Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL TAPPETO ROSSO FISSATO SU UNO DEGLI ANGOLI TURISTICI CHE IL MONDO CI INVIDIA CON CHIODI CHE HANNO DANNEGGIATO LA PAVIMENTAZIONE… IL RED CARPET LERCIO E RATTOPPATO E’ IN PARTE VOLATO VIA COL VENTO, RESTANO I BUCHI
Mentre Toti sculettava sulla passerella di Cernobbio portando lo strascico alla promessa sposa
Salvini, sulla passeggiata a mare di Nervi, uno degli angoli più suggestivi di Genova, meta di migliaia di turisti provenienti da ogni angolo del mondo, andava in scena il deprofundis del Gabibbo bianco.
Come noto, il megalomane ha impestato la Liguria di red carpet, un tappeto rosso che avrebbe dovuto costituire un “richiamo turistico” un biglietto da visita dell’accoglienza.
Il tutto al modico prezzo di decine di migliaia di euro a tratto a carico dei contribuenti. E neanche fatturate direttamente del fornitore alla Regione Liguria, ma attraverso una strana triangolazione: il fornitore fattura a Liguria Digitale (agenzia per l’informatizzazione che non c’entra una mazza con il turismo, ma il cui Ad fino alle elezioni comunali era, ma che strano, l’attuale sinsaco leghista Bucci) e poi
Liguria Digitale fattura alla Regione Liguria (con un margine di guadagno?).
Già era intervenuta la Sovrintendenza per avvisare che non si poteva deturpare tutta la Regione con questo spot, anche per il problema dei chiodi con cui il tappeto deve per forza essere fissato a terra.
Toti aveva spergiurato che i chiodi non avrebbero causato alcun danno.
Ecco la prova che invece, anche in questo caso, racconta balle.
Il servizio fotografico che abbiamo prodotto in esclusiva testimonia che il red carpet sulla passeggiata di Nervi non è solo lercio, sporco, rattopppato, strappato e sparito causa vento, ma ha distrutto il lastricato in più punti.
Ogni chiodo ha spaccato la pavimentazione che ora andrebbe rifatta.
A spese di chi?
Toti ora provveda di tasca sua per la cazzata che ha posto in essere.
E i danni se li faccia fatturare direttamente, senza passare da Liguria Digitale, i genovesi non hanno bisogno di altre mancette a terzi.
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Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LE PRIGIONI CLANDESTINE LIBICHE DOVE IL PD E MINNITI HANNO CONDANNATO A RESTARE UN MILIONE DI ESSERI UMANI … LA STORIA DI RHODA, 15 ANNI, VIOLENTATA DA CHI ORA L’ITALIA FINANZIA: SI E’ UCCISA PER PORRE FINE ALLE VIOLENZE SESSUALI DEI LIBICI
Rhoda non avrebbe dimenticato la sua prima volta. Aveva quindici anni. La pelle nerissima si confondeva nel buio di una stanza senza finestre. I capelli raccolti in fitte treccine. Il cuore che palpita.
«Erano in cinque, quattro l’hanno bloccata a terra mentre gridava. Il quinto, “il bastardo di Zuara” è stato il suo primo uomo», racconta una compagna come lei cristiana in fuga dalla Nigeria dei miliziani Boko Haram. «Poi, come sempre, hanno fatto a turno».
Rhoda era bellissima, «per questo anche se aveva pagato non la lasciavano mai partire».
Il buco nero delle prigioni clandestine ha numeri da Terzo Reich.
Stando a fonti locali dell’Organizzazione internazionale dei migranti, sono circa 400mila i profughi “contabilizzati” dalle autorità di Tripoli, ma quelli rimasti imprigionati nel Paese, secondo stime ufficiose confermate anche da fonti di intelligence italiane, sarebbero tra gli 800mila e il milione.
Dall’Oim segnalano però che i centri di detenzione sotto il controllo del governo e dei 14 sindaci che si sono accordati con l’Italia per fermare le partenze sono una trentina, e al momento vi sarebbero rinchiuse non più di 15mila persone.
Dove sono stati inghiottiti gli altri?
A Zuara ne abbiamo trovati alcune decine. Esseri umani in trappole senza scampo.
