Destra di Popolo.net

AHED, LA 16ENNE DIVENTATA SIMBOLO DELLA RESISTENZA PALESTINESE, RESTA IN CARCERE

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

PARTE LA CAMPAGNA PER LA SUA LIBERAZIONE

L’inizio del nuovo anno, Ahed Tamimi l’ha festeggiato in carcere e lì resterà  per un tempo non ancora definito. La 16enne di Ramallah, divenuta “simbolo della resistenza palestinese”, deve rispondere di 12 capi d’accusa, in seguito alla diffusione di un video, divenuto virale, nel quale colpisce con schiaffi e calci dei soldati israeliani in Cisgiordania.
La ragazza da tempo compare in scatti che la ritraggono tra le fila palestinesi, intenta a ribellarsi ai militari israeliani.
La sua riccia chioma biondo cenere, che la rende facilmente identificabile tra la folla, viene adesso riprodotta in vignette che richiedono la sua liberazione, in numerosi post apparsi sui social in suo sostegno.
Nel 2012, Ahed è comparsa in uno scatto nel quale tiene un pugno alzato, rivolto contro un soldato.
Nel 2015 un’altra foto la mostra intenta a mordere un altro militare, nel tentativo di impedire l’arresto del fratello. Il premier turco Recep Tayyp Erdogan l’ha premiata per il suo impegno nella lotta contro l’occupazione militare israeliana nei Territori.
L’episodio che ha portato alla sua detenzione è però un altro, avvenuto, secondo quanto dichiarato dalla famiglia, nel cortile della loro casa vicino Ramallah, lo scorso 15 dicembre
Ahed e la cugina – Nour, 20 anni, già  incriminata – si avvicinano a due soldati israeliani, li esortano ad andarsene, li spintonano e li prendono a schiaffi.
Loro non rispondono alle provocazioni e in seguito sosterranno di essersi trovati in quella zona per impedire ai palestinesi di lanciare pietre contro gli automobilisti israeliani.
Il 19 dicembre la ragazza è stata arrestata a causa di questo episodio, divenendo un simbolo per i palestinesi, che hanno riempito i social media con elogi e parole di sostegno e hanno dato il via a diverse campagne, chiedendo la sua liberazione.
Con lei in carcere c’è anche la madre Nariman, accusata, tra l’altro, di utilizzare Facebook per “incitare le persone a commettere attacchi terroristici”.
L’8 gennaio si terrà  la prossima udienza e madre e figlia rimarranno in custodia almeno fino a quella data. I pm hanno chiesto che la detenzione prosegua sino alla fine del processo. In caso di condanna, le attendono diversi anni di prigione.
Chi la difende, sostiene che alla base dell’arresto della minorenne ci sarebbe il fatto che il suo volto sia diventato il simbolo di quella che viene definita la “nuova coraggiosa giovane generazione palestinese”, nel tentativo di tenerla lontana dalle rivolte e dai riflettori per lungo tempo.
Al momento, la decisione sembra aver sortito l’effetto contrario: le foto di Ahed stanno comparendo nelle mani di uomini e donne, scesi per le strade per protestare in suo nome.

(da agenzie)

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TRAVAGLIO SULLE NUOVE REGOLE M5S: “IN EQUILIBRIO TRA NOMINATI E ARMATA BRANCALEONE”

