Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
CONTINUA LA LITE AD ALTO LIVELLO TRA STORACE E LA LEADER DI FDI CON BATTUTE SUI RISPETTIVI FONDOSCHIENA ABITUATI ALLE POLTRONE
Vediamo di ricapitolare la giornata e di aggiungere qualche altro dettaglio.
L’endorsement di Storace e Alemanno a favore di Salvini risponde a due esigenze teoriche, anzi molto virtuali, delle parti contraenti.
Da un lato i due ex destri sociali, respinti dalla Meloni, dovevano monetizzare politicamente due anni spesi a vagare nell’area sovranista senza un approdo in grado di garantire quei 3-4 seggi parlamentari che giustifichino la loro sopravvivenza (se personale o politica, decidete voi)
Dall’altro Salvini ha un disperato bisogno di alleati al centrosud dove pesca soltanto riciclati senza troppo seguito. Non dimentichiamo che alle comunali a Roma la Lega prese un misero 2,7%.
Per Salvini la soluzione è allearsi con Storace che raccolse lo 0,62%, a dimostrazione del grande stratega che è.
Se fino a ieri l’asse Meloni-Salvini era traballante, ora è terremotato, anche perchè in Sicilia il leader leghista ha preso una facciata: tre dei quattro eletti della lista comune con Fdi sono uomini della Meloni, l’unico leghista eletto è finito subito indagato, peggio di così, con un misero 1,6%, non poteva finire.
Oggi è stata la giornata dello scambio di cortesie tra la Meloni e Storace.
La Meloni al Fatto Quotidiano ha detto: “Ho sempre pensato che ci sia qualcosa di patologico in chi dopo una vita di potere e di risultati politici catastrofici pensa di essere titolare ancora di una poltrona. Da noi sarebbe stato di certo più difficile avere garanzie che altrove mi par di capire sono state prestate. Chi si è reso responsabile di disastri elettorali, e mi fermo a quelli, dovrebbe avere misura nel richiedere una prorogatio per il suo fondo schiena“.
A stretto giro la fine replica di Storace: “il mio fondo schiena ha poggiato diversi anni meno del tuo in Parlamento e al governo, giustamente accompagnata giovanissima dal consenso di Fini e non dai voti popolari. E meno di tutti i parlamentari eletti con te: La Russa, 25 anni, Cirielli 17, Taglialatela 14, tu 12, Totaro 12, Nastri 10 e via discorrendo, io solo 8” (e qui Storace dimentica gli anni in cui suo fondoschiena si è posato altrove, ovvero in Regione…n:d.:r.).”
Conclude Storace: “evita di impartire lezioncine che non puoi permetterti, semmai, accetta qualche consiglio sugli impresentabili che ti ri-chiedono posti“.
Insomma ci si avvia verso una campagna elettorale tra fondoschiena sovranisti.
E alla fine il più intelligente indivinate chi è.
Il solito cavaliere che, come ai tempi del Milan, sa gestire al meglio la sua squadra, anche quando cede un giocatore titolare in prestito un motivo c’e’.
Chi meglio della Santanchè, ultras anti-islamica e anti-immigrati, potrebbe creare problemi a Salvini al Nord se fosse nella lista concorrente?
Ed ecco l’aiutino alla Meloni per danneggiare la Lega in Padagna a vantaggio di Fdi: una Santanche’ che gira il Nord urlando più di Salvini “contro l’invasione” sottrarrà voti alla Lega e rinforzerà la Meloni, laddove è più debole.
Mentre Silvio presenterà volti moderati per raccogliere i consensi nel suo tradizionale bacino di voti.
Non dimentichiamo che l’operazione “prestito” era già stata messa in atto con “La Destra” ed era terminata con il rientro del “prestito gratuito” in Forza Italia.
E non a caso c’è già stato, se a qualcuno fosse sfuggito, l’endorsement di Rampelli in Lazio a favore del candidato proposto da Berlusconi, il giornalista Mediaset Liguori.
Favore chiama favore.
E siamo appena agli inizi.
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
BERLUSCONI ALLA RICERCA DI GIOVANI IMPRENDITORI… RENZI PUNTA AI TESTIMONIAL DI CAMPAGNE SOCIALI
I talent scout stanno lavorando a pieno regime. Siamo già al countdown per la formazione delle liste.
Tra poche settimane, una volta approvata dal Parlamento la legge di Bilancio, le forze politiche dovranno cominciare a definire i candidati per le politiche (probabilmente si voterà a marzo).
Gli uscenti tremano e sperano in una ricandidatura: ma dovranno fare i conti con i nuovi arrivati, coloro che servono a rinnovare o a dare una riverniciata ai gruppi parlamentari. E come sempre si ricorre al mito della società civile cui attingere per la presunta nuova linfa.
Matteo Salvini sostiene che questo è un modo per delegittimare la politica e i partiti, una «logica deleteria» che non intende seguire. «Io punto a valorizzare sindaci e amministratori locali: nel territorio è possibile trovare il meglio che c’è in circolazione per rinnovare», spiega il capo della Lega.
