Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
SE PER UN GIORNO NON DISCRIMINASSERO QUALCUNO CHE BERCIANTI GUERRIERI DALL’ELMO CORNUTO SAREBBERO?
Il Comune di Pontida vuole essere il vero comune leghista. Sul mitico pratone sono passate orde di leghisti urlanti e bercianti con le loro camicie verdi e i loro elmi cornuti.
E in attesa dell’arrivo dei partecipanti all’annuale ritrovo dei leghisti l’Amministrazione ha deciso di redigere un nuovo regolamento sui parcheggi riservati.
A Pontida si è infatti deciso che le strisce rosa dei parcheggi riservati alle donne incinte o con bambini piccoli sono l’ultimo campo di battaglia per la difesa della famiglia naturale dall’assalto dell’ideologia Gender.
Niente di troppo strano nella regione che ha dato battaglia al Gender con i cartelli luminosi, facendo togliere libri “proibiti” dalle scuole e istituendo un inutile e costoso call center anti-gender voluto dall’assessora che considera l’Erasmus una fucina di pervertiti, drogati e omossessuali.
Il Comune ha infatti fatto approvare un regolamento dove stabilisce quali sono le donne che hanno diritto a chiedere e ottenere il permesso ad utilizzare uno dei nuovi cinque parcheggi “rosa” del Comune.
All’articolo uno del regolamento comunale per la disciplina della sosta nei parcheggi riservati alle donne gestanti e alle donne puerpere viene precisata la finalità del provvedimento: “promuovere il sostegno alle famiglie naturali, formate dall’unione di un uomo ed una donna a fini procreativi, nucleo fondante della società civile”.
Si precisa poi all’articolo 2 che con “nucleo familiare naturale” si intende una famiglia composta dall’unione di un uomo ed una donna a fini procreativi.
Con tanti saluti alle coppie sterili, alle madri divorziate a quelle rimaste vedove o alle madri single.
Donna invece è “un individuo umano di sesso femminile” e fin qui si potrebbe dire che c’è poco da eccepire ma attenzione perchè a Pontida non tutte le donne sono uguali e godono di uguali diritti.
L’articolo 4 individua infatti i soggetti aventi diritto.
Vengono così escluse le donne che non appartengono ad un nucleo familiare naturale ovvero oltre alle categorie già citate anche le donne omosessuali, che sono il vero obiettivo di questa esclusione.
Ma non basta perchè bisogna essere cittadine italiane o di un paese membro dell’Unione Europea.
Quindi una donna africana (ma anche una cittadina statunitense) anche se incinta non ha diritto ad ottenere il permesso. Fuori le negre e le lesbiche incinte da Pontida.
E c’è da capire come faranno al Comune a distinguere una madre omosessuale da una eterosessuale. Forse pianificano l’introduzione di un patentino di eterosessualità , con tanto di prova finale?
Le cose si complicano quando si tratta di cittadine non residenti a Pontida.
In deroga al regolamento infatti anche le donne incinte che non hanno il permesso possono parcheggiare sulle strisce rosa “purchè siano donne appartenenti a nuclei familiari naturali con cittadina italiana o di un paese membro dell’Unione Europea” a patto che il loro stato di gravidanza sia evidente. Per fortuna non è richiesto girare con un’ecografia in tasca.
Il regolamento probabilmente diventerà carta straccia non appena qualcuno farà notare in sede giudiziaria il chiaro intento discriminatorio.
Per il momento è stato approvato dalla giunta comunale dove era stato presentato dall’assessore al Territorio, Ambiente ed Ecologia Emil Mazzoleni.
Le opposizioni però promettono battaglia. Come ha dichiarato a BergamoNews Gionata Ghilardi, capogruppo di Viviamo Pontida:
È una scelta inconcepibile e inaccettabile, non riesco quasi a trovare delle parole per esprimere il mio dissenso. Durante il consiglio comunale di sabato mi sono rivolto anche alle due donne della maggioranza, due ragazze che ancora non sono madri: ho chiesto come hanno potuto votare a favore di un provvedimento tanto discriminante per altre donne. In pratica con questa decisione qualcuno sostiene che a Pontida esistono delle donne di serie A e di serie B. Si può essere più cattivi?
Forse non è questione di essere cattivi: è questione di essere leghisti.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
LA CORTE COSTITUZIONALE AVEVA GIA PRECISATO CHE LE CONDOTTE CHE SI LIMITANO ALLA PROPAGANDA RIENTRANO NEL DIRITTO ALLA LIBERTA’ DI PENSIERO, SONO RILEVANTI SOLO QUELLE ATTE A RICOSTITUIRE IL PARTITO FASCISTA
Il ddl Fiano appena approvato in prima lettura nasce, a prima vista, malato. 
Il testo con cui si vorrebbe far punire la propaganda di un’ideologia ha tutta l’aria di essere, a sua volta, piuttosto che un testo normativo, una presa di posizione, l’affermazione di un principio e il tentativo di imporlo per le vie della giustizia penale.
