Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
“RENZI IMPRIGIONATO DAL SUO EGO”
Arturo Parisi è il padre dell’Ulivo e delle primarie. Da sempre è considerato uno degli uomini politici più vicini a Romano Prodi.
Assume particolare credito quanto afferma in un’intervista al Corriere della Sera in merito alla “tenda” del Professore, ormai sempre più lontana dal Pd: “Più che a spostarla in un’altra parte del campo, credo che il rifiuto del progetto da parte di Renzi abbia spinto Prodi ad arrotolarla e ad allontanarsi dal campo” dice Parisi, che si iscrive anch’egli alla schiera dei delusi del Partito democratico targato Matteo Renzi.
Una lista che aumenta ogni giorno di più, soprattutto nei Territori, con una diaspora silenziosa dal Pd che riguarda anche nomi rilevanti a livello locale.
“Più che il contributo di Prodi, Renzi ha respinto il progetto della costruzione di un nuovo centrosinistra, che mettesse di nuovo al suo centro il governo del Paese. Ha respinto l’idea di costruire una coalizione capace di governare insieme alle forze di centro e di sinistra, con le quali già oggi governa a più livelli il Paese. A quelli che non riescono a credere come il Pd possa mai raggiungere questo obiettivo da solo, sembra che Renzi preferisca perdere, piuttosto che provare a vincere insieme”.
Parisi ha letto il libro “Avanti” e ne ha tratto una conclusione, un’analisi psicologica dell’autore.
“Anche a me il tema dell’Io sembra cruciale. Nel racconto del libro, come nella realtà , è interessante l’oscillare tra l’Io e il Noi. Hai voglia a ripetere che, se senza un Io non si parte, senza un Noi non si arriva. Renzi sembra seguire il percorso inverso. Così come sette anni fa la sua avventura esordì con un Noi giovani, premessa di una inevitabile rottamazione dei vecchi, tutta la successiva galoppata di Renzi si è svolta dentro un Io che è andato trasformandosi in una prigione”.
L’alternativa poteva essere Giuliano Pisapia, ma Parisi commenta con delusione il suo annuncio di non presentarsi alle prossime elezioni
“Ascoltando le sue parole quando ha riproposto, quasi per inciso, la sua scelta, ne ho riconosciuto la coerenza. Allo stesso tempo nei volti dell’uditorio zoomati dalla telecamera ho letto sconcerto e preoccupazione. Come se ai passeggeri di un aereo venisse annunciato d’improvviso che il pilota li guiderà da terra”. […] “Se per Pisapia Insieme non è, come credo, un invito rivolto soltanto a una parte ma a tutte le forze del centrosinistra, a cominciare dal Pd, ad operare insieme per il governo del Paese, quella che conta è la meta piuttosto che i percorsi per raggiungerla. Dentro un comune progetto è bene che ognuno faccia la sua parte. Penso che il progetto ora respinto prima o poi ritornerà attuale. Non ha alternative”
L’alternativa D’Alema-Bersani non può essere accantonata, la loro voce, spiega Parisi, deve restare in campo.
“Come nessuno può chiedere al Pd che Renzi si faccia da parte, nessuno può avanzare verso loro una pretesa uguale. Per chi ragiona con me sulla necessità della ricomposizione di un centrosinistra di governo, anche se come me non condivide le loro scelte, è difficile negare che essi facciano parte del nostro campo. E anche se caricati di una rappresentanza incomparabile con quella di un tempo, non posso dimenticare che la loro voce ha avuto finora il timbro di una sinistra di governo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
IL PICCOLO E’ NATO DUE MESI FA A CALGARY
Justin Trudeau ha incontrato Justin Trudeau, anzi, lo ha preso in braccio. 
Nel corso di una manifestazione tradizionale a Calgary, in Canada, il primo ministro del Nord America ha infatti avuto modo di incontrare il suo omonimo di appena due mesi, nato da una coppia di rifugiati siriani accolti in Canada nel 2016 e che per sdebitarsi hanno chiamato il terzogenito proprio come il premier.