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

E BOCCIA SENZA APPELLO L’OBBLIGO DI VOTARE SEMPRE LA FIDUCIA AI GOVERNI M5S E LA MULTA PER GLI ESPULSI

“Quasi irriconoscibile”.
In un lungo editoriale, il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio definisce così l’esito del cambio di pelle del Movimento 5 Stelle alla luce delle nuove regole decise in vista delle elezioni. Il bilancio, tuttavia, non è solo negativo: “In parte meglio, in parte peggio”, scrive.
Quello che Travaglio definisce un “giusto equilibrio fra due estremi negativi, i nominati dall’alto e l’Armata Brancaleone” è la definizione delle liste:
“Le liste bloccate (imposte dal Rosatellum) della quota proporzionale saranno formate da candidati iscritti al M5S e votati online dalla base, che potranno presentarsi anche in un collegio uninominale. Invece i singoli candidati nei collegi uninominali saranno scelti da Di Maio e Grillo fra quelli che si propongono, ma anche fra ‘esterni’ non iscritti al M5S”.
“Pessima idea”, secondo il direttore del Fatto, è invece la nuova regola che impone di votare la fiducia ai governi presieduti da un premier M5S.
Per Travaglio “non è degna di chi un anno fa contribuì a salvare la Costituzione”. Non solo.
“I 5 Stelle insistono a predicare il vincolo di mandato, che però l’art. 67 della Carta esclude espressamente e nessuna maggioranza (nè assoluta, nè dei due terzi) consentirà  mai di introdurre con una riforma costituzionale”.
Contrarietà  anche alla regola della multa da 100mila euro per i parlamentari espulsi. “La multa e le dimissioni resteranno lettera morta”, scrive.
Tra i punti positivi per Travaglio c’è la possibilità  per Luigi Di Maio di avere l’ultima parola sui candidati “proporzionali” votati online dagli iscritti e di escludere quelli che hanno posizione contrarie al Codice etico.
Ecco come spiega le ragioni del suo assenso a questa regola:
“Una svolta condivisibile, che molti caldeggiavano per tenere alla larga quei personaggi improbabili che rendono i 5 Stelle poco credibili e autorevoli”.
C’è un elemento che per Travaglio sarà  “decisivo”, più delle regole: il fattore umano.
“Quali candidati verranno selezionati nei collegi e nei listini, quali ministri indicherà  Di Maio, quali idee forti (e con quale efficacia comunicativa) il movimento riuscirà  a imporre all’attenzione della gente in campagna elettorale”.
Appunto, un’azienda sola al comando.

(da agenzie)

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TRA I GIOVANI VINCE LA SFIDUCIA: SETTE SU DIECI NON ANDRANNO A VOTARE

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

ALLARME ASTENSIONISMO, I SONDAGGISTI: RIGUARDA ANCHE I TRENTENNI

Chi si occupa di sondaggi per professione non è molto ottimista sulla partecipazione dei giovani alle prossime elezioni politiche.
Se poi guardano con la lente di ingrandimento ai giovanissimi, ai quei diciottenni che avranno il diritto a recarsi alle urne per la prima volta, le possibilità  di una loro partecipazione si assottiglia ulteriormente.
Intanto subito il dato per far capire di che stiamo parlando: il 70% potrebbe non entrare in una cabina elettorale e infischiarsene di esprimere la propria scelta.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non aveva bisogno di conoscere questa percentuale per esprimere, nel suo discorso di fine anno, una sollecitazione ai ragazzi nati nel 1999, a quelli che voteranno per la loro prima volta.
Un passaggio delicato, forse quello più sentito perchè legato al problema più generale dell’astensionismo crescente in tutte le fasce d’età .
Nelle ultime prove elettorali amministrative e regionali il dato della partecipazione è precipitato sotto la soglia del 50%: una soglia psicologica che segna il distacco tra elettori e la politica.
«C’è però sempre un rimbalzo alle elezioni politiche», sottolinea Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing. «Al referendum costituzionale del 4 dicembre c’è stato addirittura un colpo di coda con una percentuale di votanti del 70% », aggiunge Fabrizio Masia che guida l’istituto di ricerca EMG Acqua.
Ma è il dato sui giovani che abbassa sempre di più la media: tra di loro non ci sono rimbalzi, solo numeri che decrescono.
Dice Noto: «Tra i diciotto e i vent’anni solo il 30-35% in genere si reca alle urne». Un tonfo assoluto se si pensa che tra gli elettori di circa 25 anni le cose non migliorano di molto: siamo al 40%. Percentuale che non si sposta quasi niente anche attorno a trent’anni.
«Una fascia d’età  – nota Masia – molto più consistente dei nuovi elettori nati nel 1999 ai quali si riferisce il capo dello Stato. Il presidente fa molto bene a puntare l’attenzione suoi giovanissimi, dimostrando una doverosa sensibilità : tuttavia si tratta di alcune migliaia di persone, una percentuale molto bassa dal punto di vista statistico. Il trend astensionistico è invece elevato tra i giovani già  in cerca di lavoro. Comunque, ogni tornata elettorale ha una storia a sè. Tra l’altro non si vota da cinque anni e molte cose sono cambiare. Ci sono protagonisti in campo diversi, leader giovani come Di Maio, Salvini e Meloni. Renzi? È la vera incognita tra i giovani. Non c’è dubbio – conclude Masia – che il movimento che attira di più l’attenzione dei giovani è quello dei 5 Stelle».
Poche certezze, scelte emotive: i politici faranno fatica a raggiungere i ragazzi del ’99 e anche i più grandi. Noto sostiene che non è solo una questione di tematiche, alcune delle quali come la sicurezza non interessano ancora certe fasce d’età .
«È tutta una questione di mezzi di comunicazione. Non sarà  certo la televisione nè tantomeno saranno i quotidiani a raggiungerli. Con loro tutto si gioca con i network e non a caso chi li sa usare meglio come i 5 Stelle raggiungono le percentuali maggiori tra i giovani». Percentuali che Masia quantifica sopra il 40%.
Nell’ultimo rapporto del Censis tra i fattori ritenuti centrali nell’immaginario collettivo per fasce d’età , i social netwok sono al primo posto tra coloro che hanno tra 14 e i 29 anni. Seguito dal posto fisso e lo smartphone.

