Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile NELLE AZIENDE PARTECIPATE DEL COMUNE SI CONTANO OGNI GIORNO TREMILA ASSENZE
Il Messaggero pubblica oggi un’infografica che riepiloga numero e percentuali di assenze dal lavoro nelle aziende partecipate da Roma Capitale: in totale si tratta di tremila assenze al giorno, di cui solo 2500 arrivano da ATAC e AMA.
Il Messaggero scrive che sul gradino più alto del podio c’è l’Ama, la municipalizzata dei rifiuti.
L’ultimo report trimestrale sulle assenze ha certificato che ogni giorno dà forfait il 14,9 per cento dei lavoratori.
All’Atac, la malandata azienda dei trasporti pubblici su cui pesa un debito monstre da 1,2 miliardi di euro il tasso di assenza è del 12,1 per cento, quasi il doppio dell’omologa partecipata milanese, la Atm, dove non si presenta al lavoro il 6,8 per cento del personale.
Considerando che Atac ha quasi 12mila dipendenti, vuol dire che quasi 1.400 lavoratori disertano i turni. Di questi, 750 sono autisti o macchinisti, oltre la metà dei quali non timbra il cartellino lamentando «problemi di salute».
Una delle percentuali più alte è quella dei macchinisti (12,5 per cento di assenze), con le malattie che pesano per il 5,5 per cento e i permessi legati alla legge 104 per il 2,5 per cento.
Poi il quotidiano racconta la storia di Risorse per Roma:
A “Risorse per Roma”, la partecipata romana a cui tocca gestire l’immenso patrimonio immobiliare del Comune, oltre 40 mila tra appartamenti e locali, i 640 dipendenti fino a un paio di anni fa godevano d i40 ore di permessi l’anno per le visite mediche di nonni, fratelli e nipoti. «Senza necessità di giustificazione oraria». Permesso abolito, insieme a tanti altri, dall’attuale presidente e amministrazione delegato, Massimo Bartoli.
Il risultato qual è? Oggi “Risorse” è la municipalizzata capitolina con il tasso di assenze più basso, e per distacco. Appena il 4 per cento.
Una mosca bianca nello sciame delle malconce partecipate di Roma. Infatti Bartoli ha appena rassegnato le sue dimissioni.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile LE INCHIESTE LO FRENANO, A COMINCIARE DA QUELLA SULL’AGENZIA LOMBARDA CHE RISCUOTE LE TASSE ORA INDAGATA PER TRUFFA, PECULATO E FALSO IN BILANCIO
Le ultime parole famose portano la data del 12 settembre 2016. «Oggi la Regione Lombardia ha licenziato
Equitalia», scrisse su Twitter il governatore Roberto Maroni. Con tanto di hashtag compiaciuto: “manteniamo le promesse”.
A dieci mesi da quel solenne annuncio le tasse made in Padania sono già un flop, con la procura di Milano che indaga sulla Duomo Gpa, una delle due aziende private a cui la Regione a guida leghista ha affidato la riscossione delle imposte.
Diego Federico Cassani, maggiore azionista e amministratore unico della società , è infatti indagato per peculato, truffa aggravata e falso in bilancio.
Almeno otto milioni sono spariti dai conti. Accusa grave, a maggior ragione per chi maneggia soldi pubblici riscuotendo le tasse.
Il boomerang della società di riscossione finita sotto inchiesta è un grosso guaio per il governatore lombardo e per le sue ambizioni (giusto mercoledì scorso il Foglio lo incoronava futuro leader del centrodestra unito), a pochi giorni da un altro affondo della magistratura: questa volta nel mirino c’è la Pedemontana: l’autostrada che taglia la Brianza collegando la provincia di Varese e quella di Bergamo, simbolo della grandeur d’asfalto in salsa leghista, si è trasformata in un gigantesco buco nero di perdite e debiti.
I guai delle tasse e quelli d’asfalto capitano proprio nel mezzo della campagna per il referendum consultivo sull’autonomia lombarda.
