Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
RAPINE IN BANCA – 35%, AI BENZINAI – 34%, IN FARMACIA -25%, AI NEGOZI -22%, IN ABITAZIONE -28%, UFFICI POSTALI -18%, TABACCHERIE -17%, PER STRADA -15%
I clienti ci vanno sempre meno, attratti dalle forme alternative quali l’Internet Banking, ma anche i visitatori indesiderati come i rapinatori si tengono sempre più lontani dalle filiali delle banche.
Come annuncia l’Abi, associazione degli istituti italiani, nel biennio 2015-2016 le rapine totali denunciate dalle Forze dell’ordine all’Autorità giudiziaria sono diminuite di 15 mila casi rispetto al biennio precedente, che significa il 18% in meno.
Il trend positivo ha caratterizzato tutti i comparti, a cominciare dal settore bancario per il quale le rapine sono calate del 35% passando dalle 2.037 del biennio 2013-2014 alle 1.318 del biennio 2015-2016.
Seguono le rapine ai distributori di carburante (-34%), le rapine in farmacia (-25%), le rapine negli esercizi commerciali (-22%), le rapine in abitazione (-18%), le rapine negli uffici postali (-18%), le rapine in tabaccheria (-17%) e le rapine in pubblica via (-15%).
I dati arrivano dal Rapporto Intersettoriale OSSIF sulla Criminalità Predatoria – messo a punto nell’ambito dell’Osservatorio Intersettoriale avviato da OSSIF, il Centro di Ricerca dell’Abi sulla Sicurezza Anticrimine, in collaborazione col Servizio Analisi Criminale della Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, e con la partecipazione di Assovalori, Confcommercio – Imprese per l’Italia, Federazione Italiana Tabaccai, Federdistribuzione, Federfarma Poste Italiane e Unione Petrolifera – che verrà presentato in occasione dell’evento “Stati generali della Sicurezza” del prossimo 14 dicembre.
(da agenzie)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
VIAGGIO TRA I MILITANTI: CRONACA DI UNA GIORNATA NELLA PANCIA DEL RENZISMO
Ecco Luca Lotti: “Oh ragazzi, ma lo sapete che alle tre si gioca a calcio con la nazionale
parlamentare femminile?”. Accanto c’è Matteo Richetti, sorridente e divertito: “Non dirlo che, se vengono, oscuriamo mediaticamente la Leopolda”.
Alle tre, allo Stadio Bozzi, non troppo lontano dalla Leopolda, Lotti e Richetti, scarpette e calzoncini, sono a tirare calci al pallone, con la squadra femminile, rigorosamente renziana: Bonaccorsi, Malpezzi, un undici titolare di fedelissime.
È il renzismo, bellezza: stile da novelli Peter Pan mai cresciuti, giovanilismo spinto e ostentato, eterni adolescenti compiaciuti dell’essere tali.
Ieri un minuto di silenzio sulla strage nella moschea egiziana, in tono solenne.
Oggi il battutismo e poca gravitas, politica ed emotiva.
Poco prima Richetti, grande protagonista della scorsa edizione, sale sul palco, sempre facendo il giovane di professione: “Che formicaio di gente, che casino questa Leopolda… È la Leopolda otto. Altre due puntate e diventiamo una serie tv, come Gomorra o The Young Pope”.
Pausa, nell’attesa di un applauso che però non scatta, nella sala sonnecchiosa e distratta dei “tavoli tematici”.
Sul palco però va in scena un’altra serie, ovvero la possibile nuova puntata del conflitto con le banche, perchè c’è Marco Fortis, l’economista “ottimista”, già collaboratore di Tremonti, molto inserito nel mondo che conta tra finanza e industria sin da quando iniziò a collaborare con Carlo Sama, il famoso “Carlo il bello”, ex manager del gruppo Montedison e cognato di Raul Gardini.
Poi nei cda di Edison, Eridania Beghin Say e Antibioticos, fino alla collaborazione con Renzi a palazzo Chigi.
Quello di Marco Fortis, curriculum di tutto rispetto nel settore, ma certo non “super partes”, al momento è uno dei nomi “graditi”, forse il più gradito, per la sostituzione di Giuseppe Vegas alla Consob.
