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IN VENETO DECISIVI I VOTI DEL M5S: L’ANALISI DELL’ISTITUTO CATTANEO SVELA CHE ZAIA HA VINTO SOLO LA COPPA DEL NONNO

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

VOTI LEGHISTI MINORITARI, APPORTO DECISIVO DEI GRILLINI E IN PARTE DEL PD NEL 57% DI VOTANTI AL REFERENDUM

Ha il retrogusto dello smacco per il Carroccio, ma Luca Zaia ha trionfato grazie ai voti 5 stelle.
L’elettorato che, in valore assoluto, potrebbe aver contribuito di più alla vittoria del Sì al referendum per l’autonomia del Veneto non è quello della Lega, come sarebbe lecito immaginare, ma del Movimento 5 Stelle.
Analizzando i numeri riportati dall’Istituto Cattaneo di Bologna, un dato salta subito all’occhio: i grillini (ripetiamo, chi nel 2013 ha votato M5s nelle due circoscrizioni venete) si sono schierati compattamente e unanimemente per l’autonomia in tre delle maggiori città  della loro Regione.
È un dato che conferma una tendenza ormai consolidata per gli studiosi di flussi elettorali: in ogni votazione, il “partito di Grillo” identifica un chiaro obiettivo politico e il suo elettorato agisce di conseguenza, scrive il Cattaneo nella sua analisi.
La promozione dell’autonomia del Veneto è stata, evidentemente, percepita come uno strumento da utilizzare contro il “sistema” a cui il M5s si oppone.
Lo studio del Cattaneo prende come riferimento tre dei maggiori centri della Regione: Venezia, Treviso e Padova.
Come era naturale aspettarsi, gli elettori del Carroccio si sono recati in massa per chiedere maggiore autonomia regionale e liberarsi dai “lacciuoli” imposti dai Palazzi romani.
E così hanno fatto anche i grillini.
Partendo dai dati forniti dall’istituto bolognese su come hanno votato gli elettori dei singoli partiti al referendum di domenica nelle tre città , può essere interessante fare un confronto con quanti voti hanno preso gli stessi partiti, in Veneto, alle ultime elezioni politiche.
E da qui ricavarne una stima di massima sul comportamento dei bacini elettorali di Lega, M5S, Pd e via dicendo – al netto dei naturali cambiamenti che hanno di certo interessato in cinque anni le varie formazioni politiche – e sull’impronta lasciata sull’esito referendario.
Quindi i numeri: nelle due circoscrizioni in cui è diviso il territorio veneto, la Lega ha preso 310mila voti nel 2013 contro i 775.718 dei Cinque Stelle.
È evidente che per arrivare al risultato finale del referendum consultivo di domenica (57% l’affluenza, circa 2,3 milioni i votanti, 2,2 milioni i Sì) il solo apporto leghista era di gran lunga insufficiente.
Se gli elettori M5S degli altri centri del Veneto si sono comportati come a Venezia, Treviso e Padova – ma questo al momento non è dato saperlo – il contributo numerico dei grillini sarebbe predominante.
Un’altra analisi, sempre del Cattaneo, mette in evidenza il dato della partecipazione nella regione guidata da Luca Zaia, nonostante la natura puramente consultiva del referendum, che risulta in media con gli ultimi tre referendum costituzionali.
In attesa di dati più precisi sul “colore” dei voti in tutti i centri del territorio, il Cattaneo mette in luce come la spinta maggiore all’affluenza (e quindi al Sì) sia arrivato dalle province di Vicenza, Verona e in parte Padova.
Non solo: ad eccezione di Belluno, la partecipazione è nettamente superiore nei comuni non capoluogo di provincia (un divario di quasi 10 punti percentuali con i comuni capoluogo).
Si palesa, in sostanza, il carattere altamente “periferico” della consultazione grazie all’elevata adesione nelle periferie o comunque nei territori distanti dai grandi centri urbani.
Periferie, beninteso, terreno fertile per un partito anti-sistema come M5S.
Il contributo del Movimento si delinea perciò come rilevante in termini numerici, decisivo forse in termini politici.