Per Maroni, leghista di governo, variante post-democristiana del sovranismo alla Matteo Salvini, le settimane che portano all’appuntamento del 22 ottobre prossimo dovevano trasformarsi in una passerella verso il trionfo.
Questo successo, a sua volta, avrebbe aperto nel migliore dei modi la volata verso le amministrative del prossimo anno, con il governatore leghista pronto a ricandidarsi.
Una corsa che sembrava scontata, con l’opposizione costretta a rincorrere a grande distanza. Tanto che in vista del voto di ottobre, la gran parte del Pd, con in testa i sindaci di Milano, Giuseppe Sala, e di Bergamo, Giorgio Gori, si era spostata sulle posizioni del governatore per non lasciare solo a lui tutto l’incasso della scontata vittoria referendaria.
In questa cornice trionfale, l’inchiesta su Duomo Gpa, finora rimasta sottotraccia, con pochi trafiletti sui giornali confinati nella cronaca locale, è quella che potrebbe finire per creare i guai maggiori per Maroni, quanto meno sul piano dell’immagine.
Nel 2013 infatti, l’ex ministro dell’Interno dei governi Berlusconi aveva sbancato la lotteria delle elezioni regionali, mitragliando slogan sul fisco. Parole forti. Tipo: «Ai lombardi il 75 per cento delle tasse pagate in Lombardia».
Strada facendo, il governatore è dovuto venire a patti con la realtà . A quattro anni di distanza, le promesse restano promesse e buona parte dei tributi padani prendono ancora il volo verso Roma. Equitalia però restava un ottimo bersaglio, un simbolo del fisco rapace da abbattere al più presto.
Detto, fatto. La Regione ha bandito una gara, vinta da Duomo Gpa, associata per l’occasione alla Publiservizi, una ditta di Caserta, con il ruolo, quest’ultima, di capocordata con la quota di maggioranza. Non si può dire che ci fosse una gran concorrenza.
L’unica altra offerta è arrivata da Poste Tributi, società pubblica che è finita in liquidazione nel 2016.
Duomo Gpa, però, aveva già i conti in grave crisi: ricavi in calo, debiti oltre il livello di guardia. E adesso dalla magistratura è arrivata un’altra mazzata.
Non per niente, il ministero dell’Economia ha già sospeso la Duomo dal registro delle imprese abilitate alla riscossione.
La Regione Lombardia, invece, per ora non ha preso provvedimenti. L’istruttoria nasce da una lettera anonima spedita il 25 marzo 2016 alla Guardia di Finanza, ancor prima, quindi, che l’azienda di Cassani vincesse la gara bandita dalla giunta Maroni.
Dalle carte sequestrate dalla Guardia di Finanza emerge che il nuovo concessionario lombardo ha accumulato debiti per quasi 20 milioni. Una somma enorme, se si considera che i mezzi propri della società non raggiungono i 7 milioni.
La società fatica a far fronte ai propri impegni. Negli ultimi due anni, i dipendenti, un centinaio in tutto, sono rimasti per mesi senza stipendio, mentre decine di enti pubblici reclamavano le loro entrate.
La Duomo Gpa, infatti, incassa i tributi per oltre 800 comuni in Lombardia e Piemonte, fino alle Marche e alla Toscana.
Dalle carte dell’inchiesta risulta che già nel 2016 la società era assediata dai decreti ingiuntivi e dalle proteste dei municipi. Nel gennaio 2017 due impiegati, intercettati dalla Guardia di Finanza, si sfogano al telefono accusando la famiglia Cassani di aver «intascato otto milioni di euro»: «Stiamo parlando di debiti nei confronti dell’erario e dei comuni», per cui «se arriva un pm ti porta a San Vittore».
Non solo. La moglie di Cassani, intercettata, spiega a un ragioniere che «la contabilità va ricreata ex novo». Una funzionaria protesta che «per coprire i debiti fanno cose allucinanti, bonifici finti, un sacco di contabili finte». Ad ascoltare simili confidenze, preoccupato, è Ezio Buraschi, che non è indagato, già socio della Duomo: «Fanno il gioco delle tre carte», è il suo commento, «ma così qualcuno va in prigione».
