Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
MARONI RINGRAZIA LA PROCURA, NON SONO PIU’ TOGHE ROSSE… ORA BASTA UNA FIDEIUSSIONE PER il 5 % DELLA TRUFFA CONTESTATA
«Abbiamo esaminato gli aspetti di questo provvedimento. Adesso valuteranno loro cosa fare, se il
ricorso al riesame o chiedere altre cose».
Lo ha detto il procuratore capo di Genova Franco Cozzi dopo un incontro, stamani, con i legali della Lega Nord dopo il sequestro delle somme dai conti correnti del partito. Il ricorso non è stato ancora formalmente presentato dalla Lega.
«La strada maestra – ha detto Cozzi – è quella della eventuale prestazione di garanzie: per esempio una fideiussione o con un immobile e così potrebbero ottenere lo svincolo delle somme».
«Questo dimostra la nostra piena consapevolezza della funzione essenziale che svolge un partito politico che si muove nell’ambito costituzionale e che deve poter svolgere la propria attività », ha aggiunto Cozzi.
Un incontro durato circa mezz’ora anche con i pm del pool reati contro la pubblica amministrazione. «È cancellato ogni risvolto politico – ha concluso il capo dei pm genovesi – l’incontro è andato tutto quanto sul piano estremamente tecnico».
Al momento le somme sequestrate ammontano a 1 milione e 800 mila euro. A operazioni completate, stanti le attuali disponibilità del partito, non si supereranno i 2 milioni e mezzo, a fronte dei 48 milioni e 900 mila euro che fanno parte dell’ordinanza di sequestro cautelare del Tribunale di Genova, in conseguenza delle condanne per truffa dell’ex segretario federale Umberto Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito.
Maroni: «Non è stata una decisione politica».
«Ho letto e ho colto con favore le dichiarazioni rilasciate dal procuratore di Genova, quando dice “Incontriamoci e troviamo una soluzione”: vuol dire che non è stata una decisione politica per ammazzare la Lega».
Così Roberto Maroni è tornato sul provvedimento con cui il Tribunale di Genova ha disposto il blocco dei correnti della Lega: «Oggi in procura a Genova spero che si trovi una soluzione».
In un’intervista al Corriere della sera, il procuratore capo di Genova, Franco Cozzi, aveva detto: «Il mio è un invito al confronto, perchè l’attività di un partito politico è un problema di rilevanza costituzionale: il mio auspicio è che si trovino delle soluzioni in un’ottica di confronto processuale».
Cozzi aveva ribadito anche quanto dichiarato nei giorni scorsi al Secolo XIX: «La Lega avrebbe potuto costituirsi parte civile nel processo a Bossi e Belsito e non l’ha fatto. Scelta legittima. Può però ora, in questa fase di processo differito, avanzare le proprie ragioni per tutelare l’attività del partito», aveva aggiunto. Oltre al ricorso, «può chiedere di poter far fronte alle esigenze primarie come pagare gli stipendi e affrontare le spese indispensabili».
Il blocco dei conti, aveva assicurato, «era obbligatorio. Una sentenza delle sezioni unite della Cassazione, il caso Gubert, stabilisce che il sequestro dei beni in caso di truffa ai danni dello Stato debba essere applicato a chi ha tratto beneficio dal reato. Al di là della posizione degli imputati questo profitto illegittimo è andato al partito».
«Il fatto è che la sentenza della Cassazione – aveva poi aggiunto – non ha considerato gli effetti che la confisca diretta dei beni può avere sull’ente pubblico. Colpire i beni finanziari in questo modo può provocare il collasso del soggetto e non è ciò che si vuole».
I partiti quindi non sono comuni cittadini, se truffano 48 milioni l’importante non è farglieli restituire, ma permettere che continuino a spenderli.