Perchè dimostra come il comportamento in massa del “corpaccione” M5S riesca a influenzare le diverse partite che si giocano su scala politica nazionale (su quella locale molto meno).
Anche quando in quelle partite i grillini non giocano da prima punta: a maggior ragione per un referendum promosso dalla Lega come quello del Veneto, dai risvolti regionali ma di elevata caratura nazionale.
In questo senso è da leggere il commento del blog di Grillo sul referendum: “Non è la vittoria della Lega e dei partiti. Autonomia e partecipazione – è la premessa – sono da sempre le stelle polari del movimento 5 stelle. I cittadini di Lombardia e Veneto hanno partecipato, votato e deciso: non possono rimanere inascoltati”.
E poi, la Lega “si è comportata vergognosamente, sventolando il tema dei residui fiscali delle regioni, che con non c’entrano niente”.
Tornando alla coalizione di centrodestra, nel “fu” Popolo delle libertà  non ci sarebbe stata, per i ricercatori del Cattaneo, altrettanta unanimità .
L’elettorato che nel 2013 scelse il Pdl fa emergere qualche defezione dal momento che una quota di un certo rilievo (pari al 20% a Treviso, al 28% a Padova e al 68% a Venezia) ha disertato le urne.
“Un risultato che appare in linea con precedenti consultazioni elettorali,ossia con la tradizionale refrattarietà  di una parte dell’elettorato ‘berlusconiano’ ad impegnarsi nelle consultazioni referendarie”.
Un altro dato interessante arriva invece dal Partito Democratico.
In questo caso a prevalere è la scelta dell’astensione ma c’è una buona fetta di elettorato dem veneto, quantificabile in un terzo, che si è recata alle urne seguendo le indicazioni di alcuni esponenti del partito per votare a favore dell’autonomia.
Un elettore veneto Pd (nel 2013) su tre ha quindi votato Sì.
Anche in questo caso può essere utile ricordare i voti alle politiche di cinque anni fa per farsi un’idea: nelle due circoscrizioni venete i dem hanno ottenuto 628.166 voti.
Un terzo è quindi pari a poco più di 200mila Sì al referendum veneto.
Ma per il Pd vale, più che per gli altri partiti, la cautela sulla composizione attuale dell’elettorato, dal momento che rispetto al 2013 ha subìto una profonda scissione, perdendo l’ala più a sinistra del partito.

(da “Huffingtonpost”)

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SCOPPIA LA RISSA TRA MICHELA BRAMBILLA E IL PARTITO ANIMALISTA EUROPEO

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

LEI ACCUSA IL PAE DI AVERLA DIFFAMATA, IL PAE RISPONDE: “TROVA UNA SCUSA PER IL CALO DEI CONSENSI”

Michela Vittoria Brambilla, leader del Movimento Animalista, ha preso parte nei giorni scorsi ai lavori della prima Assemblea Pubblica del suo partito.
Ma come ogni bravo leader si trova a dover tenere a bada tutti quelli pronti a saltare sul carro del vincitore per un posto in Parlamento.
Uno di questi è — scrive la Brambilla su Facebook — nientemeno che Stefano Fuccelli, il leader del PAE, il Partito Animalista Europeo.
La parlamentare di Forza Italia definisce Fuccelli e il suo compagno di partito Enrico Rizzi due “diffamatori seriali”.
Secondo la Brambilla infatti già  da alcuni anni Fuccelli starebbe facendo pressing per ottenere un posto da candidato nelle liste di Forza Italia. Di recente, dopo la nascita del Movimento Animalista il presidente del PAE si sarebbe offerto come “vicepresidente del Movimento Animalista con facoltà  decisionale” garantendo all’onorevole Brambilla che avrebbe provveduto a tenere a bada tutti coloro che non sarebbero adeguati alla linea del partito.
I problemi nascono però quando l’amica degli animali di FI rifiuta la proposta di Fuccelli e di Rizzi, che a luglio pare abbia contattato un senatore di Forza Italia per potersi candidare alle regionali siciliane del 5 novembre.
Una volta ricevuta la risposta negativa la Brambilla scrive che Fuccelli e Rizzi hanno messo in moto la macchina del fango e si sono messi a seminare zizzania “concentrando la sistematica campagna denigratoria sul Movimento animalista e su Silvio Berlusconi”. Secondo la Brambilla nessuno più di Rizzi e Fuccelli ha contribuito “ad alimentare il clichè degli animalisti estremisti e settari, pieni di livore, pronti a divorarsi a vicenda dopo aver proclamato obiettivi comuni. Penso che abbiano danneggiato la nostra causa quasi più di un esercito di doppiette, della lobby vivisezionista, degli antianimalisti che sbraitano alla radio e in tv”.
La replica del PAE: la Brambilla è arrabbiata per il crollo nei sondaggi del Movimento Animalista
La risposta del PAE non si è fatta attendere. Secondo il PAE la nota della parlamentare animalista è dai contenuti diffamatori e non affronta il vero nodo della questione. Il punto centrale della vicenda non è, scrive il PAE, la richiesta di un posto al sole per Fuccelli e Rizzi ma la fine che hanno fatto i soldi   dal Coordinatore nazionale del Movimento Animalista, Alessandro Mosso, per salvare un centinaio di capre.
Secondo il PAE, che ha presentato   querela per truffa aggravata nei confronti di Mosso quei soldi non sono stati utilizzati per il benessere degli animali.
Ma la faccenda si complica quando si scopre che sarebbe stato Fuccelli a rifiutare un posto all’interno del Movimento Animalista e non la Brambilla a negarglielo.
E sostiene di avere le prove e le registrazioni delle telefonate per poter smentire le affermazioni dell’Onorevole.
Evidentemente adesso ha cambiato idea perchè nello stesso giorno del mio messaggio, il 21 giugno, esattamente un’ora dopo l’On. Brambilla si affretta a rispondermi con un nuovo messaggio con su scritto “…L’organismo di dirigenza in cui ti avevo proposto di entrare, ovvero la Consulta dei Presidenti, è quello più importante e rappresentativo oltre che operativo, vedi un po, ciao“, non avendo dato conferma il giorno successivo, il 22 giugno, ricevo un altro messaggio sempre dall’On. Brambilla con su scritto”…E per quanto riguarda la tua persona, la tua esperienza e le tue aspettative, è evidente che il movimento animalista è la tua casa naturale.”.
La mia replica di chiusura definitiva è stata “…Sono d’accordo che il Movimento Animalista poteva essere la mia casa naturale ma sono alcuni inquilini che rovinano tutto. Per questo ti ho fatto un grande in bocca al lupo” .
Insomma se la Brambilla accusa il PAE di aver tentato la scalata al suo Movimento Fuccelli replica dicendo che quel posto gli era stato offerto ma che lui, in nome di ideali più alti, ha rifiutato.
Ma c’è di più: secondo Fuccelli la Brambilla sta solo cercando di risollevare le sorti del suo Movimento, che secondo alcuni non meglio precisati sondaggi è accreditato dell’1% dei consensi.

