Destra di Popolo.net

LA STORIA DELLE QUASI DUE LAUREE (E UN MASTER) DI DI BATTISTA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

IN REALTA’ E’ SOLO LAUREATO AL DAMS E CON UN MASTER IN DIRITTI UMANI (CHE NON USA, VISTO CHE IGNORA IL DRAMMA DEI PROFUGHI)

Silvio Berlusconi ha detto che Alessandro Di Battista è un ignorante.
Il deputato del M5S ha deciso di querelarlo perchè — come ha spiegato durante un comizio ad Ostia — lui non è ignorante dal momento che “ha quasi due lauree e un master”.
L’unica laurea di cui si abbia notizia però è quella in discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo (DAMS) conseguita nel 2004 all’Università  degli Studi Roma Tre.
Il curriculum di Alessandro Di Battista parla chiaro: nato nel 1978, si è iscritto al DAMS nel 1998 dove si è laureato nel 2004.
§Nel 2008 ha conseguito un master di secondo livello in tutela internazionale dei diritti umani all’Università  degli Studi di Roma.
Campione di benaltrismo ha tirato fuori quel master durante un’intervista ed è riuscito ad evitare di rispondere ad una domanda sui diritti umani in Russia e in Siria svicolando su quelli negati nel quartiere Tamburi di Taranto.
Nè su LinkedIn nè sul sito della Camera si trova traccia della “quasi seconda laurea” di Di Battista.
Fino a prova contraria quindi Di Battista ha una laurea e un master e non “quasi due lauree”.
Ma del resto anche Di Maio una volta si vantò delle sue conoscenze in materia di diritto dicendo: «Conosco il diritto costituzionale, sono al terzo anno fuoricorso di Giurisprudenza».
Nessuno però dice che Di Maio ha una “quasi laurea” in Giurisprudenza. Anche perchè a voler essere onesti il candidato Premier del MoVimento di quasi lauree ne avrebbe due tenendo conto che prima di iscriversi a Legge ha “frequentato per alcuni mesi” la facoltà  di Ingegneria.
Ma quello che Di Battista non è in grado di cogliere (o fa finta di non capire) è che si possono avere anche “quasi due lauree” ed essere lo stesso ignoranti.
Questo dovrebbe essere chiaro soprattutto ad un esponente di un partito il cui fondatore si vanta spesso di essere “solo un ragioniere” e che nel 2009 proponeva di abolire il valore legale dei titoli di studio universitari
Di Battista, il cooperante che ignora il dramma dei migranti
Se il numero di lauree fosse sufficiente per stabilire se una persona è intelligente o ignorante cosa dovremmo dire di Di Battista, che ha conseguito un master in diritti umani e che non ha detto una parola quando Grillo parlava dei migranti che portano le malattie o quando Di Maio attaccava le Ong che salvano i migranti nel Mediterraneo centrale?
Di Battista all’epoca ha invece raccontato di aver visto — durante la sua esperienza in Congo — «professionisti dello “sviluppo della cooperazione” più che della cooperazione allo sviluppo fare la bella vita».
Cosa c’entra la sua esperienza personale di cooperante con l’attività  di altre ONG che invece lavorano in un altro contesto e che si occupano di tutt’altro? Nulla.
Ma evidemente le “quasi due lauree”, il master in diritti umani, le esperienze lavorative in Congo e in Guatemala, il volontariato con la Caritas non sono stati sufficienti a Di Battista per comprendere il dramma dei rifugiati e dei cosiddetti “migranti economici“.
Quelli che scappano dalla fame e dalla miseria che Di Battista ha toccato con mano durante le sue spremute d’umanità , ma che ha dimenticato una volta entrato alla Camera.
Evidentemente un master in diritti umani non consente di capire che il no del M5S allo Ius Soli nega diritti a migliaia di ragazzi che sono nati e hanno studiato in Italia. Chissà , forse il Dibba imparerà  tutte queste cose con la prossima laurea.

