Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile RAZZISMO E XENOFOBIA: INVITO AGLI INSERZIONISTI PUBBLICITARI A DISINVESTIRE DAL QUOTIDIANO… GIA’ 5 LE SANZIONI DISCIPLINARI DALL’ORDINE DEI GIORNALISTI IN SEI MESI A CARICO DEL DIRETTORE PER VIOLAZIONE DELLA CARTA DEL GIORNALISTA
Razzismo e xenofobia stanno diventando la vera emergenza nazionale con la quale dovremo fare i conti in un futuro prossimo.
Avvoltoi politici, con la loro corte di tirapiedi della carta stampata e opinionisti dell’ultima ora, lo hanno capito prima degli altri, visto che stanno investendo tempo ed energie nel soffiarci sopra, nella piena consapevolezza che in Italia ogni “emergenza” fa muovere i soldi e spostare voti.
Da qui il lancio della campagna #liberodallodio, promossa da Associazione 21 luglio con il supporto della Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili.
L’ obiettivo è quello di richiamare i media all’utilizzo di un’informazione più corretta sugli argomenti “caldi” discussi dall’opinione pubblica.
La campagna intende coinvolgere i cittadini in un appello agli enti profit e non profit che acquistano spazi pubblicitari sull’edizione cartacea del quotidiano Libero, chiedendo loro di disinvestire dal giornale e richiamando alla responsabilità sociale e etica che ogni impresa è chiamata a salvaguardare.
Perchè Libero?
Secondo il lavoro svolto dai diversi Osservatori sui media, il giornale diretto da Vittorio Feltri, come e più di altre testate, costruisce la sua identità su un linguaggio provocatorio e aggressivo, tanto da arrivare a collezionare un vero record di sanzioni disciplinari: solo 5 negli ultimi mesi.
Colpire il linguaggio di un quotidiano attraverso un’attività di pressione nei confronti dei suoi inserzionisti rappresenta una novità unica nel nostro Paese.
Che dovrà sempre più abituarsi ad individuare, in seno alla società civile, nuovi anticorpi per rispondere agli “incendiari” che vogliono ridurre in cenere i valori civili su cui è costruita l’identità dell’Italia
Ecco il testo dell’appello
La Campagna #LIBERODALLODIO mira a contrastare le forme di informazione stereotipata e
la cultura dell’odio che divide la nostra società e contribuisce ad alimentare un clima d’odio e discriminazione.
I titoli sensazionalistici e gli articoli improntati sui cd. “discorso d’odio” a cui spesso alcuni media ricorrono contribuiscono a diffondere stereotipi e pregiudizi su gruppi di persone e creano terreno fertile per episodi violenti e discriminatori.
La campagna
La campagna #LIBERODALLODIO — nata dal quotidiano lavoro di monitoraggio delle testate on-line e cartacee dell’Osservatorio 21 Luglio — si basa sulla convinzione che la società civile ha potere di richiamare, anche indirettamente, giornalisti e testate all’utilizzo di un’informazione corretta rispetto ai temi caldi discussi dall’opinione pubblica.
Per questo vogliamo rivolgere un appello alle aziende che acquistano spazi pubblicitari su Libero Quotidiano, richiamandoli alla responsabilità sociale ed etica che ogni impresa è chiamata a salvaguardare.
Perchè Libero?
Il giornale Libero Quotidiano, come e più di altre testate, costruisce la sua identità su un linguaggio provocatorio e aggressivo, ha un forte impatto sull’opinione pubblica e ha suscitato dibattiti periodici soprattutto in seguito ad alcune titolazioni ed articoli particolarmente eclatanti.
Solo nell’ultima parte del 2016 e nei primi mesi del 2017 l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia nei confronti di giornalisti e del direttore di Libero Quotidiano ha deliberato ben 5 sanzioni disciplinari per articoli ed editoriali aventi ad oggetto rom, migranti e altre categorie sociali deboli contrari sia alla Carta dei doveri del giornalista, in particolare con riferimento al dovere fondamentale di “rispettare la persona e la sua dignità e di non discriminare nessuno per la razza, la religione, il sesso, le condizioni fisiche e mentali e le opinioni politiche”, sia alla Carta di Roma che invita i giornalisti italiani ad “adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore e dall’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri”.
L’obiettivo
Con cadenza mensile verranno individuati gli inserzionisti che avranno acquistato il maggior numero di spazi pubblicitari o saranno maggiormente apparse in tale arco temporale sull’edizione cartacea del quotidiano.
A loro ci si rivolgerà per chiedere di impegnarsi e di prendere una posizione etica riducendo o sospendendo la loro pubblicità su questa testata fino a quando non cesserà la diffusione della “cultura dell’odio”.
Cosa puoi fare tu
Puoi aderire alla campagna inviando la lettera agli enti e le aziende individuate. Come consumatori o possibili utenti degli enti e delle aziende da cui acquistiamo, abbiamo il diritto e il dovere di esprimere il nostro punto di vista e chiedere di aderire con noi alla causa.
Chiedi che si operi una scelta etica e che i nostri soldi non aiutino a sostenere chi fa del sensazionalismo e della stigmatizzazione il suo tratto distintivo.