Non la pensa così Silvio Berlusconi, che rilancia invece la solita «trincea del lavoro»: imprenditori, in particolare giovani, professionisti, persone che hanno un lavoro e hanno creato ricchezza, non professionisti della politica. Non è un caso che nel suo ipotetico governo farebbe 12 ministri «civici» su 20.
Più moderatamente, anche Matteo Renzi è a caccia di volti nuovi prevalentemente legati a particolari esperienze personali, testimoni in genere di campagne sociali.
Il leader del Pd ha già annunciato di voler candidare Paolo Siani, pediatra, fratello di Giancarlo, il giornalista del «Mattino» ucciso dalla camorra negli anni ’80.
Ma ci sono altre figure che sta corteggiando: a cominciare da Roberto Burioni, il virologo diventato una star del web per la sua campagna a favore dei vaccini.
Altra candidatura a cui sta pensando è Lucia Annibali, l’avvocatessa di Pesaro sfregiata con l’acido diventata simbolo delle battaglie contro la violenza sulle donne.
È consigliera di Maria Elena Boschi a Palazzo Chigi sui temi delle pari opportunità : sono diventate molto amiche, e sabato scorso sono salite insieme sul palco della Leopolda.
Lì dove, poco prima del discorso conclusivo di Renzi, è intervenuta una giovane scienziata, Anna Grassellino, responsabile del partito per gli italiani all’estero. Siciliana trasferita negli Usa, dove ha ricevuto un prestigioso premio da Obama, per lei il leader Pd aveva già previsto un posto in lista: «no, grazie», ha declinato lei, avendo un ottimo lavoro e tre figli dall’altra parte dell’Oceano.
Un altro nome che gira è quello della giornalista Annalisa Chirico: anche lei era alla Leopolda, per parlare di giustizia e della sua associazione ipergarantista, «Fino a prova contraria».
Spesso presente negli eventi Pd (era anche alle celebrazioni per i 10 anni del partito), il 12 dicembre Renzi presenterà il suo libro. Un nome, quello della Chirico, già attivista radicale ed ex compagna di Chicco Testa, accolto malamente da molti dem, che considerano le sue posizioni sulla giustizia troppo simili a quelle di Berlusconi: non a caso, gira anche voce che potrebbe volerla candidare Forza Italia.
Nelle liste azzurre ci sarà un turn over vicino al 50 per cento.
Verranno esclusi tutti quei parlamentari che per anni non hanno pagato il contributo al partito (e sono tanti) e chi ha battuto ogni record per numero di legislature cumulate. Berlusconi vuole una falange di fedelissimi a prova di bomba.
Uomini e donne che non tradiscono, seguendolo in qualunque avventura politica, anche in un’eventuale grande coalizione: una sicurezza che, però, non potrà mai avere, visto come è andata in passato.
Comunque i nomi nuovi che circolano sono quelli dei direttori del «Giornale» e del Tg5, Alessandro Sallusti e Clemente Mimun. Tra i possibili candidati Adriano Galliani, a spasso dopo la vendita del Milan ai cinesi.
Ma Berlusconi punta su manager e imprenditori come Aurelio Regina e Michelangelo Suigo di Vodafone Italia.
Il talent scout che sta girando l’Italia è il quarantenne brianzolo Francesco Ferri, fondatore di una start up che oggi dà lavoro a 50 persone, ex leader di Confindustria giovani, presidente del «Centro studi del pensiero liberale».
A lui il leader di Fi ha affidato il compito di scovare per l’Italia la nuova leva azzurra. E Ferri è andato a cercarli nelle associazioni regionali degli industriali: tra questi, Alessio Albani di Savona.
Altro nome nuovo in lista sarà quello di Andrea Ruggeri, nipote di Bruno Vespa e fidanzato di Anna Falchi, che da un paio di anni Berlusconi ha scelto come uomo della comunicazione.
È lui che accende la luce verde o rossa a chi deve andare in tv. Poi ci sono le amiche di Francesca Pascale, come l’avvocato Licia Polizzi e Maria Tripodi.
Un altro avvocato in lista sarà Antonia Pastorivo, moglie del senatore Antonio D’Ali, ex sindaco di Trapani. Tra le new entry, non è esclusa l’ex modella Valentina Mazzacurati, responsabile giovani Fi a Modena, imprenditrice tessile.
Anche i Fratelli d’Italia aprono le porte. È in arrivo, anche se ha già una certa carriera politica, Daniela Santanchè, che lascia Fi. A Milano Giorgia Meloni potrebbe candidare l’ avvocato Nicolò Bastianini Carnelutti. Tra i nomi che si fanno, anche quello del giornalista Magdi Allam.
(da “La Stampa”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
CENTRINI E AFFINI, SONO COLONNELLI E PEONES IN CERCA DI UN SEGGIO DA BERLUSCONI E RENZI
Il centro non ha un centro di gravità . È l’ossimoro supremo della legislatura più trasformista della storia repubblicana, prossima ormai alla chiusura.
Democristiani, centristi, moderati, liberali, popolari, finanche repubblicani. Si scopre che il vituperato pentapartito stroncato da Mani Pulite non è mai morto.
Tranne il Psdi, le sigle di Dc, Psi, Pri e Pli sono vive e vegete e saranno quasi tutte dalla parte di Silvio Berlusconi al giro delle urne del marzo 2018.
