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SUGGERIMENTO GRATUITO AL CENTRODESTRA: CHIEDETEVI CHI PAGA LA CAMPAGNA ELETTORALE A PIROZZI, MAGARI CAPITE QUALCOSA

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

LE REGIONALI IN LAZIO COMPORTANO UNA SPESA TRA 500.000 EURO E UN MILIONE… UN POSTO DA CONSIGLIERE VALE QUANTO UN PARLAMENTARE, QUINDI RIDICOLO OFFRIRGLI IL COLLEGIO DI RIETI… PIROZZI PERO’, CON IL SUO 10-20%, PUO’ FAR PERDERE IL CANDIDATO DI FORZA ITALIA… CHI CI GUADAGNA?

Non è bastata la esilarante vicenda delle comunali di Roma per far comprendere al centrodestra che nel Lazio   manca un candidato “credibile” di area che riesca a superare gelosie e divisioni ataviche. Alle amministrative prima bruciarono Bertolaso, poi si divisero tra Meloni e Marchini, rimediando una figura barbina e un misero terzo e quarto posto.
Ora basta che spunti la variabile Pirozzi e il copione si ripete, neanche un candidato unitario oggi come oggi nei sondaggi batterebbe Zingaretti.
Vediamo di fare chiarezza con qualche osservazione.
Pirozzi è appoggiato ufficilamente solo dalla neocostola romana di Salvini, alias Alemanno e Storace, ovvero coloro che alle ultime comunali hanno raccolto lo 0,62% a cui va aggiunto il 2,7% di Noi per Salvini.
In pratica non contano una mazza.
Pirozzi è accreditato dai sondaggi, peraltro molto variabili, da una forbice tra il 10 e il 20%, grazie alla sua immagine di sindaco di Amatrice e dal passaggio mediatico sui problemi post-ricostruzione. Quindi il valore aggiunto è lui.
Il candidato di centrodestra dovrebbe essere Gasparri, anche lui accreditato di una forbice analoga tra il 10 e il 20%.
In alternativa la Meloni ha proposto Rampelli senza crederci molto.
A parte che a Roma raccoglierebbe più consensi un marziano di Gasparri (ricordate il motto sull’Aids?) il problema è che ogni volta che spetta a Forza Italia indicare il candidato qualcuno fa nascere un problema.
Tradotto: la Sicilia è andata a Musumeci in quota Fdi, la Lombardia a Fontana in quota Lega, il Friuli dovrebbe andare a Fedriga in quota Lega. E Forza Italia non si è opposta.
Il Lazio spetterebbe a Forza Italia? E spunta Pirozzi.
Fermo restando che Fontana e Fedriga devono comunque ancora vincere le rispettive elezioni regionali, qualcosa non quadra se il maggiore partito di centrodestra non riesce mai ad avere un candidato.
Pirozzi ha ribadito che non intende ritirarsi neanche se glielo chiedono Berlusconi e la Meloni (eppure proviene da Fdi) quindi viene naturale chiedersi: a che gioco sta giocando?
Offrirgli il collegio senatoriale sicuro di Rieti non è servito a nulla, anche perchè da consigliere regionale guadagnerebbe la stessa cifra, quindi chi ha fatto la proposta può essere solo un pirla.
Un suggerimento gratuito al centrodestra ci sentiamo di darlo per evitare altri giorni di ambasce.
Premesso che una campagna elettorale nel Lazio ha un costo tra 500.000 e un milione di euro, soprattutto nel caso di una lista non nazionale che è penalizzata dal fatto di dover farsi conoscere, è sufficiente porsi una domanda: chi paga a Pirozzi una campagna elettorale del genere?
Chi farebbe perdere Pirozzi presentandosi alle regionali o chi farebbe vincere?
Farebbe perdere Forza Italia prima che il centrodestra e qualcuno potrebbe rivendicare i successi al Nord contro la sconfitta nel Lazio di Berlusconi.
Farebbe anche vincere Zingaretti e permettere continuità  a chi ha gestito la macchina regionale fino a oggi, con relative corsie privilegiate.
Come nei migliori gialli, sono due le piste investigative.
Il neo animalista Berlusconi farebbe meglio a sguinzagliare qualche segugio per individuare le tracce della trappola, invece che sprecare tempo in riunioni al Museo delle cere .
Sul Lazio si rassegni a metterci una pietra sopra.