(da “La Stampa“)

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GENOVA, PRONTO SOCCORSO NEL CAOS, OTTO ORE PER UNA VISITA, LA GIUNTA TOTI MOSTRA IL SUO VERO VOLTO

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

ALTRO CHE TAPPETI ROSSI E FESTE DI CAPODANNO, DIETRO GLI SPOT CI SONO SOLO LE MARCHETTE ALLA SANITA’ PRIVATA… TAGLI, DISORGANIZZAZIONE, INCAPACITA’, OGGI DUECENTO MALATI IN ATTESA: L’ASSESSORE LEGHISTA SE NE VA VADA   A CASA

I numeri del disastro degli ospedali genovesi continuano a peggiorare: 70 malati in attesa al pronto soccorso del Villa Scassi, nel quartiere genovese di Sampierdarena, 60 al Galliera (in centro) e una quarantina al San Martino.
Tempi di attesa lunghissimi, anche 8 ore, per una visita.
E posti letto introvabili nei reparti: ovviamente le proteste non si contano, e stamattina qualcuno ha addirittura minacciato di chiamare i carabinieri.
La “fotografia” è la risposta a chi, in Regione e in Alisa, assicurava che la situazione era sotto controllo e ringraziava medici e infermieri per quello che stavano facendo.
Un lavoro straordinario in una situazione che rischia di peggiorare ancora.
L’unica speranza è che con la riapertura degli studi dei medici di famiglia si riducano gli accessi al pronto soccorso.

(da “il Secolo XIX”)

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OVAZIONE PER IL GRANDE ITALIANO RICCARDO MUTI A VIENNA DAVANTI A QUATTRO PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA E PRIMI MINISTRI

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

HA DIRETTO IL CONCERTO DI CAPODANNO PER LA QUINTA E ULTIMA VOLTA… CON I WIENER SETTE BRANI INEDITI… 95 PAESI COLLEGATI, NESSUN RAPPRESENTANTE DELLE ISTITUZIONI ITALIANE

