Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
SI MANGIA INSIEME AI POVERI E SI PAGA UN EURO A TESTA
Le mense dei poveri sono mense da poveri. Sono necessarie. Sono gestite con vero spirito di carità e dedizione. Ma sono posti dove i poveri si sentono poveri. Trattati con gentilezza, ma poveri.
Per questo l’ idea di Ernesto Pellegrini, che è stato celebrato patron dell’ Inter , e di sua figlia Valentina, è la differenza.
à‰ un ristorante. Come gli altri. Ha un indirizzo, ottimo indirizzo: via Gonin a Milano. Ha un arredo curato. E soprattutto ha il menu.
Tre. Ci si va con la famiglia. Con un amico. Con la fidanzata. Il 60% dei 350 clienti sono famiglie.
E quando ci si siede, in questo magnifico ristorante, non ci si sente più poveri
Ci si sente clienti. E infatti, c è il conto. Alla fine. 1 euro, ma i bambini gratis.
I clienti del ristorante di Ernesto e Valentina sono persone che stanno combattendo la vita. Disoccupati che cercano lavoro. Padri separati. Madri single.
E da poco i Pellegrini, che sono imprenditori veri, hanno trovato il modo di mettere insieme una rete tra Comune e Associazioni e Privati, perchè in questo ristorante si possa anche trovarsi di nuovo un lavoro. Offerte di lavoro insieme al menu.
E questo ristorante così bello ha un nome. Come tutti i ristoranti. Si chiama con il nome di un amico d’infanzia di Pellegrini, morto povero.
Si chiama «Ruben».
Sembra poco. Ma è tanto.
(da “La Stampa”)
argomento: povertà | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
PER L’EX ATTACCANTE DEL MILAN SI ATTENDE SOLO LA PROCLAMAZIONE
Da oggi George Weah, l’ex stella del Milan degli anni Novanta, non guarderà più a quel Pallone d’oro vinto nel 1995 (unico africano ndr), come il più grande successo della sua vita.
La presidenza della Liberia, il Paese dove è nato e da dove ha spiccato il volo verso l’Europa da ragazzo di strada, vale molto di più.
E al terzo tentativo è ormai prossimo ad ottenerla, essendo nettamente in vantaggio nei conteggi anche nel ballottaggio.
A 51 anni, «King George», come era soprannominato quando seminava il panico tra i difensori avversari di mezza Serie A, è prossimo ad un traguardo a cui non aveva mai rinunciato nonostante due brucianti sconfitte contro Ellen Johnson Sirleaf, presidente uscente e Premio Nobel per la Pace nel 2011.
Dodici anni fa «The Analyst», uno dei più diffusi quotidiani in Liberia, a pochi giorni dal voto titolava sulla sua prima pagina: «Qualification vs Popularity (Preparazione vs Popolarità )».
Lui, che non era neanche riuscito a finire il liceo per seguire la carriera da calciatore dopo la chiamata di Arsene Wenger (attuale allenatore dell’Arsenal) al Monaco, incarnava la seconda: la popolarità .
Ma allora, in un Paese uscito da più di dieci anni di guerra civile con la confinante Sierra Leone e 250mila morti interrati non bastò e vinse la Sirleaf, meno popolare ma laureata ad Harvard e appoggiata da tutte le istituzioni internazionali.
Questa volta, invece, il ballottaggio non ha sta dando scampo al suo sfidante, Joseph Boakai, l’attuale vice-presidente e braccio destro della Sirleaf che, tuttavia, in campagna elettorale non lo ha mai sostenuto in modo netto.
La vita di Weah potrebbe essere divisa in un racconto epico composto in tre atti. L’inizio: nella contea di Grand Kru, una delle più povere del Paese nel centro della Liberia.
I genitori non erano in grado di prendersi cura di lui e lo lasciarono ai nonni che vivevano a Clara Town, uno dei peggiori slum di Monrovia, la capitale della Liberia.
Al contrario dei suoi coetanei sfoga la sua rabbia sui campetti da calcio e ad emergere ci mette poco. Dalla modesta lega liberiana passa in Camerun fino a Milano via Francia.