(da “NextQuotidiano”)

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IN CAMPO DA INCANDIDABILE

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

ALLA VIGILIA DI STRASBURGO, IL CAV NON SI ASPETTA NULLA, TEMPI LUNGHI PER LA SENTENZA… L’8 MARZO POTRA’ PERO’ PRESENTARE LA DOMANDA DI “RIABILITAZIONE”, CONCESSA DOPO TRE ANNI DALLA CONDANNA

L’immagine dice tutto. Quando i giudici della Corte europea si riuniranno a Strasburgo, in questo atteso 22 novembre, per discutere il caso della decadenza di Silvio Berlusconi, il Cavaliere sarà  a Merano, per un’ennesima tappa della sua remise en forme, sia pur di pochi giorni.
Strasburgo. Merano, tra tisane, saune, massaggi. Segno di distacco, anche emotivo, rispetto alle febbrili attese di ben altre camere di consiglio.
La verità  è che Silvio Berlusconi non si aspetta nulla da Strasburgo, per quanto pensi che, nel merito, la questione giuridica sia tutt’altro che scontata nell’esito, scartabellando i precedenti della giustizia europea.
E si prepara a una campagna elettorale da “incandidabile”: “Sarò in campo, comunque vada a Strasburgo”, dice a Matrix (registrato prima di andare a Merano) consapevole dell’aria che tira.
Per quando auspichi una sentenza a breve, nel giro di pochi mesi, è consapevole che, per le questioni più controverse, i tempi della Corte vanno dai nove ai dodici mesi. Certo, gli avvocati al termine della riunione della Grande Chambre saranno in grado di “annusare” il clima che si respira, diventato “politicamente” meno ostile dopo la grande riappacificazione con la Merkel a cui ha lavorato Tajani, ma è assai complicato che il “verdetto” possa arrivare prima del voto.
Il che, al netto delle dichiarazioni ufficiali, può persino tornare utile, considerata l’imprevedibilità  dell’esito finale.
Perchè consente di impostare una campagna elettorale da vittima di una persecuzione politica e giudiziaria, in attesa di un giudice a Strasburgo che gli restituisca l’onore perduto. Al contrario una sentenza sfavorevole, quella sì, sarebbe un duro colpo, che chiuderebbe per sempre la questione.
C’è un motivo, però, se al netto di Strasburgo, nei giorni scorsi, l’ex premier di fatto ha chiesto un election day che accorpi il voto politico e le amministrative a maggio: “Ci sarebbe stato bene anche aprile — dice una fonte molto vicina al Cavaliere — ma non marzo”.
E riguarda la seconda carta che gli avvocati vorrebbero giocarsi per ottenere, o provarci, la ricandidabilità . Ovvero: la “riabilitazione”.
Spieghiamo di che si tratta. L’ex premier, in conseguenza di una condanna per frode fiscale, non è solo un ex senatore decaduto dalla carica ma, in base alle legge Severino, è anche incandidabile fino al 2019, fino cioè a sei anni dopo che la pena si è estinta.
A meno che, come previsto dalla Severino, non ottenga prima la “riabilitazione”. Secondo l’articolo 179 del codice penale, trascorsi tre anni (dall’estinzione della pena) il condannato può chiedere la riabilitazione.
E può ottenerla qualora “abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta”.
Nel caso di Berlusconi la condotta è sempre un capitolo movimentato, a giudicare da inchieste e procedimenti ancora in piedi, come la corruzione in atti giudiziari nel Ruby ter e la compravendita dei senatori a Napoli.
L’oggetto della valutazione però per ottenere la riabilitazione sarebbe la condotta, non in generale intesa come stile di vita o ipotesi di reati in altri processi, ma in merito a come è stata scontata la pena nel procedimento in questione, in questo caso la frode fiscale.
Ecco l’importanza dei tempi.
Tre anni significa che a partire dall’8 marzo 2018, Berlusconi potrà  presentare domanda al tribunale di sorveglianza per chiedere di essere riabilitato.
È un passaggio cruciale questo, a prescindere da Strasburgo, dove appunto la sentenza richiede tempi lunghi.
In questi giorni più di un ambasciatore berlusconiano ha avuto qualche colloquio col Nazareno e con qualche ufficio del Quirinale, per capire se ci sono margini rispetto all’ipotesi di un voto a marzo che, al momento, sembra essere nei Palazzi che contano quella considerata prevalente.
Uno di loro dice: “Il paradosso è che noi stiamo facendo campagna elettorale contro Grillo, Renzi invece la sta facendo contro di noi. Vuole votare tra il 4 e il 18 marzo, punto, senza concederci altro tempo. E al Colle prenderanno atto delle decisioni del governo e del partito di maggioranza relativa. Non è in atto, nè ci sarà  nessuna moral suasion per allungare i tempi”.
Il voto a marzo, evidentemente, fa franare anche questa seconda strada che gli avvocati vorrebbero tentare.
Per quanto sia allo studio qualche diavoleria, come l’ipotesi di una candidatura con riserva, in attesa del pronunciamento del tribunale sulla riabilitazione, il dato politico è che Silvio Berlusconi dovrà  affrontare una campagna elettorale da incandidabile, anche se con una forma fisica perfetta e, con essa, un grande recupero di energia e vitalità .