Il legislatore sembra aver imboccato la strada di un intervento normativo a forte rischio di incostituzionalità .
La proposta di legge, infatti, introduce l’art. 292-bis del codice penale, nell’ambito dei delitti contro la personalità interna dello Stato; articolo recante «Propaganda del regime fascista e nazifascista».
Con la disposizione appena passata all’esame del Senato si vuole punire chi «propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità ». Pena prevista: dai sei mesi ai due anni.
Come noto, il tema di apologia del fascismo è già oggetto della famosa legge Scelba, la n. 645/1952, seguita dalla legge Mancino del 1993.
La legge Scelba va a colpire «coloro che promuovano o organizzino sotto qualsiasi forma la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto regime fascista e coloro che pubblicamente esaltino princìpi, fatti o metodi del fascismo o le sue finalità antidemocratiche».
Questa disposizione è stata oggetto di diversi interventi interpretativi della Corte costituzionale, la quale ha limitato l’applicabilità nel senso di andare a qualificare come penalmente rilevanti solo quelle ipotesi di apologia concretamente idonea alla riorganizzazione del partito fascista, casi di «istigazione indiretta a commettere un fatto idoneo alla riorganizzazione».
La Corte costituzionale ha così voluto limitare la portata della legge Scelba a quei soli casi in cui le condotte filofasciste abbiano una portata e caratteristiche tali da esigere l’intervento repressivo, mettendo a rischio la tenuta democratica attraverso la ricostituzione del disciolto partito fascista, vietata dalle disposizioni finali della Costituzione, di cui la Scelba era legge di attuazione.
Si è voluto, cioè, selezionare le condotte realmente cariche di offensività .
Ed è una scelta che il legislatore ha riprodotto nel 1986 nell’ambito di molti altri delitti contro la personalità dello Stato, guarda caso proprio quelli accanto ai quali la proposta di legge Fiano vorrebbe introdurre il reato di propaganda fascista e nazifascista.
Con la legge 85/2006, infatti, sono state eliminate fattispecie di scarso o nullo utilizzo e altre sono state riformulate.
È evidente come la limitazione effettuata dalla Corte costituzionale rispetto alla legge Scelba introduca un principio, di rango costituzionale e quindi cui le leggi ordinarie devono adeguarsi, con il quale la proposta di legge a firma Fiano sembrerebbe chiaramente incompatibile.
E questo lo si deduce dalla stessa relazione introduttiva della proposta, nella quale si legge che lo scopo del ddl è quello di punire fatti minori ed estemporanei, che altrimenti non sarebbero punibili, come il saluto romano.
Addirittura, una pronuncia della Cassazione, richiamata da una diversa sentenza della Corte costituzionale del 1958, affermava che non poteva essere punita una condotta «quando non trattasi di atti che integrino vera e propria apologia del fascismo ma» addirittura continua la pronuncia «si esauriscono in manifestazioni come il canto degli inni fascisti, poichè si ha ragione di ritenere anche che queste manifestazioni di carattere apologetico debbano essere sostenute, per ciò che concerne il rapporto di causalità fisica e psichica, dai due elementi della idoneità ed efficacia dei mezzi rispetto al pericolo della ricostituzione del partito fascista».
Quando le condotte si limitano alla sola propaganda, rientrano evidentemente nell’art. 21 della Costituzione: non solo il diritto alla libertà di pensiero, ma il diritto alla sua manifestazione.
E per questo non sono censurabili, nel senso stretto del termine.
La bellezza e la forza del diritto è che è uguale per tutti, anche per coloro nei cui confronti si vorrebbe volentieri fare un’eccezione: e quindi fintantochè la propaganda del regime fascista resta propaganda e, come la Consulta ha precisato nel lontano 1958, non sfocia nella concreta idoneità a ricostituire il partito fascista, non può essere punita.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
SI VOTA IL 23 SETTEMBRE, MA LA BASE NON SA ANCORA CHI SONO I CANDIDATI E COME SI VOTERA’ PERCHE’ GRILLO E CASALEGGIO VOGLIONO SCORAGGIARE LA COMPETIZIONE INTERNA
Mancano dieci giorni all’incoronazione di Luigi Di Maio a candidato Premier per il MoVimento 5 Stelle ma ancora gli attivisti pentastellati non sanno come si voterà e se ci saranno altri candidati.
Beppe Grillo e Davide Casaleggio non hanno ancora detto infatti quali saranno le regole della competizione e chi potrà prendervi parte.
In teoria — anche in ossequio al principio dell’uno vale uno — tutti potrebbero farlo, indipendentemente dalle chance di vittoria.
Ma fino ad ora anche a causa della mancanza delle regole nessuno sfidante è venuto allo scoperto
Quali sono le regole per decidere il candidato premier del M5S?
