Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
PANICO DA SEGGIO PER I PARLAMENTARI: NEL PD SALTERANNO UN CENTINAIO DI DEPUTATI, ALFANIANI SU PIU’ TAVOLI, MASSA DI RICICLATI NELLA LEGA, BERLUSCONI PER INSERIRE GIOVANI
La legislatura affonda. E come sul Titanic i passeggeri vanno in cerca di una scialuppa per salvarsi. I passeggeri sono i parlamentari consapevoli che i posti sono pochi e ci si deve affrettare.
Nel Pd è già panico. All’inizio di questa legislatura il Pd aveva 300 parlamentari e 107 senatori. Adesso, facendo qualche calcolo approssimativo (ancora non sono definitivi i collegi), rischia di prenderne la metà : “Realisticamente — dicono fonti abituate a far di conto — se raggiungiamo il 25 per cento, ne prendiamo 150 alla Camera e 70 al Senato con questa legge elettorale”. Tra questi c’è da tutelare alcuni tra gli uscenti e inserire i nuovi.
Per questo i cosiddetti pontieri sono all’opera per un ultimo, disperato tentativo.
Emiliano ha contatti con Pietro Grasso, ma è soprattutto Dario Franceschini impegnato a parlare con tutti i big di Mdp: “Così — è il senso del suo ragionamento — ci facciamo male noi e voi, anche voi perdete un sacco di seggi rispetto alla situazione attuale”. Tentativo complicato, con le macchine elettorali già in moto.
E con Renzi già lanciato nella sua corsa solitaria: “Alla fine — va ripetendo ai suoi — noi ne prenderemo duecento e quelli di Mdp non più di venti. Poi ci spiegheranno che ci fanno”. È chiaro che, da lunedì, quando il presidente del Senato sarà in campo come leader, sarà ancora più complicata la trattativa perchè ognuno metterà condizioni ancora più alte.
Il segretario del Pd per ora manda messaggi rassicuranti, per non aprire anzitempo il fronte interno: “Non farò quello che gli altri hanno fatto a me. A ognuno la sua rappresentanza tranne la società civile”.
Parole che però non rassicurano nessuno, perchè i posti disponibili sono di meno. E, giorno dopo giorno, si aggiungono nomi di entranti da garantire.
Tornerà Piero Fassino, impegnato in questo giro di “consultazioni”.
Tra gli sconfitti alle tornate amministrative di questi anni da portare in Parlamento c’è Raffaella Paita e Maria Rita Rossa, ex sindaco di Alessandria.
Cuperlo, per ora, è l’unica minoranza già garantita, dicono al Nazareno con quattro-cinque collegi.
Dice un renziano di rango: “Prima ancora delle quote interne al partito, c’è da capire la coalizione. La coalizione, se si fa, la paghiamo col sangue. La Lorenzin? Vorrà un collegio buono. Casini e Galletti? Anche. Così come i quattro o cinque di Pisapia. Sono tutti posti che tolgono a noi”.
E toglie posti la società civile che Renzi vuole per sbandierare il rinnovamento: Lucia Annibali, Paolo Siani, Burioni, Federica Angeli, Annalisa Chirico, tutti nomi vissuti con sospetto anche da parlamentari fedelissimi del segretario.
Ognuno ha il suo iceberg.
Alla buvette del Senato, Giuseppe Castiglione, il sottosegretario indagato sul Cara di Mineo è avvicinato da parecchie anime in pena di Alleanza Popolare. Rassicura qualcuno: “Faremo l’accordo col centrosinistra”. Poche minuti più tardi passa il viceministro Luigi Casero, dello stesso partito: “Alla fine chiudiamo col centrodestra”.
Il coordinatore Maurizio Lupi è impegnato su più tavoli per garantirsi un pugno di posti sicuri. Parla con Lorenzo Guerini, ha contatti con Arcore. In un clima di totale confusione slitta anche l’ennesima direzione del suo partitino prevista per venerdì.
Nelle truppe è un fuggi fuggi alla ricerca di un posto. Il senatore Bruno Mancuso ha lasciato il gruppo in direzione Fratelli d’Italia. Alfano, invece, lavora a una lista con Casini e Dellai alleato del Pd, con l’obiettivo di mettersi al riparo sul proporzionale in Sicilia.