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
I SEQUESTRI SI FERMERANNO AD APPENA 2 MILIONI, NON VERRANNO TOCCATI GLI IMMOBILI E NEANCHE LE FUTURE ENTRATE… SOLI AI CITTADINI NORMALI PER UN DEBITO VIENE PIGNORATO IL QUINTO DELLO STIPENDIO
Basta urlare con arroganza all’attentato alla democrazia, alle toghe rosse, al “vogliono farci fuori” e, a differenza del cittadino comune che, se ha un debito verso lo Stato, verrà perseguitato per tutta la vita fino all’ultimo euro, si riesce a scapolare a un sequestro preventivo limitandolo al 5% dei soldi rubati.
E’ questa la prospettiva che si sta facendo strada a Genova, dopo il sequestro dei conti della Lega per un importo di corca 48 milioni, a seguito della condanna di Belsito e Bossi per truffa e della costituzione di parte civile del Parlamento.
Vi aggiorniamo sulle novità .
Fra gli inquirenti finiti nell’uragano mediatico in queste ore sta infatti prevalendo la linea “morbida”.
Ovvero: si congela ciò che era depositato al giorno in cui è stato ordinato il blocco (le operazioni saranno completate nelle prossime ore e non si supereranno i 2,5 milioni) e stop, senza innescare un’emorragia perenne fino a raggiungere quota 49 milioni.
Il denaro che entrerà dalle prossime settimane sui conti del Carroccio, resterà insomma fruibile dal partito.
Alla faccia dei creditori che così non saranno tutelati oltre questa cifra.
Non è un dettaglio da poco, e non è detto che ne abbiano chiara percezione in particolare tutti i vertici politici del movimento, perciò occorre fissare qualche paletto. Senza addentrarsi in poco digeribili tecnicismi, si può precisare che la decisione dei giorni scorsi, presa dopo la condanna a Umberto Bossi e Francesco Belsito per la maxi-truffa al Parlamento (decine di milioni di euro ottenute per fare tutt’altro fra 2008 e 2010) non contempla il congelamento di beni immobili, ma soltanto di liquidità .
Il che è perlomeno singolare: se un privato cittadino deve 48 milioni si vedrebbe pignorato non solo le somme in denaro, ma anche le proprietà immobiliari, ma evidentemente la legge non è uguale per tutti.
Il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza genovese, che materialmente sta eseguendo il dispositivo, deve insomma esplorare tutte le ramificazioni locali della tesoreria leghista solo alla ricerca di denaro.
Solo in teoria per racimolare in toto i 48 milioni che, agli occhi di chi ha sanzionato il Senatùr e il suo ex cassiere, furono ottenuti indebitamente.
Ma le notizie confermate al Secolo XIX dicono che si resterà ben lontani dall’obiettivo pieno: dopo aver passato al setaccio il 70% dei conti correnti, le Fiamme gialle hanno messo insieme poco più di due milioni di euro.
E la più ottimistica delle proiezioni permette d’ipotizzare al più un altro mezzo milione nel carniere dello Stato.
Domanda: cosa succede con i soldi che potrebbero entrare dopo?
Si materializzerà un prelevamento continuo fino al tetto dei 49 milioni, il principale incubo di Matteo Salvini e dei suoi maggiorenti?
No, sebbene sulle prime i magistrati ci avessero pure pensato.
Succederà insomma che, dopo aver sequestrato ciò che era delle disponibilità della Lega Nord quand’è stato ratificato il sequestro, ci si fermerà .
Quasi come accade a un comune mortale che, in caso di debito verso lo Stato, si vede bloccare un quinto dello stipendio per tutta la vita.
Ieri in tribunale sono stati sentiti l’assessore allo Sviluppo della Regione Edoardo Rixi e il presidente del consiglio Francesco Bruzzone, entrambi big del Carroccio in Liguria imputati per le “spese pazze” nella precedente legislatura.
Tanto per restare in tema di truffe…
(da “Il Secolo XIX”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
CON “FINTE COALIZIONI” E SENZA INDICARE PREMIER… PENALIZZEREBBE IL M5S, MA BERLUSCONI NON HA FRETTA
La “mossa” consiste nel tentare un accordo sulla legge elettorale che qualche mese fa fu messa da
parte nella generale indignazione. Per passare al mitico “modello tedesco”. È la legge pensata da Denis Verdini, anche se nella nuova versione è parzialmente corretta, in peggio, nel senso che aumenta il numero dei “nominati”. Corretta e, ovviamente, ribattezzata come Rosatellum, o Rosatellum bis, dal nome del capogruppo alla Camera del Pd.
