Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO CHE I BUOI SONO SCAPPATI IL PATETICO TENTATIVO DI CHIUDERE LA STALLA… PER IL GOVERNATORE L’IMPORTANTE E’ CHE L’UDC RESTI IN GIUNTA E CHE NON SI APRA UNA CRISI POLITICA
“In questa fase dobbiamo avere grande responsabilità . Quelli dell’Ars sono stipendi già dignitosi: non devono essere aumentati. Questo è il pensiero di tutta la giunta. Poi ognuno si assumerà le sue responsabilità “.
Il giorno dopo le dimissioni di Vincenzo Figuccia dalla sua giunta Nello Musumeci frena sugli stipendi d’oro: l’uscita di scena dell’assessore ai Rifiuti, arrivata dopo la polemica con Gianfranco Miccichè sul tetto ai compensi del Parlamento regionale, viene derubricata a “elemento di non grande novità “, visto che “non c’è nessuna crisi politica”, ma sul merito della presa di posizione di Figuccia il governatore non sconfessa quello che ormai è un ex assessore.
Certo è che le dimissioni non saranno respinte. “Bisogna avere rispetto – dice Musumeci – Figuccia ha deciso, con una lettera densa di umanità , di lasciare il ruolo di assessore. Questo dispiace a tutti noi, ma dobbiamo rispettare questa scelta”.
L’Udc, però, “ha confermato fiducia alla maggioranza” e la stessa coalizione “ha tenuto sulle commissioni”, dunque si va avanti: “Ho avocato a me la delega dell’assessore Figuccia – taglia corto Musumeci – vi farò sapere quando sarà sostituito. Punto e basta”.
Gli stipendi d’oro, però, sono solo una coda alla cerimonia per gli auguri di buon anno. Musumeci, in realtà , dedica la gran parte del suo intervento ai primi giorni di operato e ai progetti per il 2018.
Parla così di “reciproca collaborazione” col governo Gentiloni e poi si sofferma sull’analisi dei conti portata avanti dall’assessore all’Economia Gaetano Armao: “Siamo alla fase conclusiva della ricognizione del Comitato dei saggi. I dati saranno forniti in conferenza stampa all’inizio di gennaio”. Intanto, però, c’è qualche anticipazione: “I risultati – annuncia il governatore – sono allarmanti. i vorranno due anni per rimuovere le macerie”.
Come sempre, chi subentra si lamenta di trovare i conti in rosso ricevuti dal predecessore.
Non cambia mai nulla.
(da agenzie)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
TRAFFICANTI, JIHADISTI, MILITARI COLLUSI, SEGUACI DI BOKO ARAM: INVECE CHE ARMI SERVIREBBERO AIUTI UMANITARI
Non è “solo” il più grande Paese di transito di migranti. Il Niger è anche altro: una immensa terra di nessuno dove a farla da padroni, in una parte significativa dell’immenso territorio, sono miliziani jihadisti, tribù in armi e organizzazioni criminali che fanno del traffico di esseri umani il loro core business.
Su questa area cruciale del “corridoio libico” sono passati, solo per restare all’anno che sta per chiudersi, oltre 300mila migranti destinati a riempire le tasche di criminali e signori della guerra che spopolano sulla rotta del Mediterraneo.
L’Italia, ha ribadito oggi il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, è impegnata nel contrasto degli schiavisti del Terzo Millennio e a questo scopo nei prossimi mesi invierà in Niger una parte del contingente militare attualmente impiegato, con funzioni di addestramento, in Iraq: 470 militari.
In Italia il dibattito è aperto. Ma prima di prendere posizione, pro o contro, forse sarebbe bene sapere in che realtà i nostri militari andranno a operare (altra cosa è con quali regole d’ingaggio).
“Le organizzazioni europee per la difesa dei diritti umani si occupano in genere dei diritti di libertà (di stampa, di espressione, di manifestazione ecc.). Qui in Niger abbiamo compreso che la varietà dei diritti negati è molto più ampia e ricomprende prima di tutto quelli elementari alla sopravvivenza, alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’energia e, perfino, allo stato civile (dal momento che solo il 30% dei bambini sono registrati alla nascita). L’insicurezza alimentare è il primo problema del Niger. Il Paese si colloca all’ultimo posto (182° su 182) nell’indice PNUD 2009 dello sviluppo umano. E tutte le cifre sono spaventose: il reddito medio per abitante è di 627 dollari all’anno, la speranza di vita è di 50,1 anni, il tasso di mortalità infantile è altissimo, quello di scolarizzazione bassissimo…”, documenta Nicola Quatrano su Osservatorio internazionali dei diritti.
E ancora: “Precarietà e disoccupazione sono generalizzate e ognuno è costretto a darsi vorticosamente da fare, nei modi più vari, per mettere insieme il pasto della sera. Niamey, la capitale, è un immenso mercato, dove ogni marciapiede, ogni spazio, è occupato da venditori, che sembrano essere di gran lunga più numerosi degli acquirenti. Moltissimi bambini, anche piccolissimi, chiedono l’elemosina, la maggior parte sono figli di famiglie povere che sono stati affidati a un marabutto (una sorta di sacerdote, titolare di una scuola coranica) e sono costretti dal loro “maestro” a mendicare. Chi non porta la somma pattuita resta senza mangiare, o addirittura viene percosso. Ma è possibile assistere ad altre scene tremende: i redattori del giornale Alternative hanno raccontato di avere incontrato delle donne (tra cui Aissa, 70 anni) che fanno ogni giorno diversi chilometri a piedi per recarsi nella discarica della fabbrica di riso di Tillaberi, dove passano la giornata a cercare qualche grano di riso che potrà servire a preparare il pasto della sera….”.