La carica dei simboli è pronta, annunciata da tempo. Quando il paziente Sergio Mattarella fece le consultazioni, un anno fa a dicembre, per il governo di Paolo Gentiloni convocò al Quirinale ben ventitrè delegazioni di partiti e movimenti, esclusi presidenti emeriti e presidenti delle Camere.
A loro volta, le delegazioni erano spesso formate da singoli esponenti di più forze politiche. Un caos di nomi direttamente proporzionale all’aumento dell’astensionismo. Più la gente non vota, più nascono altri partitini.
A metà degli anni Ottanta, il vecchio Mariano Rumor, che nella Dc inventò i famigerati dorotei, se ne uscì con una frase memorabile: “Noi dorotei siamo come gli alberi della foresta amazzonica, più ne tagli, più ne crescono”.
Ecco l’Homo Democristianus è questo. Ha una ricrescita generosa, in tutte le ere politiche. Gianfranco Rotondi, Lorenzo Cesa, Pier Ferdinando Casini, Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Roberto Formigoni, Clemente Mastella, Paolo Cirino Pomicino, Ciriaco De Mita, Bruno Tabacci, Raffaele Fitto: letti di fila sembrano tutti democristiani dello stesso partito. Invece, ciascuno di loro ha un centrino, custodito gelosamente.
Per sfruttare tutte le golose opportunità del Rosatellum: lo sbarramento al 3 per cento; le liste civetta; il potere di ricatto dei singoli notabili nei collegi uninominali, laddove sono forti, soprattutto al sud.
Il senso di marcia di questa moltitudine sopravvissuta a Prima e Seconda Repubblica pencola tra Renzi e Berlusconi, con una spiccata preferenza per quest’ultimo. Questione di carro. Del vincitore.
Nel centrodestra ritornato affollato dopo anni di vacche magre si stanno allestendo due gambe centriste accanto a Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia.
La prima vanta in pancia addirittura il simbolo originale della Dc, l’antico scudocrociato, portato in dote da Gianfranco Rotondi, ex ministro ed eletto l’ultima volta nelle liste del Pdl. Rotondi è alla guida di Rivoluzione cristiana e dovrebbe radunare gli “amici” di Lorenzo Cesa dell’Udc, di Clemente Mastella del risorto Campanile dell’Udeur, con l’aggiunta di Cirino Pomicino, ‘o ministro di andreottiana memoria, che in un’insalata democristiana non ci sta mai male.
Il ritorno della Dc sulla scheda elettorale dipende solo dai sondaggi commissionati da Berlusconi: se questa gamba si attesta ben sopra il 3 per cento, bene; altrimenti non se ne fa nulla.
Che senso ha, ragionano Rotondi e i suoi, non raggiungere il quorum e trasferire tutti i voti alla coalizione? Non è meglio darli solo a Forza Italia in cambio di una manciata di seggi sicuri?
Dubbi, domande, calcoli che attraversano anche la seconda gamba centrista di destra, fatta da moderati e liberali.
Qui l’iniziativa è di Gaetano Quagliariello, titolare del marchio Idea Popolo e Libertà , e dell’ex alfaniano Enrico Costa.
In questo rassemblement dovrebbero confluire i conservatori di Raffaele Fitto (Direzione Italia), i liberali del vecchio Pli, gli energetici di Stefano Parisi (Energie per l’Italia), gli ex montiani di Scelta Civica con a capo Enrico Zanetti, infine i repubblicani dell’ex leghista Flavio Tosi.
La metamorfosi dell’ex sindaco di Verona è sublime: da ex indipendentista ha messo le mani sul secondo simbolo più vetusto della politica: quello dell’Edera mazziniana e risorgimentale del Pri, comparsa nel 1895.
E nell’attuale Pri c’è chi indica in Tosi il “nuovo La Malfa”. Che Paese meraviglioso!
Nei dintorni di queste due gambe filoberlusconiane si sta consumando il piccolo dramma degli alfaniani di Ap e dei verdiniani di Ala.
I primi sono spaccati tra chi vorrebbe tornare da Berlusconi (Lupi e Formigoni) e chi invece desidererebbe un seggio sicuro da Renzi (Alfano).
Più ermetica la posizione di Denis Verdini che da buon renzusconiano tratta ancora sui due tavoli una possibile collocazione.
Ma il filone liberal-centrista non si esaurisce mai: in fila ad Arcore ci sono gli animalisti di Michela Vittoria Brambilla, i popolari di Mario Mauro e il neonato Rinascimento di Sgarbi, Tremonti e dell’ex cossighiano Naccarato.
Sul fronte opposto la confusione non è da meno.
Anche perchè le scissioni a getto continuo di Pdl e montiano hanno fatto proliferare sigle paradadaiste come i Civici e innovatori (montiani ortodossi) oppure l’oscura Democrazia solidale di Lorenzo Dellai.
Il quale Dellai sta riorganizzando i centristi pro-Renzi insieme con il predetto Alfano, Ciriaco De Mita e Pier Ferdinando Casini, che da mesi si è auto-scisso dall’Udc di Cesa.