Qualche sera fa, partecipando alla festa del proprietario di cliniche ed editore di Libero Antonio Angelucci, proprio Verdini spiegava che il tentativo è serio: “Se Silvio capisce che con questa legge prende gli stessi seggi che prende col proporzionale e anche qualcuno di più, ci sta. Va convinto”. L’altro corno del suo ragionamento, riferiscono diversi presenti, è questo: “La legge è perfetta per fottere i cinque Stelle”.
Ecco la proposta del Pd che giovedì sarà presentata in commissione Affari costituzionali e, al momento, ha entusiasmato solo la Lega.
E attorno alla quale è in atto un forte pressing su Silvio Berlusconi.
La maggioranza dei parlamentari, il 65 per cento, viene eletta con un sistema proporzionale, senza preferenze.
Il 35 in collegi uninominali dove passa chi arriva primo.
Unica scheda elettorale, niente voto disgiunto. Per gli amanti del genere, la prima proposta di Verdini era 50 e 50. I più smaliziati l’hanno già ribattezzato “imbrogliellum”, che nulla ha a che fare con la legge scritta dall’attuale capo dello Stato all’inizio degli anni Novanta, molto citata in questi giorni, che era maggioritaria vera.
Vediamo perchè.
Punto primo: il grosso dei parlamentari viene nominato col proporzionale (e il numero è stato aumentato proprio per provare a convincere Berlusconi).
Punto secondo: il maggioritario c’è come strumento per arraffare voti, ma non come logica politica.
Nel senso che la legge su cui è in corso la trattativa non prevede, e non è un dettaglio, l’obbligo di un programma comune, l’indicazione di un candidato premier.
Addirittura, si prevedono alleanze a geometria variabile.
In modo che magari a Milano ci si allea con Pisapia e a Palermo con Alfano.
Punto terzo: non c’è la possibilità del doppio voto, il cosiddetto disgiunto.
Il che significa (a differenza della legge scritta diversi lustri fa da Mattarella) che c’è un voto unico che si trasferisce dal candidato nel collegio alla lista che lo sostiene: un incentivo potente al voto utile.
Le tre cose creano un meccanismo evidentemente penalizzante per i cinque Stelle. In sostanza, è stato detto a Berlusconi, attraverso i suoi ambasciatori: “Col proporzionale ti nomini il gruppo. Poi è evidente che i 300 collegi del maggioritario ce li spartiamo tra centrodestra e centrosinistra. Il centrodestra si prende il nord, il centrosinistra il centro. E al sud ce la si gioca”.
Insomma, detta in modo semplice, la quota maggioritaria diventa una sorta di premio di lista da spartirsi tra i partiti maggiori, penalizzando quello che ha meno radicamento sul territorio.
Prosegue Verdini, tra una tartina e uno champagne: “Silvio non si vuole sedere al tavolo con la Lega, ma con questo sistema evita il listone. E, non essendo una coalizione vera, una volta che ha eletto i parlamentari apre alle larghe intese. Bisogna solo convincerlo, numeri alla mano, che non perde un seggio rispetto a quelli che incasserebbe con l’attuale.
Il Cavaliere però, al momento non è convinto perchè non ha capito quali sono le reali intenzioni di Renzi: se il segretario del Pd fa sul serio, se vuole invece dimostrare che questo parlamento non è in grado di fare nulla perchè non è affatto detto che ci siano i numeri, nel voto segreto.
Pressato dal blocco del Nord che sogna di fare il pieno come ai bei tempi e la rivolta dei parlamentari del Sud, non ha alcuna fretta di chiudere.