Sono ormai quasi cinque anni che per i giornali Luigi Di Maio è “il candidato premier in pectore del MoVimento”. E pare che ora se ne sia convinto pure lui.
Ma è mai possibile che questo ragazzo che non ha mai lavorato in vita sua e che non è nemmeno riuscito a laurearsi sia l’unico leader che il partito di Grillo riesce ad esprimere?
E poi: come mai sia nel Regolamento che nel Non Statuto non è previsto in modo chiaro come scegliere il candidato Premier?
L’unico indizio è che a decidere sarà di volta in volta il Capo Politico (cioè Grillo, non eletto da nessuno) in accordo con il Comitato d’Appello (nominato da Grillo) e solo in ultima istanza l’assemblea degli iscritti.
Le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali nazionali o locali potranno essere meglio determinate dal capo politico del MoVimento 5 Stelle, d’intesa con il comitato d’appello, in funzione della tipologia di consultazione ed in ragione dell’esperienza che verrà maturata nel tempo. Laddove il comitato d’appello non abbia espresso parere favorevole, le regole dovranno essere approvate dall’assemblea degli iscritti con votazione in rete.
Nel frattempo Di Maio ha già annunciato che presto rivelerà la squadra dei ministri del suo governo e studia lavora da Presidente del Consiglio andando a Cernobbio a dire che il M5S non è contro l’euro e non è nemmeno populista.
Il popolo a 5 Stelle attende il 23 settembre, quando al termine del raduno di Rimini verrà annunciato il nome del candidato alla Presidenza del Consiglio. Ma a Rimini ci sarà la classica festa del M5S e non una convention o un’assemblea.
Nel MoVimento infatti di assemblee non se ne fanno e men che meno di congressi. Ma come si fa a decidere per un candidato piuttosto che un altro se non sulla base di un confronto tra le proposte?
Il punto è che nel M5S non possono esistere differenze e proposte di governo diverse. Il programma di governo è stato già elaborato in Rete e sarà uguale sia che il candidato Premier si chiami Luigi Di Maio o Roberto Fico.
Se non ci possono essere divergenze programmatiche cosa resta?
Quelle sul modo di intendere la linea del partito, ad esempio. C’è chi lo vorrebbe ancora legato al movimentismo, sono i duri e puri rappresentati da Fico.
E chi invece lo vuole “di governo” e ha già buttato a mare molte cose del vecchio M5S.
Ma c’è un problema: la linea del partito non la decide il candidato premier nè la decidono gli eletti (o gli attivisti). Le decidono gli unici due che non sono eletti da nessuno: Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
E su quella non ci sono discussioni, votazioni e nemmeno assemblee.
Perchè Roberto Fico non si candida?
Le votazioni, ammesso e non concesso che si tengano, dovranno essere annunciate con almeno 24 ore d’anticipo, pena il rischio di ricorsi e annullamenti. A quanto pare lo Staff vuole rinviarle il più possibile per scongiurare il rischio “hacker” ed evitare che la piattaforma Rousseau possa essere bucata proprio nel momento cruciale.
Ma se non ci sono candidati ad eccezione di Di Maio e non ci sono regole per presentare la candidatura la votazione probabilmente sarà semplicemente come una delle tante già viste nel MoVimento.
Qualcosa come «Volete che sia Luigi Di Maio il candidato Presidente del Consiglio indicato dal MoVimento 5 Stelle alle prossime elezioni politiche?». Se fosse così si confermerebbe che gli attivisti sono solo portatori sani di click e non di democrazia.
Eppure Fico, anche se oscurato dall’ubiquità mediatica di Di Maio, avrebbe delle chance.
È ancora molto popolare nella base del M5S e nei meetup e di sicuro sarebbe in grado di raccogliere consensi.
Ma candidarsi così — temono alcuni — potrebbe solo legittimare una farsa. Una volta sconfitto poi cosa resterebbe da fare a Fico?
Potrebbe pure correre il rischio di non essere candidato alle politiche e di dover tornare al suo vecchio lavoro.
C’è poi un altro aspetto: mettersi contro Di Maio sarebbe come mettersi contro i vertici del MoVimento. E questo nel M5S non ha mai portato a nulla di buono.
Ci vuole un attimo per essere accusati di essere contro i principi del M5S e finire fuori. Ce lo ha insegnato il Metodo Genova applicato da Grillo dopo la vittoria di Marika Cassimatis alle comunarie per consentire a Pirondini di essere il candidato sindaco del M5S.
Se una cosa del genere accadesse a livello nazionale gli oppositori di Di Maio verrebbero messi alla porta senza troppi complimenti.
C’è infine un’ultima ragione per cui nel M5S la scelta del candidato premier (sarebbe bellissimo avvenisse per acclamazione direttamente a Rimini) non è una questione di votazioni: Grillo non può permettersi che il partito si divida sulla scelta del leader. Innanzitutto perchè il leader è lui e in secondo luogo perchè così il MoVimento diventerebbe un partito come gli altri fatto di correnti e fazioni.