Il concerto finisce con una interminabile standing ovation, dopo quasi due ore e mezza (19 brani, bis compresi), l’Orchestra non si alza al segnale di Riccardo Muti, rimanendo seduta ad applaudire.
Ecco tutto quello che la tv non «dice», dal Capodanno viennese, ma si vive nella pancia del Musikverein assieme a un pubblico europeo, quattro presidenti della Repubblica, primi ministri e ambasciatori.
Muti lo ha diretto per la quinta volta, col peso del suo carisma, eleganza e trasparenza, e fuoco quando ci voleva, diventando nello spirito viennese un corpo unico con i Wiener Philharmoniker, che dirige in maniera ininterrotta dal 1971: «La musica della famiglia Strauss, carica di gioia, speranza, tenerezza, nostalgia, può vivere senza lazzi e scherzi, ma con la serietà  che richiede».
Al termine c’è l’assalto ai fiori da parte del pubblico ma anche dei Wiener, fino allora composti insomma austriaci, ognuno crea il suo bouquet sfilando le rose che decorano il palco.
I biglietti costano 35 euro per un posto in piedi, in fondo alla sala: lì fa un caldo infernale, due ventilatori non bastano ad alleviare le pene.
In platea, dove un biglietto costa fino a 600 euro, trovi il viennese doc che canticchia seguendo il concerto da tre metri col binocolo, manco fosse il maresciallo Radetzky sul campo di battaglia.
Il sovrintendente della Staatsoper Dominique Meyer ha dovuto chiedere il suo biglietto ai Wiener: è come se il sovrintendente della Scala Pereira per un concerto sinfonico facesse richiesta alla Filarmonica scaligera.
Ma i Wiener incarnano il potere musicale, sono una sorta di cooperativa autogestita la cui vita è gestita da regole: per dirne una, solo dopo due anni allo stipendio si possono aggiungere i diritti derivati da varie voci, discografici, d’immagine; il baricentro dell’Orchestra, gli archi, violini, viole, violoncelli, entrano all’ultimo ricevendo un applauso da direttore.
Il caldo è provocato dalle luci: la sala, per esigenze tv, ha riflettori ovunque, 14 le telecamere, alcune sono nascoste dietro le statue dorate.
I Paesi collegati sono saliti a 95, fino all’arcipelago di Tonga, in Oceania.
In camerino di Muti spuntano i mecenati della Chicago Symphony Orchestra, sono venuti dagli Stati Uniti per il «loro» direttore musicale, che è il grande italiano Muti; ma dall’Italia non è arrivato alcun messaggio istituzionale e politico.
All’intervallo i vari punti di ristoro predispongono tavolini con la scritta «Riservato»: si prenotano tartine e coppa di champagne.
Nel foyer i manifesti annunciano che dal 5 gennaio sarà  disponibile in tutto il mondo il cd e il dvd del concerto (nel 2019 protagonista il berlinese Christian Thielemann).
Nel programma di sala è allegato il Festival di Salisburgo con date, titoli, interpreti: qui con la cultura si mangia.
Muti dà  un tocco di italianità  ai valzer e alle polke, inserendo tre brani: il Galop Wilhelm Tell di Johann Strauss padre, la Quadriglia Un ballo in maschera di Johann Strauss figlio, l’ouverture dell’operetta Boccaccio di Franz von Suppè.
In totale sono sette i brani mai eseguiti finora, su un repertorio sterminato che ne conta circa 800.
Ma anche dal celebre valzer Rose del Sud emana il profumo della Bell’Italia. Che al Musikverein rivedi nelle maschere, gli addetti alla sala che ci dicono col bel sorriso da ventenni: «A Vienna se vuoi lavorare un posto lo trovi subito, e poi gli italiani sono dappertutto».