Anche perchè non ha alcuna fretta di andare al voto dopo la legge di stabilità visto che in primavera si giocherà la partita della riabilitazione: “Chi l’ha detto — dicono ad Arcore — che si va a votare il 4 marzo come va dicendo Renzi? C’è tempo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
NEL 2011 LA LEGA AL GOVERNO FECE QUELLO CHE ADESSO CONTESTA… E REGOLARIZZO’ 200.000 IMMIGRATI
In questo intervento in Parlamento del 30 marzo 2011 il ministro Maroni spiega il funzionamento della distribuzione dei profughi provenienti dai Paesi del nord Africa. All’epoca Maroni aveva proposto alle Regioni un piano per la distribuzione equa dei rifugiati con un criterio molto semplice: ossia in base al numero degli abitanti.
Signor Presidente, la drammatica crisi che ha sconvolto i Paesi del nord Africa sinora ha spinto sulle coste italiane, in poco più di due mesi, oltre 22 mila cittadini extracomunitari contro i soli 25 dello stesso periodo dello scorso anno. È un fenomeno di straordinarie proporzioni, un’emergenza umanitaria, sia per la quantità degli arrivi, che per l’intensità con cui si sono susseguiti. Basti considerare che, lo scorso anno, i dati che ho citato,riferiti ai primi tre mesi, dicono, appunto, di un numero esiguo rispetto al fenomeno che si sta oggiverificando.
Un fenomeno che il Governo ha compreso dall’insorgere della crisi del Maghreb tanto da dichiarare immediatamente lo stato di emergenza umanitaria sul territorio nazionale. Questa decisione ci ha consentito, con la nomina del prefetto Caruso a commissario del Governo, di pianificare da subito una serie di interventi per garantire, non solo l’accoglienza degli immigrati, in maggior parte clandestini, ma anche la sicurezza dei cittadini italiani.
L’unità di crisi del Viminale,che segue l’emergenza umanitaria ventiquattrore su ventiquattro, ha messo a punto nei giorni scorsi quel piano di completa evacuazione degli immigrati da Lampedusa che, oggi, il Presidente delConsiglio ha illustrato proprio a Lampedusa.
Dall’inizio della crisi sono già stati trasferiti da Lampedusa, nei centri del Ministero dell’interno, oltre 13 mila immigrati.
A tutti è stata assicurata assistenza umanitaria e sanitaria, oltre che la possibilità di richiedere la protezione internazionale.
Per quanto riguarda il coinvolgimento delle regioni, tra poco incontrerò i rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni.
Ho proposto loro un piano per la distribuzione equa, in tutte le regioni, con la sola esclusione dell’Abruzzo per i soliti motivi, dei rifugiati, con un criterio molto semplice, ossia in base al numero degli abitanti, alla popolazione.
Sentirò oggi le regioni e mi auguro che vi sia quella solidarietà di tutte le regioni che è stata invocata, da ultimo, dal Presidente della Repubblica.
Magari Salvini vi potrà dire che quella era un’altra Lega, con altri dirigenti (curioso visto che Maroni è Presidente di Regione per la Lega Nord), allora voi raccontategli di quando il governo di centro-destra del quale faceva parte la Lega Nord regolarizzò 200 mila immigrati.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
IL PREFETTO DI MILANO LE HA BLOCCATE TUTTE, LO SHOW PER I GONZI E’ FINITO… QUANDO ERA MARONI A VOLERE L’ACCOGLIENZA DIFFUSA LA LEGA DICEVA SI’
A inizio settembre i sindaci leghisti di Cologno Monzese, Senago, Inzago, Opera e Trezzo sull’Adda
hanno siglato un’ordinanza che impone ai privati che intendono accogliere le richieste della Prefettura per l’accoglienza dei richiedenti asilo di comunicarlo tempestivamente agli uffici comunali, pena il pagamento di un’ammenda fino a cinquemila euro.
I sindaci della Lega, fortemente contrari ai programmi di accoglienza diffusa, si sono giustificati spiegando che l’obiettivo è quello di sapere chi entra nel territorio comunale in modo da garantire la sicurezza. Perchè si sa che i richiedenti asilo sono tutti potenziali criminali
L’ordinanza fa parte della strategia della Lega Nord di rifiutare ed impedire in qualsiasi modo l’accoglienza di profughi e rifugiati che così dovranno essere ospitati in numero maggiore dai comuni “accoglienti” creando prevedibili tensioni.