Secondo la Guardia di Finanza almeno 8 milioni sono spariti. Gli ammanchi, ha ricostruito il pm Mauro Clerici, dipendono da «una confusione tra conti pubblici e privati», che è l’effetto di una legge singolare, modificata solo in tempi recenti.
Un sistema durato anni, così congegnato: le tasse, che appartengono ai comuni, vengono pagate dai cittadini (coi bollettini postali) su conti di proprietà degli esattori che sono quindi liberi di travasarli altrove.
La Duomo, in particolare, ha dirottato le tasse di mezza Italia su un proprio deposito di Milano, chiamato «conto padre», usato per pagare dipendenti e fornitori, versare bonus e benefit ai dirigenti, distribuire utili e premi agli azionisti.
Tra il 2015 e il 2016 la società sigla con i comuni alcuni «piani di rientro» a rate, ma di fatto usa le entrate di un municipio, accusano i magistrati, per tappare i buchi con un altro. La nuova legge, che intesta i conti delle tasse direttamente ai comuni, interrompe una volta per tutte questa girandola. E a quel punto parte la presunta truffa: la Duomo prepara «finti bonifici» on line, li stampa e li trasmette ai comuni come se fossero veri, ma subito dopo li annulla. I contabili descrivono anche un’altra presunta «tecnica fraudolenta collaudata da anni», che loro stessi chiamano «il sistema Cassani».
Il punto di partenza è che esistono due tipi di contratti di riscossione: con i piccoli comuni la società paga solo un canone fisso, per cui può trattenere tutte le tasse che superino quel minimo garantito; con gli enti più grandi, invece, riceve una percentuale (chiamata aggio) e quindi dovrebbe rimborsare una cifra variabile in base agli incassi. Invece, secondo l’accusa, i soldi dei grandi comuni venivano spostati, con un apposito programma informatico, sui conti dei piccoli. In quel modo la Duomo pagava solo i canoni fissi e incamerava una bella fetta di tasse dei grandi enti: «in media il 10 per cento», secondo i contabili già interrogati.
Il 30 giugno scorso i magistrati hanno ordinato il primo sequestro di otto milioni. Oltre alla società , il decreto ha colpito i tre proprietari, cioè Cassani con la moglie e la sorella, che negli ultimi dieci anni tra stipendi e benefit hanno ricevuto dall’azienda almeno 5 milioni e mezzo.
Tra le uscite contestate compaiono tre auto da 70 mila euro ciascuna regalate a parenti, rimborsi benzina per una Jaguar e oltre due milioni di fatture sospette, liquidate a un’altra ditta di famiglia. Nel decreto i magistrati precisano che l’inchiesta continua e potrebbe scoperchiare altri ammanchi: nella sede perquisita mancavano le carte di «più di cento conti bancari».
Interpellato dall’Espresso, l’avvocato Giovanni Maria Soldi, che difende Cassani e i suoi familiari, smentisce qualsiasi truffa o ruberia: «Esiste un debito importante nei confronti dei comuni, ma escludo che ci siano state frodi o appropriazioni indebite».
Adesso, in attesa delle prossime mosse della magistratura, c’è il rischio che la Lombardia sia costretta a reclutare un nuovo concessionario per riscuotere le tasse. Dal licenziamento di Equitalia è passato meno di un anno. Chissà se Maroni avrà ancora voglia di parlarne su Twitter.
(da “BusinessInsider”)
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile “8.000 EURO SOLO PER POSARLO, POI LA MANUTENZIONE, LA RIMOZIONE E LO SMALTIMENTO, ALLA FINE DEVO PAGARE 16.000 EURO”
Troppo caro l’investimento per i borghi spezzini che avrebbero dovuto sfruttare la passerella lungo tutta la pista ciclabile, sei chilometri vista mare lungo il vecchio tracciato ferroviario.
