzi che si sentono italiani. Pensiamo che in base alle ultime stime nel 2050 solo il 60% della popolazione sarà  figlia di genitori entrambi italiani. E la contaminazione già  c’è”.
Quale contaminazione?
“Recentemente ho fatto un giro nella mia Brescia, ma basta girare tra le scuole e le fabbriche di mezzo Paese, per avere conferma che la contaminazione tra vecchi e nuovi italiani già  esiste, inutile urlare all’invasione. Ebbene, questa riforma è un modo sensato per gestire la contaminazione in atto. Non solo”.
Cos’altro?
“Con lo ius soli, l’Italia risponde anche alla Convenzione internazionale dell’Onu sui diritti dell’infanzia, ratificata dal nostro Paese nel 1991 e che all’articolo 7 riconosce a ogni bambino proprio il diritto a che gli venga riconosciuta la sua vera cittadinanza”.

(da “Huffingtonpost”)

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GENTILONI RIMANDA LO IUS SOLI A MAI PIU’: ORA L’ITALIA E’ LA VERGOGNA DEL MONDO CIVILE

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

INVECE CHE AFFRONTARE IL VOTO IN AULA, IL GOVERNO PREFERISCE NON RISCHIARE E MANTENERE LA POLTRONA… TRADITI I VALORI DELLA COSTITUZIONE PER IL SOLITO RICATTO DEI CENTRISTI

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni rimanda la legge sullo ius soli, dopo che nella maggioranza gli alfaniani avevano cominciato a sfilarsi con il ministro della Famiglia Enrico Costa a minacciare le dimissioni.
La nota di Gentiloni:
“Tenendo conto delle scadenze urgenti non rinviabili in calendario al Senato e delle difficoltà  emerse in alcuni settori della maggioranza non ritengo ci siano le condizioni per approvare il ddl sulla cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia prima della pausa estiva. Si tratta comunque di una legge giusta. L’impegno mio personale e del governo per approvarla in autunno rimane”.
Quasi l’intera squadra di Ap a Palazzo Madama (tranne sei) aveva annunciato che avrebbe votato contro o comunque sarebbe uscita dall’aula.
Stessa linea per gli autonomisti che finora hanno sempre votato con la maggioranza.
I numeri, già  precari in quel ramo del Parlamento, sul diritto di cittadinanza sono spariti. Fabrizio Cicchitto, Ap, che pure sostiene la riforma, aveva invitato nei giorni scorsi sulla Stampa alla «ragionevolezza». Ossia al rinvio.
«È certamente sbagliata la forzatura sui tempi sull’approvazione dello ius soli. A meno che non ci sia il calcolo di provocare difficoltà  al governo, saggezza vuole che il tema venga affrontato prendendosi gli spazi necessari». E infatti si registra subito la soddisfazione di Alfano:
“Su questo provvedimento abbiamo già  detto “Sì” alla Camera e lo stesso faremo al Senato dove una discussione più serena permetterà  di migliorare il testo, senza che il dibattito si mescoli alla faticosa gestione dell’emergenza di questi giorni”.
Ma se si cambia il testo ci sarà  bisogno di una nuova lettura alla Camera, con la legislatura alla conclusione.
Insomma, Gentiloni ufficialmente rimanda. Ufficiosamente dovrebbe dirci perchè aspettare fino all’autunno visto che nulla cambierà .
Hanno vinto Salvini e Meloni e tutti i propalatori di bufale sullo ius soli.
D’altronde se non ci fosse chi crede alle balle non ci sarebbe spazio per chi le racconta.

(da “NextQuotidiano”)

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ATAC: OGNI GIORNO ASSENTI 12 AUTISTI SU 100

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

IL TASSO DI ASSENZA DEI DIPENDENTI E’ DEL 12,1%, IN CRESCITA DEL 9,2% RISPETTO AL 2016… IN AUMENTO DEL 20% IL TASSO MEDIO DI ASSENZA PER MALATTIA

Il Corriere della Sera pubblica oggi un’infografica riepilogativa dell’ATAC e dei dipendenti, che sono 11590, di cui 1400 donne e diecimila uomini; il tasso di assenza dei dipendenti dell’ATAC nel primo trimestre 2017 è stato del 12,1%, in crescita del 9,2% rispetto all’anno passato mentre il tasso medio di assenza per malattia è stato del 5,9%, in crescita del 20%. Il costo del personale sostenuto nell’esercizio 2015 ammontava a 536,5 milioni.
Troppe, le assenze, anche rispetto alla media del report interno relativo ai primi tre mesi del 2017, secondo cui il tasso di assenza registrato tra i conducenti di bus e tram a Roma (5.800 unità  su 11.590 dipendenti) è stato dell’11,9%.
Tradotto: circa 700 al giorno, di cui 350 per malattia (il dato è in aumento anche rispetto al 2016:10,5%). I macchinisti della metro assenti sono stati il 12,4%: cioè una sessantina al giorno (su un totale di 500) di cui la metà  per indisposizione.
Un solo autista, invece, è stato finora licenziato dall’Atac per «giusta causa».
L’uomo, nel frattempo, è morto in un incidente motociclistico. Nel dicembre 2008, in viale Isacco Newton, al Portuense, mentre era alla guida di un autobus della linea 31 travolse e uccise un pensionato di 66 anni. L’autista del bus era sotto l’effetto di cocaina.
Il dramma è che l’età  media delle vetture ormai sfiora i 10 anni, l’azienda è in crisi (le perdite strutturali sono di 70-100 milioni l’anno), mancano i pezzi di ricambio e, su 1.200 autobus marcianti, 500 in media rientrano ai box perchè gli autisti segnalano guasti meccanici.
Guasti che, però, stando ai controlli dell’azienda, vengono poi riscontrati poche volte in officina. Il motivo dello stop, in verità ,sarebbe un altro: l’impianto dell’aria condizionata che si rompe spesso e volentieri.
E a bordo, con le temperature di questi giorni, in pochi hanno voglia di fare gli eroi.