(da “NextQuotidiano”)

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IL ROSATELLUM FA CAMBIARE IDEA AL M5S: GRILLO LO BOCCIO’, MA ORA IL VOTO SEGRETO VA BENE

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

CHE PAGLIACCIATA, ORA I GRILLINI HANNO CHIESTO UNA CINQUANTINA DI VOTI SEGRETI E IL GOVERNO HA DOVUTO METTERE LA FIDUCIA

«Certo che siamo contro il voto segreto — dice il senatore grillino Giovanni Endrizzi — ma siamo in emergenza democratica e useremo tutti gli strumenti possibili per opporci al Rosatellum».
La democrazia è anche cambiare idea a seconda dell’obiettivo da raggiungere. E in politica, si sa, è una dote di molti.
Nel marzo 2013, dopo il voto dell’aula del Senato per la scelta del presidente, Beppe Grillo scriveva: «Il voto segreto non ha senso, l’eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini con un voto palese». In questi quattro anni di legislatura l’idea è sempre rimasta questa. In nome di una trasparenza, facilmente abbandonata in casa propria, i 5 stelle hanno sempre osteggiato la tattica parlamentare che faceva leva sul voto segreto, senza mai però disdegnarne davvero i benefici quando favoriva il Movimento.
Alla vigilia dell’approdo in aula al Senato della legge elettorale approvata alla Camera, dopo l’ok della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, il M5S ha chiesto una cinquantina di voti segreti sul testo. Di fatto, così i grillini hanno spinto il governo all’ovvia decisione di mettere la fiducia. Realisticamente era quello che Palazzo Chigi avrebbe comunque fatto per scoraggiare prevedibili agguati.
Per i grillini il voto segreto è l’ultima speranza di provocare la reazione di chi nella maggioranza vorrebbe votare contro la legge, ma potrebbe farlo solo con l’assicurazione dell’anonimato. Per il governo, la scelta della fiducia, dopo averla posta già  a Montecitorio, è una conseguenza logica. Nel Pd danno per fatta la legge elettorale entro la settimana.
La questione poi passerà  al Quirinale. I 5 Stelle, che mercoledì, presente Grillo, circonderanno il Senato, si sono portati avanti e hanno chiesto al presidente Sergio Mattarella, con un post sul blog, di non firmare la legge. «Se lo farà — scrivono i grillini — sarebbe anche lui tra i responsabili di una legge incostituzionale e di uno strappo irreparabile per la nostra democrazia».

