Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile LE ACQUE TERRITORIALI LIBICHE SONO DI 12 MIGLIA, LE ALTRE SONO ACQUE INTERNAZIONALI… ORMAI IL GIOCO E’ SCOPERTO: L’ITALIA HA VENDUTO MIGLIAIA DI ESSERI UMANI, DESTINATI ALLE GALERE LIBICHE
La Marina libica, fedele al governo del premier del Governo di unita nazionale di Tripoli
di Fayez al Sarraj, ha imposto a tutte le navi straniere il divieto di soccorrere i migranti nelle aree cosiddette aree di “Search and rescue” che vanno molto oltre le 12 miglia nautiche delle acque territoriali.
Di fatto la decisione impedirà alle navi delle Ong di intervenire non solo nelle acque territoriali libiche ma si dovranno tenere ad una distanza di centinaia di km dalla costa.
A dare la notizia il generale Abdelhakim Bouhaliya, comandante della base navale di Tripoli: la Libia ha “istituito ufficialmente una zona di ricerca e salvataggio (SaR) nella quale nessuna nave straniera avrà il diritto di accedere, salvo una richiesta espressa alle autorità libiche” che dovranno poi concedere la loro autorizzazione caso per caso.
Un portavoce della Marina libica ha chiarito che il provvedimento è stato adottato esplicitamente “per le Ong che pretendono di salvare i migranti clandestini sostenendo che si tratta di un’azione umanitaria”.
“Vogliamo inviare un chiaro messaggio a tutti coloro che violano la sovranità libica e mancano di rispetto alla Guardia Costiera e alla Marina”, ha aggiunto il portavoce della Marina, il generale Ayoub Qassem.
Sebbene non esplicitamente fissata nell’annuncio, l’area SaR, secondo le cartine in uso alla missione EuNavFor Med (Sophia), è quella esistente ai tempi del colonnello Muammar Gheddafi e si estende fino ad almeno 97 miglia nautiche dalla costa libica, ossia 180 km.
Al momento le navi delle Ong, invece, operano al limite od anche entro le 12 miglia nautiche delle acque territoriali, pari a 22 km.
Vale la pena ricordare a questo cialtrone:
1) Le acque territoriali libiche sono di 12 miglia, oltre sono acque internazionali dove la Libia non puo’ fare i cazzi che vuole e fissare a suo criterio aree interdette a operazioni di soccorso e ricerca regolate dal diritto internazionale.
2) L’associazione a delinquere libica che prende tangenti per far partire i profughi a scaglioni evidentemente ha incassato una cifra maggiore dai mandanti italiani .
3) I delinquenti libici sono notoriamente una garanzia nelle operazioni di soccorso e sono pure talmente pirla da precisare pure che si tratta di “clandestini che le Ong pretendono di salvare sostenendo che si tratta di un’operazione umanitaria”. Loro invece preferiscono vederli affogare o derubarli e violentare le donne nei lager di Stato.
4) Solo le navi italiane non dovranno chiedere il permesso, a dimostrazione di chi sono gli ufficiali pagatori dei criminali locali, chi gli regala milionate e motovedette.
5) Ovviamente non ci sarà nessun politico in Italia che li manderà affanculo, siamo riusciti a metterci a 90 gradi con il criminale Gheddafi, cosa volete che sia pagare qualche altro cialtrone per fare un altro lavoretto sporco per nostro conto e diminuire quella “fastidiosa sensazione di insicurezza” che non permette al buon borghese di passeggiare per strada senza dover vedere che ci sono anche i poveri al mondo.
6) Unico aspetto divertente nella tragedia: i mandanti dei criminali perderanno pure le elezioni e se lo prenderanno nel culo. Il massimo dell’autolesionismo per una sinistra che ha venduto la storia di civiltà dell’Occidente ( la sedicente destra è fuori concorso, per una poltrona venderebbe pure la madre).
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile CON GRECIA E PORTOGALLO SIAMO UNO DEI TRE PAESI DELL’EUROZONA IL CUI PRODOTTO INTERNO LORDO RESTA INFERIORE A QUELLO DEL 2007… SIAMO IN CODA ANCHE SU DISOCCUPAZIONE, PREZZI DEGLI IMMOBILI E MERCATI AZIONARI
L’economia italiana è ancora lontana dai livelli pre-crisi. E con Grecia e Portogallo, il nostro è uno dei tre paesi dell’Eurozona il cui prodotto interno lordo resta inferiore a quello del 2007.
L’analisi è del Financial Times e mostra i ritardi dell’Italia anche in tutti gli altri indici presi in considerazione: disoccupazione, prezzi degli immobili e mercati azionari.
Nel dettaglio, secondo il quotidiano, alla fine del 2017 il Pil italiano sarà 6,2 punti percentuali sotto il dato di dieci anni fa.
In Eurolandia, a farci compagnia, sotto ‘quota zero’, sono solo altri due Paesi: il Portogallo, che segna un calo complessivo del 2,4%, e la Grecia, che ha perso un quarto del proprio prodotto interno lordo (-24,8%).