(da “il Corriere della Sera”)

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BOLLE POP: 5 MILIONI IN TV PER L’ETOILE CHE IL MONDO CI INVIDIA

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

LA RAI RENDE POP LA DANZA CLASSICA E FA RECORD DI ASCOLTI

Grande successo di ascolti ieri sera su Rai1 con il Capodanno in tv insieme a Roberto Bolle e ai suoi numerosi ospiti: gli spettatori del programma ‘Danza con me’ sono stati 4 milioni 860mila, con share del 21,53%.
La Rai ha vinto di nuovo la sua scommessa contro chi credeva che l’arte e la cultura non potessero conquistare il grande pubblico: con la grazia di Roberto Bolle e la perfezione del confezionamento del suo “Danza con me”, infatti, il programma di danza classica conquista i social, mentre l’ètoile dimostra di essere diventato ormai un vero e proprio fenomeno del piccolo schermo: un vero e proprio trascinatore di share.
Gli ascolti record degli speciali di Alberto Angela, la prima de La Scala trasmessa in diretta su Rai 1, il programma di Roberto Bolle (ad aprire il palinsenso del primo canale per il 2018) che manda in tilt i social: l’ultimo triennio di televisione italiana ha fatto strabuzzare gli occhi a esperti e critici di settore, perchè anche il balletto in calzamaglia, la musica classica e la cultura tout court hanno dimostrato di saper conquistare le grandi platee dei talent e dei reality show.
Il merito dell’ultima impresa targata tv di Stato è comunque tutto da addebitare proprio all’ètoile di Casale Monferrato col suo “Roberto Bolle – Danza con me”, che alla sua grande arte ha saputo affiancare personalità  che ne hanno esaltato la spontaneità  e la voglia non prendersi sul serio, assemblando un programma mai noioso e che ha sempre regalato forti palpitazioni al suo pubblico.
Se la semplicità  e la telegenia di Bolle erano già  ampiamente note – nel 2016 si era mostrato padrone delle telecamere in “La mia danza libera” -, a stupire tutti è stato sicuramente Marco D’Amore, attore noto al grande pubblico per Gomorra (dove interpreta il cattivo Ciro Di Marzio) ma che non ha di certo sfigurato nel piccolo schermo. D’Amore, in particolare, è riuscito a far ridere con qualche battuta sagace (“Sarei voluto entrare a petto nudo, ma mi sarebbe dispiaciuto far sfigurare Roberto”), fa da collante nei vari momenti di pausa dello spettacolo (necessari al ballerino sia per cambiarsi che per riprendere fiato) e, soprattutto, ha avuto il grosso merito di non strafare.
Protagonisti della serata dovevano essere Bolle e la danza classica: il Ciro di Gomorra lo ha capito perfettamente e ha saputo mettersi da parte quando serviva, fungendo da ottima spalla per l’ètoile.
Un altro grosso merito di “Danza con me” è sicuramente il ritmo che gli autori del programma hanno saputo imprimere al tutto: gli ospiti si alternavano veloci, arrivando subito al centro del loro “numero”, evitando che dagli spalti (e da casa) si levasse qualche sbadiglio.
La danza, poi, si è alternata con efficacia alla musica (quella di Tiziano Ferro, ad esempio, ma anche quella di Sting e Fabri Fibra) e al vero e proprio intrattenimento (con le battute di Pif, la performance bislacca di Virginia Raffaele, i monologo di Geppi Cucciari e molto altro). Insomma, un termine definisce bene la prima serata di Rai 1: l’equilibrio.
Vincente, poi, è stata la scelta di svecchaire la danza. Se, infatti, Roberto Bolle ha eseguito grandi classici quali Lo Schiaccianoci o la famosa Morte del cigno, l’ètoile ha saputo anche innovare la scaletta, chiedendo coreografie apposite per il programma e interpretandole sulle note di canzoni recentissime.
Perchè la danza è davvero un linguaggio universale, che non conosce tempo, spazio o limitazione geografica. Ed è proprio quel suo profumo di eterno ad aver ammaliato il pubblico del piccolo schermo.

