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DIO LI FA E POI ACCOPPIA: MINNITI OSPITE D’ONORE DELLA MELONI ALLA FESTA DEI “PATRIOTI” LIBICI

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

I FANS DEI TRAFFICANTI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA E DEL REGIME MILITARE CHE TORTURA UN ITALIANO FINALMENTE SI RITROVANO… UNO CHE VIENE DAL PCI CHE AVALLAVA I GULAG E AMMANIGLIATO COI SERVIZI SEGRETI ORA E’ DIVENTATO IL MODELLO DEGLI AFFOGATORI

“È tempo di patrioti” è il titolo dell’edizione di quest’anno di Atreju, la festa annuale più importante del centrodestra.
E già  verrebbe da ridere, sia per l’evidente scopiazzatura del modello d’oltralpe che ha visto Marine Le Pen prendere una sonora facciata elettorale, sia perchè i “patrioti veri” sono quelli che hanno sempre onorato i morti italiani, non che reggono il moccolo ai regimi che uccidono e torturano un italiano.
I patrioti veri sono quelli che difendono il diritto alla vita, non quelli che affogano i poveri del mondo.
E chi, tra gli esponenti del Governo Gentiloni, poteva meglio rappresentare questi sedicenti “patrioti” se non il ministro dell’Interno Marco Minniti?
Il programma della manifestazione non è stato ancora diffuso ma la padrona di casa Giorgia Meloni ha anticipato i nomi di alcuni ospiti, uno degno dell’altro.
Oltre ai volti principali della coalizione in fieri di destra come Matteo Salvini e Giovanni Toti, ci sarà  sicuramente il titolare del Viminale.
Non sorprende: il ministro dell’Interno si presenta con un curriculum di tutto rispetto alla kermesse lanciata per la prima volta dai giovani di Alleanza Nazionale nel 1998.
Un uomo proveniente dal peggiore ( o migliore, secondo i punti di vista) Partito comunista del dopoguerra, quello che giustificava le invasioni ungheresi, i gulag per i dissidenti, quello finanziato dall’Urss e ammanigliato coi servizi segreti sovietici e non solo.
Minniti stava bene alla Lubianka o alla Ceka come mentalità : con la differenza che allora il pericolo erano i controrivoluzionari, oggi sono i poveracci del terzo mondo.
Quelli che scappano da Paesi che, anche grazie a politici occidentali come Minniti e la Meloni, sono governati da dittatori sanguinari verso i quali questi “patrioti” non hanno mai avanzato una critica.
Una destra rappresentata da “Fornelli d’Italia” che sbrodola per   “l’uomo del fare” Minniti che si vanta dello stop temporaneo agli sbarchi e che se ne frega se centinaia di migliaia di esseri umani vengono massacrati nei campi di concentramento libici.
Altro che destra dei valori etici, siamo arrivati a leccare il culo, SIA BEN CHIARO, non a un “fascista” come ironizza Crozza, ma a un “comunista” da guerra fredda.
Quel genere umano contro il quale si sono battute intere generazioni di giovani di destra, sacrificando anche la vita, oggi lo fanno salire con tutti gli onori sul palco, magari stendendo un pezzo di tappeto rosso avanzato dalle marchette di Toti in Liguria.
Evviva il red carpet del cinismo e della prostituzione ideologica.

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RAZZISTI A RIMINI, GARANTISTI A FIRENZE: IL DOPPIOPESISMO DEI MEDIA SUL CASO STUPRI