(da “Huffingtonpost”)

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LA MARCHETTA GRILLINA AL CLAN DEI TREDICINE CON IL BANDO COSTRUITO SU MISURA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

L’ASSESSORE MELONI “VUOL FARE CHIAREZZA”, MA NASCONDE LA VERITA’

«Facciamo chiarezza»: così esordisce l’assessore al Commercio Adriano Meloni dopo 24 ore di tiro al piccione — ben assestato — nei suoi confronti per i risultati del bando della Festa di Piazza Navona, che ieri ha certificato il trionfo dei Tredicine (ovvero quelli di cui Di Maio diceva: «Sappiamo bene chi sono e il sistema che rappresentano a Roma, come emerso da Mafia capitale»).
Vuole fare chiarezza, Meloni, ma la parola “Tredicine” la pronuncia soltanto per far sapere (oggi, non ai tempi) che Alfiero ha presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale contro il bando.
Vuole fare chiarezza Meloni, ma non spiega in alcun modo perchè a quelli che Di Maio definiva “sistema…emerso da Mafia Capitale” e ai loro familiari siano andati 22 diconsi 22 banchi su 48 della Festa della Befana a Piazza Navona.
Vuole fare chiarezza, Meloni, ma non spiega come mai i risultati del bando, nonostante fossero pronti da tempo, sono stati pubblicati soltanto il giorno dopo le elezioni di Ostia. Vuole fare chiarezza, Meloni, ma non spiega perchè questo bando dura nove anni mentre i precedenti erano biennali.
Vuole fare chiarezza, Meloni, ma non pubblica i risultati del bando. Pubblica invece i bandi del 2014 e del 2015 del I Municipio “targato Sabrina Alfonsi”, ovvero l’attuale presidente del Partito Democratico.
Come nella migliore tradizione del MoVimento 5 Stelle, insomma, l’assessore si affaccia alla finestra e comincia a urlare “E allora il PD?”, invece di rispondere nel merito alle critiche che gli arrivano, è vero, dagli avversari politici, ma anche da una parte di città  che rimane sconcertata dai fatti dopo le tante parole sul cambiamento.
Ovvero quella parte di città  che quando Di Maio diceva «Ma, anche se mi rubassero 100 foto, i Tredicine rimarrebbero sempre i Tredicine e la loro storia non cambierebbe: sappiamo bene chi sono e il sistema che rappresentano a Roma, come emerso da Mafia capitale», ci aveva creduto.
Vuole fare chiarezza, Meloni, ma non dice che nel 2014 i bancarellari non hanno montato per protesta contro la riduzione dei banchi, mentre il bando del 2015 è stato ritirato in autotutela. E nel 2016 la manifestazione, quando l’organizzazione era in mano al Municipio, non si è svolta. Il Campidoglio si è preso la responsabilità  di organizzare il bando e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Ma che je frega, a Meloni, che ha deciso di non mutare più da fiera a festa.
Vuole fare chiarezza, Meloni.

(da “NextQuotidiano”)

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“ACCUSO REPORT E LA RAI DI DIFFAMAZIONE ALLE ONG”: IL VOLONTARIO ITALIANO A BORDO DELL’ACQUARIUS CONTRO I TAROCCHI DELL’INFORMAZIONE MINNITIANA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

“MAI COLLABORATO CON I TRAFFICANTI, MAI RICONSEGNATO GIUBBOTTI O BARCONI, MENTONO SAPENDO DI MENTIRE”