È una casella cruciale, la presidenza dell’autorità che multò Boschi senior su Etruria, nell’ambito dell’offensiva su Bankitalia scatenata nella commissione d’inchiesta sulle banche, dove Consob è stata già chiamata per dichiarare sulle informazioni ricevute da via Nazionale nei casi delle banche insolventi.
Fortis, seduto accanto a Richetti, parla di economia, della “ripresa” del paese in questi anni, pari a quella francese e inglese: “C’è una differenza tra la realtà e la realtà percepita. La realtà è di una crescita forte, soprattutto nei settori del manifatturiero e del turismo”. E chissà se è colpa dei giornali, altro grande classico da queste parti, se non tutti la pensano così.
Leopolda in tono minore, più affollata di gente e solitaria (politicamente) al tempo stesso, grondante di retorica dei millennials per coprire l’assenza di tutte le figurine di successo di questi anni, ma anche “politiche”, da Chiamparino a Bonaccini. Millennials sul palco, sopra una platea di mezza età , anzi un po’ agèe: “Ma la strategia — si chiede un amministratore – quale è? Bene i mille giorni, bene tutto, ma con quali proposte andiamo?”.
È una Leopolda in tono minore, ansiosa di raccontarsi che non è finita.
Dice Francesco Crò, che si occupa di comunicazione per il Pd: “Mi chiedi che gente c’è? Beh, questi sono i suoi, i suoi di Renzi voglio dire, sono avvelenati di partecipazione, lo vogliono sostenere. Insomma, vogliono dire e dimostrare che non è finita col 4 dicembre”.
Già . Al tavolo che l’anno scorso, e quello prima, e quello prima ancora era presieduto da Maria Elena Boschi — il famoso tavolo sulle “riforme” — quest’anno c’è Roberto Giachetti.
È uno sfogatoio in libertà : “Serve una riforma fiscale”, “serve una riforma degli ordini professionali”, serve pure una lezione ai giudici: “Perchè quando un magistrato come Woodcock sbaglia non viene espulso e condannato? Dobbiamo raccogliere le firme per la separazione delle carriere”.
Alla fine Giachetti sbotta: “Voi state dicendo cose sacrosante, tutte giuste, ma ce la vogliamo dire la verità ? E la verità è che la sconfitta del 4 dicembre ha prodotto danni in tutti i settori. E poichè non siamo D’Alema, non siamo dei venditori di fumo, non possiamo dire che in sei mesi si sistema tutto. Ci vuole tempo. E la responsabilità è di chi ha ingannato i cittadini dicendo che la riforma rappresentava la deriva autoritaria”. Scatta l’applauso, forte.
Perchè c’è poco da fare. Tutte le chiacchiere sulle alleanze, sulle aperture, sulle consultazioni di Fassino, franano nell’animus delle persone.
La ferita del 4 dicembre brucia ancora, ed è come se l’orologio politico fosse ancora fermo lì. La signora seduta accanto a Giachetti: “Siamo rimasti a bocca asciutta, lì stiamo”. E con una grande paura per quel che accadrà : “Ma guarda — dice Stefano Ceccanti — che non è vero che siamo condannati ad arrivare terzi. Al Senato noi siamo secondi perchè non votano quelli tra i 18 e i 25 anni (i millennials, ndr), che in maggioranza stanno con Grillo, mentre alla Camera con una coalizione ce la giochiamo col centrodestra”.
È comunque una bella falcidiata per il gruppo parlamentare uscente. Quello sì, presente in massa, come mai: prime, seconde, terze file di stretta osservanza renziana. Un gruppo di lavoro è coordinato da Gianfranco Librandi, ex Scelta civica, frequentatore assiduo delle trasmissioni Paolo Del Debbio, non proprio uno di sinistra. Manuela Repetti, invece, ex Forza Italia, moglie di Sandro Bondi, è rimasta solo il primo giorno.