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SONDAGGIO IXE’: M5S 27,8%, PD 23,1%, FORZA ITALIA 17,2%, LEGA 11,8%, LIBERI E UGUALI 7%, FDI 4,9% NOI CON ITALIA 2,4%, BONINO 1,7%, LORENZIN 1,7%

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

SCENDE IL M5S, STABILE IL PD, CRESCE FORZA ITALIA, LEGA PRECIPITA SOTTO IL 12%… IN CASO DI LARGHE INTESE GLI ITALIANI PREFERISCONO GENTILONI

Quadro di relativa stabilità  quello che emerge dai dati del nostro primo sondaggio effettuato nel 2018.
Scende di un punto il M5S, il PD sembra stabilizzarsi intorno al 23% dopo due mesi di calo continuo, la coalizione di centro-destra rimane saldamente al comando, Liberi e Uguali perde qualche decimo di punto
In realtà  le principali dinamiche riguardano in particolare la coalizione di centro-destra dove fa la sua comparsa Noi con l’Italia con un dato non trascurabile, mentre F.I. continua a erodere consensi alla Lega Nord.
A beneficio dei lettori, osserviamo come in una dimensione comparativa con i sondaggi degli altri istituti – salvo per la dinamica F.I. / Lega Nord — sembra che ci si stia avviando verso un ‘mirabile’ allineamento, con:
PD e alleati in condizione decisamente minoritaria
M5S ben sopra al dato del 2013 ma ancora sotto il 30% (soglia oltre alla quale scatterebbe per i grillini una messe di collegi al centro e al centro-sud)
la coalizione di centro-destra nettamente avanti ma ancora lontana da quel 38% che verosimilmente potrebbe darle la maggioranza assoluta dei seggi a Camera e Senat
È possibile che questa fase di relativa immobilità  sia destinata a durare: nel facilissimo gioco al rialzo delle proposte e delle promesse, pare infatti perdersi il profilo distintivo delle singole forze politiche e ciò naturalmente va a beneficio di chi storicamente gode di un bacino potenziale più ampio (centro-destra).
Infine non sorprende ma desta qualche legittimo interrogativo lo scarto di fiducia fra Renzi e Gentiloni (sta al 35% cifra davvero ragguardevole considerando l’usura del partito di riferimento).
Nel caso, molto probabile, in cui dopo le prossime elezioni non ci sia una maggioranza certa, gli italiani preferirebbero l’attuale premier come leader a cui affidare il compito di trovare una larga coalizione per governare il Paese.
Forse una posizione in campo più ‘avanzata’ del Presidente del Consiglio o una decisa investitura in termini di leadership gioverebbe.
Ma al solito non tutto ciò che giova, conviene….

(da agenzie)

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LAZIO, CENTRODESTRA SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI TRA CORRENTI, GELOSIE E PERSONALISMI

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

PIROZZI NON SI RITIRA E GLI ALTRI NON SI PRESENTANO… ZINGARETTI HA CHIUSO ACCORDO CON LIBERI E UNITI E MANTIENE SETTE PUNTI DI VANTAGGIO SULLA LOMBARDI