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

RAFFORZA L’IDEA DEL MONDO CHE GIA C’E’.. INTERVISTA AL SOCIOLOGO MARCO BRUNO

Dai “vermi magrebini” di Rimini, ai carabinieri “stupratori ma solo fino a prova contraria”.
Dai marocchini colpevoli a prescindere dalle indagini, agli italiani che “aspettiamo le indagini” prima di dichiararli colpevoli.
Appena 12 giorni separano la violenza di gruppo di Rimini da quella di Firenze sulle studentesse americane, eppure il modo in cui i media hanno raccontato i due episodi di cronaca sembra descrivere tipi di reato diversi.
Per Marco Bruno, sociologo della comunicazione all’università  La Sapienza di Roma, non ci sono dubbi: “È il classico esempio di doppiopesismo nel trattare certe notizie”.
Quindi per i media ci sono stupri di Serie A e stupri di Serie B?
La questione chiave è un’altra, ovvero come viene interpretata la singola notizia inserita in una catena di notizie, quindi in una tematizzazione. In tal caso, posso decidere il modo di raccontare la singola notizia per parlare di un tema più generale. Nel caso di Rimini quel modo era chiaramente funzionale a rappresentare un’immagine del mondo che faceva comodo a una certa parte politica. Nel caso di Firenze, invece, la società  e i media riconoscono l’autore del reato come qualcuno che sta dalla nostra parte, nel nostro gruppo. Il che fa attivare un processo di minimizzazione, di garantismo, di quel “andiamo a vedere prima di parlare” che nella vicenda della violenza in riviera romagnola non è mai stato preso in considerazione nemmeno nelle prime ore.
Le indagini, gli indagati, le ammissioni di Firenze non spostano nulla a livello di riprovazione sociale?
In questo tipo di ragionamento è interessante analizzare le fasi di un evento: scoperta, denuncia, indagini. Nel caso di Rimini le indagini servono a confermare un quadro che è funzionale a confermare una rappresentazione collettiva. Nel caso di Firenze, invece, si aspetta il lavoro degli inquirenti per — eventualmente — minimizzare e smorzare, per capire se “erano ubriache o non erano ubriache”. Nulla di nuovo: si tratta di un meccanismo per cui un singolo evento serve a rafforzare un’idea del mondo che già  c’è. Tutto questo si traduce nel tipo di selezione di alcuni aspetti della cronaca, privilegiando quelli utili a dare una chiave di lettura.
A cosa si riferisce?
Non solo al racconto del fatto in sè o al numero dei dettagli raccontati, quanto ai termini usati: il come, le metafore, gli aggettivi. Da questi elementi dipende l’attivazione di un frame invece che un altro. Come spiegato da tutta una letteratura sociologica, il doppiopesismo serve a consolidare i confini di una comunità , in un senso o nell’altro: o denigratorio per chi è fuori dal gruppo, o assolutorio per chi è interno al gruppo, “i nostri ragazzi”.
In una rappresentazione del genere, quale peso assume la figura della vittima?
Paradossalmente il comune denominatore per i casi di Rimini e Firenze è una sorta di disprezzo delle vittime. Nel primo caso, focalizzandosi totalmente contro gli aggressori, non è stato dato spazio sufficiente alle vittime per il semplice motivo che non interessavano più di tanto: interessava chi ha commesso il fatto per costruire la campagna politica. Contro i neri, contro i magrebini, i migranti: il tutto condito mediaticamente anche da un abuso nel fornire particolari dello stupro. Per Firenze, invece, non è stato così: non è la prima volta che esponenti delle forze dell’ordine vengono coinvolti in fatti simili con tanto di condanne, ma nessuno ha mai pensato di fare una campagna contro di loro. Anzi: qui la chiave di lettura è pesantemente denigratoria nei confronti delle ragazze americane.
In tal senso nelle ore successive al fatto di cronaca sono state pubblicate due notizie poi smentite: una statistica che parlava di oltre 150 denunce di molestie sessuali da parte di studentesse americane a Firenze (di cui il 90% poi rivelatesi false) e di una polizza contro lo stupro stipulata dalle due ragazze. Bufale social o dolo dei media?
Pensiamo alle ore successive al fatto di cronaca, quando gli elementi sono ancora scarsi: in questo frangente il cronista ha nella sua disponibilità  alcune informazioni e quelle dà  al lettore, sottovalutando però che quegli elementi già  forniscono una chiave di lettura precisa. Il dolo, invece, si verifica quando alcune voci diventano notizie e informazioni disponibili. La vicenda delle 150 denunce di stupri all’anno, ad esempio, è una questione di deontologia professionale e anche di dimestichezza con i dati: si sa che le statistiche non possono essere lette così, perchè le banche dati semplicemente non arrivano a essere così dettagliate.
Fa parte di quel “disprezzo delle vittime” di cui si parlava prima?
Sono fatti accessori che vengono utilizzati perchè sembrano confermare una lettura, anche se sono voci non confermate. Così facendo si costruisce una cortina fumogena per non andare al succo del discorso: è una violenza sessuale, le vittime sono straniere, anzi extracomunitarie. Ma nessuno ovviamente lei chiama così. Nessuno scrive “italiani stuprano extracomunitarie”: non serve, al contrario di quanto è successo nel caso di Rimini. Funziona anche con le dichiarazioni degli avvocati dei protagonisti: vengono presentate come contributo ai fatti e non come una versione di parte. Questo dipende anche da come si gestisce la cronaca giudiziaria e da quanto i media sono oggetto e terreno in cui cominciano le strategie processuali.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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IL PASTICCIO DELLE REGIONARIE SICILIANE RISCHIA DI ROVINARE LE CELEBRAZIONI PER L’INVESTITURA DI DI MAIO