Passa Claudio Velardi, vecchio volpone che ne ha viste tante: “L8, Lotto… Qua tutti dicono ‘lotta lotta’. Bah. Ma che è ‘sta lotta?”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
IL PD VUOLE SMONTARE I COLLEGI GESTITI DALLA BOSCHI, RENZI IRRITATO
Prima il disastro dell’Italicum, smontato dalla Corte Costituzionale che lo ha giudicato illegittimo in alcune parti fondamentali.
Adesso il pasticcio dei collegi, appena ridisegnati dopo l’approvazione del Rosatellum, e già destinati ad un tagliando forzato in Parlamento.
E’ stato del resto Matteo Renzi in persona a mettere in discussione il lavoro della commissione di esperti, guidata dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva, recepito dal governo nel decreto legislativo varato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri e che martedì sarà all’esame delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato per i pareri (obbligatori ma non vincolanti) sul provvedimento. “Ma vi pare possibile che Rignano stia nel collegio di Livorno? — ha lancia il sasso dal treno il segretario del Partito democratico —. Cioè se io mi candido a Rignano sono capolista a Livorno”. Dove, guarda caso, alle ultime amministrative il Pd è stato sconfitto dal Movimento 5 Stelle. Discoro ripetuto in serata alla Leopolda n.8.
INDIETRO TUTTA
Sarà stata anche una battuta, come hanno precisato poi dal Nazareno, ma tra i renziani sono scattate subito le grandi manovre.
Sussurrate, inizialmente, solo a taccuini chiusi: “Ci sono alcune cose da cambiare”. Poi, con il capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato, anche a microfoni accesi: “Sul decreto sui collegi lavoreremo insieme alle altre forze politiche, specie quelle con cui abbiamo approvato la legge elettorale, con uno sguardo attento a leggere le realtà territoriali e senza altre asperità ”.
Insomma, i nuovi collegi non arriveranno a Natale. Come del resto era già chiaro dopo lo scontro, giovedì, poco prima della riunione del Consiglio dei ministri che ha dato il via libera al decreto legislativo, tra la sottosegretaria Maria Elena Boschi, che spingeva per modificare il testo prima della sua trasmissione alle Camere, e il ministro dell’Interno Marco Minniti che, al contrario, si è opposto con forza alla richiesta.
Alla fine, la nuova geografia dei collegi arriverà in Parlamento nella versione messa a punto dalla commissione di esperti. Ma la relazione allegata dall’esecutivo al provvedimento, piena di dubbi sul metodo seguito dall’organismo di cui si è avvalso, suona come un invito alle Camere a rimetterci mano.
VEDETEVELA VOI
Anche perchè, alcuni elementi “si prestano a valutazione diversa” rispetto a quella della Commissione, si legge nel documento. Sotto la lente del governo finiscono le circoscrizioni per le quali è stato impossibile “fare ricorso ai collegi uninominali del Senato del 1993” (quelli del Mattarellum, ndr). Come nel caso di Civitavecchia: “La Commissione ha previsto lo spostamento di un Comune della città metropolitana di Roma Capitale nella provincia di Viterbo”.
Ma, osserva la relazione, “per evitare la lesione dell’integrità di entrambe le unità amministrative”, lo stesso effetto si sarebbe ottenuto spostando “alcuni comuni di Viterbo ricadenti nel collegio di Civitavecchia nel collegio della loro provincia”. E non finisce qui.
Tra le criticità la relazione inserisce anche il caso della Toscana. La regione, neanche a dirlo, di Renzi e della Boschi. Qui “l’aggregazione dei collegi uninominali è stata effettuata accorpando collegi di province diverse, come Prato e Firenze, separando collegi appartenenti alla stessa città metropolitana come Empoli”.
Casistica nella quale sembra rientrare pure la vicenda Rignano-Firenze-Livorno richiamata dal segretario Pd. Una scelta, quella della commissione di esperti, fatta peraltro “in presenza della possibilità di realizzare aggregazioni più rispettose del criterio oggettivo delle unità amministrative”, aggiunge la relazione.
FERMI TUTTI
Insomma, un’inversione di marcia che non è piaciuta più di tanto a Forza Italia. Nel partito di Silvio Berlusconi, che con i dem ha condiviso l’impianto e l’approvazione del Rosatellum, dopo aver letto il decreto legislativo partorito dal governo, hanno iniziato a fiutare aria di fregatura.