La folta schiera di cespugli prosegue con il Centro democratico di Tabacci, cofondatore del Campo Progressista di Giuliano Pisapia; i Moderati del piemontese Giacomo Portas (eletto nel 2013 nelle liste del Pd); i radicali di Bonino e Della Vedova, ultimi arrivati con Forza Europa.
In questa legislatura, infine, i democratici hanno pure ospitato una gloriosa rappresentanza socialista del Psi, che ha come segretario Riccardo Nencini, attuale viceministro del governo Gentiloni.
Sono già ventuno sigle, senza contare autonomisti e partitini regionali. Altro che tripolarismo.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
GIGGINO A MANETTA E’ UN ALTRO ESPONENTE DEI PIFFERAI MAGICI AFFETTO DA DELIRIO DI ONNIPOTENZA
Nella politica star-system, incentrata sulla comunicazione d’immagine, la soluzione di ogni problema si riduce a individuare l’uomo della provvidenza; alle cui doti taumaturgiche bisogna affidarsi ciecamente.
Soprattutto in una fase pre-elettorale come quella attuale, con la sfilata in corso di personaggi e personaggetti tutti chiacchiere e egomania: Matteo Renzi, Luigi Di Maio, Piero Grasso, Matteo Salvini, il “Nosferatu” Silvio Berlusconi.
Ci mancava un altro esponente di questa genia di pifferai magici, cioè — con le parole del suo più recente biografo — “Giggino a manetta”: il caudillo di Napoli Luigi De Magistris.
Appunto, rimedia alla dimenticanza il mio amico Giacomo Russo Spena con il saggio appena uscito Demacrazia, il Popolo è il mio partito (Fandango).
Il manifesto dell’ex magistrato delle indagini Poseidone e Why Not, rilanciatosi con bandana arancione nella natia Partenope quale leader locale del movimento di “Città ribelli”.
La tesi è che saremmo in presenza di una proposta politica radicalmente alternativa a quelle presenti sul mercato, totalmente sintonica con i modelli di una nuovissima sinistra mediterranea e iberica, con propaggini latinoamericane, che offrirebbe una via d’uscita all’esaurimento o all’incanaglimento di quella keynesiana, ridotta a Terza via, che ha egemonizzato il Novecento nell’area anglo-sassone.
Poi, dal dopoguerra, in quella continentale. Da Syriza a Podemos, a Barcelona en comàº, alle esperienze civiche dell’America di lingua ispanica e portoghese.
Voci critiche della globalizzazione finanziaria e dei suoi disastri, che hanno trovato in Papa Bergoglio lo speaker più potente a livello planetario.
Ci si chiede: De Magistris è ascrivibile a questo campo in divenire, che trova riferimento primario nel gesuita Pontefice?
Problematico affermarlo, visto che la biografia pubblica del sindaco napoletano ripercorre pedissequamente i passaggi formativi di buona parte del personale di Seconda Repubblica.
Emerso dalla rottura della stagione di Mani Pulite, questo star system costruisce il proprio consenso nei flussi di visibilità offerti dalla mediatizzazione, valorizzando un’immagine a fumetti di angelo vendicatore di qualcosa o contro qualcuno.
Si tratti di catarsi etica (Di Pietro), di lotta al Comunismo espropriatore a difesa della proprietà (Berlusconi), etnicità immaginaria (Bossi) o affermazione del novismo attraverso rottamazione (Renzi), per arrivare al delirio xenofobico lepeniano (Salvini), al sovranismo travet (Meloni) e alla liofilizzazione del Vaffa (Di Majo).
Lo stendardo semplicistico di De Magistris è il riscatto apologetico della napoletanità , in un’apoteosi opportunista nè più nè meno come gli altri.
In questo caso, con un richiamo ai non nobili costumi del lazzaronismo e del vittimismo; osteggiati dalla migliore cultura meridionalistica, da Francesco Saverio Nittti a Gaetano Salvemini.
E c’è un di più: l’aspirante franceschista (leggi follower di Bergoglio) non può limitarsi a proclamare valori, deve anche amministrare.
Qui cominciano i punti dolenti: dal buco nero di Bagnoli, in cui scompaiono — come ricostruisce su La Repubblica Sergio Rizzo — 1,4 miliardi di euro, all’incapacità di rimettere in ordine i conti comunali recuperando imposte e multe non pagate.
Ma come si possono evitare consuntivi severi sul proprio operato amministrativo? Vellicando i bassi istinti della comunità .
Perchè la devozione al miracolo del sangue di San Gennaro o la cittadinanza onoraria all’umanamente controverso dio degli stadi Diego Armando Maradona, non sono distanziamenti dalla sinistra elitaria, quanto pura demagogia della più bell’acqua.
Non populismo (termine carico di ambiguità , riproposto dal filosofo argentino Laclau figlio di terre del latifondo, senza esperienza diretta della rivoluzione industriale e del conseguente formarsi delle classi sociali moderne), bensì pura e semplice ostentazione del plebeo. Appunto, demagogia.
Magari con qualche caduta nel berlusconismo, versione Briatore, con le strategie alla Billionaire dell’evento velico America’s cup davanti al Maschio Angioino con regia familistica del fratello Claudio.