(da agenzie)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile CADE L’ASSOCIAZIONE DI STAMPO MAFIOSO, IL PM IELO: “LE SENTENZE SI RISPETTANO”
Crolla l’associazione di stampo mafioso. Lo hanno stabilito i giudici della X sezione penale di Roma a conclusione del processo a Mafia Capitale.
L’inizio della lettura della sentenza, come annunciato, è alle 13. Il X collegio penale entra puntuale e la presidente Rossana Ianniello inizia a leggere la sentenza. Escludendo l’associazione di stampo mafioso ma riconoscendo quella semplice.
Così inizia a dare lettura, imputato per imputato, degli anni di condanna.
Le condanne Salvatore Buzzi condannato a 19 anni, Massimo Carminati a 20. Per Mirko Coratti, ex presidente del Consiglio comunale di Roma ed esponente del Partito democratico, 6 anni. di carcere. Per Gramazio ex An la pena è di 11 anni. Dieci anni a Franco Panzironi, ex ad dell’Ama. Riccardo Brugia a 11 anni. Luca Odevaine, ex componente del Tavolo di coordinamento nazionale sui migranti del Viminale, è stato condannato a sei anni e sei mesi di reclusione nel maxi processo ‘Mafia Capitale’.
Lo ha deciso la X sezione penale del Tribunale di Roma. Tuttavia i giudici, ritenuta la continuazione rispetto alla pena già inflitta da due precedenti sentenze, hanno determinato la pena nella misura complessiva di otto anni di reclusione.
Cinque anni a Andrea Tassone, l’ex presidente municipio di Ostia ed esponente del Pd. Fabrizio Testa è stato condannato a 11 anni. Unici assolti: Giovanni Fiscon Franco Ruggero e Rocco Rotolo.
Ielo: “Deluso, ma sentenze si rispettano”.
“Sono state riconosciute quasi tutte le ipotesi corruttive contestate, devo leggere con attenzione il dispositivo. E’ stato un fenomeno di criminalità organizzata non mafioso”.
Così il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo a margine della sentenza di Mafia Capitale. “Le sentenze non devono deludere, devono essere rispettate – aggiunge – In parte la sentenza riconosce la bontà dei fatti contestati. Ci deve essere per chi fa il mio mestiere un approccio quanto più possibile laico e razionale”.
Cominciato il 5 novembre del 2015 è terminato il 13 luglio 2017. Oltre 500 gli anni di condanna richiesti dalla pubblica accusa nei confronti dei 46 imputati 22 dei quali accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Concordi tutti su un punto: questo processo ha fatto emergere un sistema sporco nella capitale d’Italia. Che si chiami mafia o corruzione comunque il marcio è stato scoperchiato.
(da “La Repubblica“)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile LA SUA VERSIONE A “BERSAGLIO MOBILE” SMENTITA DAI RISCONTRI GIORNALISTICI
Durante il suo intervento a Bersaglio Mobile ieri sera Luigi Di Maio è tornato sulla vicenda dei
Canadair: le sue affermazioni, oltre a fornirci finalmente la sua versione dei fatti dopo le accuse mossegli nei giorni scorsi, ci permettono di comprendere appieno com’è andata la storia.
Sostiene Di Maio da Mentana: «Quel giorno, era mercoledì scorso, io ero a Bruxelles e il governo ancora non si era mosso per quell’emergenza. Arrivo a Bruxelles e la prima cosa che facciamo con il MoVimento 5 Stelle è una conferenza stampa alle 17,30 in cui chiediamo di avviare il Meccanismo di Protezione Civile Europeo per far arrivare supporto aereo dall’estero, da paesi limitrofi come la Francia o tanti altri, perchè noi sentivamo i vigili del fuoco giù e ci dicevano che senza un supporto aereo non ce la facevano. Fare una conferenza stampa per mettere sotto pressione il governo è l’unica cosa che può fare l’opposizione».
Nell’ordine: Luigi Di Maio sostiene di aver fatto una conferenza stampa a Bruxelles alle 17.30 per chiedere di avviare il Meccanismo di Protezione Civile Europeo.
Vero è che Luigi Di Maio ha fatto una conferenza stampa a Bruxelles intorno alle 17,30.
Purtroppo per lui, le agenzie di stampa che hanno riportato le sue parole dicono che nella conferenza stampa fatta dopo aver incontrato Fabrice Leggeri, direttore dell’Agenzia Frontex per le frontiere esterne dell’Ue, al termine di una sua audizione sulla crisi migratoria al Parlamento europeo, Di Maio ha parlato invece di Triton (e il giorno dopo è stato smentito da Leggeri, ma questa è un’altra storia):
“Oggi il governo dice ‘modifichiamo Triton’”; ma, ha ricordato Di Maio, secondo il governo stesso “tre anni fa Triton era il più grande accordo che l’Italia avesse ottenuto in sede europea per gestire la questione dei migranti. Adesso scopriamo che l’accordo prevedeva che tutti i migranti imbarcati salvati nel Mediterraneo dovessero sbarcare solo nei porti italiani. E quando abbiamo chiesto al direttore di Frontex che cosa succede se l’Italia chiude i porti, ci ha risposto che la situazione è complessa, ma che l’Ue si limiterebbe a ridurre gli stanziamenti dell’operazione Triton. Cioè — ha osservato il vicepresidente della Camera — il problema per l’Ue è solo quello dei finanziamento, non gliene frega niente di salvare la gente in mare, ed è questa la follia”. Oltretutto, quello fra Italia e Frontex sulla missione Triton “è stato un accordo bilaterale firmato a livello di burocrati”, secondo quanto riferito da Leggeri. “Ci ha spiegato chiaramente che un accordo cosi importante, celebrato come l’accordo del secolo, neanche i ministri sono andati a firmarlo”, ha rilevato Di Maio. (TMNews ore 18,29)
La versione di Di Maio su ambasciate e Canadair
Andiamo a vedere che sulla sua pagina Facebook Luigi Di Maio mercoledì alle 20 e 18 ha pubblicato un intervento live in compagnia di Valeria Ciarambino (consigliera regionale M5S in Campania) nel quale ha parlato dei Canadair da inviare dall’estero. Qui dice di aver chiamato le ambasciate: «Al di là delle polemiche, serve subito che gli altri Paesi europei ci inviino Canadair per spegnere le fiamme, così come abbiamo fatto noi con il Portogallo qualche settimana fa». E dice (verso la fine): «Ci appelliamo a tutti i paesi per attivare il meccanismo di protezione civile europeo per spegnere le fiamme».