Perchè infatti un comune dovrebbe accogliere centinaia di richiedenti asilo mentre quelli limitrofi zero?
Se tutti i comuni italiani si facessero carico in maniera equa dei doveri d’accoglienza la situazione sarebbe probabilmente meno drammatica.
Ma come abbiamo visto in passato è più facile fare le barricate che aprire le porte a qualche decina di stranieri.
Ieri li prefetto di Milano, Luciana Lamorgese, ha di fatto cancellato le ordinanze dei cosiddetti “sindaci ribelli” che presentano secondo Lamorgese «diversi profili di dubbia legittimità , anche costituzionale».
Il prefetto ha ricordato ai primi cittadini che l’immigrazione è una materia di competenza statale sulla quale i sindaci non possono intervenire con specifiche ordinanze.
Senza contare — prosegue Lamorgese — che allo stato attuale dei fatti non si ravvisano i presupposti di urgenza e di pericolo per l’ordine pubblico tali da giustificare l’ordinanza. Senza contare che non c’è un nesso specifico tra l’arrivo di richiedenti asilo e l’aumento del tasso di criminalità locale.
L’ordinanza quindi «non risulta conforme alle disposizioni normative vigenti» anche perchè l’obbligo di comunicare la messa in disponibilità delle strutture violerebbe il principio di segretezza dei bandi pubblici.
Che nel milanese la questione dell’accoglienza sia uno dei temi su cui la Lega fa campagna elettorale lo dimostrano anche le tensioni e le minacce del maggio scorso contro due sindache del PD “colpevoli” di aver siglato il patto con la Prefettura che prevede l’arrivo di 2 migranti ogni mille abitanti. L’intesa era stata sottoscritta da 76 comuni dell’area metropolitana su 104.
Quando la Lega Nord imponeva l’accoglienza dei rifugiati alle Regioni
I numeri parlano chiaro: dei 95 mila migranti arrivati in Italia tra gennaio e giugno di quest’anno 12 mila sono arrivati in Lombardia.
Di questi 7.774 sono stati accolti nell’area della Città Metropolitana di Milano (gli abitanti dell’ex Provincia di Milano sono complessivamente 3,2 milioni) mentre poco più di mille sono stati accolti nel territorio dei 28 comuni dell’Adda Martesana da dove proviene la maggior parte dei sindaci ribelli.
Una “zona omogenea” dove abitano oltre trecentomila persone. Le cifre mostrano insomma che non si può assolutamente parlare di invasione e l’accoglienza diffusa è la soluzione migliore per non sovraccaricare alcuni comuni rispetto ad altri.
Ma nella Lega non ci stanno e c’è chi nella Lega parla della decisione del prefetto di bloccare le ordinanze dei sindaci leghisti come dell’ennesimo tentativo di calpestare la volontà dei cittadini.
Ad esempio il consigliere regionale Claudio Borghi si chiede provocatoriamente “cosa votiamo il sindaco a fare” se poi decide tutto il prefetto, ovvero il Ministro, ovvero in ultima istanza l’Europa?
Ebbene a certi leghisti indignati farà piacere scoprire che in un’analoga situazione l’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni — che attualmente è Presidente di Regione Lombardia — agiva allo stesso modo.
Ma ne parliamo in un altro articolo.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
QUESTA E’ VERAMENTE UN PERICOLO PUBBLICO: PRIMA NEGA, POI COLTA SUL FATTO FA MANDARE LA RICHIESTA QUESTO POMERIGGIO ALLE 16,36, MA IL BANDO E’ SCADUTO 4 GIORNI FA
A Roma scatta il caso telecamere di videosorveglianza.
In mattinata la sindaca Virginia Raggi commentando gli ultimi casi di violenze sessuali a Roma va all’attacco: «Il governo intervenga subito anche con leggi speciali. Qui a Roma stiamo potenziando il nostro sistema di videosorveglianza con più telecamere: sono un deterrente. Servono più forze dell’ordine per presidiare capillarmente il territorio e in particolare le periferie».