Pensare che questo apparato concettuale strapaesano possa trasformarsi in movimento di liberazione nazionale significa confondere Masaniello con Franklin Delano Roosevelt.
Di questi ex magistrati affetti da delirio di onnipotenza è bastata l’esperienza fatta con Antonio Ingroia e la sua Rivoluzione Civile.
Gente di cui si possono pure condividere le denunce; ma le cui proposte sono tratte da una cassetta degli attrezzi di sconcertante arcaicità .
Pierfranco Pellizzetti
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
LA SERIE DI RINVII A GIUDIZIO AVREBBE COME EFFETTO IL VEDERSI NEGATA LA RIABILITAZIONE
Nel traffico congestionato dei procedimenti penali che vanno e vengono da Milano per il caso Ruby ter, arriva da Siena un rinvio a giudizio che può dare qualche grattacapo al Cavaliere. Non è l’unico.
La sola esistenza di un nuovo processo potrebbe avere un effetto negativo quando i giudici dovranno valutare se concedere a Berlusconi la riabilitazione che gli consentirebbe di candidarsi alle elezioni politiche dell’anno prossimo alla guida di Forza Italia.
La situazione
La situazione è la seguente. Dopo le sentenze di primo grado dei processi Ruby uno e Ruby due una trentina di testimoni furono accusati di essere stati corrotti dal Cavaliere (e lui di averli pagati) per dire il falso oppure di aver mentito gratis.
Berlusconi fu assolto dall’accusa di aver avuto rapporti intimi con Karima El Mahroug quando lei era minorenne, ma allo stesso tempo i giudici accusarono i testimoni delle cui dichiarazioni non avevano tenuto conto proprio perchè non le ritenevano vere.
Dal processo principale (riprenderà il 29 gennaio a Milano) si staccarono sei filoni trasmessi ai tribunali di altrettante città .
Tre tornarono indietro a Milano quando emerse che Berlusconi, secondo i pm milanesi Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, aveva continuato a dare soldi a quattro ragazze del bunga bunga che avevano testimoniato.
È questa la vicenda che potrebbe avere il peggiore effetto per Berlusconi perchè si riferisce a fatti nuovi, a reati che, nell’ipotesi dell’accusa, sarebbero stati commessi quando non erano ancora trascorsi tre anni dall’espiazione della pena (quattro anni di reclusione, tre condonati, il resto in affidamento) che aveva subito per frode fiscale nel processo sui diritti televisivi Mediaset.
La pronuncia
Per superare l’incandidabilità dovuta alla legga Severino, Berlusconi deve attendere che si pronunci la Corte di Strasburgo, ma questo non avverrà prima delle elezioni, oppure di ottenere la riabilitazione.
La riabilitazione, però, prevede alcuni paletti, come l’aver tenuto una buona condotta e non aver commesso altri reati in tutto il corso dei tre anni successivi all’espiazione.
A decidere sarà il Tribunale di sorveglianza di Milano che dovrà verificare se i vari procedimenti sulle corruzioni di testimoni, specie quelle «nuove», possano influire negativamente.
Potrebbe anche dire di no ritenendoli tutti connessi a un’unica vecchia vicenda.
L’ultimo caso
Come quello di Siena, l’ultimo caso in ordine di tempo. Ieri l’ex presidente del Consiglio è stato rinviato a giudizio dal gup Roberta Malavasi che ha accolto la richiesta della Procura.
Il capo di imputazione riguarda i pagamenti fatti a Danilo Mariani, il pianista delle serata di Arcore che spesso ha accompagnato a suon di musica le cene e i dopocena a villa San Martino.
Per affermare il falso e negare il vero, il musicista avrebbe incassato 117 mila euro in bonifici da tremila euro al mese giustificati come rimborsi spesa.
Quello toscano «rischia di essere un processo ancora più inutile di tutti gli altri perchè già il materiale probatorio che era all’attenzione del gup era inconsistente», dichiara l’avvocato Federico Cecconi che a Siena assiste Berlusconi con i colleghi Franco Coppi ed Enrico De Martino.
Assicura: «Quanto prima arriveremo a una sentenza di assoluzione». Ma il pensiero non è al primo febbraio 2016 quando inizierà questo ennesimo processo.
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE GRILLINO NEGA QUELLO CHE HA SCRITTO LUI, INCREDIBILE FACCIA TOSTA: SI RIMANGIA LA FRASE SUI LEGAMI TRA IL M5S E IL RAS DEGLI AMBULANTI CHE NON VUOL PAGARE I COSTI DELLA SICUREZZA
Adriano Meloni, in un surreale messaggio sulla sua pagina Facebook, se la prende con “chi scrive” che c’è un legame tra il MoVimento 5 Stelle e la famiglia Tredine (e chi lo ha scritto? L’assessore Meloni in una chat su Whatsapp con una giornalista del Messaggero…) e si scusa con Andrea Coia ” per alcuni spezzoni di una chat privata riportati dalla stampa: si tratta di parole sicuramente fuori luogo”.
Purtroppo l’assessore non dice in che modo gli “spezzoni” siano stati tagliati magari travisando il suo pensiero (c’è chi riesce a dire anche questo…) ma in compenso decide di rimangiarsi i suoi stessi pensieri.