È quindi evidente che l’appuntamento con la stampa delle 17,30 è stato dedicato a tutt’altro (ovvero a Triton) e che semmai quello che Di Maio ha raccontato a Mentana è successo dopo.
Continua Di Maio a Bersaglio Mobile: «Allo stesso modo io ho chiamato le ambasciate, ho parlato con l’ambasciatore portoghese, l’ambasciatore spagnolo, l’ambasciatrice tedesca, l’ambasciatore austriaco, il mio staff ha preso contatti con l’ambasciata francese perchè? Per mettere prima di tutto pressione a un governo che non si muoveva su questo tema. Quello che ho fatto è sfruttare i contatti con queste ambasciate che io ho come vicepresidente della Camera. Dopodichè mi sono recato a fare il sopralluogo sul Vesuvio. L’ambasciatrice francese quella sera non era reperibile ma il mio staff aveva preso contatti con funzionari dell’ambasciata».
Anche perchè il M5S ha detto che Di Maio ha contattato le ambasciate attraverso la batteria del Viminale, come ha dichiarato il M5S.
Tutte le ambasciate che ha chiamato Di Maio
Quello che Di Maio però ha “dimenticato” di riferire è la risposta che gli è stata data dalle ambasciate che ha chiamato.
Ne ha parlato ieri Daniele Ranieri sul Foglio: «Il 12 luglio Luigi Di Maio ha chiamato l’ambasciata tedesca e l’ambasciata austriaca per ottenere aiuto per domare gli incendi e ha parlato con l’ambasciatore tedesco Susanne Wasum-Rainer. Ma sono state chiamate inutili, come l’ambasciatore tedesco ha gentilmente spiegato a Di Maio, perchè tra l’altro la Germania e l’Austria non sono fra i quattro paesi europei che dispongono di aerei Canadair e anche perchè in questi casi le richieste di cooperazione passano attraverso il Meccanismo Europeo di Protezione Civile». Zan zan zan.
C’è altro? Sì, c’è.
«Dei quattro paesi europei che hanno a disposizione gli aerei Canadair la Francia — come già si sa — non è stata contattata da Di Maio, la Croazia ha verificato e ha risposto di non essere mai stata contattata da Di Maio, la Spagna ha risposto “è la prima volta che sento questa storia, ma non posso dirlo con sicurezza perchè ci sono i turni delle vacanze e forse l’ambasciatore non era a Roma”, la Grecia ha risposto “non ci risulta”», ha scritto sempre ieri il Foglio prima dell’intervento di Di Maio.
Di Maio e il Meccanismo di Protezione Civile Europeo
Infine, dice Di Maio a Bersaglio Mobile: «Che cosa succede? Alle 11,30 (di sera, mercoledì 12 luglio ndr) inizio a risalire il Vesuvio con i vigili del fuoco per il sopralluogo e so che in quelle ore il governo si stava muovendo.
L’indomani mattina mi chiamano i parlamentari europei e mi dicono ‘Il governo un’ora dopo la vostra conferenza stampa ha attivato il Meccanismo di Protezione Civile Europeo’. E infatti quella mattina arrivano i Canadair francesi e io ne do notizia perchè me l’hanno data i nostri parlamentari europei che sono andati a parlare con la struttura europea che coordina questa protezione civile europea proprio per capire quali fossero le azioni in atto».
Noi però sappiamo che le agenzie di stampa non hanno riportato alcuna dichiarazione di Di Maio riguardo il Meccanismo di Protezione Civile Europeo alle 17,30; lo hanno fatto dopo le 20, ovvero dopo il video in cui Di Maio lo diceva.
Quindi nessuno in Italia poteva sapere della sua azione (inutile) nei confronti delle ambasciate e della sua richiesta riguardo il Meccanismo prima di quell’ora (a meno di non immaginare un agente segreto della Protezione Civile che segue Di Maio per riferire tutto a Roma, cosa che — immagino — qualcuno sarà pronto a ipotizzare).
A questo punto voi direte: vabbeh, Di Maio ha fatto chiamate inutili a tedeschi e austriaci, non risulta che abbia chiamato i francesi, i croati, gli spagnoli (?) e i greci, ma secondo la sua versione alla fine del suo intervento dopo (molto dopo) le 17,30 di mercoledì 12 luglio è stato attivato il Meccanismo di Protezione Europea!