Qui si apre il secondo capitolo della sua vita fatto di successi e milioni in tutta Europa. Il ritiro nel 2002, gli anni in America, la sua grande passione dopo l’Italia, dove investe le sue fortune in immobili, ma soprattutto in istruzione, laureandosi in Gestione d’impresa alla DeVry University in Florida. Poi il ritorno in patria e l’inizio del grande sogno ormai prossimo ad essere coronato: la presidenza.
Come ambasciatore Unicef ha viaggiato la Liberia intera con un pallone in mano per convincere gli ex bambini-soldato a reintegrarsi in società . Certo i passi non erano più quelli della «pantera nera» di una volta, ma numeri ed oratoria lo hanno trasformato in un eroe nazionale da seguire ed emulare. Gli anni delle sconfitte politiche, dove è riuscito solo a vincere un seggio da senatore, sono serviti a Weah per capire che la politica non è come un campo da calcio e che le alleanze contano più che i compagni di squadra.
Così al terzo tentativo ha deciso di giocare duro scegliendo al suo fianco Jewel Howard Taylor, la moglie di Charles Taylor, ex Presidente della Liberia, incriminato a 50 anni di reclusione dalla Corte penale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità commessi durante la guerra civile degli anni Novanta.
Una scelta che ha spinto i suoi detrattori ad accusarlo di essere la marionetta di un «sanguinario» pur di diventare presidente. Accusa rinforzata dopo che all’inizio di quest’anno, Taylor, dal carcere di Durham in Inghilterra, dove sta scontando la sua condanna, in video-conferenza è apparso a un comizio politico sostenendo la candidatura di Weah e della moglie. Un’alleanza, secondo gli analisti, decisiva per assicurare la vittoria a «King George».
Terminati i festeggiamenti il compito che spetta a Weah è ben più difficile di vincere un campionato. Il piccolo Paese dell’Africa occidentale, stabilizzato dalla presidenza Sirleaf, sta ancora scontando economicamente l’epidemia di Ebola che ha causato oltre 4800 morti tra il 2014 ed il 2015.
(da “La Stampa”)
argomento: elezioni | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
IN SIRIA E IRAQ USATI COME SCUDI UMANI, IN SUD SUDAN RECLUTATI DAI GRUPPI ARMATI, IN CONGO 350.000 VITTIME DI MALNUTRIZIONE GRAVE
Cosa succede a un bambino quando finisce coinvolto in una guerra? Chi si deve occupare di loro? Quali diritti vengono loro negati?
Il diritto internazionale e il senso di umanità dovrebbero prevedere la tutela di queste vittime, anche nei conflitti armati più cruenti.
Ma invece di essere protetti, i bambini sono diventati gli obiettivi principali dei conflitti mondiali. Uccisi, vittime di stupri, rapiti, venduti, mutilati e reclutati per combattere, usati come scudi umani e lasciati a morire di fame: il 2017 è stato un anno terribile per i bambini coinvolti nei conflitti armati.
Lo dice l’ultimo rapporto Unicef secondo cui, in questo momento, nessun luogo è sicuro per loro: le parti in guerra hanno palesemente ignorato le leggi internazionali per la protezione dei più vulnerabili.
«I bambini sono stati obiettivi e sono stati esposti ad attacchi e violenze brutali nelle loro case, scuole e parchi giochi» ha dichiarato Manuel Fontaine, direttore dei Programmi di emergenza dell’Unicef. Attacchi che continuano ogni anno. Ma – ha detto Fontaine, «non possiamo diventare insensibili. Violenze di questo tipo non possono rappresentare una nuova normalità ».
Secondo il rapporto 2017 di Unicef nei conflitti odierni i bambini sono diventati obiettivi in prima linea utilizzati come scudi umani, uccisi, mutilati e reclutati per combattere: stupro, matrimonio forzato, rapimento e riduzione in schiavitù sono diventate tattiche normali nei conflitti in Iraq, Siria, Yemen, Sud Sudan e Myanmar.
Oltre alle conseguenze dirette dei conflitti, milioni di bambini soffrono di quelle indirette ma non meno gravi: malnutrizione, malattie e traumi visto che accesso a cibo, acqua e servizi igienici e sanitari vengono loro negati, danneggiati o distrutti durante i combattimenti.