(da “NextQuotidiano”)

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INTERVISTA A DAVIGO: “NON SERVONO SENTENZE PER CACCIARE I POLITICI, E’ SUFFICIENTE L’INDECENZA DI CERTE AUTODIFESE”

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

“E’ LA POLITICA CHE DEVE DIRE SE CERTE CONDOTTE SONO COMPATIBILI NON L’ONORE RICHIESTO DALLA COSTITUZIONE”

Piercamillo Davigo, l’uscita della sua corrente Autonomia e Indipendenza dalla giunta dell’Associazione magistrati continua a far discutere. Il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte della corrente Area e il leader di Unicost Antonio Sangermano la accusano di “populismo giudiziario”
Ridicolo. È la stessa accusa che mi hanno sempre mosso i peggiori politici e giornali. Ora vedo che la usano anche alcuni colleghi. La prendo come una medaglia alla mia indipendenza. Io indico la luna e questi guardano il dito.
Quale sarebbe la luna?
Le nomine lottizzate, poco trasparenti e incomprensibili di magistrati negli incarichi giudiziari direttivi e semidirettivi da parte del Csm, che sconcertano buona parte dei nostri colleghi, oltre ai settori più avveduti dell’opinione pubblica. E la risposta qual è? Che io le denuncio per guadagnare voti con la mia componente associativa. Ma santo cielo, se mi dicono così significa che lo sanno anche loro che molti magistrati la pensano come me. O credono che la loro base sia formata da un branco di idioti?
Qual è oggi il rischio più grave per la magistratura italiana?
Quello del carrierismo e quello del conformismo verso il potere politico, che il Csm dovrebbe arginare, non incentivare. Le nomine dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti dovrebbero rispondere a criteri più chiari e stringenti e avvenire con procedure più trasparenti e comprensibili. Chi concorre a un incarico deve presentare un’auto-relazione, che poi viene confrontata con quelle degli altri per la scelta finale del Csm. Ecco, queste relazioni devono essere online, a disposizione di tutti. Per un’esigenza profilattica: così uno evita di tessere lodi infondate o esagerate di se stesso; chi vota per lui risponderà  della sua scelta a tutta la magistratura e ai cittadini; e tutti capiranno se il Csm ha scelto il più bravo oppure no. Non c’è privacy che tenga. Oggi purtroppo non è così, il che provoca una crescente disaffezione dei magistrati verso il loro organo di autogoverno: io vengo accusato di colpire il Csm, mentre voglio difenderlo, aiutandolo a evitare errori.
Lei contesta la lottizzazione correntizia delle nomine “a pacchetto”. Perchè?
Se si decide contemporaneamente su un mazzo di incarichi da riempire, senza trasparenza nè criteri stringenti, il rischio è che non si scelga il migliore per ogni posto, ma che si segua la logica dell’“uno a me, uno a te, uno a lui”. Mettano tutto online: a parole sono tutti d’accordo, perchè non lo fanno? Un collega mi ha detto: “Ormai ci stupiamo se ogni tanto il Csm nomina uno bravo”. E purtroppo sono in molti a pensarlo. Ma si può andare avanti così?
Voi avete contestato le nomine dell’ex assessore della giunta siciliana di Lombardo, Giovanni Ilarda, a Pg di Trento, e l’indicazione dell’ex deputato Pd Lanfranco Tenaglia a presidente del Tribunale di Pordenone.
Ci siamo sentiti presi in giro. La giunta unitaria dell’Anm si era data un programma, che comprendeva il monitoraggio delle nomine direttive e semidirettive del Csm, per verificare il rispetto delle regole. Dopo durissime discussioni, abbiamo creato questo gruppo di lavoro. E c’era un’intesa sui “fuori ruolo” che arrivano dai ministeri: almeno un anno di pausa, prima che possano concorrere a incarichi direttivi. Inoltre il Comitato direttivo centrale dell’Anm approvò una richiesta al Parlamento per stabilire che chi rientra da un’esperienza politica non abbia funzioni giurisdizionali. Su questi punti quasi tutte le correnti dell’Anm, a cominciare da Area, avevano posizioni intransigentissime. Ma se poi chiediamo al Csm di attenersi, per coerenza, a questi criteri nelle sue nomine, cominciano i distinguo, le resistenze, e si continua a fare come se niente fosse. Addirittura si fa saltare la fila ai “fuori ruolo” di ritorno, che passano davanti a quelli che hanno sempre tenuto la toga in spalla. Ma con quale credibilità ? Ecco: se non mi fido di chi gioca con me, non gioco più.
Non è strano che il favorito al Csm per fare il capo della Procura di Napoli sia Giovanni Melillo, capo di gabinetto uscente del ministro Orlando?
Non voglio parlare dei casi singoli, ma dei princìpi: se abbiamo ritenuto che i “fuori ruolo” per un anno non possano diventare dirigenti di uffici giudiziari, quella nomina violerebbe questo principio. È una cosa ovvia: persino gli ambasciatori, che non hanno doveri di indipendenza, dopo un certo periodo all’estero devono rientrare in Italia per il cosiddetto “bagno”: altrimenti diventano cittadini stranieri. A maggior ragione questo deve valere per i magistrati che vengono cooptati dai politici per incarichi ministeriali: badi bene, non scelti per concorso, ma per rapporti fiduciari di natura politica. Prima di tornare in incarichi giudiziari delicati, devono respirare di nuovo l’aria della cultura della giurisdizione, per essere e anche per apparire di nuovo “indipendenti da ogni altro potere”: come prescrive la Costituzione. Altrimenti si dà  un segnale devastante ai magistrati.
Quale?
Che vale di più stare fuori ruolo, in posti più prestigiosi e meno stressanti, che non fare i giudici o i pm sotto montagne di fascicoli, spesso sull’orlo del tracollo psicofisico, ed esposti a rischi disciplinari per ritardi fisiologici o errori formali.
Ieri Sangermano, sul Giornale, trova gravissima la frase che le viene attribuita, secondo cui: “Non esistono politici innocenti, ma solo colpevoli su cui non sono state raccolte le prove”.