Mamma Afraa e papà Muhammed, infatti, hanno dato in braccio a Trudeau il loro figlioletto – il cui nome completo è Justin Trudeau Adam Bilan -, che ha continuato a dormire beatamente nonostante le braccia famose che lo stringevano.
La famiglia fuggì da Damasco a causa della guerra e arrivò nel febbraio 2016 in Canada, quindi prima che Afraa partorisse Justin Trudeau Jr.
Il piccolo, infatti, è nato a Calgary, città che ospita all’incirca mille rifugiati siriani, tra cui la famiglia Bilan.
Salutato il piccolo omonimo, poi, il leader canadese ha continuato a festeggiare insieme ai suoi compatrioti, servendo da mangiare, salutando i bambini presenti e accogliendo una comunità di rappresentanza degli indiani d’America.
La giornata – sicuramente emozionante – di Trudeau si è poi conclusa con un rodeo visto tra gli spalti della locale struttura.
Tra sorrisi e disponibilità , Justin ha fatto innamorare di sè i canadesi (e il mondo) ancora una volta.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
I SEI PAESI PIU’ RICCHI DEL MONDO OSPITANO SOLO IL 9% DEI RIFUGIATI DEL PIANETA… LA SOLIDARIETA’ VIENE PIU’ DAI PAESI POVERI
“In Libia ho perso tutto, hanno ucciso mia moglie, mi hanno torturato. Non mi importava se fossi morto durante il viaggio in mare, volevo solo andare via da quella terra che per me ha rappresentato l’inferno, dopo l’orrore vissuto nel mio Paese.”
Con queste parole Abdoul, rifugiato dalla Guinea Conakry parla della Libia, del viaggio, della sua condizione di migrante.
L’approccio europeo alle migrazioni che emerge dagli ultimi vertici ufficiali e incontri tra rappresentanti degli Stati Membri sembra essere lontano e completamente staccato dalla vita delle persone che tentano di giungere in Europain fuga da guerre, persecuzioni o situazioni di estrema povertà e privazione umana e sociale.
Istituzioni nazionali e sovranazionali da settimane sono molto concentrate a delegare e spostare il problema dei migranti altrove, fuori dall’Unione.
I flussi migratori che investono il nostro continente, pur nella loro modesta entità in termini assoluti (si registra un incremento del 18% degli arrivi rispetto all’anno precedente),evidenziano sempre più l’incapacità dell’Europa di dare una risposta coerente e coordinata a un fenomeno che non può essere seriamente considerato emergenza, se non per alimentare razzismo e xenofobia nella società civile.
Contenimento e respingimento sono le parole chiave che i politici si affannano a ripetere in un susseguirsi di incontri e dichiarazioni.
La soluzione a questa emergenza descritta come ingestibile e pericolosa sta sostanzialmente nel fare accordi con una Libia, fortemente instabile, in cui i diritti umani non vengono rispettati e la vita dei migranti ha valore solo in quanto moneta di scambio per un’Europa sempre più impaurita e disgregata.
Ma basta leggere i dati per capire che l’emergenza migranti non è in Europa ma altrove: secondo l’Unhcr il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa di guerre, violenze o persecuzioni è a livelli mai registrati.
Sono ormai ben più di 65 milioni in tutto il mondo e la metà di loro ha meno di 18 anni.
La guerra in Siria è tra le principali cause di questa situazione, ma ci sono altri conflitti che costringono le persone a fuggire, come in Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Iraq, Nigeria, Sud Sudan e Yemen.
I sei Paesi più ricchi (Usa, Cina, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna), che contribuiscono per metà all’economia globale, ospitano meno del 9% dei rifugiati e richiedenti asilo al mondo.
La maggior parte dei rifugiati viene accolta nei Paesi immediatamente adiacenti alle aree di crisi, come la Turchia, il Pakistan e il Libano.
L’emergenza vera, per la quale è in atto da mesi una sorta di assuefazione e indifferenza dai parte dei media, della politica e quindi della società civile, è nel numero impressionante di migranti morti nel Mediterraneo.