Io sottoscritto, Stefano Bertoldi, volontario a bordo della nave Aquarius dall’8 settembre 2017 al 20 ottobre 2017 (6 settimane) e impegnato direttamente come membro del SAR Team (Search and Rescue) nel salvataggio e assistenza insieme ai colleghi di Medici senza Frontiere dei migranti, senza impegnare in nessun modo la ONG sopra citata ma assumendomi personalmente la responsabilità  di quanto dichiaro, ACCUSO LA RAI (RADIOTELEVISIONE ITALIANA) e in particolare i giornalisti della redazione di Report del reato di DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA in quanto:
1) non corrisponde al vero che l’organizzazione con cui ho lavorato ha in qualche modo attuato forme di collaborazione con presunti trafficanti di esseri umani libici nè durante le operazioni di salvataggio nè prima nè tantomeno dopo accogliendoli deliberatamente a bordo oppure concordando con loro checchessia.
Questa insinuazione, accompagnata dalla pretesa assurda, ventilata dalla giornalista di Report, di dover individuare questi ultimi a bordo quasi in veste di pubblici ufficiali, è falsa e tendenziosa in quanto i migranti, nella quasi totalità , navigano a bordo di gommoni usa e getta che loro stessi guidano.
I trafficanti si guardano bene dal salire a bordo di un gommone che non è fatto per navigare e che imbarca acqua non appena il mare comincia a ingrossarsi soprattutto quando il tratto di mare da percorrere dopo i famigerati accordi con le ONG è salito a circa 50km dopo i quali, forse, si può incontrare una nave soccorritrice, sempre che la guardia costiera italiana o libica riesca ad intercettarla.
In quel mare, con quel tipo di gommoni e con quel carico (da minimo 70/100 fino a 190, ovvero 8 migranti per metro quadro) 50km di navigazione significa almeno 20h di navigazione ininterrotta ma si sa che per motivi di cambio dei serbatoi e conseguenti spegnimenti del motore, rotture dei tubolari o rallentamenti per l’acqua imbarcata, anche con mare calmo, 20h possono diventare giorni.
Il rischio della vita è reale, concreto, sia perchè le imbarcazioni già  in partenza sono al limite dell’affondamento sia perchè, una volta imbarcata acqua (cioè quasi sempre), stipati in oltre cento persone in gommoni di 10mt si può morire affogati anche all’interno in un mix letale di acqua e benzina.
2) NON corrisponde al vero che i giubbotti di salvataggio dei migranti vengono rigettati a bordo perchè sostituiti con quelli della ONG in modo tale che possano essere usati nuovamente, primo perchè questo non avviene in quanto spesso i migranti hanno i loro giubbotti e quindi perchè i giubbotti vengono dati a chi non ne è in possesso o è in possesso di un giubbotto rotto e poi perchè il gommone viene affondato con tutto il suo carico di oggetti abbandonati, compresi i giubbotti e il motore.
3) L’affondamento dei gommoni con tutti i vari oggetti abbandonati a bordo, peraltro testimoniato e filmato per qualche secondo sullo sfondo proprio dal servizio di Report viene effettuato proprio per garantire l’impossibilità  assoluta di riutilizzo di quelle sottospecie di natanti e viene effettuato o dalla guardia costiera libica o dagli stessi operatori della ONG Sos Mediterranee.
4) I giubbetti di salvataggio dei migranti che ne sono già  in possesso vengono invece portati a bordo proprio perchè da loro indossati e se non sono omologati o se sono rotti gettati al primo porto di arrivo mentre nei casi di trasferimenti di migranti da una nave all’atra, se sono riutilizzabili, vengono marchiati con il logo di SOS Mediterranee tramite degli stencil
Questo è quanto posso testimoniare personalmente in quanto direttamente coinvolto nelle operazioni SAR ma posso aggiungere il mio personale rammarico per le vergognose insinuazioni e ammiccamenti giornalistici, concepiti ad arte dalla successione tendenziosa delle domande e dal montaggio che ha decontestualizzato le risposte nei confronti del presidente di SOS Mediterranee che secondo la giornalista dovrebbe farsi carico di fare pressione presso il governo francese affinchè questi faccia maggiori sforzi sul piano dell’accoglienza, nelle sue vesti di imprenditore influente: ovvero secondo la giornalista dovrebbe farsi carico di far prendere delle decisioni allo Stato francese su di un tema delicato ed epocale come il governo dei flussi migratori che l’Europa intera non è in grado o meglio non vuole governare in modo solidale e umanitario !
Non sta a me poi replicare rispetto a tutte le altre illazioni e fumo negli occhi il cui risultato, tra gli altri, è stato certamente quello di mettere tutti in uno stesso calderone di “colpevoli” e conniventi, diretti e indiretti, trafficanti (ufficiali ed “ufficiosi”), ONG, governo italiano-Minniti, UE, UNHCR, IOM, in un quadro complessivo di cinica volontà  di NON accoglienza ma soprattutto di torbidi accordi.
Mi è difficile capire, invece, o meglio andare al di là  di qualche ipotesi, il motivo di un attacco così diretto ad una delle pochissime ONG che ancora riesce a salvare delle vite umane: l’unico dato di fatto reale, in assenza del quale, ci sarebbero ulteriori morti in mare che vanno ad aggiungersi alle altre migliaia tra deserto e centri di detenzione.