Si chiude così il “caso Coidicine” in una giornata tesissima, dove si è raccontato di telefonate di fuoco tra Raggi e lo stesso Meloni e con i consiglieri schierati quasi all’unanimità dalla parte del presidente della commissione Commercio, Andrea Coia, accusato da Adriano Meloni di aver favorito i Tredicine.
L’ennesima crisi interna alla Giunta, a pochi mesi dall’addio di Andrea Mazzillo, si potrebbe però risolvere con un canovaccio alla Berdini.
L’assessore, dopo la crisi innescata dalle sue parole sulla sindaca, rimase al suo posto sfiduciato dal resto della giunta ancora per alcune settimane finchè non decise di andarsene sbattendo la porta dopo l’ok della giunta allo stadio della Roma.
Qui sarà interessante scoprire come finirà la materia del contendere, ovvero il problema del conto per la sicurezza della Festa della Befana a Piazza Navona che secondo il bando dovrebbe essere pagato dai vincitori che però non hanno intenzione di farlo: vediamo se alla fine il Comune si piegherà alle richieste degli ambulanti addossando il conto della sicurezza ai cittadini.
La tragedia di una politica ridicola, che prima dice le cose ai giornalisti, poi scompare per l’intera giornata e alla fine se la prende con i giornalisti che scrivono quello che i politici dicono, invece non si risolverà così facilmente.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
INVECE DI CHIEDERE L’ASPETTATIVA SFRUTTA I PERMESSI GARANTITI PER LEGGE A CHI FA POLITICA… UN MODO CURIOSO DI INTERPRETARE I VALORI DI ONESTA’
È diventato un piccolo caso quello di Valentina Puglisi insegnante di italiano alla scuola elementare Rayneri di San Salvario a Torino e consigliera d’opposizione per il M5S a Misterbianco, in provincia di Catania.
La storia della maestra che insegna a Torino e che fa politica in Sicilia è venuta alla luce grazie all’articolo di Paolo Coccorese sull’edizione torinese del Corriere della Sera.
A dare il là alla vicenda le lamentele di alcuni genitori dei piccoli alunni della 1A, che hanno chiesto al Dirigente scolastico il nulla osta per il trasferimento ad un altro istituto.
Il problema è che dall’inizio scolastico la “maestra Valentina” non ha mai potuto — a causa del suo impegno politico a Misterbianco — entrare in classe a fare lezione.
A giugno infatti la docente, attivista pentastellata, è stata eletta consigliera municipale a Misterbianco. Assente giustificata, quindi.
Come ha spiegato Barbato Vetrano — il preside della scuola — la Puglisi infatti usufruisce del permesso che le consente di assentarsi per la giornata dei lavori consiliari.
La maestra, spiega il Preside, “si è premurata di farmi avere le norme che giustificavano le sue assenze” e non avendo chiesto l’aspettativa continua a percepire lo stipendio pur non lavorando.
Del resto il gettone di presenza da consigliera comunale non è in grado di sostituire lo stipendio da docente di ruolo.
Nessuno mette in dubbio la legittimità dell’operato della maestra Valentina e nemmeno la sua competenza. Il Dirigente scolastico ha raccontato che due anni fa la Puglisi aveva già avuto una cattedra alla Rayneri e il suo era stato “un servizio ineccepibile”.
Il regolamento consente al dipendente pubblico di prendere un permesso per il tempo necessario a partecipare ai lavori del Consiglio e delle Commissione nonchè per gli spostamenti dal luogo di lavoro alla sede del Comune dove esercita il mandato.
Il problema è che essendo Misterbianco a circa 1.500 chilometri da Torino tra sedute del Consiglio e delle Commissioni la Puglisi non ha il tempo materiale per dedicarsi all’insegnamento.
Quindi, come spiega il Preside al Corriere, «se martedì hai riunione di commissione in Sicilia, il lunedì e il mercoledì puoi chiedere il permesso per i viaggi di andata e ritorno».
La legge parla chiaro: la Puglisi non è obbligata a prendere l’aspettativa e può legittimamente usufruire dei permessi.
D’altra parte nella lettera d’intenti firmata dalla Puglisi all’atto della candidatura è scritto chiaramente che in qualità di consigliera si impegna a garantire la partecipazione “ad almeno l’80% delle sedute del consiglio comunale ed alle eventuali Commissioni a meno di giustificati motivi di carattere istituzionale”.
Per rispettare questo impegno senza prendere l’aspettativa l’unica soluzione è quella di usufruire dei permessi. Del resto nulla può la Puglisi se la supplente nominata al suo posto si è dovuta assentare per motivi di salute lasciando scoperta la cattedra.
La consigliera sulla sua pagina Facebook considera inaccettabile la richiesta di rinunciare al suo posto di lavoro prendendo l’aspettativa “per mere beghe pseudopolitiche”.
Così facendo non solo perderebbe lo stipendio ma anche l’anzianità di servizio, vedendosi scavalcata nella graduatoria “e così perdere la possibilità di ottenere una cattedra vicino alla sua famiglia”.