Tutte le principali economie mondiali analizzate dal Financial Times sono oltre “quota zero” e registrano un prodotto interno lordo superiore a quello del 2007.
L’ultima a uscire dal buco nero della crisi è stata la Spagna, che ha raggiunto il pareggio quest’anno e, a fine 2017, guadagnerà il 2,1%. Se all’Italia non sono stati sufficienti dieci anni per tornare ai livelli pre-crisi, a Francia, Germania e Stati Uniti ne sono bastati quattro: il saldo è tornato positivo nel 2011.
Oggi si attesta a +6,7% per Parigi, a +10,9% per Berlino e a +14,6% per Washington.
La ripresa britannica è stata più graduale: Londra ha raggiunto i livelli pre-crisi nel 2013. Ma da allora ha accelerato: chiuderà il 2017 con un progresso dell’11,1% rispetto a un decennio fa.
Ancora più repentina è stata la risalita di Islanda e Irlanda. Hanno dovuto aspettare il 2014 prima di raggiungere il pareggio, ma da allora la crescita è stata rispettivamente del 18,1% e del 38,5%. Guardando all’Asia, anche il Giappone recupera, seppure a un ritmo meno elevato (+4,7%).
Mentre la Cina merita un discorso a sè: Pechino è l’unica grande economia mondiale a non aver risentito della crisi. Dal 2007, il Pil è più che raddoppiato (+119,9%). Se la rappresentazione grafica del prodotto interno lordo di altri Stati è una curva rotta da cambi di direzione, per la Cina somiglia molto a una linea retta.
Male il lavoro, le azioni, gli immobili
Per quanto riguarda il lavoro, il record negativo è della Grecia, con una disoccupazione superiore del 14,6% rispetto al 2007. Ma il mercato del lavoro, che tende a ritardare la propria ripresa rispetto a quella del Pil, resta debole anche negli Stati riaffacciatisi oltre il pareggio.
Come in Spagna, dove la disoccupazione resta del 10,2% più alta rispetto a dieci anni fa, e negli Stati Uniti, che solo nel 2017 raggiungeranno lo stesso tasso di disoccupazione del 2007 nonostante una crescita del Pil già in doppia cifra.
Appena sopra il pareggio è la Gran Bretagna, dove il tasso di disoccupazione e’ inferiore di appena lo 0,9% rispetto a dieci anni fa. A fare da solida eccezione e’ la sola Germania, con un tasso di senza lavoro sceso del 4,6% rispetto al 2007.
Il Financial Times, in questo caso, non analizza il dato italiano. Ma basta guardare ai dati Istat per capire che ‘quota zero’ e’ ancora lontana: il tasso di disoccupazione alla fine del 2007 era del 6,5%, quello registrato a giugno 2017 e’ stato dell’11,1%.
Per il mercato immobiliare il Financial Times ha preferito confrontare i dati con il 2005, anche per includere la bolla dei mutui subprime scoppiata nel 2006.
Negli Stati Uniti, epicentro di quella crisi, i prezzi delle case sono cresciuti del 9,2%. In Canada l’aumento e’ stato del 42,8%; in Gran Bretagna del 50,6%. In Australia i prezzi sono più che raddoppiati (+107,5%).
In Spagna, a conferma di un’economia che ha ancora bisogno di sostegno nonostante la risalita del Pil, il mercato galleggia 9,5 punti percentuali al di sotto dei livelli del 2005. Neppure in questo caso l’Italia fa parte degli esempi citati dal Financial Times.
Ma anche in questo caso il confronto e’ semplice: dopo anni di flessione, i prezzi (secondo S&P, la stessa fonte utilizzata dall’Ft) inizieranno a rivedere terreno positivo solo nel 2017 (+0,5%) e nel 2018 (+1%).
Cattive notizie anche dai mercati finanziari. Da anni Wall Street galoppa: +69% rispetto a dieci anni fa. Il Giappone corre: +19%. Tra le piazze che devono ancora recuperare il terreno perduto ci sono invece i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica): -10,3%. Milano e’ ancora piu’ indietro: -45,2%. Peggio fa solo la Grecia (-83,1%).
(da “NextQuotidiano“)
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile LI AIUTIAMO TANTO A CASA LORO CHE DESTINIAMO AGLI AIUTI ALLO SVILUPPO SOLO LO 0,26% DEL PIL CONTRO LA MEDIA EUROPEA DELLO 0,51%
Come già avvenuto per l’intesa stretta mesi fa dall’Europa con la Turchia per chiudere la
rotta migratoria da Siria e Iraq verso i Balcani, è bene non farsi troppe domande su ciò che accade nel “retropalco”, in questo caso in terra libica.
Perchè ciò che accade è un’autentica schifezza, è la negazione sistematica di ogni principio umanitario.