Non a caso, il capogruppo azzurro a Montecitorio, Renato Brunetta, non ha perso tempo ad avvisare il Pd. Con un secco No al “mercato delle vacche” per favorire i partiti di maggioranza. Prima che il collega di partito, Fabrizio Di Stefano, lanciasse ai dem l’ultima bordata. “Alla fine è partito il contrordine di Renzi dal treno — ironizza — . Ma è mai possibile che prima si fanno una legge boomerang e ora sbagliano pure i collegi?”. Il pasticcio è servito.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
PER LA BANCA UNA ESPOSIZIONE DI 5 MILIARDI DI EURO
Libero pubblica oggi una tabella riepilogativa dei primi cento debitori del Monte dei
Paschi di Siena. Pubblichiamo la prima parte della tabella.
Messi tutti insieme, spiega il quotidiano nell’articolo di Pietro Senaldi, i primi 100 debitori rappresentano per la banca un problema di poco inferiore ai 5 miliardi di euro: si tratta di una somma alta, ma assai più bassa dei guai passati dall’istituto senese in questi anni.
Quei 100 sono quelli esistenti al 30 settembre scorso, ma non vi figurano centinaia di altri clienti che hanno preso i soldi e poi non li hanno restituiti semplicemente perchè quei buchi sono stati nel tempo accantonati o quei crediti cartolarizzati.
E’ necessario poi fare un’ulteriore precisazione.
La sigla «soff» si accompagna a crediti che la banca ha classificato in sofferenza: quei soldi non verranno quindi restituiti perchè chi li ha presi non è più in grado di farlo, o perchè fallito o perchè in situazione finanziaria comunque non compatibile con il pagamento dei suoi debiti.
La seconda sigla«Utp»- è l’acronimo di una frase inglese: «unlikely to pay». Questa espressione che in italiano si traduce «inadempienze probabili» si usa quando la banca è a buona ragione convinta che il cliente non rimborserà tutto il debito secondo il capitale e gli interessi calcolati.
Magari lo farà in parte e cercherà di avere sconti sul dovuto, e in ogni caso per riavere qualcosa sarà necessario escutere le garanzie fornite al momento della concessione del credito.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
ALTRO CHE PASSACARTE, GIORDANO CENSURAVA E DECIDEVA
È come se nessuno avesse voluto la responsabilità della notte di piazza San Carlo, che nelle ipotesi della Procura è ora terribile colpa, ancora prima dell’inizio di Juve-Real Madrid, la finale di Champions del 3 giugno scorso.
Davanti al maxischermo, finirà in tragedia: una ragazza morta, Erika Pioletti, 38 anni, e 1.526 feriti. Ovvero, le accuse di lesioni, omicidio e disastro colposi per i quali sono indagate 20 persone, tra cui la sindaca Chiara Appendino e il questore Angelo Sanna.
Di certo non voleva figurare Palazzo Civico, in senso letterale, come dimostra una mail del primo giugno, tra Turismo Torino, l’agenzia comunale cui era stata delegata l’organizzazione, e i funzionari dell’amministrazione.
Tra i documenti sequestrati dagli investigatori, c’è una bozza (senza firma autografa) scritta da Maurizio Montagnese, presidente di Turismo Torino, e quella che diventerà poi l’originale, da spedire alla questura di Torino.
E c’è una differenza, evidente, per una frase su cui Paolo Giordana, l’ex capo di Gabinetto del comune, tira una riga nera sopra, e che infatti sparirà dalla mail firmata e inviata alle forze dell’ordine: «…il presente evento viene finanziato dalla medesima Città di Torino».
Ma dal suo punto di vista, si sarebbe trattato della mera correzione di un errore. Altro che «passacarte» o «centralinista», però, come s’era sminuito lui stesso dopo il primo faccia a faccia con i magistrati, quand’era solo un testimone, e non ancora uno degli indagati. Giordana organizzava, decideva e, appunto, correggeva. Restando nell’ombra, perchè le mail non erano inviate direttamente a lui.