E cosa c’è di meglio che nascondere la realtà sotto il tappeto e sperare che le prossime politiche servano a resettare le componenti scomode della classe dirigente del M5S?
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL LEGALE CHE VINCE TUTTE LE CAUSE A TUTELA DEI DISSIDENTI GRILLINI: “IN SICILIA IL GIUDICE CI DARA’ RAGIONE, POI TOCCA A ROMA E A ROUSSEAU”
Il Movimento 5 stelle torna in tribunale. I magistrati di Palermo hanno sospeso l’esito delle
regionarie siciliane che hanno incoronato Giancarlo Cancelleri, agitando i vertici pentastellati. E dietro all’ennesima tegola giudiziaria c’è anche questa volta Lorenzo Borrè, l’avvocato di Roma che ha finora permesso il reintegro degli attivisti espulsi dal M5S, vinto il ricorso a Genova della candidata sindaco Marika Cassimatis, e dettato oggi uno stop improvviso alla corsa in Sicilia.
Borrè, lei era iscritto al Movimento. Ora ne è diventato la più grossa spina nel fianco. Cosa è successo?
«Sono stato iscritto dal 2012 al 2016 e credevo nel M5S quando aveva ancora consensi da prefisso telefonico, ma ho avuto una serie di delusioni. Adesso quell’esperienza è diventata fondamentale per il mio lavoro: se si deve entrare nei meandri giuridici del partito di Grillo si deve conoscerli dall’interno e conoscerne le evoluzioni fin dal principio».
La chiamano “l’avvocato dei dissidenti”. Le piace come soprannome?
«Ma no, sembra che la mia sia una ossessione contro i Cinque stelle e invece non è così. Parallelamente faccio anche un lavoro da avvocato slegato dalle questioni politiche. Poi, più che “dei dissidenti”, mi chiamano “il Garante del Movimento”. O meglio, “il Garante in seconda istanza”, visto che il primo dovrebbe essere Beppe Grillo. Questo soprannome lo preferisco, anche perchè mi hanno detto che quando Grillo ha sentito che mi chiamavano così, è sbottato dalla rabbia».
E adesso regala a Grillo anche un altro grattacapo in Sicilia. È ottimista sull’esito del ricorso?
«Sì, sono molto ottimista. Il giudice ha già fatto dei rilievi importanti e approfondito la questione. Otto pagine alle quali si aggiungeranno il 18 settembre i contraddittori degli altri 62 candidati. Poi il 19 tornerò a Roma per un’altra questione legata ai Cinque stelle».
Cosa succede a Roma?
«Si affronta la sospensione, decisa dai probiviri, della consigliera comunale del M5S di Roma Cristina Grancio. Le è stato contestato di aver fatto iniziative, dichiarazioni e atteggiamenti contrari al Movimento. È la prima volta che sento qualcuno contestare un “atteggiamento” da quando ho finito di fare il militare. Tra due o tre settimane dovremmo avere un risultato. Ma con i Cinque stelle non finirà lì…».
Che intende?
«Ho ricevuto mandato da una decina di iscritti al Movimento, provenienti da tutta Italia, per presentare un esposto al garante della Privacy in merito all’hackeraggio del sito del Movimento avvenuto a luglio».
Su che basi vi rivolgerete al Garante?
«Sto ancora studiando le carte, ma i miei assistiti vorrebbero sapere se e perchè l’associazione Rousseau tratta i dati personali degli iscritti al Movimento 5 stelle senza che loro abbiano mai consapevolmente autorizzato l’associazione. E se siano state utilizzate tutte le tutele necessarie per evitare che i loro dati venissero hackerati. Anche perchè l’associazione Rousseau è un soggetto terzo rispetto al Movimento».
(da “La Stampa”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
PEDEMONTANA, IL TRIBUNALE DECIDE SULLA RICHIESTA DEI PM… COSTI LIEVITATI DI 5 MILIARDI IL TRAFFICO NON RIESCE A RIPAGARLI
Il sogno dell’autostrada tutta «lumbard» per collegare Varese e Como con Bergamo si sta trasformando in un incubo davanti al tribunale di Milano.
La sezione fallimentare deciderà in questi giorni se accogliere la richiesta della Procura di dichiarare il fallimento della Società Autostrada Pedemontana Lombarda, ultimo presidente (gratis) Antonio Di Pietro.
Un sogno di grandeur infrastrutturale fortemente voluto dalla Lega Nord di Umberto Bossi e Roberto Maroni che, come governatore, ha messo la faccia per costruire l’opera pubblica più controversa e cara d’Italia.
Per completarla sarebbero necessari oltre 5 miliardi di euro.