Il riferimento alle telecamere di videosorveglianza fa scoppiare un putiferio.
Il Partito Democratico va subito all’attacco: “A quanto ci risulta il Campidoglio non ha partecipato al bando regionale sulla video-sorveglianza (2 milioni di euro) scaduto l’15 settembre ultimo scorso. A differenza di Roma hanno invece partecipato 254 comuni del Lazio e 12 municipi della capitale. Oggi la sindaca Raggi si affretta a chiedere più telecamere ma ha gravemente sottovaluto e trascurato la possibilità di potenziare la sicurezza cittadina attraverso i fondi messi a disposizione dalla Regione Lazio. Sull’argomento presenteremo nelle prossime ore una interrogazione urgente”, dice la capogruppo del PD capitolino Michela Di Biase.
Interviene anche Zingaretti. Tra le azioni messe in campo dalla Regione Lazio a contrasto della violenza sulle donne, c’è il bando da 1,9 milioni di euro per finanziare progetti di investimento per l’acquisto e l’installazione di videosorveglianza degli spazi pubblici, fa sapere via della Pisana
Il presidente nel corso di una conferenza stampa, spiega che “hanno partecipato al bando 254 Comuni e ci sono progetti da 12 Municipi della Capitale”. Assente il Comune di Roma. “È vero, è così” ha risposto a chi gli chiedeva conferma della mancata partecipazione del Campidoglio.
Chi ha dimenticato di partecipare alla gara?
A quel punto il Campidoglio scende in campo. Roma Capitale ha partecipato al bando regionale per la videosorveglianza, fa sapere il Comune per smentire la Regione. Nella sua nota il Campidoglio sottolinea con l’assessore alle Infrastrutture di Roma Capitale, Margherita Gatta, che l’amministrazione capitolina “ha dato seguito tempestivo alla pubblicazione del bando regionale per la videosorveglianza, partecipando con un progetto presentato dal Dipartimento Infrastrutture.
Lo stesso Dipartimento si è incaricato di informare i Municipi di Roma Capitale affinchè — come è effettivamente avvenuto — presentassero i rispettivi progetti per la richiesta dei finanziamenti in oggetto”.
Il Campidoglio quindi spiega di aver partecipato al bando della Regione Lazio con un progetto del Simu, il dipartimento Sviluppo Infrastrutture e Manutenzione Urbana.
Ma si sa, tanto va la Gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
E la Regione Lazio risponde: “In merito al Bando sulla Videosorveglianza la Regione Lazio non ha alcuna volontà di fare polemica ma semplicemente di ristabilire la verità dei fatti — si legge in un comunicato -. Quindi, in riferimento alla nota del Comune di Roma si ribadisce come sul Bando sulla Videosorveglianza nessun progetto dell’Amministrazione comunale nè di suoi Dipartimenti sia mai stato presentato e formalizzato alla Regione Lazio“.
E poi arriva la bomba: “L’unica nota ufficiale giunta a questa amministrazione — prosegue la nota — è una lettera della Sindaca di Roma Virginia Raggi del 13 settembre che delega il Dipartimento Simu (Sviluppo, Infrastrutture e Manutenzione Urbana) del Campidoglio a presentare progetti nel bando. Tali progetti non sono mai stati presentati lasciando così la missiva della Sindaca di Roma “lettera morta”. A meno che il Comune di Roma non voglia considerare la Pec con un progetto inviato oggi dal Simu alle ore 16,36, quindi due ore dopo la conferenza stampa indetta in data odierna in Regione e pochi minuti dopo la nota di precisazione del Campidoglio. Si ricorda che il Bando è scaduto venerdì 15 settembre alle ore 14″.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
DA “TOGLIEREMO I PRIVILEGI ALLA CHIESA” A BACIAPILE: FATTA LA FESTA, GABBATO LO LAICO… IL MIRACOLO DI SAN GENNARO E’ STATO VEDERE DI MAIO IN CHIESA (PER INTERESSE)
Questa mattina si è ripetuto il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro. Luigi Di
Maio, che vuole essere assolutamente sicuro di vincere le barzellettarie del MoVimento 5 Stelle, si è presentato questa mattina di buon ora al Duomo di Napoli per assistere alla cerimonia e baciare l’ampolla con la reliquia del Santo.