L’economia si basa per l’80% sull’agricoltura di sussistenza e l’allevamento del bestiame. Ma l’agricoltura in Niger è costretta a lottare contro molte insidie: siccità e inondazioni, scarsa qualità del terreno, mercati sottosviluppati in tema di sementi e fertilizzanti, povertà dei pascoli.
Con circa il 60% della popolazione che vive sotto della soglia di povertà , i consumi alimentari delle famiglie sono un grave problema legato alle stagioni.
Per molti abitanti del paese l’insicurezza alimentare e la fame sono croniche. I tassi di malnutrizione sono altissimi: la piaga colpisce circa il 40% dei bambini, e la malnutrizione acuta grave raggiunge un allarmante 10%.
Il Niger è il Paese dove i bambini sono maggiormente minacciati ed esposti a rischi per la loro vita e il loro sviluppo, seguito da Angola, Mali, Repubblica Centrafricana e Somalia, documenta Save the Children, nel nuovo rapporto “Infanzia rubata”, primo Indice globale sull’infanzia negata nel mondo, presentato il primo giugno 2017.
Che in questo abisso senza fondo di miseria e degrado possano attecchire jihadisti e trafficanti non dovrebbe destare sorpresa.
Nel 2017, ricorda Amnesty International nel suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani e civili nel mondo, è proseguito il conflitto armato, in particolare nella regione sudorientale di Diffa, dove la maggior parte degli attacchi è stata compiuta dal gruppo armato Boko Haram.
Almeno 300.000 persone necessitavano di aiuti umanitari, a seguito dei combattimenti e del prolungato stato d’emergenza. Oltre 1.400 sospetti membri di Boko Haram erano in carcere, per lo più trattenuti per lunghi periodi in detenzione preprocessuale, in condizioni deplorevoli e a rischio di tortura. I diritti di rifugiati e migranti in transito nel Niger sono stati violati.
A fine 2016, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Office for Coordination of Humanitarian Affairs — Ocha), nella regione di Diffa, almeno 300.000 sfollati necessitavano di assistenza umanitaria.
Questi comprendevano oltre 184.000 sfollati interni del Niger, 29.000 cittadini nigerini rientrati nel paese e 88.000 rifugiati nigeriani. Molti vivevano in condizioni deplorevoli all’interno di accampamenti improvvisati. La situazione d’insicurezza ha bloccato l’accesso a beni di prima necessità e a servizi essenziali come cibo, acqua e istruzione, mentre il perdurare dello stato d’emergenza ha ostacolato le attività economiche.
Il Niger accoglieva nelle regioni di Tillabèri e Tahoua almeno 60.000 rifugiati del Mali, anch’essi bisognosi di assistenza.
Il numero delle persone che transitavano attraverso il Niger, nel tentativo di raggiungere l’Europa – rimarca AI – è continuato a crescere nel 2017 e Agadez è divenuta il principale nodo di transito per i migranti provenienti dai Paesi dell’Africa Occidentale. Ad Agadez, denunciano i 15 sindaci della regione, non è stato fatto nulla per offrire alternative al business dei migranti.
“Questi ragazzi si sono fidati di noi e hanno smesso di trasportare persone in Libia. Si aspettavano alternative, come promesso dall’Europa, ma ancora non abbiamo visto niente”, si legge in un comunicato diffuso lo scorso aprile.
I sindaci inseriscono poi una critica radicale al metodo della cooperazione allo sviluppo europea. “Le agenzie europee gestiscono i loro progetti senza coinvolgerci. Si comportano come se non esistessimo. I Paesi che fanno partnership con le nostre autorità devono capire che non si può fermare il traffico di migranti se non si coinvolge la gioventù locale, se non coinvolgono noi”.
A ottobre, uno studio condotto dall’Iom ha rilevato che il 70% delle persone arrivate in Italia via mare, molte delle quali erano transitate in Niger, era stato vittima della tratta di esseri umani o di sfruttamento, comprese migliaia di donne e ragazze costrette a prostituirsi in Libia o Europa. Nonostante l’approvazione nel 2015 di una legge contro la tratta, poco è stato fatto per prevenire questa pratica in Niger.
Dopo l’annuncio del premier italiano in molti si sono cimentati nell'”arte”, si fa per dire, degli strateghi o dei geopolitici.
Nella stragrande maggioranza in Niger non hanno messo mai piede. A differenza di Luca Raineri, ricercatore presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che ha svolto diverse ricerche sul campo per lo più nel Sahel, in Mali, in Niger e nel Senegal. Questa la sua riflessione: “L’industria del traffico di esseri umani contribuisce all’aumento del reddito del Niger e alla stabilità del suo attuale governo. Ad esempio, si dice che le società di autobus — che sono strettamente legate al contrabbando di esseri umani — appoggino l’attuale governo. Così, qualora quest’ultimo volesse interrompere tale traffico, queste persone — che sono molto potenti e rappresentano, forse, la fonte di economia più importante del Paese – indirizzerebbero altrove il loro sostegno, il che comprometterebbe la stabilità del regime. Inoltre, coloro che guidano le auto, i pullman e i furgoni con a bordo i migranti attraverso la città di Agadez, alle porte del Sahara, sono spesso anche le stesse persone che alcuni anni prima prendevano parte a insurrezioni e rivolte. Pertanto, si capisce come il governo non abbia intenzione di lasciare questi individui senza lavoro, nonostante non svolgano la loro attività in modo legale.