Costi che, a detta dei pm Filippini-Pellicano-Polizzi, che mesi fa hanno aperto un’inchiesta per falso in bilancio, la società non sarebbe in grado di fronteggiare: «I bilanci evidenziano uno squilibrio finanziario della società che risulta sovraccaricata, quantomeno dal 2012, dal peso dell’indebitamento. Non vi è ancora oggi alcuna regolamentazione su tempi, modalità di finanziamento ed esecuzione dell’opera pubblica».
Prorogare l’agonia della Pedemontana significa far lievitare anche i costi per i contribuenti. La lingua d’asfalto da 87 km (più 70 di viabilità locale) nasce in teoria in «project financing», cioè con il contributo maggiore a carico dei privati che, in cambio dello sforzo per la costruzione, incassano i pedaggi per 30 anni. Ben presto però si è scoperto che da una spesa iniziale di 4,1 miliardi si è saliti a 5 miliardi, bruciando tutto il finanziamento pubblico di 1,3 miliardi per appena un terzo dei lavori. E non c’è traccia di finanziatori o soggetti disponibili ad entrare nel capitale della società controllata da Regione Lombardia.
Finora Pedemontana spa si è difesa affermando che «nessun creditore ha mai manifestato criticità », ma dal 2011 si reggono su un prestito-ponte delle banche garantito proprio dal Pirellone.
Soldi pubblici per soddisfare una mobilità su gomma già obsoleta. Troppo ottimistiche le stime di traffico e troppo onerosi i primi cantieri: le due tangenziali di Varese e Como e i 22 km da Lomazzo a Cassano Magnago (il paese di Bossi) hanno assorbito tutto. E la sequela di errori non finisce qui: manca il cuore del progetto, il collegamento tra gli aeroporti di Malpensa e Orio al Serio, che avrebbe consentito di incassare il pedaggio nella tratta più trafficata e rimanere a galla.
Anche i prezzi non hanno aiutato: percorrere la A59 tra Villa Guardia e Acquanegra (alle porte di Como) costa 62 centesimi. Altri 1,01 euro per la tangenziale di Varese. Totale tra i due capoluogo 4,71 euro.
Per camion e autobus un conto al casello da 10 euro. Troppo per appena trentacinque chilometri. Sono prezzi superiori del 44 per cento rispetto alle stime iniziali che hanno disincentivato anche il traffico giornaliero: appena 31mila veicoli, invece dei 62 mila previsti.
Anche il sistema di pagamento “Free flow” si è rivelato un boomerang: niente caselli. Basta il telepass o l’applicazione per saldare il pedaggio. Peccato che il 25 per cento delle auto che sfrecciano non paghi. Addirittura 2 milioni gli svizzeri insolventi. E la scelta di inviare via posta gli avvisi di pagamento si è rivelata tragicomica: lo scorso gennaio sono stati trovati negli acquitrini di Albairate e Rosate, nell’hinterland milanese, 20 mila solleciti affidati ad una società di spedizioni palermitana.
E dire che il governatore Roberto Maroni da varesino doc voleva riuscire dove in tanti avevano fallito e finalmente collegare la sua città con Bergamo senza passare da Milano.
Tanto da non far pagare il pedaggio come «regalo in occasione di Expo 2015» ed evitare problemi alla circolazione nei sei mesi della manifestazione. Finita però la kermesse si è tornati alla normalità , con costi fuori controllo.
I pedaggi più alti del Paese hanno scatenato le proteste dei sindaci che dopo il danno di cantieri aperti per anni, si sono ritrovati anche con la beffa del traffico scaricato sulle strade locali.
La linea di Maroni rimane però quella dell’autostrada ad ogni costo, in previsione delle elezioni regionali della prossima primavera.
(da “La Stampa”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
DA OTTO MESI IL PIANO PER LE EMERGENZE ATTENDE L’OK DEL CONSIGLIO COMUNALE
Quasi 4mila lungo il Maggiore, oltre 500 lungo l’Ardenza. 
Il Comune di Livorno sapeva quante persone si trovavano in aree ad alta pericolosità idraulica, vicino al Rio Ardenza e al Rio Maggiore, i ruscelli diventati per una notte fiumi in piena e assassini.
Quei numeri sono contenuti in uno schema del piano della Protezione Civile. Si chiama, con eccesso di burocratese, Manuale delle procedure operative specifiche in fase di emergenza.
Il piano è stato elaborato per essere revisionato con un lavoro lungo un paio d’anni. Il precedente è del 2011 e aveva una durata stimata di 5 anni quindi si può considerare “scaduto“. Da allora molto è cambiato: alcune leggi, per esempio, poi i dispositivi della macchina dell’emergenza, gli standard della Regione, ma anche il clima: dal 1921 al 1994 la media della piovosità a Livorno è stata di 797 millimetri all’anno, che si è alzata a 920 negli ultimi 15 anni fino a sfondare in qualche annata anche quota mille.