È qui che Rhoda è morta dopo le prime notti in balia dei capricci degli scafisti. Era un anno fa. Dicono si sia ammazzata mentre tutti dormivano. Prima, cercava qualcosa con cui sfigurarsi. Acido, candeggina, oppure del fuoco.
Fino a quando — racconta l’amica — trovò la lama di un rasoio usato dai migranti maschi.
Tra le borgate e i campi petroliferi spadroneggia Fathi al-Far, comandante della brigata al-Nasr, alleato forte del premier al-Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale. al-Far, ex colonnello dell’esercito di Gheddafi, secondo gli investigatori Onu «ha aperto un centro di detenzione», proprio tra Tripoli e Zuara. «Il centro — dicono alle Nazioni Unite — è usato per vendere i migranti ai contrabbandieri».
A Zuara ci arriviamo attraverso il confine tunisino. Sorvegliato quanto basta per evitare il passaggio di armi, ma non di nafta di contrabbando, di cui a Tunisi sono assetati.
Quando Karim strattona di forza la leva del cambio per scalare le marce del vecchio carro cisterna italiano, la tensione sale a mano a mano che la velocità scende.
È l’alba, ci vorranno un paio d’ore prima che i doganieri ci lascino andare.
Il casamento dei neri, al di qua della strada che scorre sul mare, è nascosto alla vista da un muro perimetrale alto quattro metri, fatto di blocchi di tufo giallo appoggiati l’uno all’altro, senza neanche una spanna di cemento. Il confine è a meno di un’ora. La città , appena dietro gli ultimi tornanti tra sabbia, terra incolta e radi cespugli.
La prigione è un rettangolo non più grande di un campo da calcio. Si intravedono i tralicci di un paio di pozzi petroliferi in disarmo.
All’interno, da una parte ci sono «les chambres», come i tunisini chiamano i maleodoranti stanzoni dei migranti, e dall’altra il piazzale con un paio di enormi serbatoi arrugginiti che arrostiscono al sole.
È qui che viene immagazzinata la nafta da vendere ai contrabbandieri. A Karim, che ci viene un paio di volte alla settimana, oramai è permesso sbirciare all’interno.
I migranti vengono schiavizzati. A turno lavorano nel piazzale delle autobotti.
A mani nude trascinano i raccordi che sputano carburante. È in quei momenti, quando la confusione è grande quanto la fretta di rifornire i distributori delle province tunisine, che Karim riesce a parlare con i «pauvres diables», raccogliendo le storie dei «poveri sventurati» che gli fanno maledire il giorno in cui ha scelto di rinunciare alla “clandestinità ” in Italia per l’illegalità in casa sua. «Non c’è niente che posso fare, ma prego ogni giorno Allah per loro», dice.
Il blasfemo jihad degli stupratori libici si compie ogni sera, dopo che le autobotti dei contrabbandieri tornano indietro. «Allah Akbar», urlano mentre torturano gli uomini e assaltano le donne.
Accanto alla vittima mettono un telefono mentre picchiano più duro, così che i malcapitati implorino pietà e altri soldi dai parenti rimasti nei villaggi.
Il 2 agosto, relazionando alla commissione Schengen, il direttore dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim, Federico Soda, disse che le condizioni dei complessi “governativi” sono tali da non lasciare alternativa: «Andrebbero chiusi subito».
L’agenzia dell’Onu aveva avuto accesso solo a una ventina di strutture, «per cui immaginiamo che le condizioni dei centri che non abbiamo potuto vedere siano ancora peggiori». Basta questo per immaginare cosa siano i lager che sfuggono a qualsiasi seppur sporadico controllo.
Anche venerdì, per la festa dell’Hajd, il grande giorno del Sacrificio, «il bastardo di Zuara», è tornato a disonorare l’islam.
Dicono faccia il militare di giorno e il trafficante di notte. «È lui a comandare il campo di concentramento», spiega l’amica di Rhoda.
Ha capelli arruffati e modi sgraziati. La incontriamo di nascosto, mentre spazza via la poltiglia di sabbia e petrolio. «Voglio essere brutta, ogni giorno più brutta. Così la smetteranno».