Stefano Bertoldi

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ACCIAIERIE DI PIOMBINO, TRE ANNI DOPO IL GOVERNO SCOPRE IL BLUFF

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

“BASTA PRESE IN GIRO, ORA AZIONI LEGALI”: IL MISE AVVIA LA RISOLUZIONE DEL CONTRATTO CON IL MAGNATE ALGERINO

Tre anni dopo i tweet di giubilo di Matteo Renzi, la situazione delle acciaierie di Piombino precipita definitivamente.
Il rilancio dell’ex Lucchini non avverrà  per mano dell’algerino Issad Rebrab. È stata un presa in giro, come la definisce il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
Tanto che il sindaco della città  in provincia di Livorno, Massimo Giuliani, uno che in questi anni di passione ha sostenuto i circa 2mila operai dormendoci anche insieme durante l’occupazione del Comune, lo dice senza giri parole: “Constato che evidentemente il ministro Calenda ha preso atto che non ci sono ulteriori fatti o documenti che facciano ritenere il piano industriale di Aferpi, attendibile, verosimile e fattibile”.
Lo scenario era chiaro da più di un anno, ma solo ora il governo ha deciso di agire dopo diversi temporeggiamenti e un addendum scaduto il 31 ottobre per provare a smuovere, senza risultati, il magnate algerino che tre anni fa si era assicurato le acciaierie.
Lettere, appelli, incontri che il ministro ha scritto e organizzato per oltre un anno, come prima aveva fatto Federica Guidi.
“Abbiamo dato mandato di partire con l’azione legale — dice ora il titolare del Mise — Siamo sempre alla solita storia, sono stanco di essere preso in giro”. L’annuncio, secco, sulla vertenza Aferpi è arrivato lunedì sera al termine dell’incontro, durato meno di un’ora, con i vertici di Cevital, la controllante di Aferpi, che questa volta non sono riusciti a convincere il governo.
“Avendo verificato che nessun progresso era stato fattivamente compiuto su tutti i fronti individuati dall’addendum, il ministro ha invitato l’amministrazione straordinaria a dare avvio alle procedure legali per la risoluzione del contratto con Aferpi-Cevital“, ha poi spiegato il Mise in una nota.
Finisce qui, quindi, una vicenda che a Piombino, tre anni fa, qualcuno aveva definito come una possibile soluzione, una ripartenza per l’ex stabilimento della Lucchini. L’allora premier Renzi in primis aveva salutato con tweet entusiasti l’accordo, definito “strategico” e collegato ad altri “grandi successi” di quelle settimane. Nella sua narrazione, Piombino diventava “un pezzo di futuro dell’Italia”.
Il 9 dicembre 2014 gli algerini si erano presentati alla firma dell’accordo con Renzi a Palazzo Chigi dicendo che non intendevano solo mantenere il personale della Lucchini ma anche “aumentare l’occupazione nei prossimi quattro anni”.
“Abbiamo — disse Rebrab in occasione della sigla dell’intesa — un grande progetto per Piombino”. Non solo la produzione di 2 milioni di tonnellate di acciaio, ma anche sviluppare due altri business: “una piattaforma logistica per tutto il Mediterraneo” e “lo sviluppo di un complesso agroalimentare”. Poi la perla: “Piombino sarà  il centro mondiale dell’acciaio di qualità ”. Il gigante però aveva i piedi d’argilla: secondo Rebrab, i suoi investimenti sono stati stoppati da un cambio di politica interna in Algeria. Adesso, è tutto da rifare.
Restano solo due strade percorribili, oltretutto dai tempi incerti.
“A questo punto è importantissimo — ha aggiunto il sindaco Giuliani — che in questa ulteriore fase che si apre lo Stato sia presente su Piombino con strumenti ordinari, ma anche con strumenti straordinari utili per riaprirci verso altri investitori e altri progetti”.
Come anticipato da ilfattoquotidiano.it a settembre, sul tavolo c’era — e c’è ancora, secondo fonti sindacali — la volontà  degli indiani di Jindal di subentrare a Rebrab.
Il colosso dell’acciaio cerca da tempo un cavallo di Troia per entrare nel mercato europeo.
Ci aveva provato proprio nel 2014 con le ex Lucchini, ma il governo preferì l’offerta di Cevital che prometteva 400 milioni di investimenti pronti a lievitare fino a un miliardo; poi ha tentato di prendersi l’Ilva ma ha perso la battaglia contro ArcelorMittal e Gruppo Marcegaglia, nonostante i suoi piani industriale e ambientale fossero stati giudicati migliori dai tecnici.
Adesso Jindal sarebbe accolta a braccia aperte a Piombino, ma Rebrab vuole cedere a un prezzo che gli indiani giudicano alto e la trattativa non decolla.
In questa situazione di stallo, il governo è pronto ad aprire la partita legale per togliere le acciaierie al magnate algerino.
Se nel frattempo Aferpi dovesse dichiarare default, scatterebbe invece un nuovo commissariamento. Oppure il governo potrebbe agire per decreto e rimettere tutto in discussione con una nuova gara. In ogni caso, senza un accordo tra Aferpi e Jindal, i tempi saranno lunghi e il rilancio dell’ex Lucchini si allontanerebbe ulteriormente dopo una presa gira, Calenda dixit, durata tre anni.
Nel frattempo le acciaierie sono praticamente ferme.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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IL SINDACO DEL PD CHE SFILA ASSIEME A CASAPOUND CONTRO “L’INVASIONE DI BEN 37 RICHIEDENTI ASILO”