La revisione del piano, tuttavia, si è fermata all’elaborazione e all’approvazione in giunta comunale, avvenuta a gennaio. Da allora non è mai passato al voto del consiglio comunale.
“Perchè non è mai stato calendarizzato” è la risposta dello staff del sindaco Filippo Nogarin che in giunta ha le deleghe alla Protezione Civile.
Il piano, all’epoca, è stato firmato da Leonardo Gonnelli, geologo per anni dirigente dell’ufficio Ambiente e alla guida della Protezione Civile livornese: dagli inizi di agosto è stato trasferito all’ufficio mobilità .
Da poco più di un mese il capo della Protezione civile è diventato Riccardo Pucciarelli, comandante della polizia municipale da 24 anni, anche se nei Comuni è il sindaco — soprattutto dopo l’approvazione di una nuova legge del 2012 — la figura che assume “la direzione dei servizi di emergenza che insistono sul territorio del Comune e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite”.
Il piano di protezione civile non è la ricetta che salva il mondo, soprattutto quando si tratta di un evento senza precedenti per potenza (i 230 millimetri d’acqua caduti in poche ore), accelerazione degli eventi e forza di devastazione.
Non lo è in una situazione per cui non esiste il rischio zero e l’unica via è la sua “mitigazione”, cioè il tentativo di ridurlo al minimo possibile.
Non lo è perchè anche ciò che ha funzionato alla perfezione secondo le regole dell’ingegneria — cioè le casse di espansione del rio Maggiore costruite una decina d’anni fa -, si è rivelato comunque non all’altezza.
Non lo è perchè un fiume interrato che esplode e riempie il piano terra di una villetta liberty non è uno scenario prevedibile.
Ma il piano resta lo strumento principale, unico, per organizzare e regolare la prevenzione dei rischi oltre al (o anche più del) coordinamento dei soccorsi.
Anche per questo, per la prima volta, il piano è stato realizzato con un percorso partecipato insieme alle associazioni di volontariato (Pubblica Assistenza, varie Misericordie, Croce Rossa) che hanno mezzi e uomini per intervenire sulle emergenze per maltempo, incendi, terremoti.
“Sarebbe un grave errore concettuale — diceva il Comune alla presentazione del piano — ammettere di poter trovare una risposta ad ogni sollecitazione in questo documento poichè l’imprevisto o meglio la situazione imprevedibile è parte integrante della Protezione Civile. Se c’è una cosa che ci ha insegnato il tempo e l’esperienza trascorsa in questo settore è che fenomeni quantomeno confrontabili, hanno dato luogo a scenari di evento profondamente diversi e distanti tra di loro, ciò a riprova che innumerevoli sono le variabili che compongono un’emergenza e che ciò che conta in questi frangenti sono le ‘sfumature’, dettagli che il sistema di protezione civile deve saper cogliere e possibilmente anticipare con la logica della migliore flessibilità possibile”.
Imprevisto, imprevedibile, variabili, sfumature, flessibilità .
Resta da capire se questo sistema flessibile è stato applicato anche nella cascata d’acqua che tre notti fa ha sconvolto Livorno.
Ilfatto.it ha chiesto al sindaco Filippo Nogarin se la Protezione Civile di Livorno poteva, sì, superare l’allerta arancione (non massimo, anche se elevato) diramato dalla Regione Toscana e decidere in autonomia di mettere in campo un’organizzazione per evacuare le persone in zone a rischio. Il sindaco ha risposto di non avere strumenti per valutare una situazione di pericolo crescente causata dai corsi d’acqua.
Esistono però vari documenti per i rischi eventuali anche perchè il 9 per cento del territorio di Livorno è a elevata pericolosità idraulica.
Il Manuale contenuto nel piano di protezione civile — elaborato a fine 2015 — mette nelle aree a rischio idraulico anche quelle ai lati del Rio Maggiore e Rio Ardenza. Le strade, innanzitutto.
Tra quelle caratterizzate da “criticità dovute ad esondazioni e tracimazioni” ci sono tutte quelle intorno a viale Nazario Sauro e vicine allo stadio, compresa via Rodocanacchi, dove vivevano Roberto, Simone e Filippo Ramacciotti e Glenda Garzelli. Lo stesso vale per le strade di Collinaia ai lati dell’Ardenza e dei suoi affluenti, comprese via Sant’Alò, via Garzelli e via delle Fontanelle, dove abitavano le altre 4 vittime del disastro (Martina Bechini, Roberto Vestuti, Raimondo Frattali, Gianfranco Tampucci). Ma il piano va nel dettaglio fino a prevedere una tabella con il numero di abitanti nelle aree a rischio idraulico “elevato” o “molto elevato”.