L’Unicef è tornata a chiedere a tutte le parti in conflitto di rispettare gli obblighi del diritto internazionale per porre subito fine alle violazioni contro i bambini e all’utilizzo delle infrastrutture civili come scuole e ospedali.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
ATTACCA IL ROSATELLUM: “UN PASTICCIO DISCRIMINATORIO”
“E’possibile che dopo cinquant’anni di Radicali io debba dimostrare di esistere? Sono la zia d’Italia e mi chiedono di andare in giro proprio per l’Italia a raccogliere le firme e poter così presentare la mia lista”. Per Emma Bonino, intervistata dal Corriere della Sera, “con la nuova legge elettorale stiamo davvero sfiorando il ridicolo”.
“Per legge è stato combinato un pasticcio discriminatorio, ma adesso è giusto che chi lo ha combinato lo risolva, in modo trasparente e legale”, afferma Bonino. “Una strada era già stata trovata, un emendamento esplicativo del Pd che però è stato ritirato in parte in commissione Bilancio della Camera, proprio quella parte che serviva. Ci è stato detto che Brunetta – racconta – aveva minacciato di bloccare la legge di Bilancio e quindi di mandare il Paese in esercizio provvisorio con relativo aumento dell’Iva se fosse passato l’emendamento. Da mettersi a ridere o a piangere, a scelta”.
“Renzi aveva detto che non ci sarebbe stato problema, che tutto era a posto, emendamento compreso”, prosegue Bonino.
“Mi è stato detto che Renzi renderà noti i candidati dei collegi uninominali in una direzione del Pd intorno al 20 gennaio. Noi mica possiamo aspettare il 20 gennaio per fare un apparentamento con il Pd. A quel punto ci rimarrebbero soltanto nove giorni di tempo per raccogliere le firme”.
Se non verrà risolto questo “pasticcio paradossale”, ribadisce, la lista ‘Più Europa con Emma Bonino’ correrà da sola, “e cominceremo a raccogliere le firme dal 3 gennaio, come prevede la legge”.
(da agenzie)
argomento: elezioni | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
DATI ISTAT, CRESCE LA DISAFFEZIONE
Seggi sempre più vuoti, e sempre meno voglia di partecipare, di informarsi e di parlare di politica.
In Italia, secondo i dati dell’Istat, continua a crescere la disaffezione verso la cosa pubblica. Il crollo del voto (solo il 46 per cento degli elettori ai ballottaggi per le amministrative di giugno) si è accompagnato a un minore desiderio di informarsi su siti e giornali, guardare i talk show: il 24,5% non si informa mai di politica mentre 32,8% non ne parla mai.
Studiando il comportamento degli italiani nel 2016, l’Istat indica al 32,8 per cento la media degli italiani non parla mai di politica.
Cifra che diventa ancora più altra tra le donne (40 per cento), tra i giovanissimi (53 per cento nella fascia d’età tra 14 e 17 anni), e tra gli over 75 (47 per cento). In Italia c’è un 24,5 per cento di cittadini che non si informa mai di politica: nel 2015 erano di meno, sono cresciuti di due punti in dodici mesi.
Allo stesso modo, ascoltare un dibattito politico interessa non più del 17,7 per cento degli italiani: anche in questo caso nel 2015 erano il due per cento in meno. Insomma la tendenza è chiara: meno interesse per i fatti della politica.
I numeri della disaffezione crescono al Sud e nelle isole, sono più contenuti al centro e al nord. Chi è a digiuno di politica spiega il proprio atteggiamento con il disinteresse (61 per cento dei casi) la sfiducia (30 per cento) l’eccessiva complicazione della materia (10 per cento).
Resta invece più o meno stabile la partecipazione politica diretta, che riguarda però una piccola fetta della popolazione: il 4,3 per cento degli italiani nel 2016 ha partecipato a un corteo (piccolo aumento rispetto all’anno precedente) , lo 0,8 ha fatto il volontario per un partito (due decimi in meno) , l’1,5 ha versato soldi a un partito (tre decimi in meno).