“Un costo insostenibile per un comune come il nostro – spiega il sindaco di Bonassola Giorgio Bernardin – Così abbiamo preparato una relazione e declinato la proposta. Seguiamo questa iniziativa da due mesi ma vorremmo che la Regione ci supportasse su altri progetti più concreti. E non si tratta di una polemica politica, sia chiaro”.
Non si placa il dibattito sulle passerelle rosse inaugurate in decine di borghi dalla costa all’entroterra. Il progetto della Regione per rilanciare il turismo continua a far discutere.
Dopo il caso di Portovenere, si torna a parlare di numeri e conti.
La Regione ha preso in carico l’acquisto del tappeto, le altre spese restano ai comuni. E i conti lievitano.
Secondo le stime degli amministratori per il red carpet da Levanto a Framura sarebbero serviti circa 8.000 euro. “Solo per posare la passerella la tariffa è di un euro al metro più iva – spiega il sindaco di Bonassola su cui avrebbe pesato gran parte dell’investimento nonostante un contributo dei comuni vicini – Abbiamo rifatto il manto della pista ciclabile questa primavera e non potevamo certo fissare il tappeto con i chiodi così ci hanno proposto, con un contributo aggiuntivo, di mettere strisce autoadesive per evitare i buchi. E ancora i costi di mantenimento, avete visto come sono ridotti i red carpet dopo due settimane? Una ditta per rimuovere la moquette e le operazione di smaltimento “.
Sui costi arrivano anche le cifre da parte di Montecolino Spa, l’azienda bresciana fornitrice dei primi otto chilometri di red carpet da Rapallo a Portofino a cui sono stati affidati anche gli altri 27 tappeti da stendere nei 32 comuni che hanno aderito al progetto.
“Arriviamo a circa 50 km di tappeto complessivi, pagati dalla Regione, che consegniamo direttamente ai sindaci. Qui in ditta ne restano appena un paio – conferma Alcide Dall’Aglio, responsabile commerciale dell’azienda – Il prezzo di listino per un metro quadrato di tappeto è 3.92 euro. Per fare un esempio il primo red carpet sarebbe costato circa 40 mila euro a cui vanno aggiunte le spese di trasporto e l’iva ma alla Regione Liguria abbiamo applicato forti sconti”.
Mentre per lo smaltimento della moquette i sindaci potranno rivolgersi a un’azienda specializzata nel riciclo di materie plastiche o portare il red carpet direttamente in discarica. “Che alla fine sarà la soluzione più comune – conclude il responsabile commerciale dell’azienda bresciana – Il costo? Per 8 km di tappeto bisogna mettere in conto più di 500 euro”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile ROMA VUOLE IL CONTROLLO, PARIGI MINACCIA DI FAR SALTARE TUTTO…E FINCANTIERI PERDE QUOTA IN BORSA
Roma e Parigi non s’incontrano ancora sulla via di Saint-Nazaire. Tra Italia e Francia l’affaire Fincantieri-
Stx è causa di crescenti tensioni al limite della rottura, con la parte italiana che dice di aver dato “ampia disponibilità ” ad accogliere le richieste dei francesi a modificare un accordo già concluso, e quella transalpina che non vuole accettare nessuna delle soluzioni di modifica delineate dal vicino.
L’effetto di questo stallo si vede sul titolo Fincantieri, che in avvio a Milano cede il 12% a 0,92 euro.
Si sta arenando la già difficile partita che potrebbe portare Fincantieri a gestire gli storici cantieri navali di Saint-Nazaire, i più importanti della Francia.
Il colosso italiano ha acquisito dal Tribunale di Seul il 66,66% della società Stx Francia che gestisce i cantieri francesi, ma l’accordo che aveva raggiunto con Francois Hollande per l’assetto societario della stessa Stx (che prevedeva la maggioranza assoluta in mani italiane) è stato messo in discussione da Emmanuel Macron, che ha chiesto di ridiscuterlo.
A uscire allo scoperto è il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, che minaccia di far saltare il tavolo.