Accade, come raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu) e come denunciato dall’inviato Unhcr per il Mediterraneo Vincent Cochetel, che i migranti trattenuti finiscono in lager come quello di Sabha, una fortezza nel deserto nel sud est della Libia circondata da filo spinato e miliziani armati di mitragliatrici lungo tutto il perimetro, dove subiscono privazioni e atrocità di ogni genere.
A confermare che la Libia si sta trasformando – meglio sta tornando ad essere come già ai tempi di Gheddafi – un immenso campo di concentramento per migranti in fuga dai loro paesi, è stato nei giorni scorsi il viceministro degli esteri Mario Giro: “I migranti – ha detto Giro, una vita di impegno per l’Africa con la Comunità di Sant’Egidio – finiscono in centri di detenzione nelle mani delle milizie, che ne approfittano per fare i loro commerci; questa politica non raggiunge nemmeno l’obiettivo di alleggerire la situazione, c’è molta gente che vive su questi traffici”.
Viene da dire, amaramente, che ora si capisce meglio il senso dell’auspicio renziano “Aiutiamoli a casa loro”.
Per un momento avevamo creduto che il leader Pd si limitasse a ripetere una abusata banalità : l’unico modo efficace per evitare che folle di africane e africani cerchino sicurezza e spesso trovino la morte avventurandosi nel Mediterraneo per raggiungere l’Europa, è che l’Africa diventi un continente senza più miseria nè guerre.
Verità impossibile da negare ma ardita da sostenere per chi governando l’Italia da anni ha mantenuto a livelli infimi i fondi per gli aiuti allo sviluppo (0,26% del Pil contro lo 0,51% della media europea) e fatto crescere l’export di armi verso l’Africa; e verità che lascia il tempo che trova quando si tratta di dare soccorso qui ed ora a migliaia di migranti in fuga dai loro attuali inferni.
Ma no, l’invocazione di Renzi era molto più concreta, e il ministro degli interni Minniti si è incaricato di renderla esplicita e anche di cominciare a metterla in pratica. Questo il nuovo progetto: l’Italia è disposta a tutto pur di fermare l’afflusso di richiedenti asilo e di migranti dall’Africa, anche ad “aiutarli a casa loro”, nel senso di lasciarli marcire nei campi di concentramento libici.
La “dottrina-Minniti” è chiara ed è coerente: il fine, ridurre il flusso delle partenze di migranti dalle coste libiche, giustifica i mezzi per raggiungerlo, cioè la messa in mora delle Ong umanitarie impegnate nel Mediterraneo e l’affidamento ai ras libici del lavoro sporco di “ospitare” i migranti in veri e propri lager.
Su questa idea si è realizzata un’inedita convergenza di accenti e di argomenti tra destra, grillini, Pd; convergenza che ha visto il Partito democratico ritrovarsi su un terreno valoriale, riassumibile nello slogan “prima gli italiani”, da sempre patrimonio della destra.
Pagherà questa scelta, consentirà al Pd di raccogliere consenso in quella larga fetta di elettorato, oggi più larga di ieri, sensibile ai richiami securitari e sovranisti?
Difficile, più probabile che alla fine quell’elettorato scelga l'”originale” salvinian-griillino alla fotocopia Pd.
Come ha scritto Ezio Mauro, una sinistra che rinnega “quel vincolo politico e non solo umano che nella differenza di destino tiene insieme i sommersi e i salvati della globalizzazione”, ha perso del tutto il suo senso storico.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile MENO 3,4% RISPETTO AL 2017… MA MEGLIO ATTENDERE FINE MESE, SE NON LI FANNO AFFOGARE PRIMA
Nonostante le urla all’invasione, i migranti sbarcati ad oggi in Italia sono meno di quelli di un anno fa.
Questo perchè a luglio, quando il codice per le ONG non era ancora stato promulgato da Minniti, si sono registrati la metà degli sbarchi rispetto all’anno scorso.
Non solo: anche ad agosto la (contro)tendenza prosegue nella prima decade (-76%). Dati che, spalmati sui primi sei mesi dell’anno, segnalano un meno 3,4%.
Dino Martirano sul Corriere della Sera ricorda però che presto potrebbe scatenarsi l’inferno come è successo negli ultimi giorni del mese nel 2016.
Un’unica ondata notturna con 20-25 megagommoni, messi in mare dai mercanti di esseri umani sulle spiagge ad ovest di Tripoli, capaci di trasportare in sole due ore ai limiti delle 12 miglia libiche 3.000-4.000 immigrati.
Infatti il grafico degli arrivi giornalieri – che evidenzia le ondate di 20-25 gommoni pervolta messi in mare in una sola notte – sta a testimoniare come le organizzazioni criminali si siano adattate rapidamente al nuovo dispositivo navale di Ricerca e soccorso che si è spostato più a Sud: tanti piccoli battelli capaci di raggiungere le navi delle Ong, e non solo, in una manciata di ore e non più il lungo viaggio pieno di insidie fino a Lampedusa a bordo di vecchi motopesca fatiscenti.