Veline, abboccamenti, depistaggi, cene presunte e poi smentite.
Il centrodestra nel Lazio è sull’orlo di una crisi di nervi, già  distrutto dalle correnti, dalle gelosie personali e messo a dura prova da personalismi simili a quelli che portarono all’harakiri del 2016 nel Comune di Roma.
Allora, l’improbabile candidatura di Guido Bertolaso — sostituito in corsa dall’ormai desaparecido Alfio Marchini — privò Giorgia Meloni di un clamoroso accesso al ballottaggio, spalancando la porta al largo successo di Virginia Raggi contro Roberto Giachetti.
Oggi che a livello nazionale i leader della coalizione si sono autoimposti una forza convivenza “per riprenderci il Paese”, nel Lazio più che altrove non si riesce a trovare la quadra a meno di due mesi dalle regionali.
E così i rapporti fra i leader sono sempre più tesi, al limite dell’insulto personale. Tutto ciò, mentre Zingaretti si rafforza e chiude l’accordo con Liberi e Uguali.
IL GIALLO PIROZZI E LE RIFLESSIONI DI BERLUSCONI
Il coltello dalla parte del manico sembra avercelo il solito Francesco Storace, che dal basso della sua nicchia sovranista sta cercando di portare tutti dalla parte del “suo” Sergio Pirozzi. Lo “scarpone” di Amatrice è già  partito da tempo con simbolo, comitati e una lista di (ex) sindaci di piccoli paesini del Lazio (Monte Compatri, Santa Marinella, ecc), anche grazie all’iniziale appoggio della Lega di Salvini, oggi formalmente tornata ad allinearsi.
Nella serata di venerdì, Berlusconi ha incontrato Pirozzi chiedendogli ancora una volta di fare un passo indietro e virare su un collegio per le nazionali, in favore delle candidature di Maurizio Gasparri (che però non piace ad Antonio Tajani) o di Fabio Rampelli.
Questi ultimi, a loro volta, non sono intenzionati a scendere in campo con un competitor in casa.
A quanto si è potuto apprendere, il leader di Forza Italia ha commissionato ai suoi un nuovo sondaggio per capire la reale forza del sindaco di Amatrice.
In ogni caso, Meloni e Rampelli sono determinati a non darla vinta nè a Storace, nè tantomeno concedere il tris a Salvini, che ha già  ottenuto a Lombardia ed è a un passo dal prendersi la candidatura in Friuli Venezia Giulia.
La soluzione poteva essere una specie di ticket a tre, con Pirozzi candidato e due vicepresidenti: Bertolaso (ancora lui) per Forza Italia e l’attuale capogruppo capitolino, Fabrizio Ghera per Fratelli d’Italia. Ma per ora niente da fare.
Guido Bertolaso parla di “fake news” e smentisce: “Proprio oggi è stato firmato il protocollo per avviare il 118 in Sierra Leone, progetto al quale lavoro da 2 anni — scrive in un post — chi vuole incontrarmi è bene che acquisti un ‘ticket’ per quella destinazione”. E Storace, che sperava nella chiusura della partita già  al termine dell’incontro con Berlusconi, sempre su Facebook ha scritto polemicamente: “Oppure cerchiamo Rita Dalla Chiesa. No, chiediamo ad Augello se ha ancora il telefono di Marchini. Ma allora è meglio Giorgia. Ma dai, lei è candidata premier. Sergio, vai avanti”.
IL PD CHIUDE ACCORDO CON LIBERI E UGUALI
Il risultato è che il centrodestra non ha ancora un candidato e probabilmente non ce l’avrà  a breve. E questo potrebbe farsi sentire anche sul risultato nei collegi laziali.
Nel frattempo, il governatore uscente Nicola Zingaretti ha praticamente chiuso — per ora è l’unico candidato del Pd ad esserci riuscito — l’accordo con Liberi e Uguali, riuscendo a tenere unita la coalizione di centrosinistra.
I punti del programma con cui l’esponente Dem (ma di corrente orlandiana) è riuscito a covincere i d’alemiani/fassiniani a convergere su di lui sono il no secco all’autostrada Roma-Latina — con scioglimento dei contratti in essere anche a costo di incorrere in contenziosi — no a qualsiasi inceneritore per i rifiuti, no all’ingresso di ulteriori operatori privati nella sanità  regionale, revisione della legge di rigenerazione urbana, eliminazione del piano casa e, soprattutto, no alla candidatura nella lista civica dei moderati di esponenti politici associabili al centrodestra (è il caso di Alfredo Antoniozzi e Alfredo Pallone).
UN NUOVO SONDAGGIO PREMIA ZINGARETTI
Nel frattempo il comitato per Zingaretti presidente ha diffuso un sondaggio realizzato da Izi dove il governatore uscente si attesterebbe sul 35%, contro il 28% di Roberta Lombardi, il 23% di Sergio Pirozzi e il 12% di Maurizio Gasparri.
“Secondo la stessa rilevazione — si legge nel comunicato — Zingaretti risulterebbe in testa anche nel caso di un’ipotetica ricomposizione dello schieramento di centrodestra: i voti tra di Pirozzi e Gasparri non possono essere sommati, ma si distribuirebbero in parte anche sui candidati degli altri schieramenti”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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L’AVV. BORRE’ SUL NUOVO RICORSO: “GRILLO E’ IN CONFLITTO DI INTERESSI, COSA RISCHIA DI MAIO”

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

IL TRIBUNALE DI GENOVA HA ACCOLTO LA RICHIESTA E NOMINATO UN CURATORE COME PRIMO ATTO

“Quando si parla di Movimento 5 Stelle s’immagina un nome, ma non è così: è un’associazione e la nuova associazione, nata sul finire del 2017 rischia di vedersi disconosciuto il diritto di utilizzare il nome ed il simbolo”.
Con una conferenza stampa, il Comitato per la difesa dei diritti dell’associazione Movimento 5 stelle costituita nel 2009″, assistita dall’avvocato Lorenzo Borrè, commenta con soddisfazione la prima decisione del Tribunale di Genova — che fa seguito al loro ricorso — che ha accolto la richiesta del comitato stesso e sancito la nomina di un curatore, che rappresenti la prima associazione M5s, quella nata nel 2009, per gestirne gli interessi.
La complessa vicenda normativa la spiega l’avvocato Borrè: “Il curatore è stato nominato per ottenere da Beppe Grillo i nomi e dati di tutti gli associati della prima associazione al fine al fine di consentire la ricostruzione di una dinamica democratica, convocando un’assemblea che nomini il nuovo ‘capo politico’ della prima associazione e il secondo obiettivo del curatore — continua Borrè — è quello della tutela del nome chiedendo che venga riconosciuto il legittimo sudo solo in capo all’associazione nata nel 2009 e che ne inibisca l’uso alla terza associazione“.
Beppe Grillo figurava come “capo politico“ nella prima associazione, nella seconda — quella nata nel 2012 — come “presidente del consiglio direttivo” e nella terza — nata negli ultimi giorni del 2017 — come “garante“. Per questo lui è in conflitto di interesse e da qui nasce il nostro ricorso” spiega Borrè.
Per il Comitato, presieduto dalla consigliera comunale di Roma, Cristina Grancio “la nuova associazione e il nuovo statuto impediscono alla base di essere incisiva sulla decisioni prese dal vertice M5s” e Borrè spiega le novità  ora in vigore nel M5s: “Il nuovo statuto attribuisce al ‘capo politico’ il vaglio dell’opportunità  di dare immediata esecuzione al deliberato assembleare (cioè da quanto deciso dagli iscritti). Una decisione già  presa può essere sottoposta ad una nuova votazione che deve però avere un quorum superiore a quello con cui è stata adottata la delibera precedente. Questo — continua l’avvocato protagonista di altre battaglie giudiziarie contro i vertici del M5s — non avveniva nella prima associazione, in cui il ‘capo politico’ non doveva far altro che attuare quanto deciso dagli iscritti”.
I componenti del Comitato, tutti da molti anni iscritti ed attivi nel M5s e che hanno scelto di restare nella prima associazione lanciata da Beppe Grillo e dunque di non aderire a quella nata da poco affermano: “Il nuovo statuto sconvolge e snatura quanto sancito nell’articolo 4 del ‘non statuto’ e sul quale abbiamo lavorato per anni”.
“Il Movimento 5 Stelle è diventato un vero partito politico non è più quel movimento in cui siamo entrati”.
E ancora: “Siamo passati da una democrazia diretta dalla base ad una democrazia imposta. Come possiamo pensare di portare una democrazia partecipata nelle istituzioni quando non c’è all’interno del movimento?”