In assenza di vie legali di arrivo, le rotte per raggiungere il continente sono sempre più pericolose: solo nel 2016sono stati 5.096 i morti e i dispersi nel Mediterraneo, molti di più rispetto agli anni precedenti, e il 2017 si appresta a stabilire un nuovo tragico record. Ad oggi sono almeno 2.000 le vittime del mare.
Servono politiche nuove, programmi di accoglienza e inclusione che trasformino la cosiddetta emergenza in opportunità .
L’umanità non si arresta. La storia ce lo mostra da sempre, basta ricordarla, conoscerla e soprattutto non tradirla offendendo la memoria di chi ha costruito per noi un’Italia e un’Europa in cui libertà e pace fossero beni universali a disposizione dell’umanità e non privilegi per pochi individui dalla memoria corta.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
INUTILE PROMETTERE, LE COPERTURE NON CI SONO
Il Governo ha recentemente approvato il Reddito di Inclusione (Rei), un sostegno monetario
destinato alle famiglie in condizione di povertà .
Una misura che arriva in parziale ritardo, fronteggiando un livello di povertà tra i più alti d’Europa, come evidenziato nel grafico sottostante.
Il Movimento 5 Stelle ha bollato questo provvedimento come “ipocrita” (Luigi Di Maio) o addirittura “come il pecorino cinese, che si chiama così ma è fatto con il latte di mucca” (Giorgio Sorial).
Secondo i pentastellati, il Rei sarebbe quindi volto a far dimenticare quella che fino ad oggi è la più famosa proposta in ambito economico del Movimento: il “Reddito di Cittadinanza”.
Come abbiamo spiegato in questo articolo per Business Insider, la misura approvata dal governo e la proposta dei Cinque Stelle hanno differenze profonde.
Se la prima verrà ora messa alla prova dei fatti, con il governo che ha stanziato circa 2 mld di euro l’anno, sulla proposta M5S grava ancora un’incognita: quanto è realizzabile? Mettiamo in fila alcuni dati
I costi e le coperture finanziarie
L’investimento per il Reddito di Cittadinanza sarebbe cospicuo, le stime variano dai 16,9 miliardi dell’ISTAT ai 30 miliardi dell’INPS.
Il Movimento 5 Stelle ha presentato le coperture per la sua proposta:: più di 20 miliardi, raggiunti anche grazie ai fondi per il Rei (1,5 mld) la cui destinazione diverrebbe il Reddito di Cittadinanza. Ad ogni voce abbiamo assegnato un grado di affidabilità e probabilità di essere realmente attuata, dal minimo di 1 al massimo di 5.
Le tasse
Tra le maggiori imposte, la parte del leone la fanno i tagli alle detrazioni e deduzioni, previsti per 5,3 miliardi di euro in particolare per i redditi superiori ai 90mila euro, quindi la fascia medio-alta.
Un obiettivo ambizioso, che andrebbe a scalfire le circa 300 misure di tax expenditure, ossia la giungla di esenzioni fiscali che produce ogni anno un mancato gettito per lo Stato attorno a 150 miliardi di euro, e allo stesso tempo aumenterebbe la progressività dell’Irpef.
Il precedente tentativo del Governo Letta di ridurre questa perdita di gettito, però, portò a un risparmio per le casse pubbliche di poco meno di 2 miliardi in tre anni.
Si tratta infatti di un intervento con alti costi politici: sarebbe sostanzialmente un aumento di tasse che, per quanto possa impattare solo sui redditi più alti, comporterebbe un aumento della pressione fiscale di un terzo di punto percentuale.
Il blog di Grillo ha attaccato il Governo per molto meno.
La seconda voce per importanza aggrega — in modo poco chiaro — il divieto di cumulo pensionistico tra redditi autonomi e redditi da lavoro dipendente, la riduzione dei costi degli organi costituzionali ed il taglio ai dividendi di Banca d’Italia.
La prima misura appare, oltre che di dubbia legittimità legale, poco applicabile. In Italia — secondo INPS — esistono circa 1,5 pensioni per pensionato, e ciò comporta che il cumulo pensionistico sia decisamente diffuso: impedirlo significherebbe determinare un taglio sostanziale alle pensioni di alcune categorie.