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

IL PRIMO CITTADINO DI SPINETOLI SI CONTENDE CON CASAPOUND LA PALMA DI CHI VUOLE CACCIARE I POVERI

A Spinetoli, comune di settemila abitanti in provincia di Ascoli Piceno è prevista l’apertura di un Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) per ospitare temporaneamente 37 richiedenti asilo.
I numeri fanno ben capire che non si tratta di un’invasione.
Come al solito però per CasaPound si tratta di una soluzione inaccettabile perchè è ora di dire basta all’accoglienza di massa e al business delle cooperative che lucrano sui migranti con i soldi degli italiani.
Fino a qui niente di nuovo: i fascisti del Terzo Millennio giocano la loro partita contro gli stranieri a Spinetoli come altrove.
La novità  è che a fianco a Casa Pound si sono schierati il sindaco di Spinetoli, Alessandro Luciani, che invece è del Partito Democratico.
Luciani si è infatti fatto promotore di una raccolta firme contro l’apertura del CAS e ha dato vita ad un comitato cittadino — il Comitato Cittadini Spinetoli — che domenica ha indetto una manifestazione contro il centro di accoglienza.
Al corteo per dire “no all’immigrazione incontrollata e senza regole” hanno preso parte Casa Pound, il sindaco Luciani e l’ex presidente della Provincia di Ascoli Emidio Mandozzi (anche lui del PD).
Non è la prima volta che a Spinetoli si protesta contro il CAS.
Ad inizio novembre andò in scena una manifestazione di fronte all’abitazione dove è previsto verranno accolti i richiedenti asilo.
Sui cartelli e sugli striscioni, scritti con il riconoscibile fascio-font usato da Casa Pound si leggevano cose come “troveremo 40 profughi a insidiare i nostri figli davanti le scuole, minando la sicurezza della comunità ”.
Un’affermazione senza senso e ricca di pregiudizi ma che basta per spaventare gli abitanti del paese.
All’epoca Luciani spiegò che la cooperativa che ha preso in carico i richiedenti asilo opera su tutto il territorio nazionale e “gestisce” oltre 1.600 migranti e conta 600 dipendenti.
Secondo Luciani il problema era quindi “più grande di quello che possiamo immaginare”. Quasi che tutti quei migranti dovessero trasferirsi da un momento all’altro a Spinetoli.
Il problema è che Luciani non sembra avere le idee chiare su come gestire la situazione.
Il Comitato e il sindaco parlano di “immigrazione incontrollata e senza regole” ma al tempo stesso ammettono che la cooperativa ha regolarmente vinto un bando indetto dalla Prefettura.
Insomma non si capisce in che modo la situazione sarebbe senza controllo e senza regole se non per il fatto che gli stessi che non vogliono i richiedenti asilo sono quelli che parlano di “sostituzione etnica” organizzata dall’alto.
Del resto Luciani, e con lui altri sindaci della zona, hanno timidamente avanzato la proposta di adesione al progetto SPRAR, che è il sistema di accoglienza parallelo a quello dei CAS che però è gestito dal Comune attraverso le cooperative.
Ma è chiaro che il Comune vuole solo prendere tempo, rimandare la decisione e l’adesione allo SPRAR all’anno prossimo e al tempo stesso lisciare il pelo a tutti coloro che i profughi, che siano 27, 12 o 24, non li vuole nè oggi nè domani.
E così a Spinetoli succede che il sindaco si trovi a sfilare in un corteo dove oltre al classico “stop business immigrazione” si leggono cose come “con l’immigrazione uccidente la Nazione”.
La situazione è così assurda e paradossale che non è il sindaco Luciani a prendere le distanze da Casa Pound (il Comitato si è limitato a ribadire di essere apolitico e apartitico).
È Casa Pound a prendere le distanze dal sindaco. Perchè Luciani non vuole il CAS ma vuole lo SPRAR, e Casa Pound e i cittadini di Spinetoli non vogliono nè l’uno nè l’altro.
Evidentemente il tentativo di Luciani e del PD di cavalcare la protesta dei cittadini contro i migranti ha avuto come unico effetto quello di legittimare le posizioni di Casa Pound e di coloro che parlano di “sostituzione etnica” voluta da una “èlite di radical-chic” che concede privilegi agli stranieri e dimentica gli italiani.
A fine ottobre Luciani aveva parlato di “emergenza migranti” e aveva parlato della necessità  di “evitare una accoglienza spregiudicata e senza criterio”.
Un linguaggio molto simile a quello di Casa Pound, ed è noto che tra l’estrema destra e un partito “di sinistra” che prende a prestito i toni degli estremisti i cittadini preferiscono sempre l’originale.