Sì, è la stessa che mi attribuisce anche Renzi nel suo ultimo libro: sorprendente questa assonanza, non trova? Evidentemente i due hanno le stesse fonti, o leggono la stessa pessima stampa. In realtà  io parlavo di un processo specifico: quello di Mani Pulite sulla linea 3 della metropolitana milanese, dove si dimostrò fino in Cassazione che tutte le imprese consorziate versavano la loro quota di tangenti all’impresa capofila, che poi versava l’intera mazzetta al cassiere unico della politica, che poi la distribuiva pro quota a ogni rappresentante dei partiti, di maggioranza e di opposizione. È colpa mia se poi sono stati tutti condannati? È il solito giochino che una volta facevano solo certi politici e certi giornalacci: prendere una frase e isolarla dal contesto per buttartela addosso. Un giorno il capitano di una nave scoprì che il primo ufficiale di guardia era ubriaco e lo scrisse nel giornale di bordo. Quello, per vendicarsi, scrisse a sua volta: “Oggi il comandante non era ubriaco”. Era la verità , ma quella frase, estrapolata dal contesto, sembrò un atto di accusa, come a dire che tutte le altre volte il comandante era ubriaco. Ecco, questi fanno così. Sono ridicoli.
Renzi scrive anche che lei non sa cos’è il garantismo, non conosce Cesare Beccaria. Le rinfaccia una frase di Giovanni Falcone contro i “khomeinisti” della “cultura del sospetto”. E le rammenta che, per decidere se uno è colpevole o innocente, bisogna attendere la sentenza definitiva.
Deve avere le idee molto confuse. Io, come tutti i magistrati, non mi sognerei mai di condannare qualcuno sapendolo innocente, perchè sono stato educato alla cultura della prova. Noi magistrati esistiamo proprio per distinguere fra colpevoli e innocenti. Ma sappiamo anche che non sono le sentenze che debbono selezionare la classe dirigente e politica: è la politica che deve fare le sue valutazioni autonome sul materiale giudiziario e decidere se certe condotte già  dimostrate in fase di indagine, a prescindere dalla rilevanza penale, sono compatibili o meno con la “disciplina” e “l’onore” richiesti dall’art. 54 della Costituzione a chi ricopre pubbliche funzioni. Per mandare in carcere qualcuno a espiare la pena, ci vuole la condanna definitiva. Ma per mandarlo a casa, a volte non c’è bisogno nemmeno della condanna di primo grado. Anzi, non c’è neppure bisogno dell’accusa: basta la sua difesa.
Addirittura?
Certo. Certi politici si difendono in modo talmente vergognoso che andrebbero mandati a casa solo per quello. Prenda quel dirigente di una Asl lombarda accusato di mafia (e poi condannato) che, quando emersero le sue intercettazioni, si difese dicendo: “Io fin da ragazzo mi diverto a sembrare un mafioso”. C’è bisogno della condanna, per cacciarlo? Ecco: se i politici facessero pulizia al loro interno quando vengono a sapere cose del genere, le nostre indagini e sentenze non creerebbero alcuna tensione fra giustizia e politica, perchè noi processeremmo solo degli “ex”. Invece se li tengono tutti fino alla condanna definitiva, e spesso anche dopo.
Sangermano dice pure che la legge Severino non poteva essere applicata “retroattivamente” a Berlusconi per espellerlo dal Senato.
Sono allibito. Non c’è stata alcuna applicazione retroattiva. La decadenza da parlamentare prevista dalla Severino non è una sanzione penale, ma un requisito di onorabilità : se la legge dice che i condannati a certe pene per certi reati non possono andare o restare in Parlamento, vale per tutti i condannati, per reati commessi sia prima sia dopo la legge.
Renzi però scrive che prima di entrare in politica nè lui nè la sua famiglia avevano mai subito indagini, mentre dopo sì. E che un ex deputato di Forza Italia l’aveva avvertito dopo la sconfitta referendaria: “Ora partirà  l’attacco delle procure ai renziani”. E subito arrivò l’inchiesta Consip.
A parte il fatto che l’inchiesta mi pare sia partita diversi mesi prima, questo lo diceva già  Berlusconi, con la medesima attendibilità . Ma poi bisogna intendersi: è ovvio che, quando assumi una carica pubblica, sei più esposto di un passante al rischio di indagini giudiziarie. Nel senso che diventi pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, funzioni che ti prescrivono una serie di regole in più di quelle previste per un privato, e ti espongono anche al rischio di essere denunciato dai cittadini per i tuoi atti. Se invece Renzi vuol dire che per chiunque vada al governo, o perda le elezioni, scatta il complotto giudiziario, dice cose insensate.
Lei ha mai avuto offerte ministeriali?
Quella che sanno tutti: nel 1994 Ignazio La Russa mi voleva ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi. Risposi “no grazie”. Poi non si azzardò mai più nessuno: o sto antipatico a tutti, oppure tutti mi ritengono politicamente inaffidabile. In ogni caso, me ne vanto.
Ultimamente la volevano i Cinque Stelle.
Nessuna proposta formale. E, a scanso di equivoci, al loro recente convegno alla Camera ho ribadito che i giudici non dovrebbero mai fare politica, anche se sarebbe assurdo vietarlo per legge (nelle democrazie serie lo si proibisce ai pregiudicati, non ai magistrati). Però un protagonista di Tangentopoli, condannato in via definitiva, ha dichiarato che, se vincono i 5Stelle, Mattarella non darà  mai l’incarico a Di Maio, ergo il M5S indicherà  me come premier, e sarà  la fine. A parte il fatto che è fantascienza, mi inorgoglisce che un pregiudicato pensi questo di me…
Perchè i magistrati non devono fare politica?
Perchè non sono capaci, della qual cosa esistono evidenze empiriche. Ha mai visto uno che ha fatto a lungo il magistrato diventare un grande statista? I politici sono, o dovrebbero essere, scelti (cioè eletti) col criterio della rappresentanza. I professionisti, con quello della competenza, tant’è che nessuno si farebbe operare da un chirurgo che passa per bravo solo perchè è stato eletto dal popolo. Noi magistrati siamo un’altra cosa: abbiamo le guarentigie di indipendenza proprio per potercene infischiare delle critiche dell’opinione pubblica: come potremmo gestire il consenso, se non l’abbiamo mai fatto prima in vita nostra?
La prova empirica sarebbe la produzione legislativa delle commissioni Giustizia e del ministero della Giustizia, infarciti di magistrati (oltrechè di avvocati)?