Se l’Italia non accetterà l’offerta presentata dalla Francia su un assetto 50-50 nell’acquisizione dei cantieri di Stx da parte di Fincantieri “lo Stato francese eserciterà il suo diritto di prelazione” per riaprire il dossier, ha detto ai microfoni di FranceInfo.
“Non vogliamo correre nessun rischio sul futuro dei posti di lavoro, sul futuro delle competenze, dei territori, in un sito industriale così strategico come quello dei cantieri industriali di Saint Nazaire”.
Parole che sono inaccettabili per Giuseppe Bono, numero uno di Fincantieri, che dice senza mezzi termini che “la pazienza è finita”.
L’acquisizione di Stx France è per Fincantieri “un obiettivo industriale e non politico” ha spiegato nel corso di una conference call, “non abbiamo bisogno di Stx a tutti i costi, abbiamo un ottimo portafoglio ordini”.
“Mi piace sottolineare che negli ultimi anni Fincantieri ha consegnato 50 navi da crociera contro le 12 di Saint Nazaire, e nel frattempo Stx France ha cambiato proprietà ben tre volte”.
Ed ancora: “Siamo italiani ed europei ma non possiamo accettare di essere trattati meno dei coreani. Al momento – ha ricordato Bono – siamo leader mondiali, abbiamo molte trattative in corso e un grande blacklog”.
Si fa sentire anche il Governo italiano. “Su Stx siamo stati chiari fin dal principio. Il precedente Governo francese ha chiesto a Fincantieri di interessarsi, e Fincantieri lo ha fatto con un progetto industriale solido che ha alcune condizioni fondamentali”, dice il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Che avverte: “Queste condizioni sono conosciute dal Governo francese, dal precedente che ha firmato un accordo e dall’attuale: non abbiamo nessuna intenzione di andare avanti se queste condizioni non ci sono”.
Per Pier Carlo Padoan le voci da Parigi sono motivo di rammarico. “L’attuale esecutivo francese ha deciso di cancellare accordi già presi sulla presenza di Fincantieri nella compagine sociale di Stx — ha dichiarato — Abbiamo dato la nostra disponibilità ad ascoltare le esigenze del nuovo governo, ma non c’è nessun motivo per cui Fincantieri debba rinunciare alla maggioranza e al controllo della società francese”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile L’ASSESSORE LEGHISTA SI RASSEGNI, NON ERA L’ISIS CHE VOLEVA ALLAGARLO, MA SOLO UN “TERUN”… ORA SI CONSOLI FILMANDO CHI PISCIA CONTROVENTO, INSTALLARE SERVIZI IGIENICI NON E’ “SOVRANISTA”
Finalmente la notizia del secolo è arrivata: la polizia municipale di Genova “è vicina a identificare” il vandalo che sabato scorso, di notte, ha danneggiato i bagni di Tursi.
Gli inquirenti ora hanno un volto: mostrando in zona le immagine estrapolate dal sistema di video sorveglianza alcune persone avrebbero riconosciuto un italiano originario del sud Italia, ma residente a Genova.
Non si tratta di un dipendente comunale, non avrebbe agito per scopi politici, quindi contro la giunta Bucci, e non farebbe parte di associazioni o gruppi politici organizzati.
Non sarebbe nuovo a gesti di questo genere e secondo quanto trapelato avrebbe problemi di natura psichica.
L’assessore all’umorismo del Comune, il leghista allampanato Stefano Garassino. può dormire sonni tranquilli: non è stato un martire dell’Isis a provare ad annegarlo “a casa sua”, rubando 5 rubinetti, ma un tizio con qualche problema mentale.
Nel dubbio che potesse essere un padagno, è stato solo fatto trapelare che è “un napoletano”: forse per rimarcare l’inaffidabilità dei meridionali?
Ora l’umorista potrà dedicarsi a visionare i filmati delle telecamere del centrostorico (che le abbia collegate alla sua camera da letto?) per “colpire chi orina di notte per strada” e poi mettere i filmati su You-Tube come ha promesso.