Chiarito quindi che dal punto di vista formale e del diritto la Puglisi ha ragione e quindi non la si può accusare di aver commesso alcun illecito non si può non far notare l’esistenza di una questione morale e di giustizia che va al di là della legge.
Perchè è impossibile separare questa vicenda dalla strategia e dalla visione della politica del M5S a livello nazionale.
I 5 Stelle infatti hanno spiegato più volte che un conto è la legge, un’altra è la Giustizia. Quella degli onesti, dei politici che devono dare l’esempio ai cittadini ed essere al di sopra di ogni sospetto. Almeno quando si tratta degli altri.
Non serve ricordare le numerose dichiarazioni sul “parlamento abusivo” di non eletti che però riguarda solo i parlamentari degli altri partiti.
Oppure le richieste di dimissioni immediate appena un politico avversario viene indagato (addio alla presunzione d’innocenza) con i distinguo e le cautele (“leggiamo le carte” o “è solo un avviso di garanzia”) quando sotto indagine ci finiscono i pentastellati.
Anche la questione dello stipendio è curiosa.
Qualche giorno fa un parlamentare del M5S che si rifiuta di pagare lo stipendio arretrato ad un suo collaboratore licenziato ingiustamente ha spiegato che non può farlo perchè non gli sembra giusto “che una persona che non lavora debba essere pagata come se stesse lavorando“.
Su un piano squisitamente politico quelle che la Puglisi definisce “beghe pseudopolitiche” sono l’essenza stessa dei valori del MoVimento 5 Stelle, quelli urlanti nelle piazze e declamati a gran voce negli studi televisivi e nelle aule parlamentari.
È la cifra stessa della loro azione politica.
Una visione che — come scrive la Puglisi nella sua biografia dove omette di avere una cattedra a Torino — intende l’attività politica “come servizio” alla collettività e il politico (non nominato) è quindi “chiamato” dal Popolo Sovrano a svolgere la sua attività in nome del Cambiamento.
Alla Puglisi viene contestato di percepire uno stipendio senza lavorare — cosa che anche se legittima viene vista come profondamente ingiusta. Ma soprattutto viene criticata la scelta di non chiedere l’aspettativa per non perdere l’anzianità .
Si può davvero pensare che una docente che torna al lavoro dopo cinque anni di permesso possa avere la stessa anzianità di servizio di un’insegnante che durante quei cinque anni — anche a costo di parecchi sacrifici personali — ha insegnato?
Questa domanda interroga non tanto la legge quanto la coscienza.
Sarebbe bello che su questo punto, ovvero su che esperienza di insegnamento potrà avere tra cinque anni e se si considera alla pari delle colleghe che teme la possano scavalcare, la Puglisi rispondesse in tutta onestà .
Ad oggi nessuno dei colleghi del M5S ne ha preso pubblicamente le difese.
E anche questo è un dato di fatto da tenere in considerazione. Anche perchè ogni sei mesi la Puglisi si è impegnata a rimettere il mandato sottoponendolo al giudizio degli attivisti.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
TRA GLI UNDER 30 I NUOVI MITI SONO I SOCIAL, LO SMARTHPHONE, LA CURA DEL CORPO E I SELFIE, VENGONO DOPO IL LAVORO, LO STUDIO E LA CASA DI PROPRIETA’
Incavolati neri e offesi, mortificati, incapaci di esprimere apertamente la propria rabbia ma anche di dimenticare e di perdonare, in una parola rancorosi.
Così il Censis dipinge gli italiani, non tutti ma certamente una bella fetta.
L’Italia è uscita dal tunnel, l’economia ha ripreso a crescere bene, trainata dall’industria manifatturiera, dall’export e dal turismo che hanno messo a segno risultati da record, ma questo non impedisce che in parallelo dilaghi il rancore.
Che assieme alla nostalgia finisce tra l’altro per condizionare la domanda politica di chi è rimasto indietro ingrossando le fila di sovranisti e populisti.
Il fenomeno non è certo nuovo, ma ora investe anche il ceto medio e si fa molto più preoccupante, perchè in parallelo «l’immaginario collettivo ha perso la sua forza propulsiva di una volta e non c’è più un’agenda condivisa».
La ripresa non basta
Nella ripresa, mette in chiaro il Censis nel suo 51esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese, persistono infatti «trascinamenti inerziali» da maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico della nazione, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio.
In particolare non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e per questo il blocco della mobilità sociale finisce per creare rancore.
Un fenomeno questo, è scritto nel Rapporto, che nella nostra società «è di scena da tempo, con esibizioni di volta in volta indirizzate verso l’alto, attraverso i veementi toni dell’antipolitica, o verso il basso, a caccia di indifesi e marginali capri espiatori, dagli homeless ai rifugiati. È un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale».
E ancora: «se la crisi ha avuto effetti psicologici regressivi con la logica del “meno hai, più sei colpito”, la ripresa finora non è ancora riuscita a invertire in modo tangibile e inequivocabile la rotta . La distribuzione dei suoi dividendi sociali appare finora adeguata a riaprire l’unica via che potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso l’alto».
Ceto medio in crisi
L’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa infatti che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante.
Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti.
La paura del declassamento è insomma il nuovo fantasma sociale.
Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso.