Dicono le vecchie volpi del Parlamento: “Ormai siamo alle mosche impazzite nel bicchiere”.
Matteo Salvini ha chiesto di “chiudere le porte”, perchè la Lega, in ascesa di consensi, rischia di diventare una bad company di riciclati. Sono passati alla Lega Nuccio Altieri e Roberto Marti, due parlamentari pugliesi che stavano con Fitto, ultimi di una serie di arrivi dopo Alessandro Pagano, Angelo Attaguile e Pina Castiello.
Ora, dice Salvini, basta. Qualche candidato sarà dato all’Ugl, il sindacato di destra che si è schierato con la Lega, ma non avranno seggi Alemanno e Storace, per evitare l’effetto da “vecchio che avanza”.
In questa competizione tutta a destra, tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, Daniela Santanchè, secondo i ben informati, starebbe per aderire a Fratelli d’Italia.
Donna di destra di quelle toste, è complicato che possa rimanere dentro Forza Italia su questa linea “moderata”. È altrettanto complicato pensare che Berlusconi sia estraneo all’operazione, così come nel 2008 la incoraggiò a fare la leader della Destra in funzione anti-Fini.
Già Berlusconi. Nel suo fantastico mondo, come sempre, di criteri per la selezione delle liste ancora non ce ne sono. E, come sempre, il Cavaliere, nel corso dei suoi incontri, ha promesso seggi qua e là a giovani di talento. Anzi, è già nella fase in cui regala sogni di ministeri.
Gli piace molto, ad esempio, il sindaco di Ascoli Piceno Guido Castelli: “Quando vinciamo, lo faccio ministro”. E in Parlamento, tra i suoi, cresce il nervosismo: “Non ci si riesce più a parlare con Berlusconi. Qua non si capisce più niente”.
(da “Huffintonpost”)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
PER GLI USCENTI NO A CORSIE PREFERENZIALI
Ricambio a 5 Stelle, da Nord a Sud circolano già diversi nomi di possibili nuovi deputati e senatori, pronti a partecipare alle ‘parlamentarie’ forti di avere buone possibilità per spuntarla anche su chi sta terminando il primo mandato.
Nel frattempo il candidato premier Luigi Di Maio sarà affiancato da tre uomini di fiducia nella campagna per le prossime elezioni politiche: sono Pietro Dettori, Dario De Falco e Vincenzo Spadafora, tutti molto vicini al candidato premier M5S, a far parte del comitato elettorale nato, così come previsto dalla legge, per gestire i fondi per la campagna elettorale.
Fra i volti nuovi, primo fra tutti Stefano Buffagni: era in pole fino a un po’ di tempo fa per una candidatura alla presidenza della Regione Lombardia ma poi è arrivato il passo indietro, proprio perchè per lui si intravede, se la rete lo vorrà , un futuro in Parlamento.
Così come per il triestino Stefano Patuanelli. Anche il suo nome, un paio di mesi fa, veniva dato come possibile candidato pentastellato alla presidenza della regione Friuli, ma molto vicino ai vertici grillini e organizzatore della festa per i dieci anni del V-Day appare con un orizzonte romano.
Dalla Regione Lazio si sposta invece verso il Parlamento Gianluca Perilli, che un tempo faceva parte del mini-direttorio poco fortunato che ha affiancato Virginia Raggi nei primi mesi in Campidoglio.
Così tra ansia da riconferma e aspiranti parlamentari, il Movimento 5 Stelle è alle prese con paure e speranze.
Da una parte c’è chi teme di non essere riconfermato e vorrebbe una corsia preferenziale rispetto a chi ambisce ad entrare per la prima volta in Parlamento, dall’altra i vertici pentastellati vogliono vedere volti nuovi.
Attivisti che in questi anni hanno lavorato sul territorio e che hanno contatti, soprattutto al Nord, con le imprese e con quei mondi che M5s sta cercando di raggiungere, anche attraverso Buffagni che sta guidando Luigi Di Maio alla conquista del Nord, non tanto in ottica elezioni regionali quanto per conquistare voti in quei territori dove M5s è debole rispetto al centrodestra.
Non è un caso poi se Buffagni ha partecipo nella sede della Casaleggio associati all’ultimo super vertice con i big del Movimento.
Sempre al Nord circola il nome di Alvise Maniero, ex sindaco di Mira, in provincia di Venezia, eletto a soli 26 anni.