(da “La Stampa”)

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DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI SOTTO ATTACCO

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

LA DENUNCIA DI ORGANISMI INTERNAZIONALI TOCCA ANCHE L’ITALIA CON L’IGNOBILE TENTATIVO DI CRIMINALIZZARE LE ONG SENZA UNO STRACCIO DI PROVA, SALVO QUELLE TAROCCATE DAI SERVIZI SEGRETI

Si calcola che almeno sei miliardi di persone nel mondo vivano in paesi dove la libertà  di opinione, associazione, iniziativa sociale e politica, la possibilità  di organizzare campagne per i diritti civili, sociali, ambientali sono in tutto o in parte negate.
Paesi nei quali le autorità  governative varano leggi draconiane per mettere al bando organizzazioni nongovernative, o per restringerne progressivamente la capacità  di azione. Dalle intimidazioni, alle campagne denigratorie e di diffamazione a mezzo stampa, all’imposizione di condizioni sempre più stringenti per la rendicontazione delle fonti di finanziamento, a complicate procedure burocratiche, ricorrendo poi in casi estremi all’arresto, e alla condanna per attività  criminali, terroristiche o in qualche maniera considerate contro l’interesse nazionale e la sicurezza, gli strumenti per restringere questi spazi di agibilità  sono tanti, e spesso ricorrenti.
In gergo si definisce “shrinking space” o “closing space” per la società  civile e più in generale per le libertà  civili e democratiche.
È un leitmotiv, che ormai in varia intensità  attraversa la gran parte dei paesi nel mondo, anche in quelle che dovrebbero essere considerate “democrazie liberali”.
Torsioni securitarie, retorica nazionalista, xenofoba, rafforzamento delle formazioni populiste di destra rappresentano oggi una minaccia senza precedenti per le organizzazioni della società  civile anche nell’Unione Europea.
Ne è la riprova un recente dossier preparato dall’organizzazione Civil Liberties Union for Europe, dal titolo “Participatory democracy under threat:Growing restrictions on the freedoms of NGOs in the Eu” che sottolinea la gravità  degli attacchi ripetuti alle organizzazioni della società  civile in vari paesi membri dell’Unione Europea.
Secondo il dossier, la restrizione degli i spazi di agibilità  per le organizzazioni della società  civile è spesso accompagnata da misure volte a limitare la libertà  d’espressione e di stampa e contro l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario.
Le organizzazioni più colpite sono quelle che lavorano per assicurare le libertà  e i diritti civili, quelli delle minoranze, dei rifugiati e dei diritti Lgbti e delle donne.
Il rapporto fa anche riferimento esplicito alle campagne di diffamazione e criminalizzazione delle organizzazioni che accolgono e prestano solidarietà  ai migranti e rifugiati nel nostro paese stigmatizzando come pratica discriminatoria la creazione dell’albo delle Ong che operano per il salvataggio di migranti in mare.
E anche di come tale campagna abbia alterato significativamente la percezione dell’opinione pubblica italiana verso l’operato delle Ong, pregiudicandone anche importanti fonti di autofinanziamento.
Questi dati allarmanti riflettono quanto riscontrato anche nel primo rapporto dell’Ufficio dell’Osce per la Democrazia e i Diritti Umani, relativo alla situazione dei difensori dei diritti umani nei paesi Osce, il primo mai prodotto.
Un documento importante anche in vista della prossima presidenza italiana dell’Osce nel 2018, occasione per rilanciare con forza un’iniziativa ampia della società  civile italiana sui temi dei diritti umani, e della difesa dei difensori dei diritti umani.
Orbene il rapporto Osce per il 2014-2016, intitolato “The Responsibility of States”: Protection of Human Rights Defenders in the Osce Region (2014—2016) denuncia l’aumento registrato negli ultimi tre anni degli attacchi ai difensori dei diritti umani nei paesi membri Osce da parte di attori statuali e non-statuali, in particolare — come anche sottolineato da Civil Liberties Union for Europe – contro chi difende i diritti delle donne, delle minoranze etniche e i diritti Lgbti.
Se ciò non bastasse, secondo quanto denunciato da Global Witness e dal Guardian, che tiene una conta aggiornata degli attivisti ambientalisti ammazzati in ogni parte del mondo, il 2017 si avvia a essere l’anno più sanguinoso di sempre, con 153 difensori della terra uccisi (dato aggiornato ai primi di ottobre) per essersi opposti a progetti di estrazione di risorse, agribusiness, grandi opere.
La maggior parte dei difensori e difensore dei diritti umani uccisi nel mondo sono attivisti ambientalisti e difensori della terra, di questi la maggioranza rappresentanti di comunità  indigene.
Per quanto riguarda l’Italia, la recente campagna di criminalizzazione delle organizzazioni non governative e della società  civile che fanno soccorso in mare, o solidarietà  con migranti e rifugiati potrebbe non essere un caso isolato bensì la manifestazione estrema di un “trend” che si è insinuato in maniera insidiosa anche nel nostro Paese.
Dalla criminalizzazione e intimidazione verso comitati e movimenti per la protezione dell’ambiente e del territorio (per esempio No Tav o No Tap), o di alle minacce a giornalisti o avvocati da parte della criminalità  organizzata o la proposta di legge per la criminalizzazione della campagna Bds e di chi la sostiene, anche nel nostro paese iniziano a palesarsi i sintomi di una dinamica preoccupante.
Sempre secondo Civicus, nel nostro paese nella prima metà  del 2016 le principali libertà  civili di associazione, riunione ed espressioni sono generalmente rispettate, ma sussistono alcune problematiche.
Dalla discrezionalità  nelle operazioni di ordine pubblico, all’uso eccessivo della forza in occasione di proteste di piazza.
Occasionalmente difensori e difensore dei diritti umani soffrono minacce e intimidazioni. Anche il rapporto sulla situazione dei difensori dei diritti umani nei paesi Osce riporta alcuni casi relativi all’Italia tra cui le denunce di un’organizzazione di donne Rom e sottolinea anche i rischi per la libertà  di associazione rappresentati dall’attuale legislazione sulle manifestazioni di piazza, e l’obbligo di notifica preventiva.
Preoccupa a tal riguardo l’assenza in Italia (a differenza della grande maggioranza dei paesi Osce) di un’Autorità  nazionale indipendente per i diritti umani, come richiesto da importanti risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Dopo anni e anni di discussioni e dibattiti parlamentari, si era giunti a una possibile mediazione che avrebbe permesso di approvare un disegno di legge per istituire l’Autorità , ipotesi “congelata” assieme ad altre importanti iniziative legislative sui temi dei diritti civili.
Questo il contesto del dibattito pubblico organizzato da Un Ponte Per… e In Difesa Di — per i diritti umani e chi li difende, dal titolo “Difensori dei Diritti Umani sotto attacco”, il 27 ottobre prossimo alle 19.45 al Salone dell’Editoria Sociale, a Porta Futuro a Roma, che vedrà  la partecipazione oltre che ai rappresentanti della rete In difesa Di, e di Un Ponte Per… di Ben Hayes e Frank Barat del Transnational Institute e Carlotta Besozzi di Civil Society Europe.
Il Transnational Institute ha un programma internazionale sulla questione degli spazi di agibilità , e dopo la pubblicazione di un primo dossier sul tema sta per pubblicare un documento sulla criminalizzazione della solidarietà  con i migranti in Europa.
Civil Society Europe pubblica ogni anno un’analisi sullo stato di agibilità  delle organizzazioni della società  civile in Europa ed anche in Italia.
Obiettivo dell’iniziativa quello di fornire occasione per uno scambio di riflessioni sul tema della restrizione degli spazi di agibilità , l’emergenza dell’attacco ai difensori dei diritti umani a livello globale ed europeo, ed una ricognizione della situazione nel nostro paese a partire dalle recenti strategie di criminalizzazione delle Ong e delle attività  di solidarietà  con i migranti.