Da qualche settimana, dicono i trafficanti di gasolio, c’è solo gente che entra e nessuno che va via coi gommoni. Una situazione esplosiva che fa essere gli scafisti ancora più cattivi, forse per il timore di non poter fronteggiare da soli una rivolta di centinaia di persone.
Le finestre degli stanzoni dei migranti sono coperte da drappi che impediscono di vedere bene all’interno. Il brusio, nessuna barriera può però fermarlo.
Si sente il pianto di un bambino. Poi per un istante, lo straccio che fa da tenda viene scostato. Osserviamo un ammasso indistinto di esseri umani accucciati per terra. Uomini donne e bambini addossati a gruppi di trenta o quaranta per stanza. Ogni vano non supera i cinquanta metri quadri.
Di colpo gli sguardi di mille occhi si alzano verso la finestra. E ci guardano. Qualsiasi gesto, un saluto, un sorriso, una smorfia di rabbia o di compassione, suonerebbe come beffardo o una nuova umiliazione. Poi la tenda viene richiusa in fretta. La cisterna, intanto, ha fatto il pieno. Karim deve andare
Lungo la strada Karim mugugna. Anche lui un giorno prese un gommone per l’Italia. «Li odio», dice pensando alle bande di trafficanti e ripetendo per due volte il nome di Rhoda.
«Chissà , forse l’ho anche conosciuta venendo qui», si domanda. «Distruggere l’uomo — scriveva Primo Levi -. È difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti».
(da “L’Avvenire”)
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Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
DAL MAROCCO ALLA SPAGNA, DALL’ALGERIA ALLA SARDEGNA, DALLA TURCHIA A COSTANZA, DALLA TUNISIA ALLA SICILIA
Chi è in Libia, fuori dai centri di detenzione, punta ad Ovest, Tunisia e Algeria. È lì, poco oltre il
confine, che si trovano i nuovi scafisti con le loro barchette di legno: rotta diretta per le spiagge della Sicilia e della Sardegna.
Chi in Libia non ci è ancora arrivato, cambia strada: dall’Africa subsahariana verso il Marocco, nuovo trampolino di lancio verso la Spagna (in allarme per l’aumento del 300 per cento degli sbarchi), dalla Siria e dal Medio Oriente verso la Turchia e da qui di nuovo verso la Grecia ma anche verso nuovi porti di approdo. In meno di due mesi il blocco delle partenze dalle coste libiche ha già modificato in maniera sostanziale i flussi migratori, riaprendo rotte ormai abbandonate come quella su Lesbo ma anche aprendone di totalmente inedite, come quella che dalla Turchia ha portato quasi 2.500 persone in Romania, nell’unico fazzoletto di terra affacciato sul Mar Nero.
E purtroppo si contano già i primi dispersi, cinque, al largo di Pantelleria, gettatisi in mare a poche miglia dall’isola dopo essere rimasti senza benzina sulla piccola barca con la quale quattro giorni prima erano partiti da Hammamet
FANTASMI IN SICILIA
Niente più gommoni ma piccole barche in legno su cui salgono in dieci, venti, trenta alla volta.
Partono dalla Tunisia e dall’Algeria, riescono ad aggirare quasi sempre la sorveglianza dei mezzi di pattuglia nel Mediterraneo e a sbarcare i migranti direttamente sulle spiagge, spesso tra i bagnanti, come accadeva fino a qualche anno fa.
Sulle coste della Sicilia meridionale, da Agrigento a Siracusa, ma anche di nuovo a Lampedusa e Linosa e a Pantelleria.
In Tunisia i vecchi passeur, pionieri dei viaggi nel Mediterraneo, hanno ripreso a fare affari su una rotta più breve, conosciuta e più o meno sicura: quella che da Zarzis porta sulle spiagge deserte dell’Agrigentino, da Realmonte a Torre Salsa.
Li chiamano “sbarchi fantasma” perchè le barche riescono ad arrivare senza essere intercettate da nessuno, si spingono fino a poche decine di metri dalla riva, lasciano i migranti che quasi sempre riescono a dileguarsi tra i bagnanti e tornano indietro. Da settimane, ormai, non c’è giorno senza sbarchi
SULLE SPIAGGE DEL SULCIS
Anche in Sardegna non passa giorno senza uno sbarco: gli algerini hanno l’esclusiva di questa rotta che solo nel 2017 ha fatto arrivare in Italia 800 migranti, gli ultimi 107 quattro giorni fa.