Ha terminato il mandato e ha deciso di non ricandidarsi alla poltrona di prima cittadino per “tornare all’università “, ha detto, ma non si esclude invece che ambire a uno scranno in Parlamento, anche perchè è un attivista della prima ora molto vicino a Luigi Di Maio.
In fondo tanti amministratori locali hanno scelto di non ricandidarsi nei propri comuni per un secondo mandato proprio per avere l’opportunità , secondo le regole M5s, si giocarsi la carta dell’ingresso in Parlamento.
Tra questi ci potrebbe essere anche l’ex consigliere milanese Mattia Calise che nel 2015 disse di non volersi ripresentare per “finire l’università e farlo magari più avanti più qualificato. Penso che sia giusto affrontare il secondo mandato con più competenze”. Perchè no, alla Camera o al Senato.
Questi sono solo alcuni dei nomi della carica dei volti nuovi e complice la nuova legge elettorale si cercano attiviste per rispettare le quote rosa.
La preoccupazione tra gli eletti a fine mandato è evidente: “Sul territorio, soprattutto nelle piccole province, ci possono essere cordate di attivisti a sostegno di qualcuno e c’è il rischio concreto di lasciare a casa chi ha lavorato alacremente nelle commissioni e magari paga anche lo scotto di avere avuto meno visibilità mediatica”.
Per questo ieri, secondo quanto ha appreso l’Adnkronos, durante l’assemblea congiunta di deputati e senatori, Paola Taverna ha chiesto di introdurre il voto di ‘recall’, ovvero l’elezione di richiamo per confermare i parlamentari uscenti.
Ma da Luigi Di Maio è arrivato un no secco provando tuttavia a diffondere ottimismo convinto che l’ascesa grillina porterà più parlamentari alla Camera e al Senato. Dunque ci sarebbe spazio per tutti e molti altri, ma che ci sia un cambio della guardia è la paura che fa capolino tra i deputati M5s in Transatlantico.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
C’E’ CHI PARLA DI RECALL, MA E’ UN’IPOTESI IMPRATICABILE
Ieri si è svolta alla chetichella una interessante assemblea congiunta degli eletti del MoVimento 5 Stelle con all’ordine del giorno un argomento di grande attualità : le ricandidature.
La nuova legge elettorale infatti, per come è stata costruita, offre infatti una serie di problemi per le regole attuali del M5S, ma per ora — come è emerso in serata — nessuno ha deciso come scioglierle.
“Non credo che cambieremo dei punti sui quali abbiamo fatto la nostra battaglia sul Rosatellum”, ha spiegato ieri un parlamentare all’agenzia di stampa ANSA, ma la dichiarazione è contraddittoria perchè subito dopo sosteneva che chi corre negli uninominali possa essere inserito anche nel listino collegato.
Questo significa doppia candidatura, ovvero possibilità di correre sia nel collegio uninominale, dove verrà però eletto un solo candidato tra quelli di centrodestra, centrosinistra, sinistra e M5S che si candideranno, sia nel listino proporzionale.
Secondo le indiscrezioni a correre negli uninominali dovrebbe essere il capolista, ovvero chi, nelle parlamentarie organizzate in corrispondenza di ciascun collegio, prenderà più voti.
Nelle prossime settimane l’impianto avrà una sua ufficialità in un contesto nel quale, tra i parlamentari, si fa la conta di chi non ha intenzione di ricandidarsi.
Ma già qui sorge un problema: uno degli elementi caratteristici del collegio uninominale è che ci si gioca molto sulla notorietà : quindi i parlamentari dovrebbero essere avvantaggiati rispetto ai semplici attivisti nella sfida dei collegi.
Il Rosatellum poi non prevede neanche il voto disgiunto, anzi: il voto al candidato del collegio si estende al listino proporzionale e viceversa.
Quindi sarà impossibile quanto successo in Sicilia, dove i voti per Giancarlo Cancelleri governatore sono stati di più di quelli dati al MoVimento 5 Stelle.
E allora come risolvere questo problema?
Ieri, scrive l’Adn Kronos, la senatrice Paola Taverna, tra i volti più noti del Movimento, ha chiesto di prevedere il recall per confermare senatori e deputati che aspirano al secondo mandato in Parlamento.