Negli ultimi anni è stato peraltro reso gratuito, e il divieto rappresenterebbe un’inversione di tendenza difficilmente comprensibile. Inoltre colpirebbe maggiormente la fascia più giovane, caratterizzata da una discontinuità di carriera e da una forte incidenza delle partite IVA.
In realtà , contattati direttamente, i deputati Cinque Stelle spiegano che il divieto di cumulo varrebbe solo per chi riceve una pensione per aver ricoperto una carica elettiva; per tutti gli altri si concretizzerà nella semplice unificazione dei vari assegni pensionistici percepiti, a parità di importo, che garantirebbe risparmi di gestione per l’INPS.
Sugli organi costituzionali (che godono dell’autodichia) esistono margini per tagliare gli sprechi, ma difficilmente si arriverebbe a superare il miliardo di euro.
Da Banca d’Italia c’è invece ben poco da tagliare: via Nazionale ha distribuito nel 2016 2,5 miliardi di dividendi, dei quali il 90 per cento destinato al Tesoro. Tagliarli significherebbe provocare un buco di bilancio di pari misura.
A seguire il Movimento prevede di tagliare 2 miliardi e mezzo dalla spesa per l’acquisto di beni e servizi, centralizzando gli acquisti e aumentando l’efficienza. Resta da capire quante sacche di inefficienza rimangano aggredibili, dal momento che i governi Renzi e Gentiloni si sono posti obiettivi altrettanto ambiziosi.
Il commissario alla spending review ha certificato nella sua ultima relazione che grazie al rafforzamento del ruolo di Consip come centrale unica di acquisto ed ai passi in avanti sui costi standard, i risparmi ottenuti nel 2016 ammontano a 3,5 miliardi di euro.
Ad ogni modo, vista la vastità della spesa in oggetto (139 miliardi), il taglio può essere considerato concretizzabile seppur siano da definire le modalità e l’impatto sui servizi pubblici.
Altra voce pesante è l’aumento della tassazione sulle banche e le assicurazioni grazie alla riduzione della deducibilità sugli interessi passivi, per 2 miliardi di euro.
Una misura che tuttavia rischia di arrivare al momento sbagliato: come hanno fatto notare Capone e Stagnaro su Il Foglio, il carico fiscale potrebbe mettere in ancora maggiore difficoltà — in un periodo già difficile per il settore — gli enti più piccoli e meno patrimonializzati. Per di più, senza garanzie che l’onere dell’imposta non venga trasferito ai cittadini, che potrebbero essere i veri soggetti incisi.
A scendere, una voce molto popolare tra l’elettorato grillino è l’aumento delle royalties per le attività di ricerca di gas e petrolio delle multinazionali.
Il gettito stimato da questo intervento arriva 1,5 mld.
Come è facile osservare dal sito del Ministero per lo Sviluppo Economico, l’anno scorso il gettito prodotto dai canoni sugli idrocarburi ammonta a 223 milioni.
La stima del Movimento comporterebbe dunque un aumento spropositato dell’aliquota: +575 per cento. Decisamente troppo.
Il Movimento 5 Stelle precisa tuttavia che il gettito aggiuntivo deriverebbe dalle sanzioni, che verrebbero maggiorate, e dalle imposte per iniziare l’attività di ricerca; il cui gettito attuale non è pubblicato dal Mise assieme ai canoni per le piattaforme.
Previsto, inoltre, il sempreverde aumento della tassazione sul gioco d’azzardo per un miliardo di euro (appena ritoccata al rialzo con la “manovrina” dal Governo Gentiloni, +202 milioni nel 2017) che risulterebbe un aumento importante rispetto all’attuale gettito generato dalle attività legate al gioco, circa 13 miliardi, ma comunque sostenibile.
Certo è che si tratterebbe dell’ennesimo aumento in pochi anni di una tra le imposte più regressive, poichè va a tassare in particolare le fasce con redditi più bassi.