Il presidente della Regione Pigliaru ha scritto a Minniti chiedendo di estendere all’Algeria il metodo Libia, dunque «un forte e costante raccordo con le autorità algerine per interrompere il traffico di coloro che sbarcano direttamente sulle nostre coste, un canale potenzialmente molto pericoloso per il presente e il futuro»
ASSALTO AL MURO DI CEUTA
Gli ultimi dati fanno paura al Paese che quest’estate ha visto triplicare il numero degli arrivi, il 300 per cento in più, due terzi per mare, un terzo con il ritorno degli assalti al muro dell’enclave spagnola di Ceuta, in Marocco.
Dall’Africa subsahariana, la rotta di terra più battuta adesso sembra essere quella che porta dal Senegal alla Mauritania e al Marocco, e da qui verso la Spagna. I numeri parlano da soli: 13.000 arrivi nei primi otto mesi del 2017, il 30 per cento in più dell’anno scorso, 600 bloccati in un giorno nello Stretto di Gibilterra dalla Guardia costiera spagnola. Dopo l’Italia, la Spagna si piazza al secondo posto nella classifica degli arrivi superando la Grecia.
RIPRESI GLI ARRIVI A LESBO
Nell’ultimo weekend, nell’isola greca presa d’assalto due anni, sarebbero sbarcati in 730, nonostante le promesse della Turchia che, in cambio della garanzia del blocco delle partenze, ha incassato tre miliardi di euro. Il sindaco di Lesbo Spyros Galinos accusa: «È chiaro che i turchi non stanno rispettando i termini dell’accordo»
IN ROMANIA VIA MARE
La chiusura della rotta balcanica ha spinto i migranti in arrivo da Siria, Iraq e Afghanistan a cercare strade alternative, come quelle battute dalle piccole barche di pescatori che, partendo dalla Turchia, attraversano il Mar Nero verso il porto romeno di Costanza, ingresso a un corridoio che può portare agevolmente in Kosovo. E da qui in Albania e poi in Italia sulla rotta adriatica.
IN BARCA A VELA FINO ALLO IONIO
È la rotta dei “viaggi di lusso”, esclusiva degli scafisti ucraini: cinque giorni in barca a vela, al coperto e in discreta sicurezza, quasi tutti siriani, iracheni o afgani, sulle coste
del Siracusano ma anche su quella della Calabria ionica e del Salento.
Viaggi da 7.500 dollari a persona, con un flusso in costante incremento: almeno cinquemila le persone giunte così nel 2017 sulle coste pugliesi, della Calabria ionica e del Siracusano, e una decina gli scafisti arrestati.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
CARENZA DI MEDICI, OPERAI SPECIALIZZATI E RICERCATORI
Altro che robotizzazione che spazza via il lavoro.
In Germania gli esperti ammettono che è difficile fare previsioni affidabili sul futuro, perchè sono troppe le incognite su quali lavori saranno effettivamente sostituiti dalle macchine.
Ma siccome la più grande economia europea sta creando moltissimi posti di lavoro sulla scia di una ripresa sempre più solida, gli economisti mettono in guardia, intanto, che per il 2030 il Paese di Angela Merkel potrebbe ritrovarsi con un ‘buco’ di 3 milioni di operai specializzati, medici, ingegneri o ricercatori.
Il problema è che, esattamente come l’Italia, la Germania soffre di un drammatico problema demografico.
I dati sono stati elaborati dall’istituto di ricerca svizzero Prognos. E la stima per il 2040 è ancora più drammatica: allora il fabbisogno di forza lavoro potrebbe aumentare a quota 3,3 milioni.
Uno degli autori, Oliver Ehrentraut, mette in guardia da una situazione del mercato del lavoro che “potrebbe trasformarsi drammaticamente nei prossimi 10 o 20 anni”. Oltretutto, il rapporto tiene assolutamente conto dell’attuale flusso migratorio, prevede circa 200mila nuovi arrivi ogni anno. Il punto è che non bastano.