Una corsia preferenziale per gli eletti uscenti, così da non correre il rischio di vedere mancate conferme tra le file grilline in attesa delle regole per le ‘parlamentarie’ allo studio dei vertici (Casaleggio-Grillo-Di Maio).
Ma da Luigi Di Maio è arrivato un no secco. Perchè, ha spiegato il candidato premier del Movimento ai presenti, l’istituto del ‘recall’ non è previsto dallo Statuto e, introducendolo, i 5 Stelle rischierebbero ricorsi su ricorsi.
Quella del recall era sicuramente la soluzione più semplice. Mentre con una gara aperta sin dall’inizio, ragionano in molti, rischia soprattutto chi viene da piccole province dove ci sono pochi attivisti e ci si gioca il posto con pochi voti.
Senza contare quei parlamentari che in questi anni hanno avuto scontri e contrasti sul territorio con gli attivisti e magari sono più popolari presso il grande pubblico che nel proprio territorio.
Ecco perchè sarà il meccanismo scelto per decidere le candidature ad avere la maggiore influenza sui nomi che arriveranno a candidarsi. Non solo: vista la situazione del corpo elettorale, chi è candidato nei collegi uninominali rischia di non essere eletto, mentre la strada potrebbe essere più semplice per chi viene candidato nel listino proporzionale.
Con il risultato-beffa che chi trionfa su Rousseau rischia poi di ritrovarsi fuori dal parlamento.
Ecco perchè la questione della doppia candidatura (nel collegio uninominale e nel listino proporzionale) dovrà essere in qualche modo accettata dal MoVimento 5 Stelle: perchè così si potrà offrire un paracadute ai candidati nel collegio uninominale che dovessero perdere la sfida.
E pazienza se questo significherà accettare le regole del gioco che si sono contestate fino all’altroieri.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
E POI PARLIAMO DEI POLITICI “LADRI”… PURTROPPO MOLTI ITALIANI SONO COME LORO…273 DENUNCIATI: PER INCASSARE IL CONTRIBUTO AVEVANO TRASFERITO LA RESIDENZA NEI COMUNI TERREMOTATI
Non solo Rieti. Adesso i cosiddetti “furbetti” del centro Italia — ossia coloro che hanno approfittato dei contributi per ristrutturare case situate nelle zone terremotate senza averne diritto — potrebbe finire indagati anche in altre Regioni colpite in passato da terremoti.
Tra Lazio, Marche e Umbria, sono 273 i denunciati dalla Guardia di Finanza per aver spostato la residenza proprio nelle zone terremotate, facendo figurare come prima casa abitazioni usate solo per vacanza.
166 persone sono state denunciate a Rieti, nel Lazio; 39 nelle Marche (precisamente a Camerino e Teramo) e altri 58 a Spoleto (Umbria). In totale, per le tre Regioni, secondo gli accertamenti svolti dai Nuclei speciali della Guardia di finanza, l’ammontare della truffa è di circa 900mila euro.
Intanto a Rieti accelerano le indagini della procura.
È di ieri la notizia dei circa 200 indagati con l’ipotesi di truffa e falso proprio nell’ambito dell’inchiesta riguardante l’erogazione del contributo di autonoma sistemazione (Cas) nei comuni del cratere sismico reatino, dove le richieste per questi finanziamenti sono state 2025.
Secondo l’accusa, gli indagati, dichiarando il falso, hanno ottenuto e incassato indebitamente il contributo che varia tra i 400 e i 1.100 euro al mese.
Nella prima fase dell’inchiesta della procura reatina, erano stati denunciati 110 ‘furbetti’ che avevano dichiarato di risiedere abitualmente ad Amatrice e nelle sue frazioni. A questi se ne sono aggiunti altri 94, scovati tra Leonessa (40), Cittareale (4) e Accumoli (50).
Le indagini sono partite dall’analisi delle utenze: gli investigatori hanno così scoperto che i consumi si concentravano in poche settimane, quasi sempre nei periodi estivi.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
IL GUARDIASPALLA DI ROBERTO SPADA E’ UN URUGUAYANO CON PRECEDENTI PER SPACCIO: IN QUESTO CASO NON VALEVA IL PRINCIPIO “PRIMA GLI ITALIANI”
Era ricercato dal giorno del pestaggio. Ora gli inquirenti lo hanno trovato: una seconda persona è stata arrestata per l’aggressione alla troupe di Nemo avvenuta il 7 novembre a Ostia. Si tratta dell’uomo che si trovava assieme a Roberto Spada, già in carcere per avere dato una testata al reporter Daniele Piervincenzi e per aver picchiato con un manganello l’operatore Edoardo Anselmi, al momento dell’aggressione.