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

SE IL TRIBUNALE DARA’ RAGIONE A GIULIVI LE PRIMARIE POTREBBERO ESSERE DA RIFARE

Uno stop, l’ennesimo, che guasta il clima dell’investitura ad aspirante premier 5Stelle di Luigi Di Maio. Proprio in Sicilia, dove i grillini sentono la vittoria possibile, i giudici di Palermo hanno congelato la candidatura di Giancarlo Cancelleri a governatore dell’isola.
Il responso, dopo il ricorso presentato dall’attivista Mauro Giulivi escluso dalle ‘regionarie’, dovrebbe arrivare dopo il 18 settembre, proprio in concomitanza con Italia 5 Stelle.
In Sicilia, a meno di due mesi dal voto per le regionali e a 25 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle liste, i pentastellati rischiano dunque di dover ripartire da capo se il tribunale dovesse bollare come non valide le ‘regionarie’ pentastellate celebrate per scegliere i candidati.
Nello staff M5s si sta già  riflettendo su cosa fare, anche perchè la sentenza potrebbe arrivare proprio a ridosso della proclamazione del candidato premier in programma durante ‘Italia 5 Stelle’.
Un’altra festa che rischia di essere rovinata da pasticci giuridici che sempre di più hanno al centro le primarie e il metodo di voto, che per i 5Stelle doveva essere il fiore all’occhiello.
E invece il caso Palermo, che si aggiunge a quello di Napoli con la riammissione di un attivista espulso e a quello di Genova riguardante Marika Cassimatis, vincitrice delle comunarie poi annullate, getta una nuova ombra sull’intero meccanismo.
Così un post di Beppe Grillo pubblicato in mattinata ha provato a buttare acqua sul fuoco chiarendo che il Movimento sarà  presente in Sicilia ma sarà  anche rispettata la sentenza dei giudici. Ciò potrebbe tradursi in primarie bis, un evento assolutamente inedito.
Sta di fatto che la notizia del procedimento disciplinare avviato in maniera “non corretta” a carico dell’attivista palermitano Mauro Giulivi e tenuto sotto osservazione dai giudici rischia di mandare il Movimento nel caos.
Tra l’altro la vicenda scoppia proprio mentre il candidato premier in pectore si trova in Sicilia, nella costa tirrenica messinese, per continuare la campagna elettorale al fianco di Cancelleri, che a questo punto è da considerarsi un candidato congelato.
Il giudice del Tribunale di Palermo, Claudia Spiga, ha infatti deciso di sospendere l’esito del voto on-line sulla piattaforma Rousseau e di conseguenza anche l’investitura di Cancelleri a candidato governatore, avvenuta il 9 luglio al castello a Mare di Palermo con Beppe Grillo e Davide Casaleggio sul palco.
Ripercorrendo i fatti, Mauro Giulivi, che ora chiede di ripetere le regionarie da cui è stato escluso, è risultato tra i più votati alle comunarie di Palermo ma quando è stato invitato a formalizzare la candidatura firmando l’accettazione del un codice di comportamento necessario per potere andare in lista si è rifiutato.
L’attivista palermitano, compagno della deputata Chiara Di Benedetto, considerato vicino a Riccardo Nuti sospeso da M5s per il caso delle firme false, chiede però del tempo per visionare il documento. A questo punto il 23 maggio lo staff chiede “chiarimenti” sulle motivazioni che hanno spinto Giulivi a non firmare.
Il 29 giugno una mail inviata dallo staff di Milano comunica all’attivista l’esclusione dalle ‘Regionarie’ per via di un procedimento disciplinare pendente nei suoi confronti, appunto quello riguardante le comunali Palermo.
Quella comunicazione finisce nelle motivazioni del provvedimento emesso oggi dal giudice, che definisce la nota a firma dello staff “certamente impugnabile”. L’attivista “non ha frapposto un rifiuto alla sottoscrizione del codice etico”: da qui “l’inconfigurabilità  – scrive il giudice Spiga – dell’illecito disciplinare” contestato all’attivista”.
La mail del 23 maggio non comunica, secondo i giudici, alcun provvedimento disciplinare a Giulivi ma si limita a chiedere “un chiarimento” sulle motivazioni che lo hanno spinto a non firmare il codice di autoregolamentazione.
Secondo il giudice quella mail “non può qualificarsi come atto di contestazione di illecito disciplinare”, anzi è da derubricare a “normale scambio dialettico all’interno del movimento”. “Manca”, inoltre, il riferimento alle conseguenze disciplinari derivanti dalla mancata firma del codice.
L’accettazione del codice, inoltre, secondo il giudice “è da qualificarsi come requisito di completamento del procedimento delle ‘Regionarie'”. Secondo il giudice, quindi, la decisione di escludere Giulivi ha una “evidente capacità  lesiva del diritto all’elettorato passivo” dell’attivista palermitano.
Da qui la decisione: “sussiste quindi il fumus della richiesta di sospensione”. Il Movimento è difeso anche questa volta dal legale di Beppe Grillo, l’avvocato Andrea Ciannavei, in stretto contatto con Luigi Di Maio, tanto che proprio pochi giorni fa si sono incontrati a Roma.
Per adesso ciò che è certo è che il giudice ha sospeso l’esito delle ‘Regionarie’ in attesa di entrare nel merito della questione.
Ciò avverrà  il 18 settembre, dal momento che il tribunale ha disposto “l’integrazione del contraddittorio”.
Ed è così che cinque giorni prima della probabile investitura di Luigi Di Maio, si avrà  il responso su cosa accadrà  in Sicilia, se saranno o meno annullate le ‘regionarie’.
Se sarà  tutto da rifare l’immagine del Movimento nazionale rischia di essere minata.