I tagli
A seguito di queste coperture importanti, sono previsti tagli per lo più simbolici.
La riduzione per il 50 per cento delle indennità parlamentari per 60 milioni di euro, stima che appare corretta. Ulteriori 400 milioni dovrebbero provenire dal taglio delle auto blu, in particolare quelle in dotazione alle aziende sanitarie regionali.
Tuttavia, secondo l’ ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, le auto in dotazione alle Asl nel 2013 erano circa 700: troppe poche per arrivare alla cifra stabilita. Trovano posto anche altri tagli, dall’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e all’editoria, alla riduzione delle pensioni d’oro, verosimili ma comunque di scarso importo, dal momento che assieme non raggiungono i 750 milioni di euro
Una visione d’insieme
In conclusione, le coperture del Reddito di Cittadinanza appaiono credibili solo in maniera parziale.
Da un lato, le misure più simboliche sono probabilmente realizzabili, ma rappresentano una parte poco significativa dei 20 miliardi necessari.
Dall’altro le voci più consistenti appaiono spesso sovrastimate, e non tengono conto dell’impatto economico generale che potrebbero determinare.
Bisogna infatti notare che osservando i valori aggregati sarebbero 13 miliardi di maggiore tassazione e 7 miliardi di tagli, per un aumento della pressione fiscale di quasi un punto percentuale tra imposte dirette e indirette, seppur i parlamentari Cinque Stelle assicurino che non si tratterebbe di maggiore tassazione sulle persone fisiche, ma sui settori che non sono coerenti con le politiche del Movimento (un’affermazione irrealistica: le minori deduzioni e detrazioni andranno a colpire persone fisiche tramite l’Irpef).
Non bisogna però pensare che un reddito minimo di portata simile alla proposta Cinque Stelle sia impossibile. 20 miliardi su 850 di spesa pubblica e 400 di spesa sociale possono trovare un finanziamento: negli anni scorsi le misure dei governi Renzi e Gentiloni hanno movimentato una forza finanziaria ben maggiore.
Per di più, destinare ulteriori 18,5 miliardi al contrasto della povertà e della disoccupazione è meritevole, in particolare in Italia.
Creare una società più equa è un dovere della politica, ma per riuscirci serve pensare a misure realmente efficaci, concentrate sui bisogni dei cittadini, e non slogan elettorali difficilmente realizzabili.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DEMOS TRA 15 E 34 ANNI: IL 73% HA LE IDEE CHIARE, QUESTO NON E’ PIU’ UN PAESE PER GIOVANI
L’Italia non è un Paese per giovani. Lo sappiamo bene, ormai da tempo.
Infatti, ogni 100 ragazzi, sotto i 15 anni, ce sono quasi 160, oltre i 65.
E nei prossimi 10 anni, secondo l’Istat, sono destinati a crescere in misura esponenziale. Fin quasi a 260.
D’altronde, l’età mediana, nel nostro Paese, sfiora i 50 anni. Sono dati ormai noti, anche ai non addetti ai lavori. Basta guardarsi intorno, per accorgersi che i giovani e i giovanissimi sono una razza in via di estinzione.
Fino a qualche anno fa la nostra demografia era sostenuta dagli immigrati. Ma anch’essi si sono adeguati. Infatti, gli immigrati di seconda generazione hanno, in media, 1,9 figli per coppia.
Un numero ben superiore rispetto agli italiani, ormai scesi a circa 1,3. Ma comunque in calo costante. E ormai al di sotto dell’equilibrio generazionale. Così invecchiamo, sempre di più. E diventiamo sempre più in-felici e scontenti, visto che è difficile essere ottimisti e soddisfatti quando si invecchia. E il futuro scivola dietro alle nostre spalle.
Aggiungiamo che i flussi migratori non ci vedono solo come un Paese di destinazione. Ma soprattutto di passaggio, visto che buona parte degli immigrati che giunge in Italia lo fa per andare altrove.
In Germania e in Gran Bretagna, anzitutto. Peraltro, anche l’Italia è divenuta Paese di “emigrazione”. Nell’ultimo periodo, infatti, sono espatriati, in media, oltre 100 mila italiani l’anno.