L’arrestato si chiama Alvez Del Puorto Nelson, ha 38 anni ed è uruguaiano.
L’uomo ha precedenti per droga e secondo gli inquirenti è da anni vicino al clan Spada. Secondo quanto accertato dai carabinieri e dal pm Giovanni Musarò l’arresto avrebbe partecipato all’aggressione ai danni del reporter.
Anche al secondo arrestato, come a Roberto Spada, la Procura contesta l’aggravante mafiosa. In particolare l’uruguaiano è accusato di lesioni e violenza privata aggravata dall’articolo 7, ovvero le modalità mafiose.
Nei prossimi giorni verrà fissato l’interrogatorio di garanzia.
(da agenzia)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
RENZI AVEVA SCARICATO SU ROSSI LA RESPONSABILITA’ DEL FLOP DELL’EX ACCIAIERIA LUCCHINI DI PIOMBINO
Il Partito Democratico e MDP governano assieme la Toscana, dove il segretario del PD è nato e dove è presidente Enrico Rossi, passato qualche tempo fa con Bersani. Eppure, colpo di scena, l’avvocatura regionale della Toscana sta predisponendo la querela del presidente della Regione Enrico Rossi (Mdp) nei confronti del segretario del Pd Matteo Renzi.
Tutto ciò perchè due giorni fa lo stesso Renzi ha incontrato durante la tappa toscana del suo giro nella Penisola a bordo del treno “Destinazione Italia” una delegazione dei lavoratori dell’acciaieria ex Lucchini.
La materia del contendere è Issad Rebrab, l’imprenditore algerino che rilevò le acciaierie nel 2014 «sorpassando» il magnate indiano Jindal.
«Abbiamo fatto una cazzata a fidarci di Rebrab», ha detto Renzi, assicurando agli operai saliti sul treno che il governo «sta lavorando per trovare una soluzione» e che gli ammortizzatori sociali saranno garantiti.
Ma soprattutto, ha aggiunto Renzi, a volere Rebrab «furono Rossi e Landini».
Ed è proprio questo che ha fatto arrabbiare il governatore: “Il progetto industriale presentato dall’imprenditore Issad Rebrab è stato scelto attraverso una regolare procedura di gara del ministero dello Sviluppo economico, sulla quale non ho avuto alcuna influenza. Le affermazioni su Piombino, così come riportate dai giornali, meritano una sola risposta: la querela. Ne sono dispiaciuto ma su questa materia non si scherza e non sono ammessi equivoci”, ha fatto sapere Rossi.
(da agenzie)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
GLI AIUTI ALLO SVILUPPO SONO IN REALTA’ DIROTTATI PER I CONTROLLI ALLE FRONTIERE E PER I CENTRI DI DETENZIONE… L’ITALIA E’ IL PAESE A PIU’ ALTO TASSO DI IGNORANZA SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE:A QUALCUNO FA COMODO COSI’
Quel Fondo va “rifondato”. Se non si vuole che l'”aiutiamoli a casa loro”, per l’Europa, continui a essere ciò che oggi è: “Aiutiamo i dittatori africani a costruire centri di detenzione”.
Le analisi e le proposte del mondo delle Ong sono, di fatto, una risposta a quanto sostenuto dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini che, in una intervista a La Stampa, afferma: “I paesi africani facciano la loro parte riprendendosi i migranti”.
Senza alzare i toni o lanciarsi in sterili filippiche, il Rapporto documenta una verità inquietante: l’unica “industria” in crescita grazie ai fondi europei in Africa è quella detentiva (prigioni, centri di detenzione, polizia anti-migranti, addirittura contractors ad hoc…).
Lanciato nel novembre 2015 al vertice de La Valletta, l’Eutf è il principale strumento finanziario di 3,2 miliardi di euro per il coinvolgimento politico dei partner africani nel campo delle migrazioni.