Fino alla metà di luglio, il dato degli sbarchi era in crescita e questo faceva prevedere che a fine anno sarebbero arrivati in oltre duecentomila.
(da agenzie)
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile NEL 2011 L’ESECUTIVO AVEVA SOSPESO LA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI SULL’ISOLA, COLPITA DALL’EMERGENZA PROFUGHI… IL SINDACO: “PRONTI ALLE BARRICATE”
Dovranno presentare le ultime sette dichiarazioni dei redditi. E a un certo punto
dovranno quindi pagare le tasse che per sette anni il governo aveva congelato: tutte insieme, tutte in una volta. O al massimo con una rateizzazione.
È una tegola pesante quella che rischia di cadere sulla testa degli abitanti di Lampedusa. Una tegola che probabilmente molti cittadini dell’isola più a Sud d’Europa ignorano. Distratti dal mare cristallino e da una stagione turistica finalmente tornata agli splendori di un tempo, non si saranno accorti di un provvedimento pubblicato il 7 agosto sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
Un documento con cui il direttore Ernesto Maria Ruffini dispone entro il 31 gennaio del 2018 la “ripresa degli adempimenti tributari, diversi dai versamenti, non eseguiti per effetto delle disposizioni emanate in seguito all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa nell’isola di Lampedusa”.
Era uno dei cosiddetti risarcimenti concessi da Roma agli abitanti dell’isola siciliana, nel 2011 unico punto d’arrivo dei migranti in fuga da Libia e Tunisia.
In quei mesi migliaia di profughi sfuggiti dalle conseguenze della Primavera Araba approdavano sulle coste lampedusane a ritmo continuo.
Una situazione caotica che aveva praticamente cancellato la stagione turistica locale, di gran lunga prima fonte di reddito per i lampedusani.
Per questo motivo l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi aveva concesso la sospensione delle imposte ai cittadini dell’isola per un anno.
Una sospensione che negli anni è stata poi rinnovata con appositi emendamenti inseriti nei vari decreti milleproroghe: ogni dicembre l’Agenzia delle Entrate si preparava a riscuotere ma da Roma posticipavano la moratoria con norme ad hoc inserite nelle leggi di Bilancio.
L’ultima scadenza era fissata per il 15 dicembre del 2016. Sono i giorni convulsi successivi alla vittoria del No al referendum costituzionale, con Matteo Renzi che si dimette da premier ma solo dopo aver portato in Parlamento la legge di Bilancio.
Che per la prima volta non contiene alcun emendamento sulle tasse dei lampedusani. Poco male, però. Basterà aspettare l’arrivo del nuovo governo di Paolo Gentiloni e la conversione in legge del decreto Minniti dell’aprile scorso.
Al Senato, infatti, un maxiemendamento del governo inserisce l’agognata norma nel provvedimento.
“In considerazione del permanente stato di crisi nell’isola di Lampedusa, il termine della sospensione degli adempimenti e dei versamenti dei tributi è prorogato al 15 dicembre 2017. Gli adempimenti tributari di cui al periodo precedente, diversi dai versamenti sono effettuati con le modalità e con i termini stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate”, recita l’emendamento presentato in commissione Affari costituzionali dal senatore Bruno Mancuso e poi recepito nel maxi testo del governo.
“È stata un’iniziativa di noi senatori siciliani di Ap e del Pd per aiutare i lampedusani”, dice il parlamentare alfaniano, che non è a conoscenza del provvedimento dell’Agenzia delle Entrate arrivato questa volta a sorpresa in piena estate. “Onestamente — ammette — non ho notizia di questa disposizione anche perchè mancano cinque mesi alla scadenza dell’ultima proroga: certo proveremo ad attivarci con una qualche interrogazione. Il tempo c’è tutto”.
Chi invece conosce molto bene la vicenda è Totò Martello, albergatore e sindaco di Lampedusa dal giugno scorso.
“Subito dopo la mia elezione — racconta — ho chiesto un incontro al viceministro delle Finanze, Enrico Morando, per provare a risolvere questa situazione che si trascina ormai da anni: ho provato ad ottenere una cancellazione anche parziale o uno sgravio ma il governo sembra disposto a concedere soltanto una rateizzazione“.
A Lampedusa, in pratica, l’esecutivo è tornato a battere cassa all’improvviso dopo sette anni di proroghe.
“Una situazione davvero incredibile — dice il primo cittadino — Come incredibile è l’atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate nei nostri confronti. Chiederò un altro incontro per capire se è normale questo accanimento ma spero che il governo trovi una soluzione altrimenti è chiaro che qui siamo pronti ad azioni eclatanti. Nel resto d’Italia devono capire che i lampedusani non hanno pagato le tasse, non perchè sono speciali: qui la crisi del settore turistico è durata per tre anni dopo la Primavera Araba. E non è che quando uno riprende a lavorare, riparte di nuovo ai livelli precedenti: è impossibile pensare che i lampedusani paghino le tasse degli ultimi 7 anni”.