Questione di responsabilità politica, durante quei giorni, il cui eventuale impatto penale verrà invece valutato dall’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo e dal pubblico ministero Antonio Rinaudo.
Del resto, sul tema, l’ex braccio destro della sindaca era già stato categorico il 26 maggio, in un’altra mail, spedita dall’iPhone: «La Questura vuole sapere chi è l’organizzatore e non può essere la Città di Torino». C’era un problema pratico, soprattutto, dovendo allestire tutto in pochi giorni: Turismo Torino avrebbe potuto organizzare con maggior celerità l’evento, bypassando la burocrazia della macchina comunale. E una questione d’immagine: con lo stato delle finanze e ben altre esigenze, non sarebbe stato furbo investire risorse sul maxischermo per la Champions.
Scarso budget
L’intervento sulla mail non si limitò però all’abrogazione di una frase, ma arrivò alla riscrittura dell’ultimo capoverso, che ne stravolgerà il significato. Nella bozza, Montagnese scriveva chiaro e tondo che Turismo Torino non avrebbe potuto mettere in atto le richieste della questura: «La Città non ha a disposizione budget a sufficienza per la copertura delle misure da Voi richieste e pertanto non ci ha dato al momento mandato di agire come da Voi richiesto». E siamo a soli due giorni dalla finale.
Solo servizio steward
Poco dopo, all’ufficio di Gabinetto della questura arriverà ben altro concetto: «Le risorse reperite consentono unicamente la predisposizione di un servizio di steward di supporto al palco e alle attrezzature. Non ci è possibile pertanto sopportare l’onere economico di un servizio di controllo di accessi, verifica di sicurezza e stewardship generalizzata». Anche in questo caso, secondo Giordana, l’intervento fu il rimedio a un errore: non si poteva parlare di budget, perchè l’organizzatore non era il comune, ma Turismo Torino. Una correzione che è poi la metafora del rimpallo di responsabilità , e uno dei nodi dell’inchiesta.
Ci penseranno le forze dell’ordine, era la conclusione della mail: «La questura, nell’ambito delle proprie competenze, nel caso in cui reputi tale controllo fondamentale per la sicurezza dell’evento, dovrà farsene carico in termini di uomini e mezzi». Così andrà , seppure con tempi (in ritardo) e modi (le transenne agganciate l’una all’altra), finiti sotto indagine.
«Siamo a disposizione»
L’ultima riga, già presente nella bozza, sarebbe banale e grottesca, se la notte non fosse finita in tragedia: «Turismo Torino e la Città ovviamente saranno a disposizione per tutto ciò che è in loro potere di fare». Come se organizzare in sicurezza una serata per 40.000 persone fosse un’opera di volontariato.
(da “La Stampa”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
DOVREBBE ESSERE CONTENTO CHE QUALCUNO SI RICORDA ANCORA DI LUI, INVECE FA IL SALVINI: “40 ZECCHE TUTTE INSIEME”
Un’accoglienza coi fiocchi. È quella riservata a Gianni Alemanno da un’associazione
napoletana, Napoli Direzione Opposta, in viaggio verso la Capitale per partecipare alla manifestazione contro la violenza sulle donne.
Incrociato per caso all’autogrill Casilina, i ragazzi e le ragazze di Ndo hanno riservato all’ex sindaco di Roma un coro da stadio, come raccontano loro stessi sulla pagina facebook: “Abbiamo incontrato l’ex Sindaco di Roma Gianni Alemanno all’autogrill di Casilina mentre eravamo in viaggio verso la Manifestazione contro la violenza sulle Donne, da buoni napoletani/e non ci siamo fatte sfuggire l’occasione dirgli in faccia cosa pensiamo di lui e dei disastri messi in campo con mafia capitale!”, scrivono su Facebook. Nel video si vede l’ex sindaco che riserva ai ragazzi sguardi di disapprovazione.