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Politica | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
IL MINISTRO FA SAPERE CHE CALDAROZZI, CONDANNATO IN VIA DEFINITIVA PER FALSO, “NON E’ STATO PROMOSSO” A VICE DIRETTORE DELL’ANTIMAFIA
Gilberto Caldarozzi, nuovo numero due dell’Antimafia, ha un curriculum di tutto rispetto. Sono pochi i poliziotti che possono vantare una condanna a tre anni e otto mesi per falso (mai scontati) con sospensione per cinque anni dai pubblici uffici e conservare il distintivo.
Non proprio una presentazione edificante per un servitore dello Stato che è stato condannato per aver collaborato alla creazione di false prove finalizzate ad accusare chi venne pestato dagli agenti alla scuola Diaz durante il G8 di Genova 2001.
Nella sentenza la Cassazione scrisse che a Caldarozzi e gli altri condannati “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”.
Ora quella persona è stata nominata dal Ministro dell’Interno Marco Minniti Vice direttore tecnico operativo della Direzione Investigativa Antimafia.
Sempre secondo la Cassazione l’ex capo del Servizio centrale operativo della polizia (SCO) si «è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici». Che sia stato questo a convincere Minniti ad affidargli un ruolo così importante?
In fondo qualche giorno fa Repubblica scriveva che Caldarozzi vanta con Minniti e Gianni De Gennaro (Capo della Polizia nel 2001 e ora Presidente di Finmeccanica) un’antica amicizia.
Non è un caso che in attesa di rientrare in Polizia Caldarozzi sia stato chiamato come consulente alla sicurezza proprio a Finmeccanica.
L’Antimafia invece dipende direttamente dal ministro dell’Interno.
Da un certo punto di vista ora che Caldarozzi ha scontato la sua pena ha tutto il diritto di continuare a lavorare. Ma c’era davvero il bisogno e la necessità di mettere un pubblico ufficiale condannato per falso ai vertici della DIA?
La logica poliziesca direbbe di no, ma al Ministero dell’Interno la pensano diversamente.
Un discorso analogo si può fare per Adriano Lauro che all’epoca del G8 di Genova era vicequestore e che il 20 luglio si trovava in Piazza Alimonda.
Lauro rimarrà nella storia per aver urlato a un manifestante, riferendosi a Carlo Giuliani a terra, “lo hai ammazzato tu, sei stato tu con le pietre, pezzo di m…”. Quattro anni dopo durante il processo ai black-block Lauro ammise candidamente di aver lanciato pietre all’indirizzo dei manifestanti.
Più di recente Lauro è stato protagonista anche a San Nicola nel 2015 negli scontri con Casapound. Anche in quell’occasione c’entravano le pietre: avvicinandosi ai neofascisti Lauro intimò minaccioso: “Mi sono arrivati due sassi in testa, se non ve ne andate vi arresto tutti”. Evidentemente sei bravo ti tirano le pietre ma almeno ti promuovono questore.
Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza fa sapere in una nota che a “nessuno” dei funzionari e dei poliziotti coinvolti nelle vicende del G8 di Genova “è stato affidato un incarico che rappresenta alcun tipo di promozione”.
Quindi diventare questore non è una promozione mentre essere nominato vice-direttore operativo della DIA non significa che Caldarozzi sia stato promosso.
Probabilmente non c’era nessun’altro in grado di ricoprire quel ruolo per il quale — fa sapere il Dipartimento — “per le specifiche esperienze maturate nella lotta alla criminalità organizzata, con particolare riferimento a quella di stampo mafioso” Caldarozzi è “perfettamente corrispondente alla qualifica già ricoperta”.
Non c’è stata quindi alcuna promozione perchè a Caldarozzi è stato affidato un incarico che in un certo senso già ricopriva dal momento che non è stato possibile “procedere ad alcuna forma di destituzione” e in ogni caso tra due anni “cesserà dal servizio per raggiunti limiti di età ”.
Poco importa che nel frattempo sia stato condannato per falso e che sia stato riconosciuto colpevole di aver collaborato alla creazione delle prove che fornirono il pretesto per la macelleria messicana della DIA.
Poco importa che per quello che è successo alla Diaz l’Italia venne condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo per violazione delle norme sulla tortura.