Ehm, no. Perchè, come avevamo scritto una settimana fa, la richiesta d’aiuto è stata attivata formalmente il 12 luglio dalla Protezione Civile italiana alla UE (gli aerei tra l’altro sono rientrati il 15 per fronteggiare un’emergenza in Francia).
Sì, ma Di Maio dice di essere intervenuto il 12 luglio di sera quindi tutto regge, direte voi.
L’Emergency Response Coordination Centre della Protezione Civile Europea ha un sito internet dove segnala le emergenze attive.
Tra queste, purtroppo, c’è ancora quella del Vesuvio. Se provate a passare sul simbolo dell’emergenza italiana trovate la segnalazione dell’orario in cui l’Italia (la Protezione Civile italiana) ha attivato l’UCPM (il Meccanismo di protezione civile europea):
Incendi boschivi hanno colpito il sud italia in particolare le regioni della Sicilia, Basilicata, Campania, Lazio e Calabria. A causa della gravità della situazione il 12 luglio alle 1610 UTC l’Italia ha attivato il meccanismo della protezione civile dell’Unione (UCPM) richiedendo un modulo antincendio (due aerei) per 4-5 giorni per rispondere all’emergenza.
Le 16,10 UTC. Ovvero, le 18,10 ora italiana.
Fine delle balle.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile IL RACCONTO DELL’ISPETTORE GAROFALO, UNO DEI PRIMI AD ARRIVARE SUL LUOGO DELLA STRAGE
Di quel pomeriggio in via d’Amelio ricorda l’odore acre dei copertoni bruciati, le auto in fiamme, le urla. Ricorda i volti degli anziani e dei bambini che ha aiutato a uscire dai palazzi sventrati. Ricorda tanto fumo.
E all’improvviso, un uomo ben vestito, con una giacca, che cosa strana un uomo con la giacca dentro quell’inferno di fumo e fiamme.
«Si aggirava attorno alla blindata del procuratore Paolo Borsellino — racconta l’ispettore Giuseppe Garofalo, uno dei primi poliziotti delle Volanti ad arrivare in via d’Amelio — chiedeva della borsa del giudice, l’ho subito fermato. “Scusi, chi è lei?”. Ha risposto: “Servizi segreti”. E mi ha mostrato un tesserino. L’ho lasciato andare, capitava spesso che sulla scena dei delitti di Palermo ci fossero agenti dei Servizi, non mi sono insospettito. Ma adesso mi chiedo chi fosse davvero quell’uomo».
L’ispettore Giuseppe Garofalo voleva fare l’archeologo da ragazzo. Ma ha finito per seguire le orme del padre, il maresciallo Garofalo è stato per quarant’anni una delle colonne portanti della squadra mobile di Ragusa.
Fa il poliziotto anche il fratello di Giuseppe, e pure sua moglie. «Io l’università l’ho fatta alla sezione Omicidi della squadra mobile di Palermo — sussurra — anni difficili, quelli. Era il 1989. Le corse da una parte all’altra della città , a raccogliere cadaveri e misteri, troppi misteri a Palermo. E un giorno, l’incontro con il giudice Falcone, nel suo ufficio bunker al palazzo di giustizia. Alla fine, mi strinse la mano e mi disse: “In bocca al lupo per la sua carriera”».
Quel pomeriggio del 19 luglio 1992, Giuseppe Garofalo è il capopattuglia della volante 32. «Potevamo essere spazzati anche noi in via d’Amelio, perchè generalmente la pattuglia faceva da apripista alla scorta di Borsellino. Ma quel pomeriggio non fummo chiamati dalla centrale operativa per accompagnare il giudice a casa della madre, chissà perchè».
Quando un boato squarcia Palermo, alle 16,58, la questura manda subito la volante 21. «Si pensava all’esplosione per una bombola di gas. Noi eravamo a Mondello, dico all’autista di stringere. E arriviamo pochi attimi dopo la 21. Non c’è nessuno in quella strada avvolta dal fumo».
Il primo pensiero è per gli abitanti dei palazzi di via d’Amelio, che sembrano i palazzi di una zona di guerra. «Ci siamo lanciati dentro, non abbiamo pensato che potessero esserci dei crolli, c’era gente insanguinata per le scale. Ricordo che abbiamo soccorso la mamma di Borsellino. Poi, io sono sceso in strada, di corsa. Il capo pattuglia della 21 stava già accompagnando in ospedale il superstite della scorta, Antonino Vullo. Io mi aggiravo in quell’inferno. Su un muro c’erano i resti di un collega, per terra la sua mitraglietta M12 sciolta per il terribile calore dell’esplosione. Per terra, quello che restava del procuratore Borsellino».
In via d’Amelio cominciano ad arrivare decine di persone che camminano sui reperti, sui resti, su tutto ciò che potrebbe costituire una traccia per arrivare agli stragisti. «All’improvviso, quasi senza accorgermene — così continua il racconto di Giuseppe Garofalo – mi ritrovo davanti quell’uomo ben vestito che chiede della borsa del giudice. E’ un attimo, un frame nella mia testa. Oggi, quell’uomo con la giacca è una persona che resta senza volto, i ricordi sono confusi».