(da “NextQuotidiano”)

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METRO A, ANCHE OGGI I TRENI DELLA METROPOLITANA A ROMA SE LI E’ MANGIATI IL GATTO

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

COME ORMAI E’ UNA PRASSI “SI REGISTRANO RITARDI A CAUSA DEL RIDOTTO NUMERO DI TRENI IN CIRCOLAZIONE RISPETTO A QUELLO PROGRAMMATO”

Anche oggi i treni della Metropolitana a Roma se li è mangiati il gatto. Come da qualche tempo a questa parte, i siti di mobilità  di Roma Capitale informano che “Ritardi si registrano sulla linea A del metrò a causa del ridotto numero di treni in circolazione rispetto a quello programmato”.
Cosa vuol dire? Qualcuno ha perso un treno?
Magari è rimasto impigliato tra le pieghe del divano dopo la pennichella?
Cosa è successo ai treni non in circolazione? Mistero.
Nessuno lo spiega, in una giornata già  difficile per la mobilità  a causa dello sciopero nazionale dei taxi. ATAC sul suo sito web informa “il numero di treni circolanti è inferiore rispetto al programmato”.
Perchè? Boh. Forse che i treni si sono rotti o non possono uscire causa mancata manutenzione?
Forse che c’è in atto l’ennesimo sciopero bianco come quello di cui si è parlato qualche giorno fa — secondo un dossier riservato di Atac che si riferiva al settembre scorso — i cui responsabili erano proprio alcuni macchinisti (un calo non indifferente visto che tra il 23 e il 29 settembre si è arrivati alla soppressione di 966 corse su 4152 programmate)?
Nel documento si parlava di “un’azione mirata” di macchinisti e dipendenti per denunciare guasti dei mezzi in realtà  inesistenti allo scopo di sabotare le metro.
Il documento ha portato all’apertura di 67 procedimenti disciplinari contro lo “sciopero bianco” di alcuni dipendenti che sarebbero arrabbiati per l’annuncio della tolleranza zero sul controllo dei badge, i tesserini elettronici di riconoscimento da timbrare all’entrata e all’uscita dal servizio.
Non è una novità : nel 2015 altri macchinisti vennero sospesi per uno “sciopero bianco” mentre nel giugno scorso ci furono sospetti anche sui guasti agli autobus.
Ma oggi? Nessuno lo spiega, nessuno lo sa. Ci sono ritardi per un numero di treni inferiore a quello programmato. Così è. Punto.