In base a quali criteri Minniti ha preso quella decisione?
Non è dato di saperlo perchè il ministro non vuole esporsi e lascia parlare il Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Ed è curioso che qualche mese prima della nomina di Caldarozzi Franco Gabrielli il capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza a proposito della Diaz disse che la gestione dell’ordine pubblico a Genova durante il G8 “fu semplicemente una catastrofe” e che “se io fossi stato Gianni De Gennaro mi sarei assunto le mie responsabilità senza se e senza ma. Mi sarei dimesso. Per il bene della Polizia”.
Sappiamo poi come sono andate le cose. De Gennaro non si è dimesso e si è trovato (grazie a Enrico Letta) ai vertici di un’azienda di Stato.
Caldarozzi non si è dimesso e Minniti non ha trovato niente di meglio per lui che la direzione dell’Antimafia.
Ma a questo punto il problema non è più Caldarozzi è il Ministro dell’Interno.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
TUTTE LE RAGIONI CHE INDUCONO A RISPONDERE NO
La coalizione di centro-destra arriverà prima alle elezioni del 4 marzo ma difficilmente otterrà la maggioranza del Parlamento, poichè l’impianto in larga misura proporzionale della nuova legge elettorale ci consegnerà una sostanziale “tripartizione” dei seggi (in coerenza con la divisione in tre grandi blocchi del voto popolare).
La crisi del Pd (non tanto di consensi, che sono più o meno sul livello del 2013, quanto di capacità di aggregazione nei collegi uninominali) può però portare a un risultato sì improbabile ma non impossibile, cioè la vittoria dell’alleanza Berlusconi-Salvini-Meloni e altri anche in termini assoluti, con maggioranza nei due rami del Parlamento.
Ecco perchè ha senso porsi una semplice domanda: è questa alleanza elettorale in grado di governare con sufficiente spirito di condivisione degli obiettivi e forza della compagine ministeriale?
La risposta è molto più vicina al no che al sì, pur volendo applicare la ragione del dubbio e senza voler sventolare certezze assolute, per almeno tre “poderosi” motivi.
Il primo riguarda la figura del leader carismatico, cioè Silvio Berlusconi, corpo e anima di tutto ciò che non è sinistra nella politica italiana da ormai 24 anni (1994-2018).
Egli è leader geniale e imprevedibile, capace di risorgere più volte dalle sue ceneri, siano esse giudiziarie o politiche, sentimentali o sanitarie. Berlusconi però è un leader “assoluto”, che dice a parole di voler fare l’allenatore fuori campo, salvo poi giocare in porta, a centrocampo e in attacco contemporaneamente (come ha fatto tutta la vita).
La riprova è che quando ha ispirato “da fuori” ha retto ben poco: così sulla Bicamerale per le Riforme di fine anni ’90 (presieduta da Massimo D’Alema), così sul sostegno al governo Monti (ritirato dopo 12 mesi esatti), così sul “Patto del Nazareno”, siglato in pompa magna con visita ufficiale a Renzi nella sede del Pd e prontamente naufragato sul nome del Capo dello Stato da eleggere.
Esiste dunque qualcuno in grado di fare il primo ministro a lungo con i voti di Berlusconi che abbia un cognome diverso dal suo? Molto, molto improbabile.
C’è poi un secondo tema, che riguarda i contenuti programmatici. Europa, fisco, immigrazione.
Assai difficile mettere insieme le intenzioni di Salvini e Meloni con l’arroganza burocratica di Bruxelles, soprattutto per una coalizione di cui il Cavaliere è primo azionista ma di maggioranza relativa, condizione assolutamente nuova per lui (nel 2008 il PdL prese il 37 % e la Lega l’8 %, tanto per essere chiari).
Il centro-destra italiano quindi potrebbe trovarsi a governare in una situazione del tutto inedita, cioè quella di un condominio dove nessuno ha i “millesimi” per imporsi sugli altri, con le conseguenze che ben conosciamo tutti per esperienza vissuta in quelle devastanti serate del lunedì (tipica convocazione degli amministratori di condominio, anche perchè non si giocano partite di calcio).