E poi, su twitter, commenta: “Era una vita che non vedevo 40 zecche tutte quante insieme, pensavo fossero estinte. Non sono riuscito a nascondere lo stupore”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
CINQUE ORGANIZZAZIONI IN ATTIVITA’, SOLO UN PAIO DI GRANDI NAVI E 5 IMBARCAZIONI PIU’ PICCOLE… COSI’ I PROFUGHI POSSONO ANNEGARE SENZA DISTURBARE LA DIGESTIONE DEI PANZUTI RAZZISTI NOSTRANI
L’estate scorsa, quando le Ong impegnate nel Mediterraneo erano considerate dai più la chiave di volta del problema migranti, ce n’erano nove a battere palmo a palmo il Canale di Sicilia con almeno dieci imbarcazioni di taglia differente.
Ripetevano di essere li per compensare “le carenze” di Triton, l’operazione lanciata da Frontex per controllare le frontiere europee all’indomani della conclusione di Mare Nostrum (il cui scopo principale era il soccorso), spiegavano di muoversi in cordinamento con la marina Italiana e di contribuire al lavoro umanitario con un salvataggio su tre.
Ma la paura mangia l’anima, e gli sbarchi di luglio e agosto ne facevano moltissima. Sembra tanto tempo fa.
C’era sul tappeto il rapporto di Frontex “Risk Analysis” che parlava delle organizzazioni non governative come di un “pull factor”, un fattore di attrazione; c’era chi le definiva “taxi per i migranti” e misurava il limite delle acque internazionali; ci furono delle inchieste; le audizioni in commissione Difesa al Senato conclusero che non risultava alcuna collusione tra le Ong e i trafficanti.
E però i migranti arrivavano a ondate e si moltiplicavano le tensioni sociali. Il resto è storia.
§Il codice di condotta voluto dal ministro dell’interno Minniti e alla fine, dopo tante polemiche, firmato da tutte le Ong tranne Medici senza Frontiere, il calo sensibilissimo degli sbarchi a settembre, la ripresa parziale a novembre (con partenze anche dalla Tunisia), il j’accuse dell’Unhcr (e di Cnn) contro il trattamento dei migranti “trattenuti” in Libia con il tacito assenso dell’Europa.
E poi le immagini di fronte a cui qualsiasi querelle si spegne, come i cadaveri di 26 giovanissime nigeriane sbarcate il 5 dicembre scorso a Salerno.
Oggi nella fotografia del Mediterraneo appaiono molti meno umanitari ma la situazione resta critica.
Di Ong ne sono rimaste 5 e dispongono di un paio di grandi navi più 5 imbarcazioni più piccole, tipo pescherecci. Una di loro, la tedesca Iuventa, è sotto sequestro a Trapani per le indagini in corso.
Adesso ce ne sono 5 con un paio di navi grandi (su una delle quali ci sono i medici di MSF) e 5 più piccole, tipo pescherecci.
Save the Children è rimasta fino al 30 ottobre, poi la nave Vox Hestia, in mare dal settembre 2016, è rientrata in porto. “Routine, dopo 7 mesi di salvataggi nel 2017” spiega Raffaella Milano: una sospensione già programmata e del tutto slegata dalle polemiche sull’agente sotto copertura a bordo che ha portato agli avvisi di garanzia per la Iuventa).
Medici senza Frontiere non c’è più, e’ l’unica Ong a non aver firmato il codice di Minniti e già da tempo ha ritirato la sua nave Prudence: resta uno staff di 11 persone a bordo della nave Aquarius di proprieta’ della Ong SOS MEDITERRANEE.
Operano a terra pero’, dicono dall’ufficio centrale. In terra libica: “I nostri medici lavorano in alcuni centri di detenzione tra cui quelli di Tripoli e Misurata”.
Non c’è più neppure la nave di MOAS, fondata dai filantropi Christoper e Regina Catrambone era arrivata nel 2014 con Mare Nostrum.
Dopo l’estate delle polemiche ha firmato il codice ma poi si è spostata nel sud est asiatico per salvare i Rohingya. Lo ha spiegato a più riprese la fondatrice: “Abbiamo firmato il Codice di condotta per rispetto del Governo Italiano e perchè in esso sono state formalizzate gran parte delle richieste che prima ci venivano fatte in modo informale. Lasciamo le acque del Mar Mediterraneo, perchè non vogliamo diventare parte di un meccanismo in cui, mentre si fa assistenza e soccorso in mare, non ci sia la garanzia di accoglienza a terra, in porti e luoghi sicuri in Libia”.