(da “NextQuotidiano”)

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LA BALLA DELLA BIMBA DI 9 ANNI CHE SPOSA UN 35ENNE A PADOVA SMENTITA DAI CARABINIERI: INVENTATA DI SANA PIANTA

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

E’ SERVITA PER LA SOLITA POLEMICA DELLA FOGNA RAZZISTA CONTRO I MUSULMANI

La storia l’ha raccontata stamattina il Messaggero in un articolo a firma di Gabriele Pipia: nel padovano una bambina di 9 anni di religione musulmana sarebbe stata costretta a sposare un 35enne che avrebbe ripetutamente abusato di lei. Ma la notizia è falsa. Prima l’agenzia di stampa AGI citando fonti vicine agli investigatori e poi Il Fatto Quotidiano, citando i carabinieri del comando provinciale, l’hanno smentita.
L’articolo pubblicato stamattina dal Messaggero forniva in realtà  pochissimi particolari sulla vicenda, imbevendola invece di principi azzurri e particolari crudi:
A decidere il futuro di una bambina, iscritta ancora alle scuole elementari, sono due famiglie, a tavolino. E così, mentre le sue compagne di classe giocavano ancora con le bambole e al massimo sognavano di incontrare il principe azzurro, per lei il futuro era già  scritto. È stata data in sposa dalla famiglia ad un uomo molto più grande di lei (26 anni in più, per l’esattezza), che senza aspettare la sua maggiore età  ha approfittato di lei. L’uomo, infatti, avrebbe messo in atto violenze vere e proprie, visto che la bambina un giorno si è addirittura presentata in pronto soccorso con un’emorragia. I medici hanno capito presto di cosa si trattava, perchè quelle lesioni erano inequivocabili.
Nella storia si citava però un centro d’ascolto aperto un anno fa da club Soroptimist e carabinieri di Padova, nella sede del comando provinciale.
In ogni caso, scrive l’AGI, fonti vicine agli investigatori hanno infatti smentito categoricamente sia il fatto che l’apertura di un fascicolo in Procura.
Allo stesso modo è destituito di ogni fondamento anche il fatto che la piccola sia stata accolta in una delle stanze allestite nel comando provinciale di Padova all’interno del progetto “Una stanza tutta per sè” dedicata alla violenza di genere.
Fonti accreditate hanno infatti confermato che le stanze allestite sono già  state utilizzate per gestire casi di maltrattamento ma che mai tali episodi hanno visto vittime spose bambine, come riferito negli articoli di stampa.
I carabinieri di Padova (che secondo quanto riportato dal Messaggero avrebbero “fermato l’orco”) smentiscono non solo di essersi occupati del caso, ma anche l’esistenza stessa della vicenda, scrive il Fatto.
“Negli ultimi anni non ci siamo occupati di un caso del genere e anche se se ne fosse occupata un’altra forza di polizia sicuramente ne avremmo avuto notizia”, spiegano dal comando provinciale di Padova.

(da agenzie)

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L’ADDESTRATORE CINOFILO NON E’ MORTO PER I MORSI, HA AVUTO UN MALORE E IL CANE HA PROVATO A SOCCORRERLO

Novembre 21st, 2017 Riccardo Fucile

LE SOLITE BALLE CHE SERVONO PER VENDERE GIORNALI E CREARE UN CLIMA DI PAURA SMENTITE DALL’AUTOPSIA

Secondo quanto emerge dall’autopsia del corpo di Davide Lobue , l’addestratore cinofilo di Rivoli trovato senza vita nella tarda serata di sabato a Monteu da Po, non è morto per l’aggressione del Bull Terrier di un anno e mezzo che gli era stato affidato da un amico.
Mentre la procura di Ivrea ha aperto un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti, il medico legale ha escluso che i morsi inferti dal cane possano essere stati causa del decesso del giovane di 26 anni e che siano stati dati dall’animale dopo che Lobue ha avuto un malore.
Davide, sabato scorso, stava facendo giocare il cane in un campo recintato nella disponibilità  dell’amico, quando si è sentito male ed è crollato a terra.
Il cane deve aver provato a scuoterlo, nel tentativo di «soccorrerlo».
È in questa fase che l’animale avrebbe sfilato e strappato la felpa e la maglietta che il giovane indossava.
Poi si è avventato sul polpacci e sul resto del corpo, provocando alcune lesioni. Lesioni «post mortem», ha stabilito il medico legale Roberto Testi, che ha eseguito l’autopsia, fornendo una prima ricostruzione dei fatti alla procura di Ivrea, che ha aperto un fascicolo d’indagine, per accertare eventuali responsabilità .
Al momento il cane resta ancora sotto sequestro.

(da agenzie)

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