Lungo il rio Maggiore, per esempio, sono 3936 divise in 311 abitazioni: 3927 in zone a pericolosità idraulica elevata e altri 9 in zone a pericolosità idraulica molto elevata. Lungo il rio Ardenza, invece le persone che abitano in zone altamente sensibili sono 543 divise in 100 residenze esposte al rischio: 417 vivono in zone a rischio elevato, altre 126 a rischio “molto elevato”.
Di tutte queste persone il Comune ha un’anagrafe, numeri di telefono, fissi e cellulari. Ma l’altra notte non è partito nessun avvertimento. “Lo abbiamo fatto — ha detto Nogarin — con l’applicazione”, cioè la app che un cittadino deve scaricare volontariamente dagli store per smartphone e che parla a tutti i cittadini e non ad alcune zone mirate.
Non è partito neanche il cosiddetto “Alert System“, un sistema che il Comune aveva presentato a fine 2014 spiegando che da quel momento sarebbe stato “in grado di comunicare in completa autonomia ed in totale sicurezza 24 ore su 24 effettuando telefonate sia a telefoni fissi che mobili”.
Si trattava, si legge in un comunicato stampa dell’epoca, di un sistema capace di effettuare 200mila telefonate ogni ora (gli abitanti dell’interno Comune di Livorno sono meno di 170mila).
“Al momento — spiegava la nota — sono già fruibili oltre 20mila numeri fissi di utenti iscritti agli elenchi di vari operatori”. Il sistema di allertamento telefonico — che è già partito da quasi 3 anni — era una delle novità presentate nel piano di protezione civile. “L’informazione alla popolazione è stata programmata, pianificata e strutturata” si leggeva sempre tra i comunicati del Comune e “deve essere articolata e organizzata per specifici e diversificati target della popolazione”. Infine le associazioni di volontariato — che di solito si muovono insieme alle strutture del Comune durante le emergenze — sostengono di non essere state coinvolte dalla Protezione civile comunale nè coordinate in un sistema organico almeno fino al mattino della domenica, dopo la piena.
Tutto d’altra parte gira all’approccio della macchina della Protezione Civile prima e durante il temporale.
Da una parte il sindaco dice che non ha strumenti per monitorare l’effetto che il maltempo provoca sui corsi d’acqua pericolosi che scorrono nel proprio Comune. Dall’altra il codice arancione della scala di allerta della Regione Toscana — il secondo livello su quattro — non ha fatto sì che scattassero alcune misure. Il sindaco, parlando con il Tg2, ha ribadito la sua difesa: “Era l’ennesimo allerta di questo genere e già 8 giorni prima era successo, come tante altre volte, che non venisse giù nemmeno una goccia”.
Quindi questa volta ha deciso di non applicare ciò che è previsto dal piano in caso di scenario da “codice arancio” nel quale sono previsti “fenomeni più intensi del normale, pericolosi sia per l’incolumità delle persone sia per i beni e le attività ordinarie”.
Cosa bisogna fare in quel caso?
Il piano elenca: la presenza del tecnico reperibile in sala operativa comunale, il personale in assetto di protezione civile, attivazione del Centro Situazioni (che garantisce la reperibilità H24 e gestisce monitoraggio, ricezione e verifica delle segnalazioni), comunicati stampa, invio di messaggi alle funzioni di supporto (cioè i vari segmenti della Protezione civile: dal censimento all’assistenza sociale), dirigenti dei dipartimenti, associazioni di volontariato, centrale della polizia municipale, aziende di servizio rifiuti, gas, acqua.
“Sentito il sindaco — conclude il piano — verrà attivato il sistema di allertamento telefonico alla popolazione”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
“NON REGGIAMO IL MOCCOLO A RENZI E A ALFANO, D’ORA IN POI NOSTRI VOTI NON SCONTATI”
Dopo la burrascosa convivenza nel Pd renziano e la separazione, lo strascico di critiche e insulti continui.
Come una storia d’amore che fatica a chiudersi, il rapporto tra Partito Democratico e gli “scissionisti” che hanno seguito Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza non trova pace sul piano nazionale, non ne trova a maggior ragione su quello locale.
La misura è colma per gli esponenti di Articolo 1 in Emilia Romagna: troppo spesso presi di mira da diversi graduati e amministratori Pd durante le Feste dell’Unità , dove i fischi scattano automaticamente ogni volta che vengono pronunciati i nomi di D’Alema&Co., Mdp minaccia di lasciare le amministrazioni dell’Emilia-Romagna in cui governa al fianco dei democratici.
Gli ultimi attacchi sono arrivati dal segretario regionale Paolo Calvano al sindaco di Bologna Virginio Merola.
“Vorremmo ricordare che Articolo Uno in Emilia-Romagna- si legge in una nota del coordinamento regionale di Art.1 – è presente con lealtà e responsabilità in diverse giunte di centrosinistra a cui stiamo continuando a dare il nostro contributo in ragione della fedeltà a programmi di mandato a cui abbiamo lavorato e che abbiamo sostenuto in campagna elettorale”.