Il terzo elemento — prosegue Raineri – che vale la pena sottolineare è che anche l’esercito, approfittando dell’industria del traffico umano, sta facendo tanti soldi. Un esempio di questo fiorente mercato è dato dall’applicazione di una tassa che viene fatta pagare a tutti coloro che passano sulle principali rotte di contrabbando nel Paese. Il Niger, in realtà , è una nazione in cui hanno avuto luogo diversi colpi di Stato, cinque o forse di più, e tutti hanno provocato il rovesciamento dei precedenti regimi. Da questo si può capire quanto sia fondamentale la stabilità dei poteri al fine di assicurare la tranquillità del sistema di sicurezza. Ed è dunque, forse, questo il motivo per cui coloro che sono al potere vedano il perpetrarsi di tale istigazione sistematica alla corruzione o ad attività di traffico, a scapito dei migranti, come una sorta di male minore rispetto a un’eventuale destabilizzazione del Paese…”.
Considerazioni che portano ad una prima conclusione: in Niger, come in Mali, e negli altri Paesi dell’Africa subsahariana o subsaheliana di origine e di transito di migranti, pensare di contrastare i trafficanti e i loro alleati jihadisti senza attivare nel contempo progetti volti a migliore le condizioni di vita della popolazione locale, più che una illusione appare un pericoloso azzardo.
Tanto più alla luce del fatto che i nostri 470 militari dovranno non solo assistere le forze nigerine nel training ma compiere anche missioni più dirette, come “attività di sorveglianza e controllo del territorio”. E controllo e sorveglianza implicano azioni molto impegnative.
Frase generica che implica molto lavoro, piuttosto impegnativo.
Inizialmente gli italiani – potrebbero essere i parà della Folgore i primi a partire – lavoreranno a Niamey insieme ai francesi, presenti nell’area del Sahel con gli oltre 3mila militari dell’operazione “Barkhane”.
A Barkhane partecipano anche le forze armate di 5 ex colonie francesi (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger). Si tratta di una regione dove è forte e radicata la presenza di milizie jihadiste, che vanno ben oltre l’Isis, che nelle aree di frontiera tra Niger, Libia e Algeria (a Ovest) e Niger, Libia e Ciad (a Est) hanno assorbito i reduci delle lunghe battaglie algerine e ha sfruttato la frammentazione della Libia per rafforzarsi e diventare sempre più insidioso.
Il contingente italiano dovrebbe sostituire la guarnigione francese che presidia l’avamposto Madama, un vecchio fortino della Legione Straniera a poca distanza dalla frontiera libica.
I nostri militari andranno dunque in uno dei punti più esposti dell'”Africanistan”, un’area dove sono in corso circa trentacinque guerre dalle quali fuggono milioni di disperati. Definirla una missione a rischio è un eufemismo.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
PRONTE LE REGOLE PER LE PARLAMENTARIE… SULLE LISTE DECIDONO CASALEGGIO E DI MAIO
Le regole per le candidature sono pronte con il via libera dei legali del Movimento 5 Stelle, che avrebbero scongiurato così possibili cause future. Saranno pubblicate a breve, quasi sicuramente i primi giorni di gennaio.
Anche perchè “intorno al 15 del prossimo mese le liste dovranno essere pronte”, garantiscono fonti grilline che stanno seguendo questo inizio di campagna elettorale. L’idea è quella di presentare i candidati durante la scuola di formazione prevista a Pescara dal 19 al 21 gennaio dal titolo “Villaggio Rousseau. Programma di governo 2018”.
Come ogni anno è confermato il “contro discorso” di Beppe Grillo il 31 dicembre quando parlerà il presidente della Repubblica. Non sarà però un discorso con annunci eclatanti, fanno sapere in ambienti M5S, non sarà il momento per annunciare le nuove regole per le candidature, piuttosto sarà un intervento “di visione e per guardare al futuro”, durante il quale saranno ricordati anche “i principi che hanno portato alla nascita del Movimento 5 Stelle”.
La parte programmatica viene lasciata a Luigi Di Maio, in giro in questi giorni nel Nord d’Italia, in Lombardia in particolare dove si voterà per le elezioni regionali e dove i pentastellati sono ancora piuttosto deboli rispetto al resto dell’Italia e cercano quindi di conquistare terreno.
I parlamentari e gli attivisti intanto sono in attesa di conoscere le nuove regole delle candidature che porteranno parecchie novità .
Dallo scioglimento delle Camere ormai avvenuto ogni momento è buono per l’annuncio delle parlamentarie. Ciò che è certo è che l’ultima parola sulle liste spetterà a Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Luigi Di Maio che passeranno a setaccio tutti i nomi.
“Non sarà imbarcato chiunque”, continuano a ripetere dal Movimento 5 Stelle, ragione per cui i legali si sono a lungo soffermati sulla clausola da inserire nel codice di comportamento per evitare i cambi di casacca ma nello stesso tempo rispettare la Costituzione che non prevede il vincolo di mandato.