Certo, a fronte di molti lavori che secondo gli studiosi svizzeri potrebbero sparire nel settore della logistica o dei trasporti o dell’immobiliare, ne nasceranno moltissimi nuovi, e ancora difficili da prevedere. Ma nell’ambito medico, scientifico o in alcuni mestieri che richiedono una specializzazione mirata, il bisogno di forza lavoro nuovo rimarrà invece forte.
E se i tedeschi fanno pochi figli, chi riempirà quel buco? La risposta è a portata di mano: i migranti.
Con buona pace della propaganda delle destre.
(da agenzie)
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Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
RONDE RAZZISTE DURANTE LA MESSA DELLA COMUNITA’ DI SANT’EGIDIO DA PARTE DI 20 SOGGETTI ESTRANEI AL QUARTIERE… LA POLIZIA INTERVIENE
“Non ho parole. Se non vergogna per chi usa metodi nei fatti violenti. Mi aspetto una reazione di
tutti, in primis del Comune di Roma”.
Il commento di Debora Diodati arriverà in serata, qualche ora dopo l’accaduto, quando i circa quaranta migranti ospiti del centro di accoglienza in via del Frantoio, rimasti bloccati nella chiesa del Tiburtino terzo perchè fuori si aggiravano militanti di un’organizzazione di estrema destra, erano rientrati nella struttura.
“Erano andati a pregare per la pace con i cittadini del quartiere e la comunità di Sant’Egidio”, ha spiegato la presidente della Croce Rossa di Roma, che gestisce il presidio, sul quale da tempo si addensano le proteste di parte dei residenti del quartiere e di alcune forze di destra, chiedendo l’intervento del Comune.
Nel frattempo, davanti al centro di via del Frantoio erano arrivati polizia e carabinieri, che hanno presidiato il quartiere per tutta la notte.
A Roma resta alta la tensione che si vive sul fronte dell’accoglienza ai migranti. Qualcuno che aveva parlato con i migranti rimasti bloccati in chiesa dopo il loro rientro nella struttura, li descriveva molto scossi.
“Sono spaventati e uno di loro ha detto che gli è sembrato di essere tornato in Libia”, commentava Giorgio De Acutis, di Croce Rossa di Roma, che si è occupato per molto tempo del presidio di via del Frantoio.
È stato lui a rendere noto quello che stava succedendo fuori e dentro la chiesa della parrocchia di Santa Maria del Soccorso.
“La comunità di Sant’Egidio aveva organizzato una messa nella chiesa del quartiere, alla quale aveva invitato anche i nostri ospiti e circa quaranta, tra loro anche donne e bambini, vi avevano partecipato – ha spiegato De Acutis – nel pomeriggio, un gruppo di estrema destra, dopo un sit in davanti al centro di accoglienza, durante il quale probabilmente ha saputo dell’iniziativa della comunità di Sant’Egidio, ha raggiunto il piazzale antistante la chiesa”.
Secondo una prima ricostruzione, dei circa venti militanti dell’organizzazione che prima si erano fermati fuori dal cancello del centro di accoglienza – sul suo profilo Facebook, De Acutis ha scritto che si tratta del gruppo di estrema destra “Roma ai romani”, che in un video, pubblicato sempre su Facebook, girato nel quartiere nel pomeriggio, attraverso due rappresentanti ha ribadito la richiesta di chiudere il centro di via del Frantoio – alcuni sono rimasti dividendosi in due o tre gruppetti, all’esterno della chiesa, altri vi sono entrati per qualche minuto.
La Croce Rossa ha avvertito le forze dell’ordine, che sono intervenute e hanno identificato i militanti del gruppo di destra.
“È stata la polizia – ha spiegato De Acutis ad HuffPost – a dirci di non far uscire i nostri ospiti dalla chiesa”. Vi sono rimasti per circa un’ora, rientrando nel centro a bordo di due piccoli bus “con l’insegna della Croce Rossa ben visibile e scortati dalla polizia”, ha aggiunto De Acutis, precisando che “tra i militanti dell’estrema destra non c’era nessun residente del Tiburtino terzo, segno che nel quartiere non c’è avversione verso i nostri ospiti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
COLPITO SUL LUNGOMARE DI OGNINA… PURTROPPO NON ERANO “BESTIE ISLAMICHE”, QUINDI FATE FINTA CHE NON SIA SUCCESSO NULLA
Vieta l’accesso a una strada momentaneamente chiusa al traffico a un giovane su uno scooter, quest’ultimo ritorna poco dopo con amici e il ‘gruppo’ picchia il vigile urbano, colpendolo alla testa anche con un casco.