(da “Huffingtonpost“)

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LA SPAGNA SCHIERA I MOSSOS D’ESQUADRA CONTRO IL REFERENDUM DELLA CATALOGNA

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

ORDINATO AL CORPO DI POLIZIA DI SEQUESTRARE LE URNE E IL MATERIALE PER LA CONSULTAZIONE

Contro un milione di persone scese in piazza per chiedere l’indipendenza della Catalogna, il Governo di Madrid schiera i Mossos d’Esquadra, il corpo di polizia regionale catalano.
La Procura della Catalogna ha ordinato di impedire il referendum di autodeterminazione convocato per il 1° ottobre dal Governo regionale indipendentista e vietato dalla magistratura.
La procura ha ordinato alla polizia di sequestrare le urne e qualsiasi materiale destinato alla tenuta del referendum.
L’ordine è stato trasmesso al capo della polizia catalana Josep Lluis Trapero, convocato questa mattina dal procuratore capo Josè Maria Romero de Tejada.
Lo stesso ordine è stato consegnato ai comandanti in Catalogna della Guardia Civil e della polizia nazionale Angel Gozalo e Sebastian Trapote.
Dopo avere bocciato la convocazione del referendum e la legge che l’ha resa possibile, la Corte Costituzionale spagnola ha sospeso anche la legge di “scissione” dalla Spagna, se vincerà  il Sì al referendum, adottata la settimana scorsa dal Parlamento di Barcellona.
Il presidente catalano Carles Puigdemont ha però già  indicato che andrà  avanti comunque in nome della nuova legalità  catalana.
La legge sulla “transizione giuridica e la fondazione della Repubblica” deve entrare in vigore il 2 ottobre, se il fronte indipendentista vincerà  il referendum di autodeterminazione, e delineare il quadro giuridico della transizione fino alla creazione del nuovo stato indipendente.
Il tribunale costituzionale, su richiesta del governo spagnolo, ha già  sospeso negli ultimi giorni altre 4 normative separatiste adottate dal parlamento e dal governo di Barcellona.
La procura spagnola ha denunciato per disobbedienza, abuso di potere e presunta malversazione di danaro pubblico il presidente Puigdemont, i suoi ministri e la presidente del ‘Parlament’ Carme Forcadell, che rischiano fino a sei anni di carcere.
Il portavoce del governo catalano Jordi Turull ha reagito oggi all’ultima decisione della consulta di Madrid confermando che il governo di Puigdemont andrà  avanti verso il referendum nel quadro della legalità  catalana.
Contro l’indipendenza della Catalogna si è schierato pubblicamente uno degli sportivi più amati di Spagna, Rafa Nadal, fresco vincitore degli Us Open.
“Dovremmo essere tutti preoccupati e chi non lo è non ha in mente la Spagna come tale. Mi sento molto vicino ai catalani, ma anche molto spagnolo. Non concepisco una Spagna senza Catalogna”, dice il maiorchino in un’intervista al quotidiano El Mundo, “bisogna fare uno sforzo per arrivare a un’intesa perchè siamo più forti uniti che divisi: la Spagna è migliore con la Catalogna così come la Catalogna è migliore con la Spagna”.