Prima o poi magari qualcuno lo informerà che nei Paesi civili non si piscia per strada perchè le amministrazioni locali installano adeguati servizi igienici pubblici cui può indirizzarsi chi è colpito da improvviso bisogno.
Strutture che a Genova non esistono e che la nuova giunta si guarda bene dal garantire: rende più reprimere che prevenire.
O forse vale il principio sovranista del “ognuno pisci a casa propria”.
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile IL PM HA SENTITO L’EX DIRETTRICE, POI RIMOSSA, CHE AVEVA DENUNCIATO LE PRESSIONI DELLA SINDACA APPENDINO SUL DEBITO A BILANCIO…. SI IPOTIZZA IL REATO DI FALSO IDEOLOGICO
La Guardia di Finanza ha fatto visita negli uffici del Comune di Torino per acquisire la documentazione
sul caso Westinghose. Il pubblico ministero Marco Gianoglio la scorsa settimana ha sentito Anna Tornoni, ex direttrice del settore Finanza che aveva denunciato le pressioni del capo di gabinetto di Chiara Appendino, Paolo Giordana, affinchè non iscrivesse il debito da 5 milioni a bilancio.
Non solo: racconta Ottavia Giustetti su Repubblica Torino che la procura il 20 luglio ha sentito Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, che dopo aver chiesto la restituzione del debito ha concesso il rinvio della riscossione del credito.
Tornoni, che nel frattempo è stata destinata ad altro incarico, ha confermato agli inquirenti di aver avuto rapporti prevalentemente con Paolo Giordana nella predisposizione dei conti che poi si sarebbero riversati nel bilancio di previsione. Circostanza che è testimoniata anche dalle numerose email già consegnate alla procura con l’esposto del consigliere Alberto Morano. Mentre Quaglia ha raccontato di aver trattato sul tema solo con la sindaca e il suo assessore al Bilancio. Ream, nel 2012, aveva versato la somma a titolo di caparra per esercitare un diritto di prelazione sull’area poi aggiudicata per 19,6 milioni a un’altra società , l’Amteco- Maiora.
Restavano 5 milioni da restituire, ma Paolo Giordana comunicava a Tornoni di non iscrivere il debito a bilancio, sostenendo che fosse in corso una trattativa. L’ipotesi è che la sindaca Chiara Appendino e l’assessore al Bilancio, Sergio Rolando, assieme agli uomini del suo staff, abbiano tratto in inganno il Consiglio comunale, rappresentando una situazione finanziaria diversa da quella reale. Facendo un’operazione di maquillage sui conti pubblici. Nei documenti ufficiali presentati alla magistratura si ipotizza il reato di falso ideologico.
Il caso venne rivelato il mese scorso, sempre da Repubblica: sotto la lente finirono le email di Paolo Giordana a Paola Tornoni: «Ti pregherei di rifare la nota evidenziando solo le poste per le quali possono essere usati i 19,6 milioni di Westinghouse — scriveva lui a lei il 22 novembre 2016 — Per quanto riguarda il debito con Ream lo escluderei al momento dal ragionamento, in quanto con quel soggetto sono aperti altri tavoli di confronto».
Il messaggio dalla posta di Giordana è inviato per conoscenza all’assessore Sergio Rolando e all’indirizzo email personale di Chiara Appendino.
Il giorno dopo, alle 11.03, lei risponde: «Non essendo a conoscenza del fatto che l’amministrazione ha aperto tavoli di confronto con Ream, avevo ritenuto opportuno ricordare a tutti quali fossero gli impegni assunti dall’amministrazione precedente, al fine di non generare elementi di criticità per questa giunta».
Il botta e risposta resta per diversi giorni tra Giordana e Tornoni, la quale, nonostante le sollecitazioni del capo di gabinetto, non rinuncia a ribadire quel che secondo lei è giusto fare: indicare nel bilancio di previsione i 5 milioni di debito verso Ream.