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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TRENTATRE GRILLINI CONTRO GRILLO (E DI MAIO)

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

QUATTRO ELETTI E 29 ATTIVISTI PORTANO IL M5S IN TRIBUNALE PER INIBIRE L’USO DEL NOME E DEL SIMBOLO…E LA COSA E’ MOLTO SERIA

Trentatrè grillini andarono a Genova tutti e trentatrè trotterellando: sono gli eletti Riccardo Nuti (deputato siciliano), Cristina Grancio (consigliera all’Assemblea Capitolina), Francesca Benevento (consigliera municipale al XII) e Luisa Petruzzi (al XV) insieme ad altri 29 iscritti ad aver portato il MoVimento 5 Stelle in tribunale a Genova per chiedere al giudice di nominare un curatore speciale per impedire di utilizzare il nome e il simbolo del M5S ad altri se non all’associazione del 2009 a cui sono iscritti
Con loro ci sono molti attivisti storici tra cui Roberto Motta, il primo a vincere in tribunale contro Beppe Grillo e ottenere la riammissione al M5S dopo l’espulsione alla vigilia delle Comunarie che poi hanno incoronato Virginia Raggi, Riccardo De Martiis, che ha impugnato anche il risultato delle Gigginarie che hanno scelto Luigi Di Maio come candidato premier, ma anche Antonio Caracciolo da Seminara, pure lui cacciato e poi riammesso nel 2016, Bruno Bellocchio e Alessio Marini, che con Caracciolo hanno impugnato il regolamento M5S poi superato dal nuovo presentato in occasione delle Parlamentarie.
E poi ci sono Pietro Salvino, marito di Claudia Mannino (entrambi rinviati a giudizio nel caso delle firme ricopiate di Palermo), e Francesco Sanvitto, attivista e componente del Tavolo Urbanistica che ha protestato contro la “furbanistica” di Virginia Raggi insieme a Mario Canino, anche lui cacciato e riammesso dal tribunale, Stella Deccio, attivista del XII Municipio e Alberto Afflitto, ex capogruppo nel disciolto VIII Municipio insieme ad Alberto Munda che si è tirato fuori all’ultimo dalle candidature a Palermo.
In tutto sono 33 e sono capitanati dalla Grancio, prima sospesa e poi reintegrata per dissidi interni al M5S sullo stadio della Roma e coordinatrice presidente del Comitato Di.Di.A M5S per la difesa dei diritti dell’Associazione MoVimento 5 Stelle costituita nel 2009, che ha indetto per oggi a Roma una conferenza stampa «sulla avvenuta presentazione, da parte dei suoi componenti (iscritti all’associazione MoVimento 5 Stelle del 2009), per mezzo degli avvocati Lorenzo Borrè e Alessandro Gazzolo, di un’ istanza al Presidente del Tribunale di Genova per la nomina di un Curatore Speciale   del’associazione MoVimento 5 Stelle del 2009 che agisca per la tutela dei diritti dell’Associazione del MoVimento 5 Stelle costituita nel 2009 e di quanti in essa si riconoscono», come recita il comunicato diffuso ieri.
Così il M5S potrebbe perdere il nome prima delle elezioni
Ovviamente non è un caso che l’avvocato Borrè — già  promotore di molti ricorsi contro il M5S, il più importante dei quali (il caso Cassimatis) ha finito per far affondare a Genova la democrazia diretta da Grillo — sia il legale scelto dagli associati nel comitato.
Così come non è un caso che la spremuta di sangue in chiave disciplinare operata da Roberta Lombardi all’epoca delle comunarie romane porti oggi in campo contro il M5S “talebano” attivisti come Motta, non a caso uno dei promotori della causa che rischia di far perdere il nome e il simbolo del M5S prima delle elezioni, e in ogni caso complicherà  la vita a Di Maio, Grillo e Casaleggio.
Proprio ora che i tre pensavano di aver risolto ogni problema legando alla candidatura alle Parlamentarie anche l’accettazione delle regole della nuova associazione che dovrebbe, nelle loro intenzioni, raccogliere il testimone delle vecchie che fungeranno da bad bank dopo i tanti ricorsi e le (finora) molte sconfitte in tribunale.
Un’operazione effettuata senza discussione e senza voto degli iscritti, visto che il quorum raggiunto l’ultima volta che hanno provato a cambiare qualcosa è sub judice.
La mossa di Grillo, Casaleggio e Di Maio è stata chiaramente dettata dalla volontà  di dare vita ad un’associazione diversa da quella fondata nel 2009 e sulla quale non pesino i numerosi procedimenti aperti nei tribunali di mezza Italia.