(da “Huffingtonpost”)

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A SPALARE IL FANGO A LIVORNO CI SONO ANCHE I RICHIEDENTI ASILO: “CI AIUTANO A CASA NOSTRA”

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

DA DUE GIORNI SPALANO NOTTE E GIORNO, ACCANTO AI LIVORNESI: “SE SUCCEDE UNA COSA DEL GENERE A CASA NOSTRA CI SI AIUTA, NORMALE CHE LO FACCIAMO ANCHE QUA”

“Stiamo cercando di aiutare le persone che hanno avuto problemi causati dall’alluvione — racconta un giovane richiedente asilo nigeriano — da due giorni stiamo lavorando da mattina sera, siamo qui per cercare di aiutarli”.
A Livorno a distanza di due giorni dal violento nubifragio che ha colpito la città  c’è ancora tanto da fare e diversi richiedenti asilo, gli stessi che qualcuno vorrebbe aiutare a “casa loro”, oggi stanno aiutando a “casa nostra”.
Nei garage, nei cortili, nelle abitazioni invase dal fango, a spalare insieme ai residenti e agli altri volontari.
“La cosa che mi hanno detto in primis è che se succede una cosa del genere a casa loro ci si aiuta e quindi vengono ad aiutare anche loro” spiega Marco Figliè, operatore del centro di accoglienza per richiedenti asilo “Ex Hotel Atleti” di Livorno.
“Per noi è un piacere venire ad aiutare” conferma un giovane richiedente asilo ivoriano, a Livorno da due mesi.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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QUALE LEGGE ELETTORALE E’ IN VIGORE OGGI

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

SI ANDRA’ A VOTARE CON LE DUE LEGGI DISEGNATE DALLA CORTE COSTITUZIONALE A COLPI DI SENTENZE…E CI SARA’ IL CAOS

A meno di clamorosi colpi di scena e dopo la rottura del patto sul sistema tedesca, i partiti non approveranno una nuova legge elettorale prima delle elezioni politiche del 2018.
Questo significa che si andrà  a votare con le due leggi “disegnate” dai giudici della Corte Costituzionale a colpi di sentenze sull’Italicum e sul Porcellum.
La situazione sarebbe quindi già  complicata di per sè, se non fosse che le due leggi ad oggi garantiscono che non ci sarà  una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento (a meno di clamorose affermazioni che oggi, visti i sondaggi, si possono escludere). Ci avviamo quindi a una legislatura senza maggioranza o meglio a maggioranze variabili.
“Ora che la legislatura sta arrivando a scadenza naturale e che della riforma non c’è traccia -spiega Francesco Verderami sul Corriere — emergono i timori tra i giudici costituzionali. E si avverte al fondo un’altra loro preoccupazione: e cioè che, per effetto delle sentenze, alla Corte sia di fatto intestata la paternità  dei due sistemi di voto e le venga scaricata la responsabilità  politica della (quasi certa) «ingovernabilità »”.
E basta dare un’occhiata ai sondaggi per rendersi conto che è proprio così.
Con l’Italicum corretto alla Camera i seggi sono distribuiti con metodo proporzionale, mentre al Senato con il Consultellum la ripartizione è sì proporzionale ma su base regionale: questo significa che partiti fortemente radicati in un territorio ma scarsamente radicati in un altro avrebbero risultati di conseguenza.
Diverse anche le soglie di sbarramento: alla Camera è del 3%; al Senato c’è una soglia di sbarramento dell’8% per la lista che corre da sola e del 20% per le coalizioni; in quel caso i partiti della coalizione hanno una soglia del 3%.
Ce n’è abbastanza perchè dalla sera delle elezioni si inauguri una lunga melina alla ricerca di una maggioranza come ai tempi del pentapartito.