Il caso Westinghouse è uno dei tanti che hanno portato il MoVimento 5 Stelle torinese a rimangiarsi le promesse elettorali di fronte alla realtà : Chiara Appendino in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe cancellato il progetto messo a punto dalla giunta Fassino, ma poi, una volta eletta, ha confermato l’impegno a investire sull’area dell’ex Caserma Lamarmora, di fronte al Palazzo di Giustizia, dove sorgeranno il nuovo centro congressi della città e un ipermercato della catena Esselunga.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile IL CASO SI RIAPRE CON UNA NUOVA PISTA SEGUITA DA PROCURA E ROS
I brutali delitti del mostro di Firenze furono uno dei fronti della strategia della tensione che ha sconvolto l’Italia dalla fine degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta: una variante di quella che Sandra Bonsanti, parafrasando Giovanni Falcone, ha chiamato “Il gioco grande del potere”.
E’ una tesi che sembra aver acquistato forza durante le più recenti indagini della procura di Firenze e del Ros Carabinieri sulle uccisioni delle otto coppie di fidanzati nelle campagne intorno a Firenze fra il 1968 e il 1985.
Delitti firmati dalla stessa arma, una Beretta calibro 22, dagli stessi proiettili Winchester serie H e, a partire da quello del 1974, dallo strazio dei corpi delle vittime femminili, con asportazioni di lembi di seno e di pube.
Delitti che sembrano appartenere a un mondo totalmente estraneo alle bombe sui treni e alle stragi che hanno segnato quegli stessi anni.
In realtà conseguirono lo stesso obiettivo, quello di spargere terrore indiscriminato: perchè chiunque poteva essere colpito, i giovani in particolare.
Il protagonista della nuova inchiesta è un ex legionario.
Cinque anni fa l’avvocato Vieri Adriani, che rappresenta i familiari di Nadine Mauriot, la giovane donna francese uccisa a Scopeti l’8 settembre 1985 con il fidanzato Jean Michel Kraveichvili, ha presentato un esposto, seguito da diverse integrazioni, in cui suggeriva di approfondire una pista già sfiorata oltre 30 anni fa e poi abbandonata.
La procura di Firenze, che non si è mai fermata dopo le condanne definitive di Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i “compagni di merende” di Pietro Pacciani morto prima che la giustizia si pronunciasse definitivamente sulle sue responsabilità , ha continuato a indagare, sempre sotto la guida Paolo Canessa, lo storico pm delle indagini sul mostro, che oggi è procuratore di Pistoia ma è stato delegato dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo.
La pista di indagine indicata dall’avvocato Adriani conduce all’ex legionario, 87 anni, reduce da molte guerre, originario di Vicchio come Pietro Pacciani
Il 16 settembre 1985, pochi giorni dopo il delitto di Scopeti, i carabinieri lo perquisirono “in quanto il predetto, da accertamenti svolti, poteva identificarsi nel noto mostro di Firenze” (si legge nel verbale).
Gli trovarono soltanto molti articoli sulle uccisioni dei fidanzati e sulle prostitute uccise in quegli stessi anni. Poteva essere solo il segno di un interesse morboso e niente più.
Nel novembre del ’94, in seguito a gravi dissidi con un vicino, l’ex legionario fu nuovamente perquisito e in quella circostanza i carabinieri gli trovarono 176 proiettili Winchester serie H non più in produzione dal 1981.
Le più recenti indagini sono riservatissime, ma è certo che l’ex legionario è sotto inchiesta in relazione ai delitti e che sono state passate al setaccio le sue relazioni non soltanto con Pacciani, di cui era conterraneo e quasi coetaneo, non soltanto con un defunto imprenditore di origini tedesche a suo tempo investito dalle indagini e con Salvatore Vinci, già indagato nell’ambito della pista sarda, che abitava nella sua stessa strada, ma anche con altri elementi della destra più estrema, uno dei quali risulterebbe indagato nella nuova inchiesta.
Grazie anche alle più recenti tecniche di estrazione del Dna, sembra che gli inquirenti abbiano compiuto alcuni concreti passi in avanti nei misteri della vicenda del mostro.