(da “Huffingtonpost”)

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I DUBBI DI FICO AGITANO I GRILLINI: “FINITI IN MANO A UN’AZIENDA”

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

ACCUSE A DI MAIO E ALLA CASALEGGIO, LO SCONFORTO DI CHI NON VUOLE RICANDIDARSI

Dopo cause, ricorsi e controricorsi, giornate passate in tribunale dagli avvocati, denunce spuntate un po’ ovunque, finalmente Beppe Grillo lo ha ammesso: «Abbiamo fatto una nuova associazione perchè quella che avevamo era un po’ confusa. Dovete avere pazienza, stiamo diventando adulti».
Così, nel suo ormai abituale controdiscorso di Capodanno, il comico genovese ha ratificato la radicale rivoluzione che rende il M5S qualcosa che assomiglia sempre di più a un partito, salvo nelle complicate e fastidiose geometrie della democrazia interna.
Grillo non parla delle nuove regole, conferma che sarà  garante «anche della nuova società » e annuncia il ritocco estetico che dividerà  i destini del suo blog, beppegrillo.it, da quello contenente la vita politica a vari livelli istituzionali del Movimento, il blog delle stelle.
«Io andrò un po’ in giro per il mondo con video conferenze». Tornerà  a occuparsi, dice, «un po’ più di visione». Linfa nuova, insomma, ma anche ricette vecchie. Con quel motto, «meno lavoro più reddito», con cui aveva stregato le masse nello Tsunami Tour del 2013.
Nel caos generato dalle contese giudiziarie, trova dunque vita il M5S verticalizzato, costretto in una struttura che vorrebbe depotenziare ogni voce di dissenso nei confronti del capo politico e candidato premier Luigi Di Maio.
E il dissenso negli ultimi mesi aveva un nome e un cognome: Roberto Fico.
In molti cercano di interpretare il suo prolungato silenzio, rotto solo da brevissimi commenti.
Anche perchè quello che fa filtrare è contraddittorio: fa sapere di essere fiducioso perchè il nuovo codice non permetterà  la candidatura «a indagati e condannati», ma a chi gli invia messaggi di questo tipo: «Roberto è vero che non ti ricandidi? Non puoi lasciarci da soli con Di Maio!», lui risponde con una risata complice.
Finora Fico non ha mai smentito la possibilità  di lasciare il Parlamento per provare a correre a Napoli da sindaco.
E nelle chat degli eletti grillini campani, dove opportunamente Di Maio è stato escluso, in molti usano il sarcasmo per esprimere il proprio malumore per la totale mancanza di condivisione nelle decisioni: «Ditemi un po’ ma dove avremmo preso tutte queste decisioni collettivamente, “da Movimento”?».
Questo uno dei tanti messaggi whatsapp. Di fatto, la svolta del M5S è stata decisa da un pugno di persone, più avvocati che eletti.
La delusione porta sconforto e voglia di dire basta.
Tra i campani che partecipano alle chat c’è Paola Nugnes, senatrice oppositrice di Di Maio e c’è la fedelissima amica di Fico, Vega Colonnese.
La prima sta meditando se autocandidarsi oppure no. La seconda ha già  deciso che il M5S così com’è diventato non le piace e non si candiderà .
Di Pozzuoli è Vincenzo Caso, altro deputato che pare non farà  il bis alla Camera. Inutile chiedere commenti a Mimmo Pisano, deputato di Salerno, dissidente dai primi mesi della legislatura e già  serenamente deciso a dire addio al M5S «ridotto – dice – a un gruppo di fanatici che aderendo al partito fiduciario sono pronti a giustificare qualunque aberrazione».
Una su tutte, secondo Pisano, più della multa per gli eretici e l’evanescente obbligo di votare sempre la fiducia a un’eventuale governo dei 5 Stelle (gli stessi che criticavano il ricorso alle troppe fiducie dei governi Pd): «L’obbligo statutario della neonata associazione di fare accordi con l’Associazione Rousseau, cioè con la società  privata Casaleggio Associati. Un abominio anche perchè gli iscritti del M5S sono tali in quanto iscritti alla piattaforma Rousseau, cioè sono in mano a un contenitore gestito da un’azienda che fa business privatamente».

(da “La Stampa”)

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QUANTO COSTANO LE PROMESSE ELETTORALI? 130 MILIARDI

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

ABOLIZIONE FORNERO, FISCAL COMPACT, REDDITO CITTADINANZA, FLAT TAX: QUANTO COSTA LA TENTATA CIRCONVENZIONE DI INCAPACE DEI PARTITI NEI CONFRONTI DELL’ELETTORE?