Anche. Roba da mettersi le mani nei capelli. Da anni si dice alle procure che, non potendo smaltire tutti i fascicoli, devono privilegiare quelli per reati più gravi e poi, a scalare, tutti gli altri. Ma ora, nella riforma penale Orlando che entra in vigore il 3 agosto, c’è l’avocazione obbligatoria da parte delle Procure generali per tutti i fascicoli che i pm non hanno chiuso con una richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione entro 3 mesi dalla scadenza dei termini. Solo che le Procure generali hanno organici molto più ridotti di quelli delle Procure…
E allora?
E allora come fanno a smaltire per tempo i fascicoli che non sono riusciti a evadere nemmeno le Procure? I Pg applicheranno nei propri uffici i pm delle Procure per farsi aiutare. Cioè: prima dici ai pm di dare la precedenza a certi fascicoli, poi gli fai levare quelli che non han fatto in tempo a smaltire, e infine li chiami a smaltire quelli che gli hai fatto levare. Ma si può andare avanti così? È l’idea balzana che si risolvano i problemi dando degli ordini, peraltro inapplicabili, come le gride manzoniane del governatore Ferrer. Tipo quando Renzi annunciò una legge per fare durare i processi non più di un anno. E perchè — risposi io — non sei mesi? O due settimane? Poi c’è l’obbrobrio delle pensioni.
Quale?
Il decreto del governo Renzi che ha anticipato il nostro pensionamento dai 75 ai 70 anni e ha lasciato repentinamente scoperti 500 incarichi direttivi, portando i vuoti di organico a quota 1200. Siccome, da quando viene bandito un concorso per nuovi magistrati a quando questi entrano in servizio dopo la nomina e il tirocinio, passano 4 anni, noi dell’Anm abbiamo detto: prima reclutate i giovani, poi mandate a casa i vecchi. Conservo la lettera del ministro Orlando che, a nome del governo, si impegnava con l’Anm a prorogare il pensionamento di tutti i magistrati a 72 anni fino alla completa copertura dell’organico. Impegno poi incredibilmente disatteso. Alla Camera, il ministro ha spiegato che l’impegno l’aveva assunto il governo Renzi e ora il governo era cambiato. Pensi se lo stesso discorso l’avesse fatto sui titoli di Stato il ministro dell’Economia e delle Finanze: gli impegni non valgono più perchè è cambiato il governo. Sarebbe saltata l’economia italiana su tutti i mercati internazionali
Rimpiange i governi Berlusconi?
Diciamo che il centrosinistra non li fa rimpiangere, però ha fatto più danni. Il centrodestra faceva leggi terribili, che fortunatamente perlopiù non funzionavano, o venivano dichiarate incostituzionali dalla Consulta, o sortivano effetti opposti a quelli sperati. Ma allora almeno il centrosinistra votava contro, protestava, chiamava la gente in piazza. Ora che quello che non era riuscito a fare il centrodestra lo fa il centrosinistra, il centrodestra glielo vota e quasi nessuno protesta.
Ora il governo di centrosinistra si dibatte fra gli annunci di linea dura sull’immigrazione e lo Ius soli.
Se avessero disciplinato per tempo l’immigrazione, con la politica dei visti per i Paesi e le posizioni che servivano alla nostra economia (mai sentito proteste per le domestiche filippine), non ci troveremmo a questo punto. Per anni non si sono concessi i visti a nessuno, costringendo i migranti a entrare clandestinamente in Italia. Così poi sono arrivate le sanatorie indiscriminate, che generano aspettative di nuovi colpi di spugna, come i condoni edilizi e fiscali. E ora il fenomeno appare incontrollato, anche perchè le annunciate espulsioni degli irregolari sono solo sulla carta: non si fanno perchè mancano sempre i soldi. Si lasciano incancrenire i problemi e poi li si scaricano sui cittadini. E anche sui magistrati, con reati inutili come quello di clandestinità . Che ancora non è stato abolito, anche non risolve nulla, anzi complica le indagini sugli scafisti: non possiamo più sentire i migranti come testimoni, con l’obbligo di dire la verità , ma dobbiamo ascoltarli come indagati, con la facoltà  di mentire e di non rispondere.
Lei ripete spesso che l’Anac di Raffaele Cantone serve a poco: non crede nella prevenzione anticorruzione?
Non credo che la corruzione si combatta con questo tipo di prevenzione, che previene poco o nulla. I problemi si prevengono conoscendoli, e la corruzione si conosce solo facendo le indagini, gli arresti e i processi, non controllando la regolarità  delle pratiche amministrative e burocratiche. L’esperienza insegna che, quando uno vuole delinquere, sta molto attento a curare la forma per lasciare tutte le carte a posto.
Com’è oggi la magistratura rispetto a 25 anni fa, cioè al tempo di Mani Pulite?
Molto più genuflessa e intimidita di allora. La situazione complessiva creata dalla classe politica ha avuto l’effetto di spaventare e piegare molti magistrati. Tra carichi di lavoro massacranti, sanzioni disciplinari durissime per vizi formali e ritardi naturali, leggi penali e regole processuali cambiate per mandare in fumo i processi ai colletti bianchi, attacchi politici e mediatici, nomine non trasparenti, hanno creato un ordine giudiziario sempre meno forte, sereno e indipendente e sempre più affetto dal carrierismo e dalla tentazione di cercare santi protettori. Cioè sempre più conformista verso chi comanda.
Davvero non si sente un khomeinista?
Si figuri. Ho sempre fatto il magistrato allo stesso modo e sono stato attaccato da tutte le parti. Mi han dato ora del comunista, ora del fascista, del servo della Cia e dei servizi segreti, adesso pure del populista e del grillino. Il che, per me, significa essere imparziale. Lo scrisse Piero Calamandrei a proposito del giudice Aurelio Sansoni, bollato di “pretore rosso” perchè nel 1922 faceva rispettare la legge dalle camicie nere: se non sei disposto a servire una fazione, devi rassegnarti all’accusa di essere al servizio della fazione contraria. E dire che, da giovane, quando abbaiavo ai ladri, mi battevano le mani. Poi, salendo il livello dei ladri, ogni volta che abbaiavo hanno cominciato a prendermi a calci.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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“STUPRATA DAI COMPAGNI MA MI HA FERITA DI PIU’ L’OMERTA’ DELLE DONNE”