Dunque, se applicare o meno una multa ai parlamentari grillini che nel corso della legislatura dovessero decidere di cambiare partito. “È stato trovato un modo per evitare che ciò che è successo nella diciassettesima legislatura e cioè che anche tanti dei nostri eletti hanno lasciato il gruppo”, viene garantito dal Movimento.
Le deroghe e i cambiamenti rispetto alle prime regole, quelle del 2013, saranno tanti. Non sarà necessario avere quarant’anni per presentarsi al Senato e soprattutto saranno permesse le doppie candidature.
Chi si presenterà nel collegio uninominale potrà anche far parte del listo proporzionale.
A questo proposito il candidato del collegio sarà scelto, nei fatti, direttamente da Grillo, Casaleggio e Di Maio con un escamotage che consentirà di scegliere il più forte capace di confrontarsi con il Pd e con Forza Italia.
I voti delle parlamentarie saranno su base regionale e con ogni probabilità sarà concessa la candidatura anche in un collegio che non sia esattamente quello di appartenenza, purchè sia nella stessa regione.
Ciò è stato deciso per accontentare chi ha lamentato il fatto che molti parlamentari usciti fanno parte di uno stesso collegio e con l’alternanza uomo donna in tanti sarebbero rimasti fuori.
Ciò che attende nei prossimi giorni il Movimento 5 Stelle sarà di certo la carica dei candidati: si parla di diecimila attivisti che ambiscono a un posto in lista.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
UN SITO MAROCCHINO HA RILANCIATO UN MEME SU SILVIO CONDANNATO A PULIRE LE STRADE DI ROMA SPACCIANDOLA PER UNA NOTIZIA VERA
L’Italia è diventata un esempio di giustizia grazie alla punizione esemplare inflitta a Silvio Berlusconi.
Almeno così sostiene la pagina Facebook Morocco News che a quanto pare è molto popolare in Marocco con i suoi 5 milioni di like ed è collegata al sito di informazione almaghribtoday.net.
Cosa succederebbe se anche in Marocco la legge fosse severa quanto in Italia nel punire i corrotti?
Ad un italiano verrebbe da ridere, ma a chi scambia per vero un meme su Berlusconi condannato ai servizi sociali il nostro Paese sembra il Paradiso.
Succede che gli autori della pagina abbiano preso un vecchio meme relativo alla condanna di Berlusconi ai servizi sociali e lo abbiano usato come esempio su come trattare i politici corrotti.
Quante volte i gentisti nostrani con rammarico ci hanno ricordato come viene amministrata la giustizia altrove?
Che siano gli spacciatori uccisi per strada dagli squadroni della morte di Duerte nelle Filippine o qualche notizia inventata di sana pianta (ad esempio qualche giorno fa Ghisberto ci deliziava con una vignetta sulla severità e durezza del sistema carcerario spagnolo) c’è sempre nell’Internet un esempio di come “si dovrebbero fare le cose”.
La conclusione è sempre la stessa: se lo fanno in quel lontano paese perchè non possiamo farlo anche qui da noi?
Ecco quindi che in Marocco viene raccontata la storiella dell’ex Primo Ministro Berlusconi condannato a pulire per un anno le strade di Roma dopo essere stato giudicato colpevole di corruzione e frode fiscale.
“Ve lo immaginate cosa succederebbe nei Paesi Arabi se tutti i corrotti venissero processati” e costretti ad armarsi di ramazza per essere messi finalmente al servizio dei cittadini? In molti hanno notato che si tratta di un fotomontaggio ma c’è anche chi vuole crederci e coltivare il sogno che un mondo migliore sia possibile.
In fondo se lo fanno in Italia perchè non dovrebbero riuscirci in Marocco. I corruttori che hanno infangato il nome delle istituzione condannati a pulire, una legge del contrappasso che Dante Alighieri scansate.
Del resto è vero che Berlusconi ha anche fatto lo spazzino.
È successo a Napoli nel 2008 durante la famosa crisi dei rifiuti che ha vide molte città della Campania sommerse dall’immondizia. In quell’occasione Berlusconoi ne approfittò per spiegare come raccogliere la spazzatura: «Non bisogna gettare i rifiuti per strada e soprattutto bisogna metterli in contenitori per la differenziata».
Diverso è il caso del fotomontaggio in questione. Tutti gli italiani sanno che Berlusconi fu condannato a lavorare alla casa di riposo Sacra famiglia di Cesano Boscone.
Ma come spesso accade da noi a volte un meme che viene dall’estero viene scambiato per vero perchè in fondo l’erba del vicino è sempre la più verde.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
I MODERATI SONO OVUNQUE E ALLORA TUTTI I LEADER DIVENTANO RASSICURANTI
Il convitato di pietra della prossima campagna elettorale non è un’idea, ma uno stato d’animo: il malcontento.
Chi più riuscirà a rappresentarlo, o a sanarlo, sarà il vincitore, si dice. Come mai allora ovunque si guardi, a destra come a sinistra, tutte le forze politiche lanciano messaggi mirati soprattutto ad ottenere i consensi dell’area moderata?
In primissima fila ai blocchi di partenza, non a caso spicca la figura di Silvio Berlusconi, l’unico leader che ha attraversato (quasi) intatto il ventennio.