C’e invece e a tutto campo SOS MEDITERRANEE, che però dice di tenersi ben lontana dalla guardia costiera libica, con cui nelle ultime settimane altre Ong si sono scontrate (giovedi, per esempio, hanno soccorso circa 400 persone).
La procedura di salvataggio prevede un coordinamento via radio del Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso in Mare (MRCC) della Guardia Costiera italiana, con sede a Roma. Le Ong, vengono inviate dal MRCC dopo la segnalazione di una situazione di difficolta, ma puo caputare che sul posto arrivino prima altri tipi di imbarcazioni (Dalle navi militari a quelle commerciali) o motovedette della Guardia Costiera libica (e sono problemi).
C’è la spagnola Proactiva, con la nave Open Arms che puo portare fino a 400 persone, una delle ong che continuano a incrociare (simbolicamente) le armi con i libici.
Lo racconta Laura, la portavoce: “Solo giovedì abbiamo salvato 100 persone che ci hanno raccontato di averne viste morire sei. Lo stesso giorno la centrale operativa di Roma ci ha inviati in soccorso di altre due imbarcazioni con circa 240 persone ma quando siamo arrivati c’era la guardia costiera libica che ci ha intimato di andarcene. Erano arrivati prima di noi ma l’accordo prevede che si è sotto il coordinamento libico e ce ne siamo dovuti andare. Gli abbiamo anche offerto soccorso medico ma non lo hanno voluto. Eravamo a 20 miglia dalla costa, acque internazionali. Il problema è che è tutto più difficile ora, in estate ci muovevamo a 14, 15 miglia dalla Libia, ora siamo più lontani. Il codice lo abbiamo firmato perchè non avevamo nulla da nascondere ma la sola cosa che ha prodotto è stata forse smetterla di criminalizzarci e di fatto legittimare i libici”.
C’e la tedesca Sea Eye (2 barche, due ex pescherecci della DDR, 27 metri ciascuno). Le condizioni si sono fatte dure, ci dice il capitano Claus Peter Reisch, un sanitario di Berlino: “Sono tornato una settimana fa, ormai siamo davanti alla Tunisia, nel lato occidentale del confine marittimo tra Libia e Tunisia, dove è più facile operare. Non abbiamo contatti con i libici, non ne vogliamo, li ho fotografati mentre smontavano i motori dei gommoni dei trafficanti. Noi lavoriamo solo con l’Italia che purtroppo è molto sola in Europa. Avremo salvato circa 500 persone, tutte barche alla deriva, noi possiamo prendere poche persone, abbiamo navi piccole, il massimo è stato prima di Pasqua, oltre 300, erano sedute ovunque. Ma per esempio pochi giorni fa ne abbiamo soccorse 12 e il mare era brutto, c’era maestrale, vento forza 7, onde da 3 metri, siamo arrivati piano piano a Lampedusa con i migranti dentro le nostre cabine, si può fare solo per brevi tragitti. Ci sono meno navi grandi adesso che alcune Ong sono andate via. Questa situazione è in perdita per tutti, vincono solo i libici”
C’e Sea Watch con due navi piccole, gli umanitari protagonisti dell’incidente del 6 novembre con la guardia costiera libica: la Ong lo ha documentato con un video, in mare c’erano almeno 150 persone, 50 morti e dispersi, 58 persone recuperate dall’organizzazione non governativa e portate a Pozzallo, 47 prese dai libici.
E c’e infine la tedesca Mission Lifeline, l’ultima scesa in mare con una imbarcazione affittata da Sea Watch e le attrezzature di salvataggio donate da MOAS prima di ritirarsi: e’ la ong che a fine settembre ha denunciato di essere stata attaccata dai libici a 19 miglia dalla loro costa, in acque internazionali.
La Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet è ferma, sequestrata dalla procura di Trapani.
L’ipotesi di reato è favoreggiamento dell’immigrazione illegale aggravata.