(da “NextQuotidiano”)

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I FIUMI “TOMBATI”. UNA RETE DI 12.000 CHILOMETRI MINACCIA L’ITALIA

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

ALLUVIONI E NUBIFRAGI DIMOSTRANO LA PERICOLOSITA’ DEI CANALI SOTTERRANEI… IN ITALIA MANCA UN RILEVAMENTO COMPLETO

Una mappa precisa non c’è, ma sappiamo che in Italia ci sono circa 12mila chilometri di corsi d’acqua «tombati».
Fiumi, torrenti e rivi coperti da edifici e strade e trasformati in canali sotterranei. Per due secoli nelle Università  si è insegnato che un fiume è un semplice collettore. Un «tubo» che si può trasformare in qualcosa d’altro usando cemento e buoni calcoli. La dinamica naturale di un fiume – che da sempre «vive» passando per fasi di magra e di espansione, ma anche di esondazione – è stata cancellata attraverso l’ingegneria.
Oggi abbiamo scoperto che questi fiumi «tombati», questi canali sotterranei su cui sono state costruite case e uffici in cui vivono e lavorano persone, nella loro «tomba» non ci stanno.
Per colpa delle le precipitazioni «normali», di quelle potenziate al parossismo dal cambiamento climatico, ma anche per i flussi generati dalla impermeabilizzazione del territorio dovuta al consumo del suolo, a Livorno, Genova e in molte altre città  l’acqua alla fine esplode letteralmente fuori da questi poveri fiumi tombati, cementificati, o strangolati da argini e ponti mal concepiti. Con conseguenze distruttive e devastanti, in termini umani ed economici.
La «tombatura» dei fiumi è un’invenzione francese: furono gli ingegneri del servizio delle «Acque e dei Ponti» del Regno d’Italia di Napoleone Bonaparte a immaginare per primi la necessità  di coprire certi rivi minori all’interno delle città .
La ragione era sanitaria: questi corsi d’acqua erano fogne a cielo aperto, potevano e dovevano essere trasformati in fogne ben chiuse che sfociavano nei fiumi più importanti, liberando le città  e risanandole da cattivi odori ed epidemie.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento in tante città  grandi e piccole del Belpaese molti rivi furono così «tombati», e coperti da strade e salubri viali alberati per il passeggio.
Successivamente, la motivazione di queste opere di sistemazione idraulica cambiò: negli Anni 60, 70 e 80 sempre più rivi vennero coperti per ragioni urbanistiche o per permettere l’edificazione di nuove costruzioni.
I corsi d’acqua non coperti ebbero argini di cemento, il loro scorrere venne regimato, rettificato, ristretto e ingabbiato, e nel loro alveo vennero costruiti ponti e a volte anche edifici d’abitazione.
Le aree paludose e le cosiddette «casse di espansione» in cui un tempo i fiumi riversavano l’eccesso di acqua non ci sono più.
Nelle zone all’esterno delle città  il terreno agricolo è stato occupato da case, centri commerciali, capannoni industriali, parcheggi. Il consumo del suolo continua ad aumentare, amplificando il processo di impermeabilizzazione: solo nel 2015-2016 sono stati «consumati» ogni giorno una media di 30 ettari. Tre metri quadri di suolo artificiale in più ogni secondo che passa.
Ma i fiumi – abbiamo verificato a nostre spese – non sono corpi «morti», ma «vivi». L’acqua che non può più scendere verso le falde sotterranee perchè bloccata da cemento e asfalto, da qualche parte deve pur andare.
Se piove molto, l’acqua che prima scorreva in un alveo fluviale di cento metri non ce la fa a passare dentro un canale sotterraneo largo solo venti metri.
Adesso che il clima è cambiato, o non piove per molti giorni, o quando piove, piove tantissimo. L’acqua che giunge nella strettoia del fiume tombato, «esplode», e va dove ci sono le case e le persone.
La mappa che pubblichiamo accanto indica solo alcuni dei casi più eclatanti di questa situazione.
Che secondo gli esperti è particolarmente pericolosa soprattutto nelle Regioni meridionali, dove sono state realizzate a suo tempo opere di qualità  peggiore.
Come spiega l’ingegner Martina Bussettini, ricercatore dell’Ispra, non si può fare moltissimo per rimediare: ci sono a volte dei sistemi di deflusso, si possono realizzare delle opere per rimediare alle situazioni più gravi, «ma l’Italia – spiega Bussettini – può essere paragonata a un paziente con gravi problemi circolatori cui si applica uno stent per far passare meglio il sangue dove le arterie sono più strette. L’unica cosa che si può fare veramente è tenerlo sotto controllo e vigilare».
Vigilanza, investimenti come quelli in corso (9400 cantieri avviati in tutto il paese e monitorati dalla task force di governo #Italiasicura). Ma c’è anche chi propone di imitare quanto si fa in paesi come la Germania, dove si spende per «rinaturalizzare» i corsi d’acqua.
Gli alvei rettificati e le sponde in cemento si demoliscono; si ripristinano le aree di espansione; si piantano sulle sponde alberi di alto fusto, che aumentano la capacità  del suolo di trattenere le acque.
Vogliamo provarci anche nelle nostre città ?