Come tutti sappiamo fino all’anno scorso il M5S aveva due associazioni: la prima — denominata MoVimento 5 Stelle — è stata fondata nel 2009 ed è quella alla quale appartengono tutti gli iscritti. Ce n’è una seconda, fondata nel 2012 e chiamata “Movimento 5 Stelle” della quale fanno parte Beppe, suo nipote Enrico Grillo e il commercialista Enrico Maria Nadasi. Della terza invece, al di là  di statuto, regolamento e codice etico si ignora chi l’abbia costituita perchè non è stato mostrato — in nome del principio della #trasparenzaquannocepare — l’atto costitutivo.
Come abbiamo scritto ieri, la nuova associazione (quella del 2017) presuppone la rottamazione della vecchia (del 2009) ma questa “rottamazione” non può essere calata dall’alto, per altro senza avere la titolarità  al trattamento dei dati personali degli iscritti che spetta, per legge, a quella del 2009.
A decidere di abbandonare l’associazione primigenia a favore della nuova deve infatti essere, a norma di legge, l’assemblea degli iscritti. Tanto più che il nuovo statuto in alcuni punti — ad esempio la candidabilità  per coloro che sono inquisiti è in netto contrasto con il precedente. Inoltre non si capisce a che titolo solo gli iscritti che transitano nella nuova associazione siano candidabili, mentre coloro che rimangono nella vecchia perdano di colpo ogni diritto.
C’è di più: la neonata associazione a potrebbe perdere l’utilizzo del simbolo e del nome il tutto a pochi mesi dalle elezioni.
I più attenti alle questioni interne del MoVimento ricorderanno infatti che il simbolo è da qualche anno in uso dell’associazione MoVimento 5 Stelle (prima era di Grillo e successivamente la proprietà  è stata trasferita all’associazione del 2012).
Il nuovo regolamento prevede che — oltre alla deportazione degli iscritti nella nuova associazione — anche il simbolo (assieme al sito ufficiale) debba passare da quella del 2009 a quella del 2017.
Cosa succederebbe se gli iscritti dell’associazione facessero ricorso contro la nuova associazione rivendicando il diritto e la titolarità  del nome e del simbolo del M5S?
§A quanto sembra di capire se la faccenda finisse in tribunale il nuovo M5S avrebbe non poche difficoltà  a spuntarla e potrebbe vedersi inibita l’uso del nome e del simbolo che per legge non sono equiparabili ad un marchio commerciale.
Anche senza possibilità  di utilizzare simbolo e nome però il M5S non dovrà  raccogliere firme per potersi presentare alle prossime politiche. Ad aver presentato la lista infatti è stata — proprio a causa delle carenze del famoso “non statuto” — l’associazione creata nel 2012 e di proprietà  dei due Grillo e di Nadasi la cui funzione sembra essersi a questo punto esaurita.
Le conseguenze di questo estremo atto di amore nel M5S “delle origini” dal punto di vista legale sono prima di tutto la richiesta di nomina di un curatore speciale dell’associazione MoVimento 5 Stelle del 2009 in modo che quest’ultima ottenga dall’associazione Movimento 5 Stelle con sede in via Ceccardi e a quella con sede in via Nomentana a Roma i dati degli iscritti per convocare l’assemblea che nominerà  il capo politico e farà  le primarie per la scelta dei candidati e, soprattutto, inibisca alle altre due associazioni di usare il nome per presentarsi alle elezioni. Chiede infine al giudice di condannare le associazioni a consegnare le credenziali di accesso del sito e di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Tra chi ha firmato l’atto c’è chi spiega che a muoverlo è il legame con le vecchie regole del MoVimento 5 Stelle, prima della “svolta”-partito imposta con la scelta di Luigi Di Maio come candidato presidente del consiglio e capo politico e, soprattutto, con l’idea di un M5S più “democratico” dove l’attivismo e la militanza erano maggiormente valorizzati.
In ogni caso tutti i ricorsi al tribunale civile contro Grillo mettono a nudo lo scarso rispetto (eufemismo) delle regole formali di cui si sostanzia la democrazia. Basterebbe talmente poco — ad esempio seguire i consigli dei legali — per non infilarsi ogni volta in spirali infinite di ricorsi e controricorsi. E invece il M5S di Grillo, Casaleggio e Di Maio preferisce ogni volta complicarsi la vita con il rischio concreto anche di dover pagare alla fine anche qualche risarcimento in tribunale. Sicuri che governare un paese sia più facile?