Ma come mai il governo si è svegliato ad agosto per chiedere agli abitanti dell’isola gli ultimi sette anni di tributi?
A Lampedusa circola una ricostruzione puramente politica dei fatti.
Una sorta di retroscena che collega l’emendamento del governo al decreto Minniti — con il quale viene concessa l’ultima proroga — alle elezioni amministrative del giugno scorso. È il turno elettorale in cui la sindaca uscente, Giusi Nicolini, vicinissima a Matteo Renzi e componente della direzione nazionale del Pd, viene sconfitta a sorpresa da Martello, ex comunista ed ex bersaniano, ora sostenuto da una lista civica appoggiata da pescatori e albergatori.
Insomma l’ennesima sospensione dei tributi era una sorta di favore alla Nicolini, premiata dall’Unesco, considerata un simbolo dell’accoglienza dal segretario dem che se l’è portata persino a cena da Barack Obama alla Casa Bianca.
Poi, dopo la sconfitta alle amministrative, ecco che da Roma si sono ricordati delle tasse di Lampedusa addirittura in un lunedì d’agosto: una vera e propria bastonata per il nuovo sindaco Martello, acerrimo nemico dell’ex sindaca.
“Beh, è chiaro che una ricostruzione del genere non posso essere certo io a smentirla“, dice il neo primo cittadino, eletto dopo una campagna elettorale dai toni molto simili a quelli di una faida locale: da una parte i sostenitori di Nicolini, dall’altra i suoi detrattori a darsele di santa ragione.
E anche ora che i lampedusani hanno votato, la guerra intestina che contrappone le due anime dell’isola non può certo dirsi conclusa. “Non si riesce a capire che fine abbiano fatto i 26 milioni di euro che avrebbe concesso il governo di Silvio Berlusconi: ho scritto una lettera al dirigente per capirlo. Idem per i 20 milioni del Cipe quando il premier era Enrico Letta: risultano impegnati solo 500 mila euro per uno studio del ministero, ma non c’è nessun progetto esecutivo. E poi ovviamente le consulenze”, si lamenta Martello. Che al suo ingresso in municipio racconta di aver trovato una sorpresa: “Tutti i computer dello staff del sindaco erano stati formattati: dentro non c’era più nulla”.
Insomma oltre alle tasse degli ultimi sette anni i lampedusani hanno anche altri problemi.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile IL CARRETTO PASSAVA E QUELL’UOMO GRIDAVA “GELATI”: LA FARSA GRILLINA CHE HA PORTATO UN CONSIGLIERE IN OSPEDALE E UN ASSESSORE A DIMETTERSI
Alessandro Pirrone ieri ha dato le sue dimissioni da assessore ai lavori pubblici del IV Municipio, dopo l’episodio dello schiaffo al consigliere M5S Domenico Milano.
Oggi Pirrone si sfoga con i giornali e spiega le “ragioni” del suo gesto. E conferma che lo schiaffo lo ridarebbe ancora, visto che racconta di essere stato provocato.
Pirrone infatti racconta a Laura Mari di Repubblica Roma com’è andata la faccenda: «Ero vestito di bianco e quando sono passato in corridoio Milano ha iniziato a deridermi dicendo ‘cornetti, bibite, gelati’, come se fosse vestito da cameriere. Può sembrare una sciocchezza, lo so. Ma quando gli ho chiesto perchè si comportasse così, lui mi ha guardato con un atteggiamento di sfida. A quel punto gli ho dato uno schiaffo».
Insomma, il carretto passava e quell’uomo gridava “Gelati”, come cantava Battisti nei Giardini di Marzo.
Pirrone sostiene di aver dato uno schiaffo a Milano «come farebbe un papà con un figlio indisciplinato».
Milano invece dal giorno dello schiaffo è sparito da Facebook e ha ristretto la privacy dei suoi post per rendere visibili soltanto agli amici, senza rispondere ai messaggi che gli chiedevano la sua versione dei fatti.
Un comportamento totalmente afferente al concetto di #trasparenzaquannocepare che guida il cammino della Giunta Raggi e dei grillini nei municipi.
Repubblica fa notare che all’origine dei dissidi con i consiglieri potrebbe esserci il fatto che lui è un Lombardiano mentre Milano è più vicino a Virginia Raggi.
Pirrone nega che ci sia questa motivazione all’origine dei fatti ma poi spiega una cosa della quale un po’ tutti già cominciavamo ad avere contezza: «La base dovrebbe farsi un esame di coscienza. Non tutti quelli che sono stati eletti meritano di restare al loro posto. Se davvero vogliamo cambiare l’Italia, chi non ha le capacità di amministrare dovrebbe lasciare l’incarico».