(da “La Stampa”)

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I FONDI MAI USATI DEL PIANO ANTI-DISSESTO: PRONTI OTTO MILIARDI, SPESI CENTO MILIONI

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

L’OPERAZIONE LANCIATA TRE ANNI FA DAL GOVERNO RENZI PROCEDE AL RALLENTATORE: “POCHI PROGETTI ESECUTIVI”

Eppur ci sono. I soldi per mettere mano all’Italia che si allaga, frana e uccide, ci sono. A leggere le tabelle della Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico della Presidenza del consiglio, abbiamo 7,7 miliardi di euro da spendere entro il 2023 per rinforzare argini, costruire scolmatori e casse di espansione per le piene, allargare i canali tombati, tirar su muri di contenimento.
Per fare, dunque, ciò che avrebbe evitato le stragi da nubifragio del passato, e forse anche quella di Livorno.
Poi però uno va a vedere quanto è stato effettivamente speso sul territorio per il Piano “Italiasicura” lanciato dal governo Renzi nel maggio 2014, e si ritrova davanti a una cifra che racconta di un Paese che non vuol imparare da se stesso e dal suo passato: appena 114,4 milioni di euro. Meno dell’1,5 per cento del totale a disposizione. Un passo da lumaca in affanno.
IL PIANO ITALIASICURA
A questo ritmo, per investire tutti i 7,7 miliardi racimolati dai bilanci di ministeri e agenzie, servirebbero quasi 200 anni. Un paradosso che non ci possiamo permettere. Bisogna sveltire, andare più veloci del clima che cambia e sperare di anticipare la prossima bomba d’acqua.
Finora il denaro utilizzato è stato trasferito dallo Stato alle Regioni ed è servito ad aprire alcuni cantieri nelle città  metropolitane: a Genova per il Bisagno, a Firenze per l’Arno (due casse di espansione, i lavori cominceranno a giorni), a Cesenatico per mitigare l’erosione della spiaggia. Non senza problemi, come vedremo.
Il passo con cui avanza “Italiasicura” è comunque lento e qualcuno deve dare spiegazioni. “Abbiamo potuto autorizzare solo le opere di cui avevamo il progetto esecutivo, fornitoci dagli enti locali”, dice Erasmo D’Angelis, tornato a capo della Struttura di missione dopo l’esperienza alla direzione dell’Unità . “L’Italia sconta un ritardo storico sulle progettazioni, non ha la cultura della prevenzione. La cantierizzazione pesante ci sarà  tra il 2018 e il 2019”.
I PROGETTI ESECUTIVI
In effetti, sfogliando gli 8.926 interventi “necessari e prioritari” segnalati dalle Regioni quando fu lanciato il Piano, si nota che pochissimi sono corredati di un progetto esecutivo: appena il 6 per cento. Per il resto delle emergenze (e sulla carta ce ne sarebbero una miriade, 1.240 in Campania, 962 in Sicilia, 761 in Piemonte, 458 in Toscana…) siamo al punto zero. Cantieri non se ne vedono, operai con i caschetti gialli nemmeno, neanche volendo lo Stato potrebbe mettere i soldi perchè le norme impongono che il trasferimento avvenga solo quando si ha la certezza di cosa si va a finanziare. Accanto alle lista delle opere, e alla cifra che ogni Regione vorrebbe dallo Stato (quella sì, è indicata per tutte), una sfilza di etichette che ne certificano la lontananza dalla realizzazione: “progetto preliminare”, “studio di fattibilità “, “in fase istruttoria”. Pochi “definitivi”, pochissimi “esecutivi”.
CANTIERI MAI APERTI
Per Livorno ci sono due interventi nella lista del governo, anch’essi in fase preliminare. E non riguardano il Rio Ardenza, nè il Rio Maggiore, cioè i due corsi d’acqua straripati all’alba di domenica: si tratta di una cassa di espansione e del consolidamento degli argini di un altro torrente livornese, l’Ugione. Costo complessivo: 3,5 milioni di euro. Tempi di consegna? Non pervenuti. Così come non si sa quando entreranno finalmente in azione gli scavatori per il lavoro da 2 milioni di euro, ancora sul Rio Ugione, finanziato da almeno sette anni dalla Regione e mai cominciato.
“Avrebbero mitigato il rischio su quel canale, certo, ma poco sarebbe cambiato”, osserva Giovanni Massini, ingegnere della Protezione civile Toscana. “Dopo le alluvioni del 1991 sull’Ardenza e sul Maggiore le casse di espansione si sono fatte. E nel 2017 abbiamo fatto la manutenzione: ciò che è successo è colpa di un evento davvero eccezionale”.
I SOLDI SBLOCCATI DALLA BUROCRAZIA
Va dato atto alla Struttura di missione di aver recuperato, oltre agli stanziamenti per “Italiasicura”, un tesoretto da 2,2 miliardi incagliato da anni nei bilanci degli enti locali, con i quali ora sono stati ultimati centinaia di vecchi lavori sui fiumi.
E però, la lentezza con cui si procede e la difficoltà  a usare i fondi, non si spiega soltanto con “il ritardo degli uffici tecnici locali”, come sostiene D’Angelis.
Per dire: ci sono 100 milioni per il sostegno alle progettazioni, bloccati da un anno e mezzo al ministero dell’Ambiente; c’è un prestito da un miliardo della Banca centrale, intonso da due anni; c’è un Piano nazionale, “Italiasicura”, che doveva muovere i primi concreti passi nel 2015 dopo la delibera Cipe, e invece è partito alla fine del 2016. E c’è la solita, ingarbugliata, dinamica dei bandi di gara, con i suoi ricorsi e le sue stranezze
IL FRENO RIBASSI A GENOVA
Torniamo a quei primi soldi – i 114 milioni – effettivamente spesi per le città  metropolitane. E andiamo a Genova. Qui, dopo le alluvioni mortali del 2011 e 2014, si sta finalmente adeguando il tratto tombato del Bisagno, che passa sotto la città .
Un lotto da 58 milioni se l’è aggiudicato Itinera (Gruppo Gavio) con un mega ribasso del 37,5 per cento. A giugno, però, gli stati di avanzamento non superavano i 300.000 euro. Praticamente niente. Vanno a rilento perchè – a quanto pare – il ribasso si è rilevato eccessivo per completare quanto richiesto.
E col nuovo codice degli appalti le famigerate varianti in corso d’opera al rialzo non sono più consentite.