(da “NextQuotidiano”)

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GRASSO: “IN LAZIO E LOMBARDIA SITUAZIONI DIVERSE, CON ZINGARETTI POSSIBILE SVOLTA A SINISTRA”

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

E NON CHIUDE AL M5S

“Nel Lazio la situazione, rispetto alla Lombardia, è diversa. Ho convocato anche per il Lazio un’assemblea dei delegati regionali che mi hanno dato un mandato per trattare con il presidente Zingaretti, che ricordo che è in carica, per portare avanti politiche di sinistra”.
Lo ha detto Pietro Grasso, presidente del Senato e leader di Liberi e Uguali, a Maria Latella a Sky TG 24, sottolineando come da Zingaretti possano arrivare “segnali di discontinuità . Si può ritenere che una svolta a sinistra possa essere il suo programma”.
Sull’ipotesi di un’intesa post elettorale con il M5S, Grasso ha ribadito di non escludere nulla. “Io ho detto soltanto che il nostro è un sistema proporzionale e valuteremo dopo le elezioni quale sarà  la situazione. Certo, M5S è così ondivago, difficile capire le sue posizioni: quando riuscirà  a dare un’esatta valutazione anche noi potremo fare le nostre”. La chiusura di Laura Boldrini ai 5 Stelle? “Nessun problema, comprendo Boldrini ma decide qualcun altro”. Ossia lei? “Certo”, ha risposto Grasso.
In Lazio e in Lombardia – ha detto il candidato premier di LeU – ci sono “due storie completamente diverse”.
“In Lombardia ci sono stati contatti per tanto tempo in cui si è potuto vedere che non c’erano i presupposti per una coalizione per Giorgio Gori e il cambiamento di un candidato (quello di centrodestra, ndr) non può far cambiare tutto. Nonostante tutto è stata convocata un’assemblea che ha confermato la mancanza di presupposti”.
“Gori – ha ricordato Grasso – ha appoggiato il referendum autonomista di Maroni, ha preso una posizione ben chiara”. “Non abbiamo nè rancore nè odio, Gori ha una visione distorta”, ha aggiunto il leader di LeU.
“Nel Lazio, invece, c’è una situazione molto diversa. Zingaretti ha una storia politica assolutamente diversa. Ha avuto l’appoggio di 202 sindaci di tutto il Lazio che rappresentano tutte le forze politiche. Ha un programma incentrato su salute, sostenibilità , sviluppo del suono, ambiente […]. Parliamo di politiche di sinistra”.
Quanto al rapporto teso con il Pd, “Non c’è fiducia nelle promesse e nelle azioni del Partito democratico” guidato da Renzi, ha detto Grasso.

(da “Huffingtonpost”)

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LA VICENDA DEI SOLDI RICICLATI PER LA VENDITA DEL MILAN, TRA SMENTITE E CONFERME

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

“LA STAMPA”: “CESSIONE A PREZZO GONFIATO E FLUSSI FINANZIARI DA HONG KONG”… LA PROCURA SMENTISCE PERO’ DICE “PER ORA”, IL QUOTIDIANO DI TORINO CONFERMA