Con il Messaggero l’ex assessore è ancora più netto: «In questo gruppo non c’è gente leale, la maggioranza difende un uomo con dei problemi, il consiglio più volte ha chiesto di farmi fuori, quanta invidia c’è tra coloro che non hanno le capacità per emergere». Insomma, il M5S è un coacervo di invidiosi e incapaci: «I migliori se ne sono andati. I capaci che volevano davvero cambiare Roma sono stati emarginati. Il sindaco Raggi è sola. Non ha intorno persone capaci, mentre nel IV Municipio manca irrimediabilmente la lealtà , ci sono cellule impazzite qui dentro».
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile PER RISPARMIARE 122 MILIONI IN TRE ANNI SI E’ CREATO UN CAOS BUROCRATICO
Due riforme bocciate (dalla Consulta quella sulla pubblica amministrazione; dal
referendum popolare quella sulla costituzione) e una terza — sul riordino delle forze di polizia con lo smembramento della Forestale — che sta mettendo in ginocchio l’Italia prigioniere delle fiamme.
Mettere in relazione l’aumento degli incendi con l’abolizione del Corpo Forestale è un azzardo, ma la gestione del dicastero della pubblica amministrazione da parte del ministro Marianna Madia non è certo esente da colpe.
E se molti degli elicotteri un tempo in dotazione alla Forestale oggi sono fermi a terra, la responsabilità non è certo di Carabinieri o Vigili del Fuoco.
Eppure governo e parlamento erano stati messi in guardia sui rischi dell’estate a inizio anno dall’ormai responsabile della protezione civile, Fabrizio Curcio: “In audizione al Senato — spiega la senatrice 5 Stelle Paola Nugnes — aveva rilevato che ci sarebbe stato un vuoto organizzativo dovuto al passaggio di uomini e mezzi dalla Forestale ai Carabinieri. Di certo si sarebbe potuto ovviare ai problemi aggiustando il tiro per tempo anche perchè l’iter della riforma è partito due anni fa. E da sempre è noto che i Vigili del fuoco hanno competenza sui centri urbani e la forestale sui boschi”.
Basti pensare che entro lo scorso 12 novembre avrebbe dovuto essere pubblicato un decreto interministeriale (Pubblica amministrazione; Interno e Politiche agricole) per individuare “le risorse finanziarie, i beni immobili in uso ascritti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato, gli strumenti, i mezzi, gli animali, gli apparati, le infrastrutture e ogni altra pertinenza del Corpo forestale dello Stato che sono trasferiti all’Arma dei carabinieri, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, alla Polizia di Stato e al Corpo della guardia di finanza”.
Un dettaglio che all’esecutivo — impegnato nella battaglia referendaria — deve essere sfuggito e così come da italica tradizione alla legge non hanno fatto seguito i necessari decreti lasciando la riforma ferma a metà .
A farne le spese è l’intero Paese che per risparmiare 122 milioni di euro in tre anni, nell’estate più calda di questo inizio millennio, si trova scoperto sul fronte degli incendi.
Dal rapporto stilato a fine luglio da Legambiente — sulla base di dati raccolti dalla Commissione europea nell’ambito del progetto Copernico: “In meno di sette mesi del 2017 sono andati in fumo, in Italia, ben 74.965 ettari di superfici boschive, pari al 156,41% del totale della superficie bruciata in tutto il 2016 (47.926 ettari)”, il 96,1% degli incendi si è verificato tra maggio e luglio.
“In un anno particolarmente caldo e complicato i boschi sono rimasti scoperti lasciando più margine d’azione ai piromani” dice Riccardo Boriassi del Conapo, sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco.
Come a dire che la transizione dopo l’assorbimento della Forestale nei Carabinieri non è stata gestita a dovere. Piuttosto sono stati dispersi uomini, mezzi e competenze fondamentali nella lotta alle fiamme.
Il mistero dell’abolizione dei Forestali
D’altra parte è anche bizzarro che si sia deciso di cancellare un corpo di polizia completare, quando è all’interno delle altre struttura che che c’è un sovrapporsi di competenze.
I Vigili del fuoco, prima della riforma, erano competenti per gli incendi urbani e quelli d’interfaccia, mentre i forestali per quelli boschivi: una distinzione che spiegava la presenza dei primi nei centri urbani di ogni dimensione e degli altri in caserme sparse sul territorio.
Dopo lo scioglimento del corpo forestale le competenze in materia di fiamme sono passate integralmente ai Vigili del Fuoco che — tuttavia — non hanno ereditato l’intero patrimonio dei ranger italiani.
Dei quasi 8mila effettivi, infatti, 7.200 sono passati ai carabinieri, 200 circa sono stati suddivisi tra ministero delle politiche agricole, polizia e guardia e di finanza e 390 sono passati nei pompieri.
Un numero risibile “considerando che secondo il ministero prima dell’accorpamento, ai vigili del fuoco mancavano già 3.500 uomini” spiegano dal Conapo.