Se Silvio Berlusconi amava definirsi l’unto del Signore Di Maio è più umile: si accontenta del miracolo di San Gennaro.
Il Vicepresidente della Camera ha fatto il suo ingresso trionfale nella cattedrale partenopea tra due ali di folla festante che gli mandava baci, lo abbracciava e gridava parole di incoraggiamento per l’importante sfida della candidatura a premier e Capo Politico del M5S.
Su Facebook Di Maio ha parlato di aver provato una grande emozione ad essere lì durante il miracolo: «soprattutto per l’affetto ricevuto da tutte le persone presenti che credono in noi e ci spronano ad andare avanti».
Sommessamente facciamo notare che le persone presenti probabilmente credono più in San Gennaro che nel M5S, ma quando si è sull’orlo di una votazione così importante per la propria carriera e per il futuro del M5S a volte si perde un po’ il senso della misura.
Le uniche parole pronunciate pubblicamente da Di Maio sono state: «È la prima volta che vengo qui, è un gesto di fede».
Nemmeno durante la tanto vituperata Prima Repubblica gli italiani sono stati costretti a vedere una scena del genere.
Ma si sa, il M5S è cambiato ed è stato Grillo — e non Di Maio — ad iniziare l’avvicinamento con la Chiesa Cattolica
Ci si aspetterebbe che un candidato che punta alla leadership del suo partito e alla Presidenza del Consiglio trascorra il tempo cercando di spiegare agli attivisti e agli elettori la sua visione politica.
Di Di Maio sappiamo solo che è “postideologico” e che il programma della sua piattaforma gliel’ha scritto qualcun altro.
Lui è lì solo per metterci la faccia. Gli altri candidati li conoscerà , se tutto va bene, sul palco di Rimini dove saranno lì ad applaudirlo mentre terrà il suo primo discorso ufficiale da candidato premier per il MoVimento.
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO DELL’APERTURA DI UNA SEDE DI “LEALTA’ E AZIONE” IN LOCALI AFFITTATI DA UN ENTE RELIGIOSO, UN INDIRIZZO NON DICHIARATO E ORA FINISCE IN FARSA
Il mistero di un movimento neonazista – La Superba, emanazione locale di Lealtà -Azione – che annuncia trionfalmente l’apertura della prima sede a Genova, ma senza rivelare dove.
Una coppia di artisti-dissidenti, “genovesi in fuga” – l’attore trapiantato a Milano Enrico Pittaluga e l’illustratore emigrato in Canada Niccolò Masini – che riempie in 24 ore 250 cassette postali tra via Serra e via Assarotti.
Un’iniziativa nata per «risvegliare le coscienze» e «mettere in guardia i vicini» dal prossimo arrivo di un’associazione «violenta e xenofoba».
È proprio questa centralissima fetta di città , fino a quel momento «placidamente disinteressata», la candidata a ospitare il movimento di estrema destra.
Ma come si è arrivati a questo?
Ad avvicinarsi alla risoluzione del giallo è alla fine un consigliere municipale, Lorenzo Romanengo del municipio Centro-Est.
Mobilitato dagli amici attivisti (Pittaluga-Masini), che domenica hanno distribuito volantini anche fuori dalle chiese e della sinagoga, Romanengo scopre che a ospitare i naziskin è una fondazione religiosa , che normalmente si occupa di immigrati, progetti sociali e formazione dei giovani: la Fondazione padre Assarotti.
E qui arriva la ciliegina sulla torta: gli ultimi a saperlo, assicurano non senza qualche imbarazzo, erano proprio loro.
«Mi è stato riferito che gli emissari di “La Superba” si sono presentati come un’associazione caritatevole – spiega Romanengo – e, a quanto mi è stato riferito, il presidente della Fondazione non ha ricollegato il loro nome a queste posizioni finchè le prime indiscrezioni sono uscite sui giornali».