Cosa ha scritto “La Stampa”
Il sospetto di una vendita gonfiata: una cifra fuori mercato pagata attraverso canali internazionali. È questa l’ipotesi di lavoro da cui sono partite una serie di verifiche per accertare la reale provenienza del denaro con cui la società  rossonera, per 31 anni nelle mani di Silvio Berlusconi, è passata nell’aprile scorso per 740 milioni all’imprenditore cinese Yonghong Li. In realtà  un modo, secondo le ipotesi investigative, per schermare il rientro in Italia di una sostanziosa cifra.
Dopo mesi di dubbi, inchieste giornalistiche, ombre sulla vendita della squadra milanista, è la procura di Milano a cercare di capire esattamente la regolarità  dell’intera operazione. In gran segreto, nei giorni scorsi, i pm hanno avviato un’inchiesta che tra le varie ipotesi comporta anche verifiche sul reato di riciclaggio, certamente un problema per Silvio Berlusconi in questo periodo di campagna elettorale. Il faro acceso dalla procura vede in prima linea il procuratore aggiunto Fabio de Pasquale.
Un iter discusso, come si diceva: un passaggio di consegne del Milan, dopo anni di successi sotto la presidenza berlusconiana, travagliato e infinito. Per sgombrare il campo da equivoci e voci che si rincorrevano, l’estate scorsa era stato l’avvocato storico dell’ex Cavaliere, Niccolò Ghedini, a consegnare in procura i documenti per attestare la regolare provenienza del denaro cinese («lecita provenienza di fondi», l’esatta dizione del documento ufficiale passato al vaglio di esperti di finanza).
§Alla base dell’apertura dell’inchiesta avvenuta poche settimane fa, ci sarebbero nuovi documenti che dimostrerebbero esattamente il contrario.
Da dove sia partita la svolta, al momento non è ancora chiaro. Una traccia, si deduce, che risalirebbe ai reali flussi di denaro partiti da Hong Kong. Di certo, ci sono elementi nuovi che smentirebbero la regolarità  di una bella fetta dell’operazione.
Una cifra monstre quella ufficializzata nell’aprile scorso: 740 milioni di euro, pagati in due tranche e con la copertura dei debiti. Monstre perchè fino al passaggio di proprietà , il Milan era reduce da diversi campionati deludenti, campagne acquisti sotto tono rispetto ai suoi standard, continui cambi di allenatori in panchina. Campioni venduti e sostituiti con seconde linee o giovani promesse.
Da anni, l’ex Cavaliere aveva dichiarato pubblicamente di voler abdicare, «a malincuore», lasciare quell’amore che gli aveva regalato molti successi sportivi, in Italia e all’estero. Il primo a farsi sotto era stato lo sconosciuto broker thailandese, Bee Taechaubol. Addirittura 960 i milioni che l’uomo sarebbe stato disposto a versare nelle casse Fininvest.
§Poi, di mese in mese, la trattativa si era misteriosamente arenata dopo due anni di annunci roboanti, presentazioni in alberghi di lusso di Milano. L’advisor che seguiva il broker nella trattativa, la società  finanziaria ticinese, Tax &Finance, era finita nel mirino di un’inchiesta milanese per una frode fiscale a molti zeri. Un socio fondatore era finito in carcere con l’accusa di aver creato strutture finanziarie per permettere ai propri clienti di eludere il fisco.
Nelle carte della Finanza, c’era anche il nome di «Mr Bee» per alcune telefonate che parlavano dell’imminente passaggio della maggioranza del Milan.
Bee, dopo un paio di comunicati ufficiali, si era eclissato senza spiegazioni credibili («l’acquisizione si è arenata per le cattive condizioni di salute di Berlusconi», la laconica giustificazione di Bee).
Trascorrono pochi mesi e si materializza l’attuale azionista: Yonghong Li. Presentazione sontuosa, campagna acquisti che i tifosi rossoneri non ricordavano da anni, e tante promesse sui futuri successi calcistici.
Eppure, nel novembre scorso, un’inchiesta del New York Times, faceva a pezzi la nuova proprietà  della squadra milanese. Yonghong Li, risultava «sconosciuto sia in Italia che in Cina». Non solo, secondo l’inchiesta finanziaria dell’autorevole quotidiano della Grande Mela, nemmeno le presunte attività  estrattive della Guizhou Fuquan Group – società  di riferimento del finanziere cinese-, avrebbero avuto questo lustro che veniva invece trionfalmente annunciato. Li «non risulta nemmeno tra gli uomini cinesi più importanti e ricchi», la sospettosa chiosa.
La precisazione della Procura di Milano
«Allo stato non esistono procedimenti penali sulla compravendita dell’ A.C. Milan»: lo ha dichiarato il procuratore capo della Repubblica di Milano, Francesco Greco.
Greco ha spiegato che sulla vendita del Milan, passato nell’aprile 2017 da Silvio Berlusconi all’imprenditore cinese Yonghong Li, «al momento non esiste alcun fascicolo». Nessun fascicolo esplorativo (a modello 45, senza titolo di reato e a carico di ignoti), nè a modello 44 e quindi sempre a carico di ignoti ma con un titolo di reato.
Il procuratore capo di Milano ha affermato che l’avvocato Niccolò Ghedini, legale dell’ex premier, non ha depositato in Procura «per conto di Fininvest» alcuna carta riguardo all’operazione e ha ripetuto di non aver ricevuto alcun dossier da parte dell’Unità  Informazione Finanziaria di Banca d’Italia che ha la responsabilità  dei controlli.
«In tutta la lunga e complessa trattativa per la vendita del Milan, la Fininvest si è comportata con la massima trasparenza e correttezza – dice Marina Berlusconi -, come conferma la stessa Procura della Repubblica di Milano, avvalendosi della collaborazione di advisor finanziari e legali di livello internazionale».
“La Stampa” conferma
Ma il quotidiano La Stampa, in merito alla vicenda, ribadisce di aver svolto opportuni controlli circa l’esistenza di un’indagine sull’operazione, di cui è venuto a conoscenza da due fonti distinte, e pertanto conferma quanto scritto.