Non ci sono uomini a sufficienza per combattere gli incendi
Per motivi ad oggi incomprensibili, la ripartizione di uomini e mezzi è stata fatta male. Con il solo risultato di tagliare le gambe a chi lotta contro gli incendi boschivi. Sapere quanti fossero realmente gli operativi per la lotta alla fiamme è impossibile, ma secondo quando ricostruito da Lavoce.info tra i forestali erano 1.056 gli operatori forniti di competenza Dos (direttori delle operazioni di spegnimento): di questi — secondo il Conapo — solo 260 sono passati ai vigili del fuoco (gli altri 130 sono in gran parte elicotteristi).
I carabinieri forestali non possono spegnere i fuochi
Il paradosso è che adesso i carabinieri hanno tra le loro fila 800 ex forestali esperti nella lotta agli incendi boschivi, ma non possono aiutare i loro colleghi perchè il 7 luglio è arrivato perentorio l’ordine del generale dell’Arma Antonio Ricciardi sulle “procedure operative per gli interventi nel caso di incendi boschivi”: “Competenze esclusive dei vigili del fuoco per lo spegnimento degli incendi”, è permesso ai carabinieri ex forestali “soffocare ‘piccoli fuochi’ solo se muniti di mezzi idonei allo scopo e di adeguati dispositivi di protezione individuale”.
È raccomandato, però, di svolgere “attività di prevenzione del fenomeno degli incendi boschivi”. E così mentre l’Italia brucia i carabinieri ex forestali non possono intervenire, “mentre i vigili del fuoco — dice con rammarico la senatrice Nugnes — stanno lavorando per imparare una cosa per loro nuova. L’incendio boschivo è profondamente diverso da quello urbano. E così servono altre competenze”
Mezzi antincendio a terra
Più difficile invece è comprendere perchè nel frattempo che i pompieri acquisiscano le necessarie competenze — attraverso corsi tenuti da carabinieri ex forestale — la legge non abbia previsto che l’arma passasse ai vigili tutti i mezzi necessari allo spegnimento del fuoco rimasti in sua dotazione (dalle divise alle autobotti fino agli elicotteri).
A maggior ragione oggi che la fallimentare spending review dell’esecutivo ha lasciato a terra molti dei mezzi — aerei ed elicotteri — che sono a disposizione dei vigili: per omologare gli ex forestali sono necessari lunghi passaggi burocratici e servono costosi lavori di manutenzione, ma senza i decreti attuativi non si possono indire gare d’appalto.
E così con i fondi azzerati e i vigili del fuoco ridotti all’osso le Regioni — che pure hanno perso tempo e stipulato in ritardo le convenzioni antincendio — si trovano costrette a rivolgersi ai privati.
“E’ mancata una cabina di regia che coordinasse questa fase di transizione” chiosa Nugnes.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile HANNO FORSE PAURA DI QUALCHE MITRAGLIATA?… I PORTI TUNISINI NON VOGLIONO INFAMI… NELLA ZONA SAR L’ITALIA SEQUESTRA SOLO LA NAVE ONG E NON QUELLA RAZZISTA CHE VIOLA LE LEGGI INTERNAZIONALI?
Da tre giorni la nave razzista C-Star è ferma in acque internazionali al largo di Sfax, in Tunisia.
Nessuno vuole consentire l’attracco di infami: «A tutti gli agenti e impiegati dei porti tunisini: non lasciate la nave razzista C-Star contaminare i porti della Tunisia. Espelletela come hanno fatto i vostri fratelli a Zarzis e Sfax”, ha scritto su Facebook il sindacato Ugtt, premio Nobel per la Pace 2015, assieme ad altre tre organizzazioni.
Finora l’unica azione umoristica di cui sono resi protagonisti i mercenari è stata quella di occupare abusivamente il canale 16, destinato alle emergenze marittime, per sparare cazzate nei confronti della nave Aquarius di Sos Mediterranèe.
Questo il dialogo:
Equipaggio C-Star: «Abbiamo iniziato la nostra operazione davanti alla costa libica. Vi consigliamo di abbandonare la Search and rescue area (Sar), perchè state agendo come un fattore d’attrazione per i trafficanti d’esseri umani, che guadagnano milioni. Vi seguiremo, i vostri giorni di azioni senza controllo sono finiti».
Aquarius non li considera neppure: «Grazie per l’informazione. Ben compreso».
Inseguimento teorico, visto che dopo poche miglia sono stati seminati.
Ma strano che nessun “identitario” si chieda: “Perchè non fate rifornimento a Tripoli dai vostri compagni di merenda della Guardia Costiera libica, di cui fate le guardie bianche e i delatori prezzolati? Forse non apprezzano la vostra intromissione perchè hanno paura di dover dividere con altri le mazzette che prendono per far imbarcare i profughi?”
O a Tripoli non ci sono cingalesi da imbarcare con documenti falsi? come è accaduto a Misurata?
O forse avete paura che i libici non vogliamo rotture di coglioni e magari scappi loro qualche mitragliata?
Restiamo sempre in attesa di sapere dal governo italiano se nella zona Sar intende consentire (ammesso che gli eroi identitari abbiano le palle di entrarvi) la presenza di una nave che compie una attività contraria alle norme internazionali, esistendo (lo ricordiamo alla magistratura) il reato di omissione di atti d’ufficio.