Nel suo discorso di fine anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spronato i partiti a proporre agli elettori soluzioni realistiche per la risoluzione dei problemi. Non senza una buona dose di ironia
Il Sole 24 Ore oggi riepiloga quanto costano le promesse dei partiti nei loro programmi elettorali: il totale è di 130 miliardi, quasi dieci punti di Prodotto Interno Lordo.
Nel programma di centrodestra brilla la proposta di una flat tax tra il 15 e il 20% per abolire la curva IRPEF. L’ipotesi è abbandonare completamente i cinque scaglioni e aliquote su cui oggi si calcola l’Irpef per sostituirli con una sola imposta, oggi variabile tra il 15% proposta dalla Lega e il 20% avanzato finora da Forza Italia. L’addio alla curva dell’Irpef, secondo la Lega, peserebbe per circa 40 miliardi sulle casse dell’Erario. A garantire le risorse necessarie per i leghisti sarebbe il circolo virtuoso che si innescherebbe con una tassa bassa in grado di garantire quasi 30 miliardi di emersione di attività  fino ad oggi sconosciute al Fisco.
Inoltre, per assicurare il principio della progressività  del prelievo fiscale sancito dalla Costituzione (articolo 53) la Lega prevede di modulare la flat tax del 15% inserendo le deduzioni fisse di 3.000 euro per i componenti del nucleo familiare.
Il Partito Democratico invece propone una rimodulazione dell’IRPEF del costo di 12-15 miliardi con intervento sulle famiglie con figli.
Nel mirino dei pentastellati le tax expenditure e il meccanismo di detrazioni e deduzioni che oggi garantiscono la progressività  dell’Irpef.
Proprio in quest’ottica la proposta punta ad abolire ogni forma di riduzione di imposta per i titolari di redditi sopra i 90mila euro. La possibile copertura dal taglio delle spese fiscali e dall’aumento delle imposte su banche e assicurazioni.
C’è poi il reddito di cittadinanza o di dignità  come vuole una proposta di Silvio Berlusconi palesemente copiata da quella dei grillini, che costa tra i 15 e i 17 miliardi: la copertura dovrebbe essere assicurata dal taglio delle agevolazioni fiscali, dall’aumento delle tasse su banche e assicurazioni e da una riduzione delle spese.
Per quanto riguarda il PD allargare la platea degli 80 euro a tutti i nuclei costerebbe 5,7 miliardi, e il conto scenderebbe a 4,2 miliardi partendo da due figli crollando a 864 milioni riservando il tutto alle famiglie più numerose.
C’è poi la cancellazione dell’IRAP graduale trasformandola da subito in una addizionale all’Ires.
Il costo dell’operazione oscillerebbe tra i 10 e i 13 miliardi calcolando solo il gettito dell’imposta applicata al settore privato.
I restanti 7 miliardi pagati dalla Pa sarebbero contabilmente una partita di giro. Lo scoglio enorme da superare è la destinazione attuale dell’Irap chiamata infatti a finanziare i servizi sanitari alle regioni.
Poi ci sono le pensioni, cavallo di battaglia di Silvio: elevare l’importo dell’assegno a mille euro avrebbe un costo lordo pari a 18 miliardi
Dulcis in fundo, ecco le due proposte più psichedeliche: l’abolizione della legge Fornero e la sospensione, o l’uscita, dal fiscal compact. La prima è una proposta leghista, la seconda registra il consenso di Partito Democratico e Lega:
Secondo le stime del presidente Inps Boeri l’abolizione della legge Fornero costerebbe fino a 140 miliardi nel 2020.
Cancellare la Fornero, come chiede la Lega, si tradurrebbe infatti in un abbassamento di 2 o tre anni degli attuali requisiti per accedere al pensionamento di anzianità  o di vecchiaia. Non solo, cadrebbe anche il meccanismo automatico di adeguamento alla speranza di vita dei trattamenti pensionistici. Secondo alcune stime, i flussi di pensionamento aumenterebbero di circa 80mila unità  all’anno
Uscire dal fiscal compact: lo propongono sia il Pd di Matteo Renzi che la Lega di Matteo Salvini. La proposta che l’Italia dovrebbe formulare all’Europa è quella di ritornare per 5 anni ai parametri di Maastricht con il deficit al 2,9%.
Secondo i proponenti, ciò permetterebbe al nostro paese di avere a disposizione oltre 20 miliardi per i prossimi 5 anni per ridurre le tasse
Qui siamo nei dintorni della fantapolitica di bilancio, visti gli enormi costi da una parte e le enormi difficoltà  di portare a casa un risultato del genere rimanendo in Europa: 140 miliardi da soli servono per la Fornero.