I magistrati di Caltanissetta hanno già ascoltato Garofalo, gli hanno anche mostrato diverse fotografie. Ma non è emerso nessun volto in particolare. «Quell’uomo è un fantasma — dice ora l’ispettore — e quel pomeriggio in via d’Amelio un incubo. Per un mese non riuscì a dormire. E in tutti questi anni non sono più voluto tornare in quei luoghi. Poi, due anni fa, mia figlia mi chiese di accompagnarla in via d’Amelio, le ho raccontato cosa avevo vissuto». Giuseppe Garofalo è poliziotto ormai di esperienza, ma ancora si commuove quando rievoca i suoi giorni a Palermo.
Alla Mobile, il suo dirigente fu Arnaldo La Barbera, il superpoliziotto adesso al centro della bufera sul depistaggio delle indagini sulla strage Borsellino. «Io non so quello che è successo — dice l’ispettore Garofalo — tutti siamo fallibili, ma quando io ero alla squadra mobile La Barbera era un esempio per tutti noi. Viveva praticamente in ufficio, ricordo di quando fece pulizia, qualche mese dopo il suo arrivo, buttando fuori gente che riteneva collusa o comunque avvicinabile».
Un altro mistero. «Io ho fiducia che la verità un giorno la sapremo — dice Giuseppe Garofalo — dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni, la magistratura e le forze dell’ordine, che questa verità non hanno mai smesso di cercare, per onorare i nostri morti».
(da “La Repubblica“)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile I DATI PARLANO CHIARO: “OGNI ANNO CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO DEGLI IMMIGRATI GARANTISCONO 300 MILIONI DI ENTRATE AGGIUNTIVE”
“Gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi contributi sociali e ne ricevono 3 in termini
di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps”.
Così il presidente dell’Inps, Tito Boeri, in audizione in commissione d’inchiesta sui migranti alla Camera è tornato su un tema a lui caro, che era stato anche al centro della presentazione del rapporto annuale Inps.
Solo pochi giorni fa, infatti, Boeri aveva rimarcato che enza i lavoratori dall’estero in 22 anni si avrebbero 35 miliardi in meno di uscite, ma anche 73 in meno di entrate. Insomma, il saldo sarebbe di dover sopportare un costo di 38 miliardi.
Oggi Boeri, da funzionario che ha come prima missione garantire le pensioni che l’Inps deve erogare, ha approfondito il concetto. Ha riconosciuto che i contributori netti di oggi, un domani dovranno riscuotere le loro prestazioni e faranno parte della platea dei pensionati.
Ma ha poi specificato che “in molti casi i contributi degli immigrati non si traducono in pensioni”, ricostruendo che “sin qui gli immigrati ci hanno ‘regalato’ circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state erogate delle pensioni.
E ogni anno questi contributi a fondo perduto (ovvero versati negli anni ma mai ritirati in forma di pensioni, ndr) degli immigrati valgono circa 300 milioni di entrate aggiuntive per le casse dell’Inps”.
E ha poi spiegato che in base alle ispezioni, “uno su tre risultava clandestino nel periodo 2013 – 2015. La regolarizzazione dei lavoratori immigrati ha portato in passato ad una emersione permanente nel tempo di lavoro altrimenti svolto in nero. Le nostre analisi sulle sanatorie del 2002 e del 2012 documentano che l’80% degli immigrati era un contribuente alle casse dell’Inps anche nei cinque anni dopo la regolarizzazione”.
Da Boeri è arrivata una risposta implicita anche a coloro che – con variegate sfumature – sostengono il concetto che gli stranieri “rubano” il lavoro agli italiani.
“I lavoratori che sono stati regolarizzati con le sanatorie non hanno sottratto opportunità ai loro colleghi”, ha rimarcato il presidente dell’Inps sottolineando che il cosiddetto effetto di “spiazzamento” (ovvero il mettere fuori mercato degli uni rispetto agli altri) “è molto piccolo e riguarda unicamente i lavoratori con qualifiche basse. Non ci sono invece effetti per i lavoratori più qualificati, nè in termini di opportunità di impiego nè di salario”.
Anzi, ha poi argomentato, “esiste un gap salariale tra migranti e nativi di circa il 15 per cento a sfavore dei migranti” e ancora: “Proprio mentre aumenta tra la popolazione autoctona la percezione di un numero eccessivo di immigrati, abbiamo sempre più bisogno di migranti che contribuiscano al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale”.
Anche di natalità si è parlato alla Commissione, e anche in questo caso l’analisi di Boeri è stata secca: “Non sono i bonus temporanei a cambiare la propensione degli italiani a riprodursi”, ha detto affermando che “il contributo degli immigrati regolari al sistema previdenziale italiano rimarrebbe fondamentale anche nel caso in cui venissero introdotte delle politiche efficace per l’aumento del tasso di fecondità delle donne italiane”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile AL SENATO I “RIENTRI” IN FORZA ITALIA FAREBBERO SALTARE TUTTO, SILVIO NON VUOLE IL VOTO SUBITO
Ancora oggi, l’ottuagenario Silvio Berlusconi evoca suggestioni erotiche, a luci rossissime. Dice a microfoni spenti un ex ministro, sornione, informato e decisamente volgare: “Qui ormai è una gigantesca apertura di cosce, una continua corsa ad offrirsi al Cavaliere”.