Trattandosi di fondi della cooperazione — rimarca il Rapporto – il loro utilizzo dovrebbe essere guidato da principi di efficacia.
Invece, le interviste condotte durante la ricerca hanno evidenziato una chiara tendenza in alcuni paesi all’uso dei fondi Eutf nella gestione delle frontiere e al rafforzamento della cooperazione per facilitare i rimpatri di migranti irregolari.
Attraverso tre casi studio — Libia, Niger e Etiopia — il rapporto analizza i Migration Compact tra l’Unione Europea e questi paesi e le possibili conseguenze per i migranti e la stabilità locale.
La scelta di concentrarsi su questi paesi è stata dettata dal loro ruolo strategico nei processi migratori: la Libia è un paese chiave di transito e il principale punto di partenza verso l’Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale; il Niger è il principale paese di transito per i migranti provenienti dall’Africa occidentale; l’Etiopia è un importante paese di origine e transito per i migranti provenienti dal Corno d’Africa.
Le interviste realizzate hanno rivelato forti debolezze nel sistema di governance: secondo le organizzazioni della società civile locale, i progetti sono costruiti direttamente nei paesi membri e a Bruxelles, sulla base delle proprie priorità nazionali.
Il processo di selezione è opaco e soggetto a pressioni da parte degli Stati membri. Non basta. Gli attori locali vengono consultati a malapena e soltanto dopo che le decisioni sono state prese. Infine non c’è un quadro di riferimento che permetta alle agenzie di monitorare e valutare il loro lavoro sul campo.
L’Eutf, al contempo, può comportare anche gravi effetti negativi sulla stabilità e lo sviluppo locale, e rispetto ai diritti umani dei migranti e dei rifugiati.
Rispondendo alle priorità politiche europee e concentrandosi su misure di repressione, i progetti possono effettivamente alimentare una governance inadeguata, incoraggiando attività di contrabbando e traffico più rischiose, facilitando l’industria detentiva e la violazione dei diritti umani, limitando l’impatto economico positivo della migrazione regolare, alimentando lo scontento popolare e l’instabilità locale, e impedendo ai rifugiati di ottenere la protezione di cui hanno bisogno.
“Abbiamo molti dubbi e preoccupazioni sulle modalità di impiego dei fondi e su quella che si presenta come una tendenza a spostare – e condizionare – fondi per lo sviluppo verso il maggior controllo delle frontiere”, rimarca l’europarlamentare Elly Schlein.
Nel Rapporto sono contenute diverse proposte di “rifondazione” del Fondo.
Tra le quali: offrire vie di accesso regolari a migranti e rifugiati; impedire la deviazione degli aiuti allo sviluppo dai loro obiettivi di sradicamento della povertà ; integrare i diritti umani in tutte le azioni di cooperazione del Trust Fund, bloccando i finanziamenti alla guardia costiera libica; ridefinire l’attuale approccio dell’Ue al nesso tra migrazione e sviluppo, impegnandosi di più sulla protezione e per mobilità positive”
“Apocalisse umanitaria”, è il titolo, del 15mo rapporto di Diritti Globali.
Oggi nel mondo, afferma il Rapporto, ci sono 65,6 milioni di profughi in fuga da guerre, pulizie etniche, disastri ambientali, povertà assoluta.
Vent’anni fa erano quasi la metà : 33,9 milioni.
Ma a moltiplicarsi non è solo il “popolo” dei migranti, ma anche l’ignoranza dell’opinione pubblica europea attorno a questo fenomeno.
E in questo senso, l’ “l’Italia risulta il paese con il più alto tasso di ignoranza sull’immigrazione in tutto il mondo, come rilevato dalla commissione “Jo Cox” della Camera, citata nel lavoro di Diritti Globali.
L’ignoranza come viatico della demonizzazione: la maggioranza dei cittadini italiani pensa che gli immigrati presenti sul suolo italiano siano il 30% della popolazione, anzichè l’8%, e che i musulmani siano il 20%, mentre sono il 4%”.
Inoltre, nel 2016 sono stati registrati in Italia 123.600 richiedenti asilo, la cui domanda viene bocciata nel 60% dei casi; in Germania 722.300, ossia il 60% del totale all’interno dell’Ue.