E’ nella sua versione proporzionale, ma fa da perno all’unica coalizione che può raggiungere una maggioranza. Silvio e il partito che guida da sempre sono entrambi ridotti nelle forze: Silvio ha venti anni in più, ha varcato gli ottanta, e Forza Italia quasi venti punti in meno rispetto ai fasti del passato.
Ma entrambi sono, in questa loro semplice resistenza all’usura, diventati la prova materiale (e psicologica) che non tutto cade, o si deteriora.
Questo atto di sopravvivenza , in tempi che hanno consumato ideologie, idee, partiti e reputazioni, vale da solo un programma politico. Curiosamente, infatti, il Silvio che oggi torna a raccogliere consensi indossa abiti totalmente diversi da quelli del primo Silvio.
La discesa in campo nel 1994 fu un atto di sfida, la promessa/minaccia di un Prometeo che voleva riscrivere il panorama della politica italiana — e ci riuscì, rompendo il panorama tardopost-guerra-fredda che durava in Italia da troppo tempo. Il sistema dell’epoca non lo amò molto — come poi si è visto.
Ma non è stato alla fine cancellato.
E oggi torna come la nemesi di sè stesso: Silvio oggi è leader rassicurante (per la sua stessa durata). Promette tranquillità , continuità , non si è fatto attrarre da sovranismi, da guerre contro l’Europa, ma nemmeno dalla favola del populismo che accontenta tutti gli altri leader a destra. Il re dei moderati, insomma.
E qui incontriamo Matteo Salvini, erede ma solo per via formale, di quella Lega con cui Silvio ha costruito in passato le sue fortune.
Passato il tempo in cui la sua attività politica sconfinava nel goliardismo, con provocazioni più atte ad attirare l’attenzione mediatica che a costruire un partito, Salvini guida una Lega che del passato ha perso persino il nome Nord con cui si identificava.
La Lega è sempre forte lì dove è nata e governa, il Veneto e la Lombardia, ma a Salvini è sempre stata stretta questa regionalissima identità — le patrie locali un po’ lo fanno soffocare, si ha l’impressione. Da quando ha mosso i suoi primi passi, molti di questi passi hanno calcato suolo e suggestioni estere: la Russia di Putin, l’identitarismo dei francesi lepenisti, l’ironia separatista inglese di Farage, e l’America di Trump.
Salvini ama i grandi temi, e ne ha trovato uno perfetto alla fine: il rifiuto dell’immigrazione come grande collettore di ogni suggestione identitaria, bianca, e indipendentista.
Ovviamente a Salvini è rimasto il gusto di scuotere, e dunque di spararle grosse — ma alla fin fine in questa vigilia elettorale le parole più gravi le ha già messe nell’armadio — di rompere con l’Europa non si parla molto, e di campagne contro i migranti non si sente tanto.
Del resto Salvini ha davanti una partita ben più grande: quella di declinare il malcontento in chiave tale da attirare anche una parte dei moderati di destra che sta oggi con Berlusconi. E questo sì che sarebbe un colpo: come va ripetendo da un po’, «se batto Silvio anche di un solo voto faccio il premier».
Il Principe dello «scontento» è per ora, comunque, il più giovane dei politici che calcherà la scena elettorale.
Luigi Di Maio è il candidato premier del movimento che ha per primo intercettato e aiutato a coagulare lo scontento in forza politica. Sono stati i pentastellati il maglio che ha spaccato la struttura (già esanime) della Seconda Repubblica.
Il loro programma appare dunque, fin da questo inizio, quello destinato al maggior successo. Le cifre dei poll gli danno numeri da primo partito. Alla lettura dei quali sorge tuttavia una domanda: ma perchè un movimento dedito ad aprire il sistema «come una scatoletta da tonno», presenta come proprio candidato a Palazzo Chigi Luigi Di Maio, giovane con abiti ed abitudini, nonchè idee molto istituzionali, o magari meglio ancora dire moderate?
Il punto di caduta per i pentastellati nella campagna elettorale è dunque, un po’ come per la Lega, il giusto equilibrio che saprà trovare fra scontento e moderazione: dopotutto, una cosa è aizzare con i «vaffa», altro è governare.
L’area moderata, chiamata riformista e moderna, è dichiaratamente anche il bersaglio di Matteo Renzi in questa che sarà la sua prima campagna elettorale nazionale: come ricorderete l’ex premier è riuscito ad arrivare a Palazzo Chigi prima che in Parlamento. L’idea con cui si è presentato in politica è quintessenzialmente moderata — rompere con il passato ideologico della sinistra tradizionale. A questa idea ha sacrificato molto. Ha subito la sconfitta del referendum, ha perso Palazzo Chigi ed ha rotto (o ha subito la rottura, come preferite) un partito forte e di lunga tradizione quale il Pd.
Ora che c’è un nuovo Pd renziano, è l’ora per Matteo Renzi di mettere alla prova davvero la sua capacità di attrazione nonchè la sua capacità di formare il destino della nazione. Sullo stesso banco di prova anche per lui: l’area moderata.
Direttamente, prendendone i voti. O indirettamente, magari, come tutto lascia pensare dalle scelte del Pd, in una grande coalizione fra le forze di Berlusconi e quelle di Renzi. Che sarebbe poi la creazione di un grande fronte moderato al centro.
Le forze radicali sono invece quasi tutte raccolte intorno a nuclei minori. Liberi e Uguali, movimento dei fuoriusciti dal Pd non pare goda al momento di grandi favori elettorali. In ogni caso, la nuova formazione ha scelto come guida un ex magistrato, una figura superistituzionale come l’ex presidente del Senato Grasso.