Di conseguenza, spiegano al Censis, si rimarcano sempre più le distanze dagli altri: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il 14,1% una con una condizione economica più bassa.
E l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti quando si scende nella scala sociale: il 72% tra le casalinghe, il 71% tra i disoccupati, il 63% tra gli operai.
Addio vecchi miti
Altro dato, l’immaginario collettivo, ovvero quell’insieme di valori e simboli in grado di plasmare le aspirazioni individuali e i percorsi esistenziali di ciascuno, quindi di definire un’agenda sociale condivisa.
Anche su questo fronte si è persa gran parte della forza propulsiva.
«Nell’Italia del miracolo economico il ciclo espansivo era accompagnato da miti positivi che fungevano da motore alla crescita economica e identitaria della nazione» è scritto ancora nel rapporto Censis. Adesso, invece, «nelle fasce d’età più giovani (gli under 30) i vecchi miti appaiono consumati e stinti, soppiantati dalle nuove icone della contemporaneità ».
Nella mappa del nuovo immaginario i social network si posizionano al primo posto (32,7%), poi resiste il mito del «posto fisso» (29,9%), però seguito a b.reve dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia estetica: 23,1%) e dal selfie (21,6%), prima della casa di proprietà (17,9%), del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (14,9%) e dell’automobile nuova come oggetto del desiderio (7,4%)
Nella composizione del nuovo immaginario collettivo il cinema è meno influente di un tempo (appena il 2,1% delle indicazioni) rispetto al ruolo egemonico conquistato dai social network (27,1%) e più in generale da internet (26,6%).
Lavoro polarizzato
Nel campo del lavoro la polarizzazione dell’occupazione penalizza operai, artigiani e impiegati. Chi ha vinto in questi anni nella ripresa dell’occupazione si trova in cima e nel fondo della piramide professionale.
Nel periodo 2011-2016 operai e artigiani diminuiscono dell’11%, gli impiegati del 3,9%. Le professioni intellettuali invece crescono dell’11,4% e, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%).
Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante – segnala il Rapporto – riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci (+11,4%) nella delivery economy.
Nella ricomposizione della piramide professionale aumentano dunque le distanze tra l’area non qualificata e il vertice. E se tra il 2006 e il 2016 il numero complessivo dei liberi professionisti è aumentato del 26,2%, quelli con meno di 40 anni sono diminuiti del 4,4% (circa 20.000 in meno). La quota di giovani professionisti sul totale è scesa al 31,3%: 10 punti in meno in dieci anni.
La domanda politica
Risentimento e nostalgia si riflettono pesantemente anche sulla domanda politica. E l’onda di sfiducia non perdona nessuno: l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni.
Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici.
«Non sorprende — segnala ancora il Censis – che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo. L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica».
(da “la Stampa”)
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Dicembre 1st, 2017 Riccardo Fucile
LE INDAGINI SUI CONTATTI CON LA RUSSIA: “PRONTO A TESTIMONIARE CONTRO TRUMP”
L’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, Michael Flynn, si è dichiarato colpevole di aver mentito all’Fbi, dopo essere stato formalmente accusato di aver reso dichiarazioni false sui suoi contatti con la Russia.
Presentatosi in tribunale per un’udienza di patteggiamento, Flynn ha ammesso di non aver detto la verità sul suo incontro con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Sergey Kislyak.
Secondo Abc News l’ex consigliere ha promesso di collaborare e sarebbe pronto a testimoniare contro il presidente, spiegando che l’ordine di avviare contatti con i russi è venuto direttamente da Trump.
“Ho sbagliato. La mia dichiarazione di colpevolezza e la volontà di cooperare con il procuratore speciale riflettono la decisione che ho preso nel miglior interesse della mia famiglia e del mio paese. Accetto la piena responsabilità delle mie azioni”, ha detto l’ex consigliere.
E’ il “pesce più grosso” che sia finito nella rete dell’indagine sul Russiagate, almeno finora. L’uomo che fu il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, con accesso a tutti i segreti dell’intelligence americana, è stato formalmente incriminato.
Il generale Flynn ha ricevuto notifica dell’incriminazione dallo Special Counsel, il superprocuratore indipendente Robert Mueller che porta avanti l’indagine su incarico del Dipartimento di Giustizia.
L’accusa è di aver mentito all’Fbi nel corso di una deposizione sotto giuramento, riguardo al contenuto di un incontro che Flynn ebbe con l’ambasciatore russo.
Altrettanto importante di questa incriminazione, è che il generale abbia accettato di riconoscere la propria colpevolezza.
Questo significa che i suoi legali hanno cominciato a patteggiare col procuratore Mueller. Non a caso già qualche giorno fa si era saputo che la squadra legale dei difensori di Flynn aveva cessato ogni comunicazione con la Casa Bianca: questa è una pre-condizione per collaborare con l’accusa.
Flynn si è presentato in tribunale oggi per rispondere di “false e fraudolente dichiarazioni” fornite al Fbi. E’ presto per dire se questo avrà delle conseguenze sul presidente stesso, ma di certo con Flynn il cerchio si stringe e l’indagine arriva sempre più vicina a Trump.
(da agenzie)
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