(da “NextQuotidiano”)

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INCENDIATA A SPINETOLI LA PALAZZINA CHE DOVEVA OSPITARE I PROFUGHI: GLI ISTIGATORI A DELINQUERE HANNO RAGGIUNTO IL LORO SCOPO

Gennaio 2nd, 2018 Riccardo Fucile

UN SINDACO PD CHE DELIRA, MANIFESTI CONTRO “40 PROFUGHI CHE INSIDIERANNO I NOSTRI FIGLI DAVANTI A SCUOLA” … MA NESSUNO E’ ANCORA FINITO IN GALERA

Un incendio di origine sicuramente dolosa ha causato la notte scorsa gravissimi danni a una palazzina di tre piani in via Tevere a Spinetoli (Ascoli Piceno) destinata a ospitare migranti.
Le fiamme si sono sviluppate violentissime poco prima delle 4 e hanno interessato l’intero stabile.
Tracce di inneschi con liquido infiammabile sono state trovate su tutti e tre i piani.
Questo spiega la violenza dell’incendio che si è propagato rapidamente in tutta la palazzina causando danni ingenti.
Per spegnerle è stato necessario un intervento durato quasi quattro ore da parte di dieci vigili del fuoco con quattro mezzi.
Subito sono scattate le indagini dei carabinieri per identificare gli autori dell’incendio. Anche la Prefettura di Ascoli sta seguendo la situazione.
Nei mesi scorsi, grandi polemiche avevano accompagnato a Spinetoli la notizia dell’arrivo imminente dei migranti ed erano state organizzate manifestazioni di protesta della cittadinanza.
In particolare al fianco a Casa Pound si era schierato il sindaco di Spinetoli, Alessandro Luciani, che invece è del Partito Democratico.
Luciani si era infatti fatto promotore di una raccolta firme contro l’apertura del CAS e ha dato vita ad un comitato cittadino — il Comitato Cittadini Spinetoli — che aveva indetto una manifestazione contro il centro di accoglienza.
Al corteo per dire “no all’immigrazione incontrollata e senza regole” hanno preso parte Casa Pound, il sindaco Luciani e l’ex presidente della Provincia di Ascoli Emidio Mandozzi (anche lui del PD).
Non è la prima volta che a Spinetoli si protesta contro il CAS.
Ad inizio novembre andò in scena una manifestazione di fronte all’abitazione dove è previsto verranno accolti i richiedenti asilo.
Sui cartelli e sugli striscioni, scritti con il riconoscibile fascio-font usato da Casa Pound si leggevano cose come “troveremo 40 profughi a insidiare i nostri figli davanti le scuole, minando la sicurezza della comunità ”.
Un’affermazione senza senso e ricca di pregiudizi ma che basta per spaventare gli abitanti del paese.
All’epoca Luciani spiegò che la cooperativa che ha preso in carico i richiedenti asilo opera su tutto il territorio nazionale e “gestisce” oltre 1.600 migranti .
Secondo Luciani il problema era quindi “più grande di quello che possiamo immaginare”. Quasi che tutti quei migranti dovessero trasferirsi da un momento all’altro a Spinetoli.

(da “NextQuotidiano”)

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