(da “Huffingtonpost”)

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QUATTRO GUARDAPARCO INDAGATI PER TRUFFA: NELL’ORARIO DI LAVORO FACEVANO SHOPPING E ORGANIZZAVANO GRIGLIATE

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

VERCELLI, PADAGNA: SORPRESI DAI CARABINIERI MENTRE INCONTRAVANO AMICI E CURAVANO IL GIARDINO, TRA LORO ANCHE DUE AMMINISTRATORI COMUNALI

Timbravano regolarmente il cartellino, ma utilizzavano parte dell’orario di lavoro per fare acquisti, incontrare amici o curare il giardino.
Quattro guardaparco in un ente naturalistico dell’alta Valsesia, in provincia di Vercelli, sono stati indagati per truffa e sospesi dal servizio per un periodo di nove mesi perchè sorpresi nello svolgere attività  personali e non riconducibili alla loro attività  lavorativa.
Si tratta di due 63enni, un 62enne e un 55enne, tutti residenti in Valsesia.
Tra loro ci sono anche due amministratori comunali: uno è un vice sindaco, l’altro è ex sindaco e ora consigliere di opposizione.
L’attività  di indagine è durata sei mesi ed è stata svolta dai carabinieri su coordinamento del pubblico ministero Davide Pretti.
I quattro documentavano regolarmente la loro presenza al lavoro, ma in realtà , durante l’orario di servizio, svolgevano faccende private e incontravano amici e parenti.
In un caso i singoli indagati sono stati ripresi dalle telecamere nascoste mentre curavano il giardino, oppure aiutavano i familiari nella gestione di imprese private.
In un caso è stata anche documentata l’organizzazione di una grigliata con amici nel giardino di casa. La procura ha indagato anche la responsabile dell’ufficio, perchè non avrebbe controllato i propri dipendenti.