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

INTERVISTA ALLA VITTIMA DELLO STUPRO DI PARMA DA PARTE DI TRE GIOVANI ANTIFASCISTI DEL CENTRO SOCIALE RAP

“Le ragazze sono state le peggiori. Mi hanno coperto d’insulti per aver denunciato gli stupri”: questo ricorda Claudia (il nome è di fantasia), mantovana 25enne, reduce dal processo che ha portato alla condanna dei suoi stupratori.
La violenza, avvenuta quella terribile notte del 12 settembre di sette anni fa, quando fu violentata e filmata dai “compagni” nella sede della Rete antifascista di Parma nel giorno dell’anniversario della cacciata delle squadracce di Italo Balbo dallo storico quartiere Oltretorrente, è un ricordo che brucia ancora nella sua mente ma che solo adesso ha trovato il coraggio di tirare fuori.
Gli autori dello stupro, Francesco Concari, 30 anni, Francesco Cavalca, 26, e Valerio Pucci, 25, sono stati condannati a 4 anni e otto mesi i primi due e a 4 anni il terzo.
Il pm Giuseppe Amara ne aveva chiesti nove, ma i giudici non hanno concesso le aggravanti. Al dimezzamento della pena ha contribuito anche il risarcimento di 21 mila euro accettato dalla parte lesa.
A Repubblica la giovane ha raccontato la vicenda.
Cosa successe quella sera?
“Conoscevo da qualche tempo Concari. Non stavamo insieme, ma ci frequentavamo come militanti dei centri sociali. Quella sera dovevo vedermi con lui e partecipare alla festa per l’anniversario delle Barricate. A un certo punto, con una scusa, mi ha chiesto di accompagnarlo nella sede della Rete antifascista in via Testi e lì è iniziato tutto”.
C’erano altre persone oltre a Cavalca e Pucci?
“C’erano anche altri. Mi fa rabbia che non siano stati puniti per il semplice fatto che nel filmato non compaiono. Solo quei tre, il resto del gruppo l’ha fatta franca. Del resto io ero incosciente. Non so cosa mi abbiano dato. Vedevo male e cose strane, non sentivo niente di decifrabile. Nel video si vede che sembro morta”.
Quel video le è toccato di vederlo. Ha detto che l’ha fatta stare male come un secondo stupro, è così?
“Per tre ore l’hanno proiettato come alla moviola con tanto di fermo immagine. Gli avvocati difensori volevano dimostrare che ero consenziente e disquisivano sui movimenti del braccio, della gamba… È stato terribile, mi sono sentita male malgrado il sostegno del mio avvocato Alessandro Ferrari. In un certo senso mi ha dato più dolore della violenza. In quei momenti, come ho detto, ero incosciente, ma quelle scene che vedevo per la prima volta mi hanno tramortita”
Nel caso di Claudia c’è l’aggravante dell’omertà : anche le ragazze hanno taciuto.
“Sono state le peggiori. Mi hanno coperto d’insulti perchè ho denunciato dandomi dell’infame per aver fatto entrare gli sbirri dentro ai centri sociali. Hanno persino messo in giro la voce che mi ero messa con i fascisti e che andavo in giro con quelli di Casa-Pound. Penso che chi difende questa gente sia anche peggio degli stupratori. E poi io non ho denunciato nessuno. Volevo tutelare i miei genitori ed ero imbarazzata per una violenza che mi era piombata addosso da parte dei “compagni”. I carabinieri sono arrivati a loro perchè hanno visto il filmato sul telefonino”.
Ha provato a parlare con le “compagne”?
“Sì, ma è stato impossibile. In risposta mi sono arrivati insulti. Mi hanno apostrofato per strada con il nomignolo ingiurioso che faceva da leitmotiv a quel video. Per tre anni ho vissuto isolata. Continuavano a dirmi che avevo denunciato i “compagni”, ma se anche fosse stato ne avrei avuto ben donde”
Claudia si è detta delusa per la sentenza, dato che si aspettava una condanna più severa.