Cos’è questa scelta se non una forma di rassicurazione contro gli strappi per chi vota a sinistra?
Moderati ovunque, insomma. Sotto la coltre pesante di scontento, appare la richiesta di non portare il Paese a sbattere.
Ma se questa è la domanda segreta delle urne, va a finire che vero vantaggio nella campagna elettorale lo godrà il governo Gentiloni che ha chiuso le Camere ma non si è dimesso, e che, secondo molti auspici, potrebbe essere pronto a continuare anche dopo il voto. Dopotutto, è il governo che finora, poll alla mano, pare abbia più rassicurato il Paese.
(da “La Stampa“)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
DOPO MESI DI COMA NULLA E’ CAMBIATO PER CONCETTA CANDIDO
“Sono stufa di stare in ospedale”, ma Concetta Candido, 46 anni, non è stufa di lottare. Esattamente sei mesi fa si era data fuoco davanti a uno sportello della sede di Torino Nord dell’Inps.
Voleva essere ascoltata, voleva avere i soldi che le spettavamo dalla Naspi, l’indennità di disoccupazione.
Quel 27 giugno prima di uscire di casa lo aveva scritto su Facebook: “Vado a farmi sentire”,.
Non ci era riuscita e aveva trovato un’altra strada con una bottiglietta di alcol e un accendino. Le conseguenze sono state pesantissime per lei: mesi di coma, poi un ricovero in ospedale che non è ancora finito, la faccia sfigurata dal fuoco.
Operazioni, trapianti di pelle, interviste, addirittura un libro per raccontare la sua storia: nella vita di Concetta sono cambiate tante cose ma il suo problema non è risolto.
Da maggio Concetta riceve la Naspi “ma sugli arretrati non arrivano le risposte”, spiega suo fratello Giuseppe che da sei mesi cerca di trovare una soluzione per districare una matassa di cavilli che – dice – “hanno portato mia sorella all’esasperazione”.
Concetta, che faceva le pulizie in un locale di Settimo Torinese era stata licenziata il 13 gennaio.
La sua titolare non le aveva liquidato nemmeno il tfr che oggi la donna ha recuperato con una causa davanti al giudice.
Quella settimana lei era in mutua. Il 24 gennaio aveva fatto domanda all’Inps per ottenere la disoccupazione e gli uffici di corso Giulio Cesare le avevano risposto ad aprile: richiesta negata perchè mancava un documento che attestasse che Concetta era guarita ed era di nuovo abile al lavoro.
“Questo è quel che dice la legge ma basterebbe il buonsenso”, dicono i fratelli Candido che lottano da sei mesi contro la burocrazia. “Non so quante volte sono andato all’Inps i per venire a capo di questo furto legalizzato: perchè nessuno sa della necessità di questi documenti prima di trovarsi invischiato nella procedura. Sbagliare è facilissimo”.
L’Inps non nega i soldi alla lavoratrice licenziata ma li posticipa facendo partire la pratica da maggio. Proprio quel ritardo ha spinto Concetta verso un gesto estremo.
“Ho cercato di capire se sarebbe bastata una sua autocertificazione sulle sue condizioni di salute di un anno fa, per ottenere subito gli arretrati, ma non si poteva fare. L’unica ipotesi, ammesso che poi vada a buon fine, è chiedere al medico che le aveva firmato il foglio della mutua di certificare che dal 20 di gennaio dell’anno scorso mia sorella era tornata abile al lavoro”.
Ma questa volta è il medico a non voler firmare il documento. E Concetta resta prigioniera della burocrazia proprio come si era sentita sei mesi fa
A Natale è tornata a casa con un permesso speciale dell’ospedale dove è ricoverata per la convalescenza
Su Facebook ha pubblicato un video in cui canta finalmente insieme alla sua famiglia. “Ho una gran voglia di tornare a casa anche se sono ancora molto stanca”, dice a tutti, e soprattutto a Giuseppe che le è stato vicino tutti questi mesi. “In ospedale cerca di darsi da fare, aiuta la sua vicina di letto che è anziana e ha bisogno di assistenza”.
Le cure e il recupero però sono lunghi e per Concetta sarebbe ancora troppo pericoloso tornare a casa.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
SPESA PER HOTEL E RISTORANTI A LIVELLO PRE-CRISI
Famiglie single in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione, ma anche di separazioni, divorzi e arrivo di stranieri.
Inoltre continua il calo delle nascite, con 2.342 bebè in meno rispetto al 2016, ma la speranza di vita, dopo una battuta d’arresto, riprende a crescere e passa da 80,1 a 80,6 anni per gli uomini e da 84,6 a 85,1 per le donne.
Sono queste le tendenze e i dati che emergono dall’Annuario Istat 2017, che sottolinea anche il progressivo calo della voglia di partecipare, di informarsi e di parlare di politica, con un aumento dell’astensionismo.
Oltre sei milioni di italiani, poi, sperano in un lavoro, e le retribuzioni orarie contrattuali lo scorso anno siano cresciute solo dello 0,6%: “un nuovo minimo storico“.
Sul fronte della salute il 66% dei decessi in Italia è dovuto a malattie del sistema circolatorio e tumori, che si confermano le due principali cause di morte.