Dove per “qui” s’intende il Senato, luogo nevralgico e decisivo di questa infinita legislatura. Un altro ex ministro, Gaetano Quagliariello, consegna invece all’Huffington Post un’efficace metafora autostradale: “Il controesodo verso Berlusconi è da bollino rosso ormai”.
È il controesodo dei cavalli di ritorno berlusconiani. Direzione unica e sola: Forza Italia.
Gli scissionisti, alfaniani o verdiniani che siano, che adesso chiedono di rientrare, con la speranza, remota assai a dire il vero, di riottenere un seggio al prossimo giro. Berlusconi però frena, e spiegheremo perchè: “Non tocchiamo nulla altrimenti casca tutto e si va a votare subito”.
Il primo gruppo che sembra sciogliersi in questo caldo di luglio è Area Popolare, composta perlopiù dagli alfaniani di Ncd.
L’ultimo avvistato dalle parti azzurre è il decano di Palazzo Madama: Francesco Colucci detto Ciccio, 85 anni.
Colucci è stato eletto la prima volta in Parlamento che era il 1972, preistoria allo stato puro. Da uomo previdente ed esperto — è stato socialista — si è convinto che per sedere di nuovo qui l’unica strada è il ritorno da Berlusconi. Dicono: “Ciccio ha un filo diretto con il Cavaliere”.
Degli altri alfaniani irrequieti si mormora da giorni e le loro faccine sono sui quotidiani: Roberto Formigoni, il sottosegretario Massimo Cassano, Pippo Pagano, Guido Viceconte. Anche per questo, raccontano da Ncd, ieri Angelino Alfano è stato costretto in un’intervista a dichiarare chiusa la collaborazione con il Pd.
Una mossa disperata per fermare l’emorragia, provocata dall’annuncio del ministro Enrico Costa di abbandonare il governo per tornare al centrodestra primigenio.
Ma gli abboccamenti, le manovre, le richieste d’incontro continuano a essere incessanti e lambiscono ovviamente l’altro ramo del Parlamento, la Camera, dove gli ambasciatori filoberlusconiani di Ap, in costante contatto con Niccolò Ghedini, segretario ombra di Forza Italia, sono Maurizio Lupi e Luigi Casero.
Il caos è talmente grande che s’incorre pure in qualche svista. “Tenete d’occhio Bilardi”, avvertono con frenesia da Palazzo Madama.
Un rapido riscontro e si scopre che Bilardi, che è senatore e di nome fa Giovanni, ha però mollato Ncd già da un po’ ed è nel gruppo messo su dal citato Quagliariello che, guarda caso, si chiama Federazione della Libertà , che include per esempio anche Luigi Compagna e Carlo Giovanardi.
Questi gruppi sono una sorta di hotspot per i senatori che si sono ricreduti, veri centri di prima assistenza per chi fa il viaggio di ritorno verso il berlusconismo. Un altro gruppo-hotspot potrebbe nascere a breve con la paventata diaspora dei verdiniani di Ala.
Da quando il renzismo si è sgonfiato, una delle prime fatali conseguenze è stata quella di far tramontare l’astro lucente e guascone di Denis Verdini, teorico del Partito della Nazione.
Così i verdiniani di Ala si stanno guardando in faccia, muti e interrogativi, per capire cosa fare. L’eterno magnetismo berlusconiano potrebbe calamitare vari volti della pattuglia campana: Langella, Eva Longo, Ciro Falanga.
L’unico a non porsi il cruciale quesito è Vincenzo D’Anna, vulcanico filosofo liberale: “Non mi fiderei di Berlusconi nemmeno se fosse in punto di morte. Ci ha raccontato tante di quelle palle che non gli crederò mai più. Questa storia dell’esodo non mi interessa e non mi risulta e se Ala scenderà sotto i dieci (numero necessario per fare un gruppo al Senato, ndr) io tornerò da dove sono venuto, nel gruppo del Gal”. Ma Falanga smentisce ogni contatto: “Non è vero nulla, si ricama sul fatto che sono un liberale di centrodestra e che spesso voto come vota Forza Italia”.
La smentita di Falanga e il fenomeno dei gruppi di transito, gli hotspot del Senato, fanno emergere il nodo di queste convulse ore: la prudenza di Berlusconi nei confronti di questo controesodo che coinvolgerebbe pure l’ex leghista Flavio Tosi.
Non è solo questione di seggi nella prossima legislatura ma anche e soprattutto di tenuta del governo Gentiloni. È l’ennesimo paradosso berlusconiano: far aumentare la forza numerica di Forza Italia al Senato significherebbe rendere fragile la maggioranza che sostiene il premier.
E l’ex Cavaliere non vuole nulla di tutto questo: nè essere costretto a votare per Gentiloni, nè al tempo stesso andare al voto anticipato.
Meglio quindi lasciare tutto così com’è. Al resto ci penserà il generale agosto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile GIORNATA DA LEADER A ROMA… L’INCONTRO CON SPERANZA E D’ALEMA, L’ACCELERAZIONE SUL PROGETTO… LA BENEDIZIONE DI PRODI
Dopo una settimana di silenzi e perplessità , Giuliano Pisapia riappare. Quasi come un leader
“normale”. Che mette un punto fermo al percorso iniziato a sinistra del Pd, nella sua prima vera giornata politica romana.