Concord, Cini, Diritti Globali, le centinaia di associazioni che hanno sostenuto la campagna “Ero Straniero”, Oxfam che non ha smesso di documentare la vergogna dei “paradisi fiscali”, anche europei: sono parte di un universo solidale che agisce, che pratica e non predica, che denuncia e propone. E chiede conto dei miliardi spesi in Africa per realizzare lager.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
FAMIGLIE ED ENTI NO-PROFIT DENUNCIANO I VERGOGNOSI TAGLI DELL’ASSESSORA LEGHISTA… E TOTI FA CHIUDERE LA DIRETTA STREAMING PER PAURA DI PERDERE CONSENSI
“Con il Piano sociosanitario rischiamo di chiudere o di diventare troppo cari e non aiutare più nessuno”: è una mobilitazione generale, quella del comparto della disabilità , contro il Piano sociosanitario, in discussione in consiglio regionale in queste ore.
Genitori di persone disabili, operatori, dipendenti delle strutture: l’urlo è unico e lo hanno lanciato, chiaro, ma composto, in un centinaio, nell’aula del consiglio regionale.
“Il Piano sociosanitario taglia fuori le persone dalle strutture”, dicono le famiglie. “Qui sono a rischio posti di lavoro, perchè il Piano prevede ancora tagli a questo settore”, denuncia Fulvia Veirana, Cgil, mentre molti operatori mettono bene in chiaro: “Pagare di meno i dipendenti significa abbassare la qualità del servizio ovvero mettere a rischio la salute degli utenti”.
Davanti a una giunta pietrificata e muta, si sono alternati al microfono tanti testimoni ed operatori del mondo della disabilità , che con grande dignità e nessuna rabbia hanno chiesto alla giunta di rivedere il provvedimento che nel Piano sociosanitario riduce ancora i trasferimenti a un comparto così delicato.
Scoppia anche la bagarre politica, perchè il Pd, con la capogruppo Raffaella Paita e il consigliere Pippo Rossetti, ha scoperto che la Regione ha sospeso la diretta streaming dei lavori del consiglio durante l’audizione, commovente, degli operatori e dei familiari delle persone disabili. “La Regione censura i più fragili, i più deboli”, attaccano Paita e Rossetti.
“L’approccio di questo Piano sociosanitario è contabile e scarica sulla parte più fragile della società i costi della sanità pubblica – denuncia Veriana – questo ridurrà l’accesso alle strutture e le prestazioni”.
Ciò che, più direttamente, spiegano i familiari dei disabili è una realtà quotidiana: “Questo significa che i disabili ritornano in carico totale alle famiglie, con le tante difficoltà che le famiglie possono avere e isolando gli stessi disabili che invece possono migliorare la propria situazione in contesti di comunità “.
Solenne e grave, tra i tanti appelli, quello del presidente dello storico Istituto Chiossone di Genova, che festeggerebbe i 150 anni di storia, se non fosse per il Piano: “Con questi provvedimenti, anche noi che abbiamo sempre resistito, andremo in crisi”.
(da agenzie)
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Novembre 30th, 2017 Riccardo Fucile
RIVISTE AL RIBASSO LE STIME SU CRESCITA E PRODUTTIVITA’, FANALINO DI CODA DELL’EUROPA… I DATI SONO UNA RISPOSTA AI CAZZARI CHE IN ITALIA VORREBBERO USCIRE DALLA UE
In soli tre anni l’economia britannica è passata dall’essere la locomotiva del G7 all’ultima della classe. E le stime di crescita dell’Office for Budget Responsibility, agenzia governativa, sono state tagliate al ribasso.
Mentre proseguono i negoziati tra Londra e Bruxelles sul conto da pagare per la Brexit — si parla di circa 50 miliardi di sterline — i cittadini del Regno Unito scoprono che i loro salari ritorneranno ai livelli del 2008 solamente nel 2025.
Il Paese è poi alle prese con una produttività che nell’ultimo decennio è tornata ai livelli di 200 anni fa.
“L’Obr ha consegnato al Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond una serie di previsioni economiche catastrofiche. Dopo un decennio di irrealizzati obiettivi di produttività , ha annunciato la madre di tutti i downgrade”.
È quanto ha scritto nel suo ultimo report la Resolution Foundation, think tank indipendente con la missione di migliorare le condizioni di vita dei 15 milioni di britannici a più basso reddito.