Una drastica riduzione delle tasse troverà opposizione furibonda in Europa, una stretta sui migranti sarà dolorosa. Quindi i margini di manovra saranno decisamente più stretti di quanto sembrerà in campagna elettorale, con conseguenti litigi e frustrazioni nella coalizione.
Infine, c’è un tema di persone. Occorre trovare un primo ministro che vada bene a Berlusconi e Salvini, ma che non sia nessuno di loro due (una risposta di buon senso sarebbe Roberto Maroni, ma qualcuno dovrà spiegarlo a Salvini).
E poi c’è una compagine ministeriale tutta da inventare, anche perchè quel che resta della dirigenza di Forza Italia è lì da 10-15 anni, con molte defezioni (Urbani, Scajola, Verdini, Alfano) e ben pochi inserimenti robusti.
Facciamo un esempio, il più delicato di tutti.
Chi va a via XX Settembre al ministero dell’Economia? Giulio Tremonti è stata la risposta di sempre, così nel ’94 (alle Finanze), così nel 2001 e nel 2008. E adesso?
Chi tra i papabili, Brunetta in testa, può reggere lo scontro con Bruxelles (e con Draghi a Francoforte) su un programma di tagli importanti alle tasse (nel Paese dell’area Euro con il più grande debito pubblico)?
E ancora: guardiamo al Viminale. Vorrà il leader della Lega prendere le redini di un dicastero che impone una drastica riduzione del proprio ruolo politico?
Potremmo continuare, ma già così si fa strada un pensiero. Non è proprio detto che convenga al Cavaliere vincerle del tutto queste elezioni.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
IN UNA INTERVISTA AL “FATTO” RIFIUTA LA DOMANDA SULL’ARGOMENTO… POI UN’ALTRA TESI BISLACCA SULL’ASSENZA DI GOVERNO NEGLI ALTRI PAESI
Luigi Di Maio a colloquio oggi con Luca De Carolis del Fatto Quotidiano dimostra di aver finalmente capito che dire sciocchezze sul tema può essere controproducente oltre che pericoloso dal punto di vista economico.
E così, dopo essere stato stuzzicato sull’evasione fiscale — i 5 Stelle, come ha notato Travaglio in altre occasioni, sono piuttosto timidi sul tema — semplicemente rifiuta di rispondere alla domanda:
La base però dovrebbe essere il programma. Perchè lei non parla mai di lotta all’evasione fiscale? Per non turbare gli imprenditori?
Bisogna smetterla con questi pregiudizi nei confronti delle imprese, in Italia c’è gente che paga il 70 per cento di tasse ed esporta merci ovunque.
Va bene: il vostro programma in materia?
La chiave è la digitalizzazione, con l’incrocio delle informazioni tra le varie banche dati della Pubblica amministrazione. Poi dobbiamo sgravare le imprese di tutti questi adempimenti inutili, e smetterla con gli scudi fiscali: lo Stato non può dare il cattivo esempio.
Dire che voterebbe sì nel referendum sull’uscita dall’euro è stato un autogol. Conferma il suo sì?
Non mi soffermo più su questo argomento, perchè dà adito solo a strumentalizzazioni. Io confido che il referendum non si debba fare, anche perchè l’Europa è molto cambiata rispetto al 2013.
E perchè?
La Germania non riesce a formare un governo, in Portogallo c’è n’è uno di minoranza, e in Francia i partiti tradizionali sono stati spazzati via. In questo quadro per l’Italia ci sono maggiori spazi per farsi sentire in sede europea
In compenso, Di Maio torna a sostenere la bizzarra tesi secondo la quale siccome la Germania non riesce a formare un governo, noi dovremmo essere avvantaggiati in sede europea.
La parte divertente della tesi è che per il resto dell’intervista ha spiegato che il M5S ha intenzione di proporre un governo di minoranza, sperando che qualcuno ci stia.
Però è la Germania che è senza governo, tranquilli.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Dicembre 28th, 2017 Riccardo Fucile
“UN ACCORDO CON GRASSO? NON MI PARE REALISTICO” … “LE PROPOSTE ELETTORALI DI BERLUSCONI? COSTANO 150 MILIARDI, COME LE PAGA?”