Nel 2016: 106 mila. In maggioranza: giovani, fra 18 e 34 anni. Con titolo di studio e livelli professionali elevati. Se ne vanno dall’Italia perchè qui non trovano sbocchi occupazionali adeguati.
Ormai, si tratta di una convinzione diffusa e consolidata: circa 6 persone su 10, infatti, pensano, realisticamente, che i figli – a differenza del passato – non riusciranno a riprodurre o, a maggior ragione, a migliorare la posizione sociale dei genitori.
Mentre 2 italiani su 3 ritengono che, per fare carriera, i giovani se ne debbano andare altrove. E si comportano di conseguenza. Se ne vanno e non ritornano. Per questo, la rappresentazione del mondo delineata dai giovani appare sempre più ripiegata sul passato. Sempre meno aperta. Il linguaggio riflette e ripropone, in modo marcato, questa visione.
Lo conferma il sondaggio dell’Osservatorio di Demos-Coop, dedicato al Dizionario dei nostri tempi, condotto e presentato nei giorni scorsi su Repubblica.
Le parole dei giovani, infatti, si distinguono e si caratterizzano proprio per questo. Perchè richiamano il passato più del futuro. I giovani: guardano indietro.
Ancor più dei loro genitori. La parola “Speranza”, nella popolazione, è proiettata nel “futuro”, da quasi due persone su tre.
Ma fra i giovanissimi (15-24 anni) la proporzione si riduce sensibilmente: 57%. E fra i giovani-adulti (25-34 anni) crolla al 41%. La nostra gioventù: ha poca speranza.
Tanto più nella transizione verso l’età adulta. Più che in avanti, pare scivolare indietro. Verso il passato prossimo. Per questo i giovani non credono molto nella “ripresa”. I giovani-adulti ancor di meno. Più che a “riprendere” pensano a “resistere”. Perchè sono disillusi. Secondo loro, il “merito” conta poco, nel lavoro. E, in generale, nella vita. Oggi. E tanto più domani. Per questo di fronte all’Italia appaiono disillusi. Anche se non delusi.
Il problema, per loro, non è la “democrazia”. Soprattutto i giovanissimi: ci credono. Magari con un po’ di distacco. Perchè sono cresciuti nell’era dei “Social media”. E per loro l’orizzonte è marcato dalla “democrazia digitale”.
Il problema, invece, è proprio il futuro. Che non riescono a disegnare, ma neppure a immaginare.
La famiglia, l’istituzione che ha sempre fondato e radicato la nostra società , oggi non basta più. Non perchè abbia perduto importanza e significato. Al contrario. È sempre il riferimento obbligato per gli italiani. Un marchio oltre che un centro del nostro sistema. Ma, appunto, non garantisce più sicurezza nel futuro. Fra i giovani: molto meno che per il resto degli italiani.È in grado di offrire protezione, ma non proiezione. Tutela, ma non spinta.
Nel complesso, come abbiamo già osservato, il maggior senso di disagio pervade i giovani-adulti, fra 25 e 34 anni. Non più giovani. Non ancora adulti.
Questo passaggio fra diverse stagioni della vita ne condiziona il sentimento. Perchè i giovani-adulti non dispongono degli stessi strumenti per comunicare con gli altri. Per informarsi e per informare.
La loro confidenza con i Social media, con il digitale: appare molto più limitata rispetto ai “fratelli minori”. Cresciuti fra smartphone e tablet. Abituati a twittare prima che a parlare. Anzi, prima “di” parlare. Così, i giovani-adulti non riescono a vedere la “democrazia digitale” come metodo di governo di domani. Anzi, anche per questo, non sembrano molto convinti del futuro della democrazia.
L’orizzonte dei giovani e dei giovanissimi, d’altra parte, è oscurato dalla minaccia del terrorismo. Percepita in misura molto maggiore rispetto al resto della popolazione. Così, molto più degli adulti e dagli anziani, i giovani sembrano attratti dalle figure che riflettono e interpretano le paure del nostro tempo. I Nuovi Capi, che evocano Nuovi Muri. Popolari e populisti. Anzi, popolari perchè populisti. Per tutti: Donald Trump.