(da “La Stampa”)

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QUANDO VIRGINIA RAGGI CONTROLLAVA GLI ALBERI

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

OGGI UN PINO E’ CADUTO SU DUE AUTO, SI E’ SFIORATA LA TRAGEDIA

Oggi un pino è caduto su due automobili in transito a Piazza delle Cinque Giornate. Tre auto sono rimaste coinvolte, ma senza feriti.
Secondo quanto si è appreso, il ferito è un uomo e non è in gravi condizioni. È stato soccorso dal 118 e trasportato in codice giallo all’ospedale Santo Spirito. È al lavoro una squadra dei vigili del fuoco con l’autogru.
L’assessore capitolino all’Ambiente Pinuccia Montanari, dopo essersi recata sul posto, ha sostenuto che “Siamo in attesa della perizia, ma dalle prime informazioni sembra che l’albero sia caduto a causa dell’assenza delle radici, tagliate durante dei lavori fatti all’epoca di Alemanno”.
Le due donne a bordo delle auto sono rimaste miracolosamente illese : “Era appena scattato il verde — racconta una delle donne, 35 anni, coinvolte sotto shock all’Adnkronos — sono salva per miracolo. Sono scesa dall’auto e ho subito chiamato i miei genitori”.
L’autista del taxi estratto dai vigili del fuoco è stato trasportato al Santo Spirito. I due clienti stranieri a bordo del taxi sono in buone condizioni.
“Non è possibile vivere così — racconta un passante — ero appena passato sulla moto, lo sapevano tutti, anche il barista, che l’albero era pericolante e nessuno ha fatto niente, è una vergogna”. Anche un altro albero sulla via del Mare è caduto oggi.
Inutile ricordare che il 13 ottobre scorso Virginia Raggi aveva pubblicizzato sulla sua pagina Facebook l’intervento di monitoraggio del Comune su 15mila degli ottantaduemila alberi sotto la responsabilità  del Comune di Roma.
“In tre mesi abbiamo valutato 15.400 alberi in tutti i Municipi di Roma e il 3 per cento di questi e’ da abbattere-   ha spiegato oggi Montanari- Purtroppo sono dieci anni che non vengono effettuati monitoraggi e potature. Noi abbiamo iniziato a farlo, ma gli alberi a Roma sono 330 mila. Ci vuole tempo”.
Montanari ha poi sottolineato la pericolosita’ dei cantieri, dove puo’ accadere che durante i lavori vengano tagliate le radici. “È in questo modo che si indeboliscono alberi sani- ha sottolineato- Poi diventa difficile capirne il reale stato”.

(da “NextQuotidiano”)

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QUELLO CHE FA UNA DIRETTA SU FB MENTRE UN RAGAZZO MUORE

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

NELLA NOTTE A RICCIONE UN RAGAZZO MUORE PER UN INCIDENTE STRADALE E SU FB GLI UTENTI ASSISTONO ALLA SUA AGONIA… L’AUTORE RICOPERTO DI INSULTI

La vicenda ricorda un po’ quella del protagonista del film “Lo sciacallo — Nightcrawler” dove Jake Gyllenhaal si aggirava per la città  a riprendere le scene di incidenti e omicidi per poi venderle ai network televisivi.
Andrea Speziali, 28enne di Riccione, nella notte tra sabato e domenica ha deciso di filmare con il suo smartphone un ragazzo rimasto vittima di un incidente stradale.
La vittima, Simone Ugolini (24 anni) aveva perso il controllo del suo scooter ed era finito sull’asfalto. Non si sa per quale motivo Speziali — che passava di lì per caso — ha deciso di iniziare una diretta su Facebook, improvvisandosi cronista.
Ugolini è morto prima ancora di essere trasportato in ospedale ma la cosa che ha lasciato sotto shock gli spettatori del video è il fatto che Speziali abbia deciso di iniziare la diretta e indugiando nelle inquadrature sul corpo del ragazzo.
Nel video, riferisce Corriere Romagna, Speziali invitava il suo pubblico a “pregare per il ragazzo” e ha chiesto a coloro che fossero collegati alla sua diretta di chiamare i soccorsi. «C’è sangue, speriamo si salvi», diceva Speziali nel video mentre arrivavano i soccorsi e continuava imperterrito con la sua diretta.
Andrea Speziali è un personaggio noto a Riccione.
Oltre ad essere un critico d’arte ed esperto di Stile Liberty è stato anche candidato con la lista “Patto Civico” che lo aveva proposto come assessore alla cultura.
La diretta è stata pubblicata su alcuni gruppi Facebook di cittadini di Riccione dai quali Speziali è stato poi bannato dopo la pioggia di proteste da parte degli utenti, sconvolti da un simile atteggiamento.
Il video è stato successivamente rimosso dalla piattaforma, probabilmente a causa delle segnalazioni ricevute. Speziali infatti non ha smesso di filmare fino all’ultimo concedendo così ai suoi spettatori il macabro brivido della morte in diretta.
Non è chiaro se avrebbe potuto fare qualcosa per aiutare a salvare Simone — i giornali locali riferiscono che il ragazzo è morto sul colpo — ma quello che è certo è che non c’era alcun bisogno di iniziare quel live su Facebook.
E così la pensano in molto che nei commenti hanno definito l’autore uno sciacallo e hanno invocato ogni sorta di punizione nei suoi confronti.
Contattato al telefono dal Resto del Carlino Speziali prova a giustificarsi dicendo che quando si è fermato nei pressi dell’incidente qualcuno gli aveva detto che erano già  stati chiamati i soccorsi.
Alla domanda sul perchè ha deciso di filmare e pubblicare su Facebook ma morte di un ragazzo Speziali ha raccontato di essere sconvolto e di voler fare qualcosa «per quel giovane a terra, mi hanno detto che non dovevo avvicinarmi, che stavano arrivando l’ambulanza e i carabinieri. Mi sono messo a filmarlo e a fare una diretta. Volevo condividere il mio dolore, mi sono sentito solo, nessuno che mi abbracciasse».
L’autore del filmato assicura che non stava cercando lo scoop, e di aver capito troppo tardi quello che aveva fatto e di voler chiedere scusa a tutti in particolar modo alla famiglia di Simone aggiungendo però che «è anche colpa di questa società  che vuole tutto in diretta e senza più valori. Ho chiamato in Vaticano per far dire una preghiera per Simone».
Nel frattempo però il materiale da lui filmato e messo online è stato acquisito dalla Procura che valuterà  come procedere e se aprire un’inchiesta.
Le ipotesi di reato sono diverse e potrebbero essere quella di procurato allarme, diffamazione degli operatori del soccorso, fino alla violazione della privacy dei parenti del defunto.
Naturalmente anche i parenti di Simone potrebbero denunciare Speziali per l’accaduto.