(da “La Repubblica”)

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STRISCIA LA NOTIZIA, INSULTI IGNOBILI PER LA NUOVA VELINA

Settembre 12th, 2017 Riccardo Fucile

SUI SOCIAL I SOLITI COMMENTI RAZZISTI PER MIKAELA SILVA DI ORIGINI ANGOLANE… MA NESSUN INSORSE PER LA “SVIZZERA” HUNZIKER, LEI “NON TOGLIEVA UN POSTO ALLE ITALIANE”

E’ già  polemica per le nuove veline di “Striscia la notizia”.
Ad affiancare i conduttori da quest’anno ci saranno Shaila Gatta, 21enne originaria di Secondigliano (Napoli) e Mikaela Naeze Silva, 23enne nata a Mosca e figlia di medici (il padre è dell’Angola, la madre è afghana).
Quando Luca Abete, lo storico inviato del programma, ha pubblicato su facebook la foto delle due nuove veline, sono volati alcuni insulti razzisti nei confronti di Mikaela.
“Torniamo alle origini italiche”. “Il prossimo anno, per favore, due ragazze ariane!”, “la bionda africana…Siamo ridicoli” sono alcuni dei commenti choc da parte degli utenti, che ad ogni modo sono la minoranza, rispetto agli oltre 1200 commenti.
C’è chi ne fa una questione di lavoro (“toglie il posto a una delle nostre ragazze, ne abbiamo di bellissime”) e chi la butta sull’orgoglio nazionale: “Si è persa l’identità  nazionale per il politicamente corretto”.
Qualcuno però ci va giù pesante: “con questa velina negra ogni volta che vedo striscia darò sempre più ragione a Salvini”.
Ovviamente molti si sono schierati dalla parte della velina: “della Hunziker (svizzera, ndr) nessuno disse niente perchè era bianca”, sottolinea Giovanna, oppure “quando il razzismo ostacola persino la passione italiana per le belle figliole vuol dire che abbiamo oltrepassato di brutto la soglia del pericolo” precisa Andrea.

(da “Huffingtonpost”)

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