“Speravo che dessero loro i nove anni chiesti dal pm. Sono comunque soddisfatta di aver avuto giustizia e che abbiano riconosciuto la colpevolezza. Questo non toglie il peso di quello che è successo, ma mi consente di riprendere a vivere dopo anni passati col pensiero del processo”.

(da “Huffingtonpost“)

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CAPOTRENO MOLESTATA? BALLE, SOLO UNA DISCUSSIONE ACCESA, TRENITALIA E QUESTURA SMENTISCONO IL SINDACATO

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

RAZZISTI IN LUTTO, NESSUN BRANCO DI NEGRI ASSATANATI… TANTO NESSUNO RISPONDE MAI PER AVER DIFFUSO UNA NOTIZIA FALSA

“Nessuna denuncia. La capotreno ha chiesto i titoli di viaggio ad un gruppo di extracomunitari sul convoglio Porto Torres Sassari. C’è stata una discussione, seppur accesa perchè qualcuno non aveva il biglietto. La dipendente ha poi proseguito nel suo lavoro e ha chiesto alla Polizia Ferroviaria, come da prassi, l’identificazione dei responsabili, com’è avvenuto”.
E’ la spiegazione di Trenitalia Sardegna, che, tramite l’ufficio stampa, ricostruisce l’episodio della presunta aggressione ad una capotreno da parte di un gruppo di extracomunitari sul convoglio Porto Torres-Sassari.
Stessa ricostruzione fatta dalla Questura di Sassari che ha spiegato il fatto: non risulta che sia stata presentata alcuna denuncia o querela agli uffici di polizia sassaresi.
Gli otto nigeriani sono stati tutti identificati e al momento nessuno di loro risulta gravato da provvedimenti di espulsione o allontanamento dal territorio dello Stato. Sempre secondo quanto si apprende dalla Questura nessuna donna si è presentata al posto fisso di polizia dell’ospedale di Sassari per denunciare aggressioni in merito.
La notizia era stata data con grande enfasi dal sindacato   Fit Cisl, secondo cui la capotreno era stata aggredita fisciamente e palpeggiata da alcuni giovani nigeriani sprovvisti di biglietto.
Trenitalia oggi precisa in primo luogo che la donna non ha ancora presentato alcuna denuncia. Quindi riporta quanto ricostruito sentendo la stessa protagonista: si è trattato di una aggressione verbale, un diverbio. La capotreno stava controllando i biglietti quando ha raggiunto il gruppo di stranieri, circa una decina di persone, molti dei quali erano sprovvisti del titolo di viaggio; solo alcuni si sarebbero agitati, iniziando a inveire contro la donna e in queste fasi concitate, la capotreno sarebbe stata sfiorata su un braccio o su una gamba. Nessun palpeggiamento quindi, fa presente Trenitalia riferendosi alla ricostruzione fornita dai sindacati.
La donna è poi andata in cabina dal macchinista e ha avvertito, come avviene sempre in queste occasioni, la Polizia ferroviaria affinchè provedesse all’identificazione dei passeggeri sprovvisti di biglietto. Aggiunge Trenitalia CHE non è stata presentata alcuna denuncia e che la capotreno non si è fatta visitare in ospedale.
Nessun branco di negri assatanati quindi, la notizia è servita solo a montare un caso utile alla fogna razzista sempre a piede libero.

(da agenzie)

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AUTONOMIA LOMBARDIA E VENETO, DUE REFERENDUM IDENTICI E INUTILI, LO SPOT LEGHISTA SPUTTANERA’ 50 MILIONI

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

INUTILE DAL PUNTO DI VISTA PROCEDURALE E COSTITUZIONALE E NON E’ CHIARO QUALI COMPETENZE LE DUE REGIONI VORREBBERO ATTRIBUIRSI