(da “NextQuotidiano”)

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“QUESTO PRODOTTO E’ ETICO”: COSI’ LE AZIENDE EVITANO I CONTROLLI E VENDONO I POMODORI DEI CAPORALI

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

SVELATA UNA FILIERA CHE COINVOLGE NOTI MARCHI NAZIONALI: “ALLE AZIENDE BASTA UNA AUTOCERTIFICAZIONE PER FINIRE SULLE TAVOLE DEGLI ITALIANI”

Basta una croce nella casella giusta per dichiarare che non si utilizza manodopera irregolare. E far arrivare alle multinazionali delle conserve, e da qui – sotto forma di pelati o salsa – sulle tavole degli italiani, i pomodori raccolti nei campi del Salento da migranti spesso schiavizzati. Solo una X per attribuire eticità  alla filiera agricola, e risparmiare quei controlli che porterebbero facilmente alla luce l’esistenza di caporalato diffuso e lavoro nero.
Lo ha scoperto la Procura di Lecce nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Abdullah Mohamed, un bracciante sudanese di 47 anni, stroncato dal caldo nei campi di Nardò (Lecce) il 20 luglio 2015.
Quel giorno il termometro segnava 40 gradi. Abdullah accoglieva pomodori, non aveva cappello nè guanti, non una bottiglietta d’acqua, nè una tettoia sotto alla quale ripararsi di tanto in tanto.
Non aveva neppure un contratto e, della sua morte, la pm Paola Guglielmi ha chiamato a rispondere il titolare dell’azienda per cui lavorava, Giuseppe Mariano, e il caporale sudanese che l’aveva ingaggiato, Mohamed Elsalhil. Li accusa di omicidio colposo e caporalato, li vuole processare, dopo che a luglio di quest’anno la stessa Procura ha incassato tredici condanne, con pene tra i 4 e gli undici anni, per imprenditori pugliesi e caporali accusati di aver ridotto in schiavitù centinaia di braccianti.
Oltre alla tragica morte di Abdullah, però, l’inchiesta salentina ha portato alla luce l’esistenza di una filiera fuori controllo, fatta di pezzi che autocertificano singolarmente la bontà  del proprio operato. I carabinieri del Ros di Lecce hanno seguito il filo dei pomodori della ditta Mariano e scoperto che, per molti anni, sono stati venduti ad aziende di lavorazione tra le più importanti d’Italia: la Mutti Spa di Montechiarugolo (Parma), la Rosina di Angri (Salerno) e Conserve Italia società  cooperative agricole di San Lazzaro in Savena (Bologna).
“Nessuna delle ditte acquirenti è iscritta nel registro degli indagati”, chiariscono dalla Procura di Lecce, ma dalle carte emerge prepotente il problema dei controlli: “Ne servono di più – aggiungono gli inquirenti – e anche più sanzioni”. Le stesse che chiede l’associazione No Cap, fondata dal camerunense Yvan Sagnet, che proprio a Nardò nel 2011 guidò il primo sciopero dei braccianti e oggi si batte per la creazione di una filiera più corta e controllata.
Sono proprio le ditte lambite dall’inchiesta di Lecce, del resto, a precisare che i controlli avvengono solo sui documenti forniti dai produttori locali, e non certo nei campi. Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, spiega: “Le imprese dalle quali compriamo il prodotto firmano un protocollo di legalità .
Si impegnano a osservare le norme in materia di sicurezza e salute sul lavoro, i contratti collettivi nazionali, la normativa previdenziale e quella in materia di lavoro degli immigrati. Non possiamo sostituirci all’Inps o alle forze dell’ordine”. Stesse giustificazioni arrivano dagli altri due colossi del pomodoro
Tradotto, significa che la piccola impresa locale rassicura la grande ditta nazionale, come faceva appunto l’impresa Mariano (formalmente intestata alla moglie di Giuseppe, Rita De Rubertis).
Nella scheda di adesione al piano di qualità  di Conserve Italia si dichiara “di non utilizzare lavoro minorile o forzato, di garantire la salute e sicurezza dei lavoratori, di rispettare le norme in tema di orari e retribuzione”.
Un falso evidente, secondo la Procura salentina, considerato che Abdullah – e decine di altri come lui – non era stato sottoposto ad alcuna visita medica, lavorava 10-12 ore al giorno per pochi euro, in condizioni climatiche usuranti e senza diritto al riposo settimanale, alloggiando in casolari fatiscenti e in condizioni igieniche degradate. E che proprio questa condizione di sfruttamento consentiva al datore di lavoro di incrementare i profitti.
Di tutte queste irregolarità , però, i giganti del pomodoro clienti della Mariano affermano di non sapere nulla. E solo dopo la morte del bracciante hanno rescisso i contratti con l’azienda, che per diversi anni ha percepito anche i contributi pubblici dell’Agea.