Vittima del raid avvenuto ieri sera in via Del Rotolo, vicino il lungomare Ognina di Catania, un ispettore della polizia municipale che è ricoverato con la prognosi riservata per trauma cranico nel reparto di Rianimazione dell’ospedale Cannizzaro. Sull’aggressione indaga la squadra mobile della Questura su delega della Procura che ha aperto un’inchiesta.
“Il nostro ispettore, del reparto Viabilità , impiegato alla chiusura a monte di via del Rotolo – ricostruisce il sindaco Enzo Bianco sulla sua pagina di Facebook – per non aver fatto passare un motorino ha subito una spedizione punitiva di un gruppo di ragazzi che lo hanno colpito in testa con un casco. È finito a terra e ha perso molto sangue. Insieme alla polizia stiamo indagando per risalire agli aggressori”.
E’ stato operato nella notte per una seria emorragia cerebrale .
Il sindacato Ugl commenta: “Ci chiediamo quale piega sta prendendo la nostra città , considerato l’incremento degli episodi di violenza nei confronti delle istituzioni, dei pubblici servizi e, in primo luogo, dei lavoratori che li rappresentano. Tutto ciò non è accettabile e siamo certi che la parte buona di questa comunità cittadina non abbia timore ad isolare i violenti ed i facinorosi.
Chiediamo però, ancora una volta purtroppo, che l’apparato istituzionale locale si coalizzi affinchè si possa individuare, in tempi rapidi, un percorso per la sensibilizzazione al rispetto sia delle persone, che delle cose, ma anche per individuare azioni forti di dura repressione nei confronti di chi non vuol seguire le regole. Prima che la deriva sociale diventi irrecuperabile.”
(da agenzie)
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Settembre 3rd, 2017 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA ANALIZZA IL RITORNO DI BERLUSCONI (E NON SOLO)
In una lunga intevista sul Corriere della Sera Giovanni Floris analizza il problema, secondo lui, della
politica italiana: i nuovi quarantenni impreparati, così tornano i leader di un tempo.
Ecco alcuni passaggi chiave dell’intervista con Aldo Cazzullo.
Come farà a raccontare la politica, nel momento di massima disillusione?
“Di solito si dice che non ci sono più i politici di una volta; ma ora ci sono solo quelli di una volta. Vede bene Giannelli, quando sul Corriere disegna Renzi agli esami di riparazione. Ecco, siamo già alla prova d’appello, all’ultimo grado di giudizio per una generazione che ha appena iniziato a guidare il Paese. Sono giovanissimi; ma hanno dato spesso un’immagine non bella di sè”.
Quale immagine?
“Immaturità , superficialità , impreparazione, improvvisazione nell’affrontare i problemi. Rischiano di essere ricordati come approssimativi, sempre a caccia di scorciatoie. Alla ricerca della battuta brillante per ovviare alla mancanza di competenza
Sta facendo il ritratto di Renzi?
“Non solo. Penso a un’intera generazione di imprenditori, di tecnici presentati come geni assoluti e poi liquidati con grande velocità , di sindaci anche bravi che però affrontano quasi con goliardia questioni serissime come il terrorismo. Sembrano tutti schiacciati dall’ombra di Berlusconi. Quando lui ha iniziato, loro erano ragazzi; eppure non hanno saputo inventare nient’altro”.
È un fallimento che coinvolge anche la sua generazione, Floris?
“È il rischio di un fallimento. Ma purtroppo sì. E dire che noi nati negli Anni 60 e formati negli 80 avevamo un grande vantaggio: eravamo liberi dalle ideologie. Non abbiamo odiato i comunisti nè i fascisti. Abbiamo visto crollare il pentapartito, trasformarsi il Pci e l’Msi, nascere Forza Italia e il Pd; e tutta questa cultura politica viene liquidata con qualche frase a effetto e qualche spiritosaggine? Si può con tanta facilità tornare all’errore del partito personale?”.
(da “Huffingtonpost”)
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