Altresì Minniti ha provveduto a richiedere i documenti relativi ai nomi dei finanziatori della nave razzista come ha chiesto alle Ong o se ne è dimenticato?
O Defend Europe ha protezioni in alto e gode di immunità ?
Nel frattempo la nave razzista resta al largo della Tunisia, la meta turistica dei bagni è stata raggiunta, lo spot continua.
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Agosto 10th, 2017 Riccardo Fucile LA FNSI: “UNA BRUTTA PAGINA, IL NEMICO NON E’ IL GIORNALISTA”… TOTI, PERCHE’ NON LO INVITI A GENOVA? VEDRAI CHE CAMMINARE SUL RED CARPET LO REALIZZA
Un “non rispondo” ci può stare. Una sorta di “Daspo” per i giornalisti che mercoledì si
sono presentati a Piale, la frazione di Villa San Giovanni dove si stava commemorando l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, è francamente troppo. Arriva il ministro dell’Interno Marco Minniti e ai giornalisti è stato vietato non solo fare domande ma anche solo pensare di avvicinarsi a una distanza tale da essere sentiti dall’esponente del governo Gentiloni.
Quella di mercoledì, alla fine, è stata una cerimonia per pochi intimi. O meglio per alcuni.
A un certo punto, sembrava quasi che l’unica preoccupazione degli agenti di polizia in servizio alla commemorazione del 26esimo anniversario della morte del magistrato calabrese, fosse quella di allontanare i giornalisti e le telecamere.
I più fortunati sono finiti in mezzo agli alberi in una balconata lontana che ha richiesto gli straordinari agli zoom dei vari cameramen presenti.
Impensabile tentare di ascoltare le parole di chi è intervenuto o quelle del “blindatissimo” ministro del Partito democratico.
“Ordini dall’alto”, hanno riferito gli agenti della polizia. E più in alto di tutti, nella scala gerarchica del ministero dell’Interno, c’è proprio Minniti.
Regolarmente invitati, con tanto di mail da parte di un’agenzia di comunicazione alla quale è stato affidato l’annuncio dell’evento, ai cronisti che si sono lamentati del trattamento ricevuto è stato risposto: “Vi sono ragioni di sicurezza per cui l’area deve essere bonificata”.
Chi pensava ci fosse un attentato in corso o motivi che mettevano a rischio la vita delle persone fortunatamente si è sbagliato.
I problemi di sicurezza, evidentemente, avevano la forma del tesserino dell’ordine dei giornalisti e per questo alla stessa cerimonia off-limits per la stampa hanno partecipato un centinaio di persone, tra politici, forze dell’ordine, esponenti della Regione, sindaci, assessori comunali e magistrati.
Tutti a pochissimi metri dal ministro Marco Minniti, tranne i giornalisti, qualche esponente di Libera e un testimone di giustizia che, dopo aver parcheggiato l’autoblindata con cui è arrivato a Piale, si è accorto di non essere nell’elenco delle “autorità ” ed è rimasto sulla balconata a guardare da lontano.
Anche ad alcuni cittadini della zona è stato impedito di assistere alla cerimonia avvenuta nel punto esatto dove nel 1991 è stato ammazzato il magistrato Scopelliti che avrebbe dovuto rappresentare in Cassazione l’accusa nel maxiprocesso a Cosa Nostra.
Un omicidio del quale si è discusso anche recentemente sulle pagine di cronaca dei giornali locali e nazionali dopo l’operazione ‘Ndrangheta stragista, secondo la quale non è escluso che dietro il delitto ci possa essere stato un accordo tra la mafia siciliana e le cosche calabresi.
Argomenti che, dopo il ricordo dell’uomo Antonino Scopelliti, potevano essere oggetto di domande a Minniti il quale avrebbe potuto rispondere anche su altri temi di carattere nazionale se gli “ordini dall’alto”, o romani a questo punto, non avessero trattato i giornalisti quasi come dei “disturbatori” non graditi.
Carlo Parisi, il segretario generale aggiunto dell’Fnsi, ha definito l’episodio “spiacevole”.
“Una brutta pagina — ha sottolineato l’esponente del sindacato dei giornalisti — che dovrebbe indurre seriamente a riflettere sia gli organizzatori di queste iniziative, sia chi è deputato a garantire la sicurezza: il nemico non è certo il giornalista e, soprattutto, senza il lavoro dei giornalisti (che va rispettato da tutti) nessuno avrebbe probabilmente neppure saputo che il 9 agosto 2017 a Piale di Villa San Giovanni un ministro della Repubblica e una pletora di deputati, amministratori, politici, magistrati, forze dell’ordine e chi più ne ha ne metta, ha celebrato il 26° della scomparsa di un magistrato che ha pagato con la vita il coraggio di combattere la ‘ndrangheta. Una guerra che il giudice Scopelliti ha combattuto con i fatti e non con le passerelle”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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