(da “La Stampa”)

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IL FLOP DEL VOTO ELETTRONICO, VOCI DAL CAOS

Ottobre 23rd, 2017 Riccardo Fucile

“ORGANIZZAZIONE PESSIMA”: LA CHAT DEI DIGITAL ASSISTANT

I 6.750 digital assistant – i giovani reclutati dall’agenzia di lavoro interinale Manpower per supportare presidenti di seggio e scrutatori nel referendum sull’autonomia della Lombardia svolto con il voto elettronico – sabato e domenica si sono scambiati decine di messaggi scritti e vocali via whatsApp per aiutarsi reciprocamente.
Il Corriere ha potuto leggere e ascoltare i loro dubbi e le loro difficoltà  che mettono bene in evidenza come chi doveva essere messo in grado di fare funzionare le 24.400 voting machine in realtà  era, suo malgrado, impreparato.
I giovani si sono sentiti lasciati soli e poco formati.
Le loro testimonianze spiegano anche, almeno in parte, i problemi tecnici che possono avere portato ai mega ritardi nella comunicazione dei dati sull’affluenza e ai risultati del voto.
Uno dopo l’altro i messaggi possono aiutare a ricostruire il dietro le quinte di quel che è successo sabato e domenica, al di là  delle dichiarazioni ufficiali dei politici che sostengono che il voto elettronico è filato liscio.
«Comunque organizzazione pessima, davvero pessima». «Hanno sbagliato a dividerci in turno A e B: dovevano metterci insieme così potevamo sostenerci a vicenda e smazzare il lavoro in due e aiutarci». «Io non so se è successo anche a voi ma i presidenti di seggio credevano che noi avessimo una preparazione un po’ più seria». «Io ho provato a entrare ancora avendo messo password e login giuste, ma non sono riuscita a entrare nel sistema». «Io comunque me ne sbatto nel senso che non va». «Ma c’è qualcuno come me che non ha ricevuto nè l’username nè la password per questo famoso E360?». «Qualcuno sa dirmi come devo accedere a questo E360?». «Non so come devo fare».
Il digital assistant è un tecnico, ma formato solo con un corso online di poche ore.
Il suo ruolo è di garantire il funzionamento dei tablet e chiamare il numero verde 800.861.431 in caso di difficoltà  a risolvere i problemi: «Peccato – dicono i giovani – che il numero fosse sempre intasato».
La corretta installazione delle voting machine andava controllata tramite la piattaforma mobile E360, piattaforma che dalle testimonianze risulta spesso impallata. La sintesi della giornata di voto elettronico secondo il racconto dei digital assistant: dispositivi costati 23 milioni di euro che non vanno e chi deve farli funzionare troppo spesso non in grado di farlo.

(da “il Corriere della Sera”)

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