Insomma, i padri Scolopi (che ieri Il Secolo XIX ha provato a contattare senza successo), adesso vorrebbero tornare indietro.
Del caso è stato interessato anche don Nicolò Anselmi, vescovo ausiliare di Genova. «È rimasto molto sorpreso, non ne sapeva nulla – spiega Romanengo – tuttavia gli Scolopi sono una realtà a parte, non dipendono dalla Diocesi».
Potrà sembrare incredibile, ma ad accendere il focolaio di protesta non è stata una campagna sui social network , ma il vecchio porta a porta, rispolverato dai due giovani artisti con un certo garbo nel linguaggio e lo spirito di una performance teatrale: «In questo quartiere, in cui siamo cresciuti entrambi, – racconta Pittaluga – manca uno spazio di incontro, un luogo di discussione pubblica. Le sensibilità politiche sono le più diverse, anche molto lontane dalle nostre. Quindi abbiamo pensato di rivolgerci alle persone in modo diverso da come avremmo fatto in una protesta propriamente politica».
Ecco come nasce la lettera, finita nelle mani di 250 famiglie.
Nei toni gli autori non nascondono una lieve ironia, facendo leva sulla sindrome da Nimby (Not in my backyard), piuttosto che su un antifascismo viscerale: «Caro vicino, temo che il nostro quartiere possa andare incontro a conflittualità indesiderate. Ritengo che sia opportuno contattare la proprietà dello stabile per invitarli a valutare attentamente se sia opportuno o meno concedere uno spazio a un’associazione del genere»
Nel frattempo stamattina Romanengo incontrerà i vertici della Fondazione: «Mi risulta che a gestire questa trattativa sia stata una persona anziana. La Superba si è “venduta” come un ente che fa beneficenza, e le verifiche non sono state propriamente rigorose. La Fondazione è molto preoccupata per le conseguenze, lì vicino c’è un centro che ospita rifugiati».
Vedremo come andrà a finire.
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
LEGITTIMA LA SANZIONE DELL’AGCOM PER LA BESTEMMIA AL “GRANDE FRATELLO”
E’ legittima la sanzione da 100mila euro inflitta dall’Agcom nel dicembre 2006 a Rti per la
vicenda della bestemmia pronunciata in diretta televisiva da uno dei concorrenti dell’allora quinta edizione del reality ‘Grande Fratello’.
L’ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto dalla società televisiva per sollecitare l’annullamento del provvedimento sanzionatorio.
L’Agcom deliberò la multa dopo che il 4 novembre del 2004, alle 23:57, uno dei concorrenti pronunciò espressioni blasfeme in diretta televisiva.
Per l’autorità , l’episodio, pur essendo andato in onda poco prima della mezzanotte, era idoneo tra l’altro a suscitare nei minorenni “la legittimazione — ne dà conto il Tar nella sentenza — all’uso di un linguaggio aggressivo e blasfemo, configurandosi, nel suo insieme, come nociva degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo psichico degli stessi nonchè, comunque, offensiva del sentimento religioso”, e le cautele adottate dagli autori del programma e dall’emittente “non escludevano la responsabilità di questa ultima”.
Ne è nato un contenzioso amministrativo, adesso deciso con sentenza.
Per il Tar “le misure descritte dalla ricorrente, vale a dire l’estromissione del concorrente dalla trasmissione e da quelle rievocative delle varie edizioni precedenti — si legge nella sentenza — devono ritenersi come irrilevanti e inadeguate a escludere l’idoneità del programma sanzionato a pregiudicare i minori influenzando in modo pregiudizievole i loro processi di apprendimento essendo state adottate successivamente alla consumazione dell’illecito contestato”.
In più, il collegio ha osservato che nel provvedimento impugnato “l’Autorità non si è limitata ad affermare la sussistenza di una ipotesi di responsabilità oggettiva, avendo invece fornito idonea motivazione in cui valorizza la mancata adozione da parte dell’organizzazione del programma di ogni cautela preventiva atta a evitare situazioni che potessero recare nocumento ai minori”.
(da “NextQuotidiano”)
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