Il prossimo 22 ottobre si terranno due referendum identici in Lombardia e Veneto. Si tratta di un’operazione squisitamente politica, i cui confini spaziano tra la ricerca di un forte mandato popolare nei confronti del governo centrale e l’anticipo della campagna elettorale per le prossime elezioni regionali, almeno in Lombardia.
In ogni caso, un’operazione inutile dal punto di vista procedurale e costituzionale e che anzi rischia di confondere i cittadini sulle reali possibilità  che le regioni hanno di ottenere maggiore autonomia.
Il riferimento normativo è l’articolo 116 della Costituzione, che dopo la riforma del 2001 prevede al comma 3: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata”.
Come si legge, non si fa menzione di alcun referendum.
Anzi, la decisione finale è presa dal parlamento con maggioranza qualificata, quindi da un organo nazionale.
È però evidente che una richiesta di questo tipo, se accompagnata da un forte mandato popolare, potrebbe aumentare le chance delle regioni di ottenere qualcosa.
Già : ma “qualcosa” cosa?
I referendum non lo specificano: si fa riferimento a “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
Quindi?
Maggiori competenze in tutte le materie possibili (cioè quelle concorrenti o alcune tra quelle di competenza statale)? O solo in alcune? E con quali risorse?
La Costituzione non prevede un aumento dell’autonomia fiscale per finanziare le competenze trasferite, che quindi potrebbero esserlo solo da eventuali maggiori trasferimenti da parte del governo. Insomma, verrà  chiesto ai cittadini se la regione dovrebbe gestire più attività , senza chiarire quali.
E se il testo del referendum veneto si limita al virgolettato sopra riportato, quello lombardo, pur ripetendo la stessa identica frase, la inserisce in un contesto che rende il testo più cauto ed elaborato ma in fin dei conti ancor meno chiaro.
Insomma, autonomisti nei proclami ma prudenti nella forma, per paura dell’elettorato di sinistra (o della Corte costituzionale).
Certo, va anche detto che si tratta di una storia già  vista.
Nel lontano 2007, la giunta lombarda di centrodestra riuscì ad approvare, quasi all’unanimità , una legge per richiedere maggiori competenze, sempre in base all’art. 116; quella legge non ottenne alcun risultato, benchè dal 2008 al governo ci fosse una maggioranza del tutto omogenea a quella che guidava la Lombardia.
E che dire del Veneto, che ha alle spalle un tentativo di referendum sonoramente bocciato dalla Corte costituzionale?
Il rischio quindi che il tutto si concluda con un nulla di fatto è reale.
La riforma costituzionale bocciata nel dicembre 2016 — quella sì — avrebbe potuto facilitare il processo.
Ma è ormai tardi e inutile riparlarne.
Quanto ci costa il giochino dei governatori?
Le stime dei costi dei referendum lombardo-veneti oscillano tra 30 e 50 milioni di euro. Non sono noccioline ma l’argomento sui costi del voto è sempre scivoloso.
O accettiamo il fatto che non sempre il ricorso alle urne è una bella cosa — ma allora dobbiamo stabilire un criterio che sia il meno discrezionale possibile su quale voto sia degno e su quale non lo sia — oppure accettiamo che votare è sempre un bene.
Però costa, e quindi che il voto sia tradizionale o elettronico, che sia o economico o richieda un sacco di soldi, facciamocene una ragione.
Qualcuno ha poi dubbi su come andrà  a finire? Sembra ovvio che vincerà  il “Sì”: perchè mai non vorremmo avere più autonomia se non vengono indicati i costi per ottenerla? Tuttavia, la storia recente ci ricorda che consultazioni elettorali del tutto facoltative (Brexit, elezione anticipate nel Regno Unito, referendum costituzionale in Italia), ma pensate per aumentare il potere di chi governava, hanno dato un risultato certamente diverso dalle aspettative.

(da “La Voce.info”)

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IL MACCHINISTA INDAGATO PER LA DONNA TRASCINATA DALLA METRO E LA PATETICA DIFESA DEI SINDACATI

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

“STRESSANTE LAVORARE CINQUE ORE DI FILA”… MA A ROMA LAVORANO 950 ORE L’ANNO (COME A NAPOLI), A MILANO 1250 ORE

Gianluca Tonelli è il macchinista accusato di non aver arrestato la corsa della metropolitana a Termini mentre Natalya Garkovich veniva trascinata sulla banchina a Termini: è stato indagato per lesioni.
Repubblica Roma racconta oggi che la commissione interna d’inchiesta dell’ATAC lo sentirà  nelle prossime ore. Allo stesso iter, negli uffici di via Prenestina, sarà  sottoposto anche il resto del personale in servizio al momento dell’incidente.
Poi Gianluca Tonelli dovrà  essere sentito dalla magistratura. L’accusa nei suoi confronti è quella di lesioni personali colpose.
Nel filmato che ha pubblicato il Corriere della Sera e fornito dalle telecamere di sorveglianza della metro, si vede lui che ferma il treno e apre le porte, e subito dopo apre un contenitore e comincia a prendere alcune forchettate di cibo, dando un’occhiata ogni tanto allo specchietto retrovisore.
Lo fa anche prima di far ripartire il convoglio.
Ma Tonelli non si accorge che la Garkovich è rimasta attaccata all’ultimo vagone e viene trascinata sulla banchina.
Era possibile vederla a così tanta distanza? E perchè i passeggeri a bordo hanno raccontato di aver azionato le leve d’allarme quando il treno fiancheggiava ancora la banchina della stazione senza risultati
Intanto Lorenzo De Cicco sul Messaggero di oggi racconta che i macchinisti colleghi di Tonelli non hanno dubbi sull’accaduto:
Sui social e nelle chat interne rilanciano l’hashtag #iostocolmacchinista. Un sindacato addirittura vuole legare a un improbabile «diritto della pausa pranzo» (esiste davvero?) lo sciopero di giovedì prossimo, il 20 luglio, che era stato proclamato ufficialmente per chiedere «più sicurezza».
«Ma sicurezza — dice Claudio De Francesco, segretario della Faisa Confail — è anche assicurare la pausa pranzo ai macchinisti», che secondo il sindacalista oggi sarebbero troppo «stressati» dal fatto di lavorare per cinque (cinque…) ore di fila nella metro A e per quattro ore e mezza nella metro B.
In realtà  i macchinisti romani erano tra quelli che passavano meno ore sui treni fino a un paio d’anni fa.
In un anno guidavano in media appena 736 ore.
Con un provvedimento varato dall’ex giunta di Ignazio Marino, le ore sono state portate a 950, in linea con quanto succede nel metrò di Napoli, masi tratta di un numero ancora lontanissimo dalla media di Milano, dove invece i macchinisti restano in cabina per 1.200 ore l’anno.
Oltre il 25% in più dei colleghi di Roma.
Nelle immagini si vede che la donna, ultima a entrare nell’ultimo vagone, ha un ripensamento ed esce. Ma il treno riparte mentre il braccio o la busta che tiene e quindi la mano restano incastrate tra le porte.
I passeggeri sulla banchina, increduli, cercano di aiutarla e di fare segni al conducente correndo verso la cabina ma il treno riparte e la donna agita l’altro braccio fino a che si piega sulle ginocchia col treno che la trascina.
Un altro video riprende, invece, più da vicino la cabina del conducente della metro che fermo in stazione controlla più volte nello specchio retrovisore le persone che salgono e scendono prima di ripartire mentre porta più volte qualcosa alla bocca, sembra mangiare.
Poi guarda lo specchio retrovisore, due volte, chiude le porte e riparte, mentre la donna, incastrata, viene trascinata.
All’interno del vagone i passeggeri cercano di intervenire, azionano il freno d’emergenza ma il convoglio non si ferma.
Verrà  poi spiegato che su quel tipo di vettura l’allarme non blocca la corsa. Ma le leve non azionano nemmeno l’apertura delle porte.
L’ultimo tentativo riesce a far socchiudere la porta permettendo a Natalya di liberarsi, cadendo dal vagone. Il treno si fermerà  solo alla stazione successiva, Cavour, dove il macchinista si renderà  conto di quanto accaduto, la linea verrà  interrotta e la donna verrà  portata in ospedale, in gravi condizioni per varie fratture ma non in pericolo di vita.