Si chiude una legislatura tra le più travagliate. Matteo Renzi, quali sono le riforme che più hanno trasformato il Paese?
«Lavoro, tasse e diritti. Ma nessuna riforma di questa legislatura ha trasformato radicalmente il nostro Paese, sarebbe presuntuoso sostenere il contrario. Più semplicemente l’Italia era in grave difficoltà , a un passo dalla bancarotta: con l’impegno di questa legislatura siamo tornati in carreggiata. Le riforme più importanti hanno riguardato il mondo del lavoro con il Jobs Act e Industria 4.0; il mondo delle tasse con 80 euro, Irap costo del lavoro, Imu prima casa; il mondo dei diritti, dalle unioni civili al terzo settore, dal “dopo di noi” al “fine vita”. Lavoro, tasse, diritti: in questi settori il cambio di passo c’è stato e nessuno che sia in buona fede può negarlo. Ma è un cambio di passo, non una trasformazione radicale. La strada è ancora lunga».
Lei era sceso in campo per cambiare l’Italia. Dove sente di aver colto i risultati maggiori e quali sono state le resistenze più difficili da superare?
«Il fatto che la cultura non sia più giudicata la cenerentola dei bilanci ma richieda investimenti straordinari, dalla gestione dei musei al finanziamento dei privati è una piccola cosa nel dibattito pubblico ma per me è elemento di grande orgoglio. Non siamo invece riusciti a portare con noi la maggioranza dei lavoratori del pubblico impiego e soprattutto della scuola: spero che il rinnovo del contratto sia una buona occasione ma non c’è dubbio che questo sia stato uno dei settori in cui abbiamo sofferto di più le resistenze».
E ora quale dovrebbe essere una nuova agenda di riforme per il prossimo governo?
«Non ci sono ricette magiche, ma c’è solo da continuare migliorando ciò che è stato impostato. Secondo Istat i lavoratori italiani erano 22 milioni nel 2014, sono 23 milioni oggi. Bene, un milione in più. Dobbiamo creare le condizioni per arrivare a 24 milioni, certo. Ma dobbiamo anche porci il problema di come migliorare la qualità di quel lavoro, non solo la quantità . E per farlo servono gli incentivi e gli sgravi certo, ma anche la certezza della giustizia o la semplicità della burocrazia. Una visione di insieme per i prossimi anni. Possiamo permetterci di parlare di futuro perchè abbiamo fatto uscire l’Italia dalle sabbie mobili. Ma dire futuro non significa sparare promesse in libertà : oggi ho fatto i calcoli delle ultime tre proposte elettorali di Berlusconi. Siamo già oltre 150 miliardi e la cosa folle è che non si scandalizzi nessun editorialista. Come le paga? Spunta un miliardario cinese all’improvviso come è successo per il Milan o alza le tasse? Noi del Pd non proporremo riforme mega-galattiche, non scriveremo un libro dei sogni: siamo coerenti e concreti».
Solo in Gran Bretagna risiedono 500 mila nostri connazionali, in gran parte giovani che hanno lasciato l’Italia negli ultimi 15 anni. Quali riforme potrebbero convincerli a tornare?
«L’Italia deve essere all’avanguardia nell’attrarre intelligenze. Dobbiamo creare centri di ricerca globali dove poter far crescere i nostri talenti. Dove ricollocare chi vuole tornare in Patria, certo. Ma anche dover invitare i migliori cervelli di tutto il mondo. Non c’è solo l’emergenza dell’immigrazione da barconi, che abbiamo affrontato con umanità e onore, a differenza di altri Paesi europei: c’è anche un’immigrazione diversa, da coltivare e promuovere nelle università del Sud-Est asiatico o dell’America latina, nei centri di ricerca europei e africani. Fare dell’Italia un grande centro di attrazione di cervelli di tutto il mondo, bloccando la fuga e iniziando a importare ciò che oggi esportiamo».
Obama ritiene che le democrazie avanzate debbano porsi la necessità di un nuovo welfare per far fronte all’impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro. Anche l’Italia ha bisogno di un nuovo welfare?