Al tempo stesso, la pista “servizi” è cresciuta anche sulla base delle analisi degli innumerevoli depistaggi che hanno costellato l’inchiesta sulle uccisioni dei fidanzati e sulle coincidenze fra i delitti e le vicende, gli attentati, gli omicidi e le stragi che hanno segnato gli anni della strategia della tensione.
Colpisce in primo luogo l’efferatezza del delitto del 14 settembre 1974. Stefania Pettini, figlia di un partigiano e attivista comunista, fu sorpresa in auto con il fidanzato Pasquale Gentilcore. Ucciso lui, l’assassino estrasse ancora viva dalla macchina la giovane donna e infierì su di lei con 96 coltellate e infine, in segno di estremo oltraggio, la penetrò in vagina con un tralcio di vite.
Il suo corpo straziato ricordava quelli delle donne massacrate dalle SS di Walter Reder nel corso dell’eccidio di Vinca (24 agosto 1944).
Alcune di loro erano state impalate e a una era stato strappato il bambino il feto che portava in grembo.
Poche ore prima dell’uccisione dei due fidanzati mugellani, a Vicchio era stato celebrato il trentesimo anniversario della liberazione del territorio e reparti di partigiani e dell’esercito aveva sfilato insieme per ricordare la vittoria sul nazifascismo.
In quello stesso 1974, pochi mesi prima del delitto di Borgo, l’Italia era stata sconvolta dalla strage di Brescia (28 maggio) e dall’attentato sul treno Italicus (4 agosto). Nel 1981, anno in cui il mostro uccise due volte, scoppiò lo scandalo della P2. Il 21 maggio furono rese pubbliche le liste degli iscritti alla loggia segreta di Licio Gelli, due settimane più tardi — il 6 giugno – il mostro uccise Carmela Di Nuccio e Giovanni Foggi a Scandicci. Il delitto ebbe una risonanza enorme.
Negli anni successivi, fra mille depistaggi, le indagini sul mostro impegnarono enormemente la procura di Firenze, guidata da Piero Vigna, a rischio di distogliere uomini e forze dalle inchieste sul terrorismo e sugli attentati ai treni.
Nel 1991 — a conclusione di una indagine “sui grandi numeri”, e cioè su numerosissimi possibili sospetti per varie devianze di natura sessuale — entra nell’inchiesta Pietro Pacciani, perquisito nel ’92 e arrestato il 16 gennaio ’93.
In quegli stessi anni si moltiplicano gli interventi di investigatori, psichiatri e criminologi, molti dei quali poi si muoveranno in difesa di Pacciani.
Nell’aprile ’92 l’investigatore Carmelo Lavorino enuncia la sua ”teoria finale”: l’assassino dei fidanzati sarebbe il figlio della donna massacrata nel 1968.
Nel 1993 il criminologo Aurelio Mattei pubblica uno strano libro, “Coniglio il martedì”, in cui racconta una vicenda identica a quella del mostro e scrive che i delitti sarebbero stati commessi “al solo scopo di terrorizzare l’opinione pubblica e di far apparire le istituzioni incapaci di affrontare il fenomeno”.
Il 15 luglio 1994 in aula bunker depone come consulente della difesa di Pacciani il criminologo Francesco Bruno, che fra lo stupore generale si presenta come collaboratore, fino al 1987, del “Servizio informazioni per la sicurezza democratica”, ossia il Sisde. Che cosa c’entrassero i servizi segreti con delitti a sfondo sessuale non si è mai capito.
E soprattutto nessuno ha capito se il loro intervento intendesse essere di sostegno alla ricerca della verità sui delitti o non piuttosto diretto a depistare le indagini.
Ipotesi sempre privilegiata dalla procura di Firenze. Anche per questo l’ipotesi che la tragica sequenza delle uccisioni dei fidanzati possa essere inquadrata nella strategia della tensione è al centro del più recente filone di indagini.
(da “La Repubblica“)
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