§L’economia inglese crescerà nei prossimi cinque anni mediamente dell’1,4%, che vuol dire il 2% in meno di quanto precedentemente stimato per il 2022.
In valori assoluti le percentuali si traducono in una contrazione di 42 miliardi di sterline al primo trimestre del 2022 rispetto alle stime di marzo 2017, e di 72 miliardi al primo trimestre del 2021 rispetto a quanto stimato nella finanziaria del 2016, segnalando dunque un netto peggioramento delle condizioni dell’economia durante l’anno in corso.
I dati ufficiali raccontano infatti un’economia britannica paludata nei primi tre trimestri del 2017, che ha fatto registrare una crescita del Pil addirittura inferiore a quella dei primi due trimestri del 2016, ovvero nei mesi antecedenti al referendum.
Un segnale in controtendenza rispetto all’Eurozona, agli Stati Uniti, al Canada e anche al Giappone, che supera il Regno Unito perfino nel confronto diretto nel 2017.
Tra i Paesi del G7, compresa dunque l’Italia, l’economia della Gran Bretagna ha fatto registrare quest’anno la crescita peggiore, dopo essere stata solo nel 2014 la locomotiva del G7. Sir Stuart Rose, già presidente e amministratore delegato della catena Marks & Spencer e oggi lord conservatore, ha dichiarato pochi giorni fa alla Bbc: “Non importa a quali fonti si fa riferimento, l’Ifs, l’Ons, la Bank of England. Tutti gli indicatori ci dicono che siamo passati dall’essere il Paese dalle migliori performance del G7, d’Europa, del mondo, all’essere adesso in fondo alle classifiche. E tutto questo è successo negli ultimi 6 o 12 mesi”.
La Brexit sta esacerbando un problema strutturale dell’economia Uk, ovvero la scarsa produttività .
La produttività è la misura di quanto un lavoratore riesca a produrre in un’ora di tempo e rappresenta l’efficienza dei lavoratori britannici.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la produttività della Regina era cresciuta del 2-2,5% all’anno. La Resolution Foundation ha calcolato invece che nell’ultimo decennio il Regno Unito ha fatto registrare in termini di produttività la performance peggiore dal 1812, ovvero da quando Napoleone invase la Russia.
L’Obr, che fino a ora aveva basato le proprie stime su una crescita della produttività annua da dopoguerra del 2%, finendo per sovrastimare costantemente i risultati effettivi dell’economia britannica, ha deciso adesso di portare questo valore all’1,3% annuo da qui al 2022.
In un Paese che lavora a pieno ritmo, registrando tassi di disoccupazione ai minimi storici, i salari sono ancora al di sotto del 6% rispetto ai livelli del 2008, e secondo la Resolution Foundation si potranno pareggiare solo nel 2025.
Una condizione che pone sotto pressione le famiglie e favorisce le disuguaglianze, alimentate anche dalle misure fiscali implementate dopo le elezioni del 2015.
Tali misure, secondo il think tank, hanno provocato una perdita secca di 715 sterline annue per il 33% dei britannici a più basso reddito e un guadagno invece di 185 sterline per il 33% più ricco.
La scarsa produttività determina anche una debole crescita del Pil, che si traduce inoltre in tagli alla spesa pubblica e al welfare, quantificati nella finanziaria appena presentata da Hammond in circa 12 miliardi di sterline.
Nonostante l’assegnazione di 2,8 miliardi di sterline in più per la Sanità , inferiori ai 3 miliardi in più stanziati per i costi operativi della Brexit, e ai 4 invece richiesti dalla Nhs, tutti gli altri servizi pubblici secondo l’Institute of fiscal studies continueranno a soffrire tagli del 7% nei prossimi 5 anni.
Mancano investimenti in infrastrutture, in formazione, in ricerca e sviluppo. E molto nel prossimo futuro dipenderà dai termini che Londra concorderà per l’uscita con Bruxelles. In gioco ci sono i traffici commerciali, gli investimenti esteri e la circolazione delle persone tra il Regno Unito e l’Unione Europea.
Il modello norvegese, cioè l’appartenenza all’Area Economica Europea, potrebbe risultare per le aziende britanniche meno traumatico di un accordo di libero scambio sulla falsariga delle esperienze con il Canada o la Svizzera, o piuttosto dover fare i conti con il modello cinese, le regole generali del Wto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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