In Italia il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è stato introdotto nel 1998 e colpisce chiunque aiuti dei cittadini stranieri a entrare nel paese in maniera irregolare, anche a scopi umanitari e senza lucro.
Secondo l’avvocato esperto d’immigrazione Luca Masera dell’Asgi si tratta del primo caso in cui viene ipotizzato un reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di membri di un’organizzazione non governativa.
(da “La Stampa”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
E’ LA CONSEGUENZA DELLA POLITICA CRIMINALE DELL’EUROPA E DELL’ITALIA
Manifestazione ‘contro ogni forma di schiavitù’ della Coalizione Internazionale Sans
Papier e Migranti davanti all’Ambasciata della Libia a Roma.
“Quanto sta accadendo in Libia — dicono i manifestanti — è la conseguenza delle politiche e degli accordi firmati in questi anni. Per questo chiediamo all’Italia di rivedere l’accordo con la Libia e all’Europa di modicane il Trattato di Dublino“.
“Migliaia di migranti — ci dice un attivista per i diritti umani — sono bloccati in Libia grazie agli accordi che l’Unione Europea e soprattutto l’Italia hanno fatto, pagando uno Stato che non c’è. Pagando quindi chi, questo è il punto interrogativo”.
I manifestanti denunciano anche il saccheggio delle risorse naturali sul continente africano, la corruzione dei dirigenti degli Stati africani e la schiavitù in riferimento alla tratta dei migranti che si consuma in Libia: “In Libia i migranti li stanno vendendo, stanno morendo e questa è una cosa inumana ed intentabile nel ventunesimo secolo. Stiamo tornando indietro di secoli. L’umanità non è in vendita”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 25th, 2017 Riccardo Fucile
200 PROFUGHI STIPATI IN POCHE CELLE DOVE DIVIDONO IL PAVIMENTO… E NOI PAGHIAMO GLI AGUZZINI
“Ecco le immagini dell’inferno”. E’ un migrante proveniente dal Marocco a raccontare dall’interno una prigione libica attraverso un video pubblicato su Faceboo.
Si vedono una trentina di uomini stretti in una stanza, stipati a terra e sui letti a castello. “Ci sono 260 marocchini qui a Zuara, liberano gli egiziani, gli algerini, ma noi restiamo qui”, racconto l’uomo che filma.
Lo smartphone inquadra un uomo in piedi su una brandina per cercare aria da una feritoia, poi l’obiettivo si sposta su un bagno di pochi metri in condizioni disumane. “Mi rivolgo al Re per salvare questi ragazzi. Questa è la pena di morte”, continua l’uomo.
Il grido d’aiuto rimbalzato sui social, sulle pagine delle comunità marocchine, ed è arrivato fino a Rabat, il regno è accusato di non fare abbastanza per far uscire dalla prigione i propri connazionali.
E varca anche i confini africani accendendo ancora una volta i riflettori sulle condizioni dei migranti in Libia, dopo il servizio della Cnn che ha documentato la compravendita di subsahariani, indignando l’opinione pubblica mondiale.
“C’è gente che ha malattie croniche e non ha assistenza medica”, continua l’uomo che più volte si rivolge al re del Marocco, Mohammed VI. Non si sa quando il video sia stato girato, ma è stato pubblicato su Facebook il 17 novembre, anche se più fonti garantiscono sia stato realizzato recentemente.
I migranti, dice la voce nel filmato, sono lì da sei mesi, prima dell’accordo Italia-Libia che ha frenato le partenze verso la Sicilia.
Del destino dei marocchini in Libia si è occupato il settimanale marocchino Telquel, che è riuscito a raggiungere al telefono alcuni migranti e i loro familiari.
Sarebbero arrivati in Libia, dall’Algeria, per poi cercare di attraversare il Mediterraneo, ma a Zuara sarebbero stati intercettati da trafficanti di essere umani. “Questi giovani sognavano un avvenire migliore e invece i loro sogni vengono distrutti”, dice il migrante dalla prigione di Zuara. Prima di spegnere lo smartphone e sperare in un intervento del regno marocchino.
(da agenzie)
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