Al termine di un incontro, lungo e approfondito, con Roberto Speranza il senso di un passo in avanti è messo nero su bianco in un comunicato, dove si “condivide” la necessità di “accelerare” il “percorso unitario avviato a Piazza Santi Apostoli per la costruzione di una nuova forza politica”.
A tal fine la prossima settimana verrà formato un coordinamento “che avrà il compito di favorire una partecipazione dal basso” e di “elaborare una Carta del primo luglio”.
Fuor di burocratichese, è un’indicazione di un percorso. Ovvero: si sta assieme e si va più veloci. E di un metodo: perchè questa “carta” — investimenti, reintroduzione dell’articolo 18 e altri punti – è un programma per andare al confronto col governo e al confronto con gli altri pezzi della sinistra, da Civati a Sinistra Italia; e perchè la “consultazione” — attenzione, non “primarie” — è comunque un modo per far pesare orientamenti, personalità , tenere porte aperte. Insomma, qualcosa si muove.
E si muove Pisapia che, in questo schema, inesorabilmente dovrà uscire dall’isolamento milanese, per coordinare un gruppo, impegnarsi in prima persona. Questo il passo in avanti, sia pur nell’ambito di alcune ambiguità che riguardano, oggi, il rapporto col governo, con i “bersaniani” pronti a uno schema che prevede un pacchetto di richieste e a quel punto “o svolta o rottura” e Pisapia meno ultimativo per non rompere l’interlocuzione col Pd.
Prima ancora di questo e del comunicato vale la stretta di mano di Pisapia con Massimo D’Alema, perchè di questi tempi il solo gesto viene interpretato da Renzi e dal gruppo dirigente del Pd come una dichiarazione di ostilità e come un affronto personale.
È stata una “chiacchierata amichevole”, per superare qualche frizione, voluta anche da Pisapia, una volta trovato l’accodo di massima con Speranza, a cui — dopo questa giornata — è stato affettuosamente attribuito, dai suoi, il soprannome di “attak”, per la capacità di incollare gli opposti, o quasi.
Accordo di massima, di cui però ancora non sono chiari i confini a sinistra. Perchè se è chiaro che non c’è problema con Pippo Civati che ha avuto con Pisapia un colloquio mattutino, ci sono parecchi veti dell’ex sindaco su Sinistra Italiana.
E c’è il problema che è complicato includere il primo escludendo i secondi.
La verità , in questo percorso complicato, è che prima di allargare i confini a sinistra l’ex sindaco di Milano vuole capire dove sono i confini verso il Pd. E non è un caso che, per tutto il giorno ha parlato con Gianni Cuperlo, incontrando anche i suoi parlamentari e Andrea Orlando alla Camera.
Perchè pensa che arriverà una seconda ondata di scissione — parlamentari, gruppi sul territorio – e teme che la costruzione immediata di un partito “ipoteca, condiziona e compromette una costruzione più ampia”, dice un suo amico stretto. E sarà proprio questo il primo punto di confronto nel nascituro coordinamento.
A monte c’è il riferimento, neanche tanto velato, alla matrice ulivista e al Prodi pensiero.
Le “tende” del professore “tolte dal Pd” di cui ha parlato Arturo Parisi nell’intervista al Corriere di qualche giorno sono state interpretate come il segnale di un movimento più ampio.
E le tende sono state tolte perchè “Renzi è prigioniero del suo io” e l’accampamento è diventato inagibile: “Prodi — prosegue l’amico di Pisapia – è d’accordo con lo schema che ha in mente Pisapia, ma sa che se lo dice perde forza”.
Quanto poi questo schema di “scomposizione e ricomposizione” pecchi di politicismo è un altro discorso. Il comunicato chiarisce il percorso. Il “messaggio”, nel senso di chi siamo e dove andiamo, è ancora avvolto da una dose di ambiguità .
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 20th, 2017 Riccardo Fucile IL LEADER DEI DISOBBEDIENTI NEL 2001: “IL CAPO DELLA POLIZIA ISTITUISCA I NUMERI IDENTIFICATIVI PER GLI AGENTI”
“Gabrielli è coraggioso. Ma trovo assurdo che sia il capo della polizia a dire che Genova 2001 è stata una catastrofe, che a Bolzaneto ci fu tortura, che al posto di De Gennaro lui si sarebbe dimesso… mentre la politica non commenta neppure, Renzi, Gentiloni non dicono nulla. Come se l’intervista di Gabrielli oggi a Repubblica non esistesse… Però il capo della polizia ora può essere consequenziale alle sue parole: per esempio istituire i numeri identificativi per i poliziotti per via amministrativa…”.
Luca Casarini era il capo dei Disobbedienti a Genova 2001, alla guida del corteo che la mattina del 20 luglio di 16 anni fa uscì dallo stadio Carlini, trovò sulla sua strada una carica in via Tolemaide, si spezzò sull’omicidio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda.
Cosa hai pensato quando hai letto l’intervista del capo della polizia Franco Gabrielli a Repubblica?
Ho pensato che è stato coraggioso e che questa intervista non sarebbe piaciuta nè ai piani alti dei Palazzi, nè ai piani terra della polizia italiana. Gabrielli dice molte cose di verità , mentre alcune le tralascia…
Tipo?