Il Presidente degli USA, discusso per lo stile e i contenuti del suo messaggio, prima ancora che per le sue scelte politiche. Ebbene, secondo un quarto degli italiani, Trump è destinato ad avere più importanza. Domani. Nel futuro.
Ma fra i giovani e ancor più fra i giovanissimi questa misura cresce ancora. Di più. Fino al 36%. Questi giovani: sembrano in difficoltà a orientarsi. A spingersi, a proiettarsi e a progettarsi. In avanti. A uno sguardo d’insieme, magari affrettato: evocano l’idea di una generazione che ha perduto la speranza. E non riesce a trovare buone ragioni per credere nel futuro. Questa generazione. Evoca un’ombra che incombe su tutta la nostra società . Perchè i giovani sono il nostro futuro. E se i giovani perdono la speranza come possiamo sperare nel futuro della nostra società ? Come possiamo sperare nel futuro?
(da “La Repubblica”)
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Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
LA STRETTA ECONOMICA INVESTE ANCHE CHI NON VIVE IN POVERTA’ ASSOLUTA
Non c’è ripresa o ripresina che tenga. Nonostante per il turismo si annunci un’estate da record,
rispetto all’anno passato aumenta il numero degli italiani che rinuncia alle vacanze.
Per ragioni economiche, ovviamente.
Stando all’ultima indagine Swg-Confesercenti il 26% degli italiani prevede infatti di non andare in ferie, contro il 25% dell’anno passato.
La variazione è minima, ma si tratta della prima inversione di tendenza dopo tre anni di calo. Ancora più significativo è l’aumento di quanti forniscono motivazioni di tipo prettamente economico per restare a casa: si tratta infatti del 58% delle risposte, contro il 55% del 2016, e corrisponde al dato più alto mai registrato da Swg dal 2009 ad oggi.
Senza contare poi che un altro 8% dice di andare in vacanza «in altri periodi» e molto probabilmente lo fa per tenersi alla larga dai prezzi dell’alta stagione. In totale, stima Confesercenti, saranno circa 6 milioni gli italiani che non andranno in vacanza per motivi economici, una fetta di popolazione consistente e che va ben oltre i 4,7 milioni di poveri appena conteggiati dall’Istat.
Vacanze più brevi
In realtà secondo un sondaggio svolto a livello internazionale da Ipsos per conto di Europe Assistance quest’anno la propensione alle vacanze in Italia come nel resto d’Europa è più alta rispetto all’anno passato, col 61% degli italiani intenzionati a partire per mari e monti e rispetto al 52% dell’anno passato.
Ma anche per questi “fortunati” la componente economica assume un ruolo evidentemente determinante tant’è che secondo il “Barometro vacanze 2017” quest’anno la durata media delle ferie degli italiani si ridurrà in maniera sensibile passando da una media di 2,1 settimane dell’anno passato a 1,7.
In pratica, anzichè staccare per 15 giorni, l’italiano medio si accontenta di riposarne 12. Col 13% di vacanzieri che conta di fare solo qualche giorno e il 40% che ha dichiarato di andare in vacanza appena per una settimana. In questo modo il budget previsto scenderà del 15% rispetto al 2015 attestandosi su una media di 1.737euro a famiglia ben al di sotto della media degli altri paesi europei (1.989 euro).
Budget in calo
L’indagine di Swg offre una fotografia ancor più parsimoniosa delle vacanze degli italiani: dallo studio realizzato per Confesercenti infatti emerge che solo il 38% del campione conta di spendere più di mille euro per persona (viaggio compreso), mentre l’11% resterà sotto la soglia dei 250 euro, il 24% non supererà i 500 euro, l’11% resterà entro i 750 ed un altro 13% entro i mille.