Gli italiani hanno anche riaperto i cordoni della borsa, almeno per dormire e mangiare fuori.
Nel 2016 “tornano ai livelli pre-crisi” le spese per servizi ricettivi e di ristorazione (+4,8%, da 122,39 a 128,25 euro)”. Viene così recuperato il terreno perso negli ultimi cinque anni, riagganciando i valori del 2011. La discesa della spesa, ricorda infatti l’Istat, era iniziata nel 2012.
L’incidenza di povertà assoluta è più elevata fra i minori (12,5%) e raggiunge il suo minimo fra le persone di 65 anni e più (3,8%).
Famiglie con una sola persona
Aumentano da 20,5 a 31,6% e si riducono quelle di cinque o più componenti (da 8,1 a 5,4%). Nel giro di vent’anni, spiega l’Istituto di statistica, il numero medio di componenti in famiglia è sceso da 2,7 (media 1995-1996) a 2,4 (media 2015-2016). Il fatto che quasi una famiglia su tre è dunque composta da una sola persona è conseguenza di “profonde trasformazioni demografiche e sociali che hanno investito il nostro Paese: il progressivo invecchiamento della popolazione, innanzitutto, ma anche — spiega l’Istat — l’aumento delle separazioni e dei divorzi, così come l’arrivo di cittadini stranieri che, almeno inizialmente, vivono da soli”.
Anche il Sud, dove c’è il più alto numero di componenti per famiglia, mostra una graduale riduzione della dimensione familiare: da un numero medio di componenti pari a 3,1 (media 1995-1996) a un numero medio pari a 2,6 (media 2015-2016). Dal confronto territoriale sulla dimensione familiare (media 2015-2016) emerge che la ripartizione geografica con la quota più elevata di famiglie unipersonali è il Centro (34,4 per cento); il Sud, invece, registra la percentuale più bassa (28,25). All’opposto, per le famiglie con cinque o più componenti, è il Sud a mostrare la quota più alta (7,5%), mentre il Nord-ovest evidenzia quella più bassa (4,25%).
Continua il calo delle nascite, ma torna ad aumentare la speranza di vita
Nel 2016 si sono riempite 473.438 culle, 12.342 in meno rispetto all’anno precedente. E il calo delle nascite continua a essere affiancato dalla posticipazione dell’evento: le gravidanze avvengono, infatti, in età sempre più avanzata.
Nello stesso anno il numero dei decessi, invece, cala rispetto al picco dell’anno precedente e raggiunge le 615.261 unità (32.310 morti in meno rispetto all’anno precedente).
La speranza di vita alla nascita (vita media), dopo una battuta d’arresto, riprende a crescere e passa da 80,1 a 80,6 anni per gli uomini e da 84,6 a 85,1 per le donne.
Il Nord-Est è l’area geografica con la speranza di vita più alta anche nel 2016 mentre il Mezzogiorno è caratterizzato da una vita media più bassa. L’Italia resta uno dei paesi più vecchi al mondo, con 165,3 persone con 65 anni e più ogni cento con meno di 15 anni.
Grado di soddisfazione degli italiani
“Nel 2016 — si legge nel rapporto — il quadro della soddisfazione generale della popolazione di 14 anni e più mostra segnali di miglioramento rispetto al 2015: su un punteggio da 0 a 10, le persone danno in media un voto pari a 7″.
Guardando alla situazione economica, “continua a diminuire la quota di famiglie che la giudicano in peggioramento rispetto all’anno precedente”.
L’Istat riporta anche i dati sulla povertà , già diffusi in estate: “nel 2016, le famiglie in condizione di povertà assoluta sono 1,6 milioni, per un totale di 4,7 milioni di individui poveri (il 7,9% dell’intera popolazione). Le famiglie che vedono peggiorare le loro condizioni rispetto all’anno precedente sono quelle numerose, soprattutto coppie con 3 o più figli minori (da 18,3% del 2015 a 26,8% del 2016).
Caro vita
Vivere nelle grandi città costa caro. “Le famiglie residenti nei comuni centro dell’area metropolitana spendono in media 2.899,21 euro”, ovvero “491 euro in più” a confronto con i comuni fino a 50 mila abitanti (2.407,82 euro). Insomma nel 2016 lo scarto, calcolato in esborso medio mensile, tra le famiglie dei centri urbani maggiori e quelle dei municipi medio-piccoli è di quasi 500 euro (+20,4%).
Salute e patologie —
Le malattie del sistema circolatorio e i tumori si confermano le due principali cause di morte in Italia: il 66% dei decessi è attribuibile a queste patologie. L’ordine di rilevanza è tuttavia inverso per maschi e femmine: le malattie del sistema circolatorio occupano il primo posto nella graduatoria delle cause di mortalità per le donne, con un quoziente di 396,6 per 100mila abitanti, mentre sono al secondo posto nella graduatoria maschile (325,7 per 100 mila), dopo i tumori che per gli uomini rappresentano la prima causa (337,1 per 100 mila) e per le donne la seconda (248,9 per 100 mila). Emerge ancora il divario Nord-Mezzogiorno per l’offerta ospedaliera.
Nel periodo 2013-2015 il numero di medici di base è leggermente in calo (-1,2%) e pressochè stabile il numero di pediatri (-0,5%).
Cresce il numero di posti letto nelle strutture di assistenza residenziale (4,4% in più dal 2013 al 2015) mentre si riducono i posti letto ospedalieri, soprattutto quelli in ‘regime per acuti’.