(da “NextQuotidiano”)

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L’ULTIMA TROVATA COMICA DI BUCCI: TOGLIERE IL WI-FI DOPO LE 19, ALTRIMENTI LO USANO GLI IMMIGRATI

Luglio 16th, 2017 Riccardo Fucile

LA PARANOIA DEGLI “ASSEMBRAMENTI DOVE POTREBBERO INFILTRARSI SPACCIATORI”…   I GENOVESI ORMAI VEDONO PIU’ “SPACCIATORI DI FUMO” IN CERTI POLITICI.. QUELLI CHE SPACCIANO DROGA NON HANNO BISOGNO DEL WI-FI GRATUITO

“Togliere il wi fi dopo le 19 per evitare “assembramenti” nel Centro storico significa darla vinta al degrado. È come se avessero chiuso i parcheggi al Porto antico perchè c’erano i posteggiatori abusivi. Il nuovo sindaco dice che Genova deve diventare la capitale del Mediterraneo, allora non possiamo arretrare su queste cose».
Enrico Alletto è il presidente dell’associazione Open Genova che ha portato il Wi fi libero nel parco della Lanterna e si batte per una città  più amichevole verso il mondo digitale.
L’altro giorno, dopo aver letto della stramba idea dell’assessore alla sicurezza Stefano Garassino di “spegnere” il wi fi nel centro storico dopo le 19 per “evitare assembramenti di migranti dove possano infiltrarsi gli spacciatori”, ha fatto un salto sulla sedia.
“Il degrado non è certo colpa del wi-fi, una città  moderna non può chiudere dei servizi che servono a turisti e genovesi. Ci sono soluzioni tecniche praticabili, si può inserire un limite di tempo per le connessioni in alcune zone, oppure monitorare chi si connette ripetutamente dagli stessi hotspot, anche ad uso delle forze dell’ordine, ma non vediamo il problema”.
Le sperimentazioni e i progetti per il “Wi Fi libero”a Genova sono state varie, negli anni. Esperienze che si sono evolute con la normativa in merito.
Oggi la rete “FreeWiFiGenova” è estesa su oltre 114 hot spot urbani, tra locali pubblici, piazze, aree attrezzate e biblioteche.
Una rete molto diffusa in centro storico (soprattutto intorno a via Garibaldi e piazza Banchi), ma con hotspot anche a Principe, Molassana, Nervi e Pegli.
«Tra gli obiettivi del servizio c’è il miglioramento dell’accessibilità  delle informazioni per cittadini e turisti, nell’ottica di una complessiva valorizzazione delle risorse cittadine», si legge sul sito del Comune.
Ci si deve registrare su un portale inserendo nome, cognome, email e numero di telefono. La password per l’accesso viene inviata via sms ed è valida per tutti i punti di collegamento, la navigazione è gratuita per un massimo di 300 MB giornalieri senza limiti orari sulla rete Internet.
L’autenticazione nel Comune di Genova è garantita dalla collaborazione con la ditta Guglielmo Srl (la stessa che opera nel parco della Lanterna).
Ci sono poi decine di altre reti “open” sparse sul territorio, alcune con limitazioni al traffico altre vincolate a offerte commerciali.
La “sorpresa” è che il wi fi libero nel centro di Genova funziona bene, ma è segnalato malissimo e mancante in alcuni dei punti più turistici (come piazza San Lorenzo).
Il SecoloXIX ha fatto una prova sul campo: ci siamo collegati in piazza De Ferrari con uno smartphone. Il browser, una volta realizzata l’autenticazione, si connette alla homepage del Comune di Genova.
Ma le applicazioni più diffuse, da Facebook a Whatsapp, funzionano senza problemi.
La connessione è rimasta attiva durante la passeggiata per via Garibaldi, via della Maddalena, piazza Lavagna, piazza delle Vigne e piazza Banchi.
Al Porto antico, invece, la rete “FreeGenova” risultava assente. L’abbiamo recuperata, salendo per via san Lorenzo, solo in piazza Matteotti.
L’unico cartello che indicava la presenza del wi fi gratuito, però, l’abbiamo incontrato solo in largo Pertini, vicino alla statua di Garibaldi.

(da “Il Secolo XIX”)

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