Ad esempio lui dice che a Genova ci fu una sommatoria di errori, come se fossimo in presenza di una scarsa professionalità . Mentre l’origine di Genova e del massacro che ci fu a Napoli a marzo 2001, citato dallo stesso Gabrielli, sta in una volontà politica di stroncare un movimento universale e globale che aveva percorso tutto il mondo e l’occidente e che faceva paura ai potenti. Era un movimento che criticava la globalizzazione, voleva un mondo migliore: i fatti oggi dicono che avevamo ragione. Il punto è che le forze dell’ordine vennero concepite come difesa estrema di un potere contestato e non come garanti dell’ordine pubblico…
Gabrielli dice anche che è stato un errore credere che i Disobbedienti potessero garantire sull’ordine pubblico.
E io dico che il tema è che qualcuno aveva scommesso che noi non riuscissimo a portare avanti le nostre proteste come avevamo deciso e questo qualcuno è chi ha ordinato la carica del tutto ingiustificata in via Tolemaide. Non è un caso che poi sia accaduto l’omicidio di Carlo Giuliani, un fatto per cui non c’è stato processo e questa è una delle storture di Genova che non chiamerei errore ma volontà politica.
Gabrielli però parla anche di problema sistemico.
Che però per me non riguarda la polizia ma la democrazia di questo paese. Prendiamo la magistratura: in questi anni noi abbiamo avuto condanne abnormi a 16 anni di galera tra i manifestanti per aver danneggiato cose, mentre dall’altra parte abbiamo avuto condanne per aver partecipato a torture su persone e nessuno della polizia ha fatto un giorno di carcere. E’ un sistema complessivo che va con una giustizia a due velocità a due intensità .
Però l’intervista di Gabrielli apre una pagina nuova, dà speranza?
Conosco Gabrielli da quando era in servizio a Roma come una persona democratica. Il suo è il tentativo coraggioso di aprire una pagina di verità su un pezzo di storia di questo paese ma dall’altra parte può finire come un’operazione di ‘washing’, per far vedere che la polizia è cambiata. Dipende da lui e dalla politica. Ti pare normale che nessuno dei cosiddetti leader commenti? Ricordo che quando la corte europea dei diritti umani condannò l’Italia per la Diaz, chiesi su twitter cosa avesse da dire l’allora premier Renzi e lui mi rispose promettendo la legge sulla tortura. E’ stata approvata, ma in maniera da risultare inutile per incastrare i torturatori di Bolzaneto. Oggi di torture a Bolzaneto parla Gabrielli e Renzi, nè Gentiloni, dicono nulla. In generale la classe politica dirigente di questo paese non dice nulla dopo che il capo polizia ha fatto delle affermazioni pesantissime. Questo la dice lunga sullo strabismo calcolato che interviene ogni volta che si parla di Genova o dei crimini commessi dalle autorità di polizia, si fa finta di non vedere. Le due pagine di Repubblica di oggi è come se non ci fossero state: una cosa grave che riguarda la dinamica sistemica di cui parla Gabrielli, non riguarda l’intero sistema, ma la politica.
Gabrielli si dice d’accordo sull’istituzione dei numeri identificativi per gli agenti di polizia.
Ecco questo aiuterebbe a combattere quel senso di impunità che impera nelle caserme da Genova in poi, visto che nessuno ha osato agire sui corpi di polizia per fare pulizia. Tutto questo porta a meccanismi tipo Genova anche se in piccolo. E’ successo 48 ore fa, solo per fare un esempio: manifestazione a Padova contro fascisti, carica della polizia, foto e filmati ritraggono dieci agenti che si accaniscono con i manganelli su due ragazze inermi. Ora: quando noi potremo dare nome a questi agenti che picchiano persone indifese inermi e ferme? La ‘logica dei pattuglioni’ di cui parla Gabrielli non è solo un meccanismo di organizzazione ma ideologico. Quando ti picchiano ti dicono comunista di merda, se sei donna ‘puttana’: è questo il nodo. Genova era l’ occasione per una riforma culturale, se si voleva fare, ma non si è voluto. Ora Gabrielli potrebbe istituire i numeri identificativi per via amministrativa, misura non solo giusta e usata negli altri paesi europei, ma toglierebbe il senso di impunità . E sarebbe una sfida al Parlamento italiano che non discute questa legge, perchè ogni volta scatta la lobby del partito della polizia: io non sono del partito dell’anti-polizia ma vorrei essere del partito della democrazia.
I poliziotti condannati a vario titolo per l’irruzione alla Diaz potrebbero tornare in polizia.
Se una persona è impiegata in ufficio pubblico o in banca e ruba non viene reintegrata. È mai possibile che persone armate che hanno il monopolio dell’uso della violenza possano essere reintegrate dopo essere state condannate per un’operazione – la Diaz – condannata dalla corte europea? Gabrielli dovrebbe opporsi anche solo per incompatibilità di ambiente. E’ un fatto simbolico ma darebbe il senso: De Gennaro non solo non si è dimesso ma è stato promosso e ora è a capo di aziende chiave di questo paese. Mi fa sorridere che si discuta dell’impiegato che timbra il cartellino in mutande e ha perso il lavoro per questo e poi quando viene reintegrato un poliziotto condannato per reati gravi ci sia questa indulgenza.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Giustizia | Commenta »