Permangono le differenze della rete d’offerta ospedaliera tra le regioni: i posti letto ordinari per mille abitanti restano superiori al Nord rispetto al Mezzogiorno. Negli ultimi 5 anni le dimissioni ospedaliere per acuti sono in continua discesa nonostante l’invecchiamento della popolazione.
Tuttavia, la riduzione dei ricoveri procede a ritmi decrescenti (-4,3% tra 2012 e 2013 e circa -3% negli anni successivi), segnale di una progressiva stabilizzazione del fenomeno. Quanto agli stili alimentari, sono sempre nel solco della tradizione: le abitudini degli italiani si mantengono legate al modello tradizionale: il pranzo costituisce nella gran parte dei casi il pasto principale (2 terzi della popolazione di 3 anni e più) e l’81,7% della popolazione di 3 anni e più fa una colazione che può essere definita adeguata. Stabile rispetto al 2015 la quota di popolazione di 14 anni e più che dichiara di fumare (19,8%).
(da agenzie)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
FORTINI, EX AMA, LANCIA L’ALLARME: RISCHIO EMULAZIONE PER LA MANCATA RACCOLTA DI RIFIUTI
Sulla vicenda dei cassonetti bruciati “il rischio è l’emulazione. Nel municipio X non si raccoglie la spazzatura e scatta la rivolta con blocchi del traffico e incendi. L’azienda dei rifiuti interviene. Il quartiere Y, vedendo il risultato, agisce allo stesso modo. A Napoli si arrivò a picchi di 400 segnalazioni al giorno. Non solo cassonetti bruciati, ma anche spostati per bloccare la circolazione, per richiamare l’attenzione”.
Lo afferma, in un’intervista al Messaggero, Daniele Fortini, ex presidente dell’Ama a Roma ed ex ad della società di rifiuti partenopea Asia, secondo cui Roma rischia di fare la fine di Napoli.
“Tra il 2007 e il 2008 a Napoli era un fenomeno molto diffuso che fu difficile arginare. Anche senza pensare alla malavita ed altri interessi, dietro il rogo di cassonetti e rifiuti c’è comunque il malessere del cittadino che non comprende perchè non venga raccolta la spazzatura”, osserva Fortini.
“Dietro c’è disagio ed esasperazione, questo è evidente, se è vero che a Roma ci sono zone in cui da dieci giorni non si raccolgono i rifiuti”.
Nel X Municipio, nella notte di Santo Stefano sono stati bruciati quattro cassonetti, in quella di Natale due campane per la raccolta del vetro, prima ancora cinque cassonetti nel centro di Ostia. In totale, da quando è iniziata l’emergenza 100 cassonetti a fuoco. Si era pensato all’inizio a una serie di azioni dolose in concomitanza con le elezioni, ma i roghi sono proseguiti anche a urne chiuse.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
L’AMA CAMBIA LE GARE PERCHE’ GLIELO IMPONE L’ANAC IN UNA SERIE DI LETTERE… CHE PERO’ SONO FALSIFICATE DA UNA MANO MISTERIOSA
La storia la racconta oggi Ilaria Sacchettoni sul Corriere della Sera: all’inizio dell’anno l’AMA, municipalizzata dei rifiuti romana, prepara un bando per la realizzazione di servizi cimiteriali in tre quartieri della città .
I bandi ricercano varie figure professionali che vanno dall’ingegnere al perito industriale, dal geometra all’architetto.
Ma quando tutto è pronto dall’Autorità Anticorruzione arriva una lettera che pretende (e non invita, come di solito fa ANAC) che si blocchi tutto.
AMA viene diffidata dal conferire incarichi diversi rispetto a quelli degli ingegneri, come recita una sentenza del Consiglio di Stato che ribadisce come la progettazione delle opere cimiteriali sia appannaggio soltanto di questi ultimi.
La lettera è firmata da presidente e segretario nonchè protocollata: a Lorenzo Bagnacani non resta che adeguarsi.
Per scrupolo, dopo averlo fatto AMA fa sapere ad ANAC che è tutto ok e che i cambiamenti richiesti sono stati effettuati.
E qui arriva il colpo di scena. ANAC cade dalle nuvole e fa sapere di non aver mai indagato sui bandi AMA per i servizi cimiteriali. La lettera è un falso. Ed è anche ben fatto, visto che replica tutta la struttura delle tipiche lettere dell’ANAC, se non fosse per la diffida minacciata nel testo che non fa parte delle formulazioni tipiche dell’Autorità Anticorruzione.
A questo punto scatta l’indagine dell’ANAC e dell’AMA, le quali scoprono che anche altre lettere false sono state inviate con la firma dell’Autorità Anticorruzione: ad esempio una sull’aeroporto di Fiumicino contesta la gara aperta a varie figure professionali: anche qui la lettera rimarca che soltanto gli ingegneri hanno diritto a quel posto. Non solo.
Negli archivi dell’ANAC spunta anche una lettera anonima che risale ad anni prima nella quale si utilizzavano gli stessi argomenti sugli ingegneri e gli appalti che riguardavano le opere pubbliche.
La storia finirà presto in procura, ma sarà difficile fare luce sulla vicenda con i pochi elementi in possesso.
Se non quello della fissazione per gli ingegneri.
(da “NextQuotidiano”)
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