Ebbene, prosegue la nota, “non siamo disposti, dal momento in cui esercitiamo convintamente correttezza verso i nostri sindaci e amministratori, a sopportare all’infinito attacchi che inevitabilmente rischiano di avere ripercussioni anche in quelle realtà “.
Lo scontro si sposta anche sul terreno nazionale, con Mdp che avverte il Governo, dicendo che dopo lo stop al Senato della legge sullo ius soli e il molto probabile stop alla Camera sulla riforma della legge elettorale, il Movimento non garantisce più il sostegno su Def e legge di Bilancio. Alfredo D’Attorre spiega che “abbiamo dato al Governo e al Pd la nostra disponibilità a una conclusione ordinata e proficua della legislatura sui temi principali, ma i fatti ci dicono che ieri il Pd ha affossato lo ius soli al Senato e oggi rischia di affossare definitivamente la legge elettorale alla Camera. Se questi sono i frutti avvelenati del rinnovato fidanzamento tra Renzi e Alfano, nessuno può pensare che noi staremo lì a reggere il moccolo gratis et amore Deo”, spiega.
Per le prossime scadenze, legge di Bilancio in testa, per Mdp varrà dunque “il ‘liberi tutti’, non saremo corresponsabili di una conclusione insensata della legislatura”
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
“GUARDATI LE SPALLE, TORNA NELLE FOGNE”: LA DEMOCRAZIA DIRETTA SI MANIFESTA COME SEMPRE
Ieri il tribunale di Palermo ha sospeso le Regionarie M5S accogliendo il ricorso di Mauro Giulivi.
Oggi lo stesso Giulivi su Facebook denuncia le minacce di morte che ha ricevuto:
Si è passati da una storia che poteva risolversi con una telefonata alle minacce di morte! E’ veramente triste leggere così tanto odio, così tanta disinformazione, così tanta ignoranza. Il tutto per cosa? Perchè un comune cittadino cerca di far valere un proprio diritto?
“Ti aspettiamo a Rimini”, “Torna nelle fogne”, “Guardati le spalle”
Sputare odio senza conoscere i fatti, senza conoscere le persone, senza conoscere la legge. A questo profondo odio si contrappone l’amore e il rispetto dei tanti che privatamente mi stanno dando il loro sostegno dimostrando onestà intellettuale e rispetto per me e la mia famiglia. Ringrazio i “Grazie”, i “Non mollare”, i “Se hai bisogno di qualcosa chiamami”. Dare il giusto peso alle cose, è questo il “segreto”. Spegnete per un attimo il router, tornate alla vita offline.
Anche nello status pubblico di ieri, quando si è diffusa la notizia dell’accoglimento del ricorso da parte del giudice, i commenti nei confronti di Giulivi non erano tenerissimi.
La maggior parte dei commentatori è rimasta scandalizzata dal fatto che Giulivi abbia portato in tribunale il MoVimento 5 Stelle (cosa nota da mesi, tra l’altro) e per nulla stupita invece del fatto che il tribunale abbia riconosciuto che i diritti di Giulivi siano stati violati dal M5S.
Anzi, in molti lo hanno accusato di arrivismo politico e di essere un cercatore di poltrone perchè ha cercato di candidarsi nel M5S, mentre coloro che oggi sono candidati nel M5S appaiono invece evidentemente come dei benefattori dell’umanità . Sic transit gloria mundi.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 13th, 2017 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE AL MUNICIPIO XI DI ROMA MIRKO MARSELLA E’ PASSATO A MDP
Mirko Marsella ha lasciato il MoVimento 5 Stelle romano : il consigliere e presidente della Commissione Lavori Pubblici e Ambiente dell’XI Municipio è passato ad Articolo 1 — MDP, con tanto di saluti da parte del Meetup Arvalia 5 Stelle.
Oggi lo stesso consigliere posta su Facebook uno dei circa settanta messaggi che gli sono arrivati dopo l’annuncio, e fa sapere di aver denunciato sei persone:
Oggi è ancora il momento del silenzio. Anche se è veramente difficile farlo. Davanti a certi post rimango senza parole… senza respiro……forse! Ma state tranquilli godo di ottima salute. A te che mi hai mandato questo messaggio auguro invece tanta salute e una vita felice.
Salgono a 6 le persone denunciate stamattina… per questa stanno rintracciando l’indirizzo Ip.
Manuela Simoneschi, capogruppo M5S all’XI, si è pubblicamente dissociata dagli insulti ricevuti da Marsella: “Come capogruppo del M5S, e come detto a Mirko Marsella, non condivido la sua scelta e trovo scorretto passare al gruppo misto piuttosto che dimettersi, ma augurare la morte ad una persona è quanto di più squallido possa accadere. Se questo messaggio arriva da un “grillino” credo che questo/a essere merita di essere sbattuto fuori perchè tutto rispecchia tranne il movimento”.
(da “NextQuotidiano”)
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