«L’Italia ha un sistema di welfare che gli americani si sognano. Però possiamo e dobbiamo fare meglio. Perchè la mancanza di sicurezza non è solo nella paura del crimine, ma anche nella paura del futuro. La gente è spaventata perchè non ha più le certezze del passato, chiede protezione. E studiare un paracadute nuovo che protegga il ceto medio spaventato è una delle imprese più difficili da realizzare. Qui però sta la grande sfida dell’Europa. E la prossima legislatura dovrà vedere un protagonismo italiano su questo punto, accompagnando e stimolando la crescente leadership della Francia di Macron».
Come mai ha scelto di correre per fare il senatore dopo aver caldeggiato la trasformazione della Camera alta in Senato delle autonomie? Non le pare una contraddizione?
«Non è un contrappasso dantesco, ma la scelta responsabile di inchinarsi alla volontà popolare. Continuo a pensare che questo Paese avrebbe funzionato meglio con una sola Camera a dare la fiducia, ma ho perso quella battaglia. I cittadini hanno scelto di tenere vivo il Senato e adesso trovo doveroso sottopormi al voto degli italiani per entrare o meno in Senato. Anzi: ho letto che Salvini vuole sfidarmi dove mi candido io: lo aspetto nel collegio senatoriale di Firenze».
Quale atteggiamento terrà nei riguardi dell’Europa di qui al voto? In primavera come sempre dovranno giudicare i nostri conti pubblici…
«Noi diciamo da tempo che siamo per un’Europa capace di ripensarsi. Europa sì, ma non così. Tuttavia se guardiamo gli schieramenti in campo noi siamo l’unico polo realmente europeista. Pur di prendere una trentina di collegi in più Berlusconi ha imbarcato Salvini, unico caso europeo di popolari e populisti che stanno dalla stessa parte. Dall’altro i Cinque Stelle sono impressionanti nella loro assurda visione europea: propongono un referendum che non si può fare per votare no alla permanenza nell’Eurozona, sapendo che questa scelta affosserebbe la nostra economia. In questo scenario il centrosinistra è davvero l’unica chance di un’Italia europeista che vuole un’Europa diversa, più forte e più giusta. Quanto ai conti pubblici, abbiamo messo a posto i conti, nonostante il Fiscal Compact: dall’Europa ci attendiamo elogi, non polemiche».
In caso di stallo dopo le urne, lei darebbe il suo ok ad un governo istituzionale, magari a guida Gentiloni? O chiederebbe un ritorno alle urne?
«Quello che accadrà il giorno dopo lo deciderà il Presidente della Repubblica dopo aver visto i risultati e aver ascoltato le forze politiche. Nutro un rispetto non formale per le attribuzioni che la Costituzione ha dato al Capo dello Stato. Spero in un Governo guidato da un premier Pd non per spirito di corpo ma perchè lo considero un fatto positivo per l’Italia. L’Italia è più sicura se guidata dal Pd: non è tempo di apprendisti stregoni che si qualificano come nuovi o del ritorno di chi ha fatto schizzare lo spread a livelli record. È tempo di solidità e di forza tranquilla».
Ritiene possibile dopo il voto un accordo con il partito di Grasso per formare un governo, se aveste i numeri sufficienti?
«Non abbiamo niente contro Grasso, ma vedendo quanto sono accreditati nei sondaggi non mi pare l’ipotesi più realistica».
Il Pd cala nei sondaggi, anche per via delle banche. Cosa farà per invertire il trend?
«Sulle banche rivendico ciò che abbiamo fatto a cominciare dalla riforma delle popolari. Non credo che i sondaggi calino per quello, ma c’ un solo modo per invertire la rotta: faremo tutti insieme la campagna elettorale. E appena partirà la campagna, finalmente, la musica cambierà . Il Pd se la gioca sul filo dei voti per essere il primo partito contro i Cinque Stelle: non dimentichiamo che due terzi dei seggi vengono attribuiti sulla base del sistema proporzionale dove conta il singolo partito. Sul terzo restante, che viene definito dai collegi, sono fiducioso del fatto che metteremo i candidati migliori. E che saremo il primo gruppo in Parlamento: pronto a scommetterci».
(da “La Stampa”)
argomento: Renzi | Commenta »