Ed infatti appena un terzo della platea sceglierà un hotel ed il 28% affitterà una casa, il 15% si rivolgerà ad un Bed &Breakfast, il 5% andrà in campeggio, mentre la fetta più grande (42%) punterà su «altri tipi di sistemazione», insomma cercherà di arrangiarsi magari appoggiandosi ad amici e parenti.
Secondo l’ultima indagine realizzata dall’Istituto Piepoli per Confturismo la quota di italiani che non andrà in vacanza quest’anno dovrebbe essere pari al 16%, mentre un altro 14% dichiara di voler spendere meno dell’anno passato: il 48% del campione taglierà il suo budget sino ad un massimo del 10%, mentre il restante 52% (con un picco del 59% tra gli under 35) andrà anche oltre il 10.
Il Sud che rinuncia
Per la stragrande maggioranza dei nuclei che si trovano a rischio povertà , le vacanze rappresentano la prima rinuncia, visto che anche spendere qualche centinaio di euro può rappresentare un problema.
Stando all’ultimo rapporto Istat sulle condizioni di vita degli italiani, diffuso fine 2016 e riferito all’anno prima (dati ancora attuali visto che lo stock di poveri nel frattempo non è diminuito), la quota di famiglie che versa in situazioni di grave deprivazione, e quindi che non possono permettersi una settimana di vacanza lontano da casa nel corso di un anno, è pari al 47,3% e tocca picchi particolarmente elevati tra gli individui che risiedono al Sud (67,3%) e che vivono in nuclei composti da 5 o più persone (59,7%), percentuale che sale al 61,1% nelle famiglie con 3 o più figli.
Pochi irriducibili
A fronte di tanti che rinunciano alle ferie c’è però anche una (piccola) quota di irriducibili. Secondo le stime del sito Facile.it sino a tutto maggio sono stati ben 60mila gli italiani che hanno attivato un prestito personale per andare in vacanza, per un ammontare complessivo di 33 milioni di euro. In media hanno ottenuto circa 5mila euro. Nel 72% si tratta di uomini, età media 42 anni, nel 76% dei casi occupati presso un’azienda privata con contratto a tempo indeterminato. Segno che anche i più garantiti possono avere grossi problemi a far quadrare i conti.
(da “La Stampa”)
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Luglio 17th, 2017 Riccardo Fucile
CON IL TEMA “SCREAM FROM LAMPEDUSA” I DUE VINCONO IL PRIMO ORO DELLA SPECIALITA’ NELLA STORIA DELL’ITALIA
“L’impensabile è accaduto l’inconcepibile si è avverato“. La Nazionale Italiana di nuoto sincronizzato centra il primo oro della storia in un Mondiale grazie ai fantastici Giorgio Minisini e Manila Flamini, autori di una prova fantastica nella finale del duo misto della routine tecnica.
Un’interpretazione semplicemente memorabile di “A scream of Lampedusa”, con 27.2000 di esecuzione, 27.4000 di impressione e 35.6979 negli elementi, che ha consentito agli Azzurri di scrivere una pagina storica per la disciplina.
90.2979 il totale per un’esercizio da lacrime agli occhi il cui significato è tutto particolare: la rappresentazione di un dramma e della speranza di chi fugge dalla guerra e dalle sofferenze.
Un po’ quello che ha affrontato il nostro Minisini, sempre in lotta per vincere il pregiudizio ed oggi il giorno della festa e del trionfo davanti alla Russia.
Appena 3 centesimi di punto a separare le due coppie, tanto è bastato per regalare ai due ragazzi nostrani ed alla compagine guidata da Patrizia Giallombardo un’emozione indescrivibile.
Bellissimi in acqua, senza nessuna esitazione nella parte tecnica e sincronizzati come non mai negli elementi coreografici.
Un’esibizione da urlo che ha stregato anche i giudici e comportante uno score mai ottenuto dai nostri “Eroi”.
Stavolta Mikhaela Kalancha ed Aleksandr Maltsev si sono dovuti accontentare della piazza d’onore davanti agli Usa e quasi, con stupore, hanno rivolto lo sguardo ai nostri Giorgio e Manila.
Sul tetto del mondo c’è il tricolore!
(da agenzie)
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