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INTERVISTA A ISABELLA RAUTI: “ALEMANNO HA TRADITO CALPESTANDO LA NOSTRA STORIA”

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

“NON CONDIVIDO NEANCHE LA SUA ADESIONE ALLA LEGA, HO UNA STORIA DI DESTRA”

Isabella Rauti sta lavorando all’archivio del padre, cerca ogni scusa per non parlare di quello che sta accadendo e che riempie le pagine di gossip. La fine del suo matrimonio con Gianni Alemanno. E poi c’è la politica, il suo impegno con Fratelli d’Italia, la candidatura. E anche l’esercito. Accetta ma dice: «Saranno le ultime parole sul tema».
Allora iniziamo dal gossip. Separati?
«Ci stiamo separando».
Suo marito però ha presentato su «Chi» la sua fidanzata. Dice che sarà  il suo futuro.
«Questo servizio evidentemente posato è stato un grande dolore e una mancanza di rispetto nei confronti della sua famiglia e nei confronti miei e di nostro figlio. Non si può essere così tanto fidanzati quando si è ancora sposati e non ci si fa pubblicità , soprattutto quando tutto è cominciato con una storia extraconiugale».
Quindi è stata tradita?
«Molto tradita visto che la storia è iniziata a marzo scorso mentre io ero lontana da casa perchè impegnata come Ufficiale della Riserva Selezionata dell’Esercito in una base Nato».
*Come lo ha saputo?
«Casualmente! È stato notato a cena a giugno con il cantante Scialpi e suo marito. E poi c’era lei».
Alemanno e Scialpi. Una coppia inedita. E lei gli ha chiesto spiegazioni?
«Certo anche perchè lo avevo aspettato a casa per organizzare le nostre nozze d’argento. E mi ha detto che stava “estendendo” le sue amicizie. E dopo la mia insistenza ha confessato di avere una relazione da tre mesi con questa donna, appena diventata sua addetta stampa».
E adesso Alemanno ha detto che questa donna è il suo futuro.
«Glielo auguro perchè distruggere un passato come il nostro senza neanche un futuro sarebbe davvero triste per lui».
In realtà  vi siete già  separati più di 20 anni fa?
«Sì, ma allora ci divisero le scelte politiche».
Ci si può separare per motivi politici?
«Sì, se sei cresciuto nel Fronte della Gioventù e se la passione politica è una forma totalizzante della vita e di visione del mondo».
Intanto suo marito con il passaggio alla Lega sembra oggi separarsi anche dal suo passato.
«Io non ho condiviso le scelte politiche di mio marito già  dal 2015 e infatti sono rimasta in Fratelli d’Italia. E oggi non posso condividere la scelta per Salvini perchè rivendico una storia autenticamente di destra e missina e preferisco l’originale a ogni imitazione. Salvini urla cose di destra ma non ha una storia di destra e non ha nel Dna del suo partito la difesa dell’unità  nazionale che per me è valore primario e non negoziabile».
Quindi la sua scelta, Giorgia Meloni. Si candiderà  con lei?
«Sarei felice di farlo. Ma al momento non ho ricevuto nessuna proposta formale e, poi, devo anche valutare il mio ritorno nell’esercito».
Lei, la Meloni, la Santanchè, la destra in politica, alle prossime elezioni, sembra una «roba» da donne? Sorelle d’Italia?
«Preferirei dire una “roba” da donne leader perchè in realtà  la destra nella quale milito, da quando avevo 14 anni, ha sempre avuto tra le sue file molte donne».
È stata 11 mesi in missione per l’esercito. Suo marito cosa ne pensava?
«All’inizio mi ha molto supportata, ma quando sono tornata a casa e ho scoperto che aveva un’altra mi ha rimproverato di averlo abbandonato. Una giustificazione che ricalca gli stereotipi diffusi nel Paese».
Insomma è normale che un uomo si allontani per lavoro mentre alla donna non viene perdonato?
«Le donne pagano sempre un prezzo più alto. In questo Paese c’è un gap tra la parità  normativa e la parità  sostanziale e sociale. E la politica deve lavorare per annullare questa distanza».
Visto che è l’ultima intervista sul tema privato cosa la ha spinta a farla oltre alla mia insistenza? Rabbia, dolore, voglia di chiarezza?
«Desiderio di compiutezza e rispetto verso questa nostra storia che si chiude definitivamente. Siamo stati una coppia che ha condiviso tutto, e che è stata a lungo un riferimento per un’intera comunità ».
Rispetto che lui non ha avuto?
«…» (Il silenzio termina questa conversazione).

(da “La Stampa”)

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VIETATO CALPESTARE I SOGNI

Gennaio 13th, 2018 Riccardo Fucile

LA PEGGIORE CAMPAGNA ELETTORALE DELLA STORIA ITALIANA DOVE MANCANO RIFERIMENTI IDEALI, COERENZA, ETICA, PASSIONE E CAPACITA’ DI SOGNARE

Col passare degli anni siamo sempre più passati dal “voto di opinione” a quello “di mera appartenenza”.
Fino ad una quindicina di anni fa, tanto per consumare un riferimento temporale, ci si sforzava di votare per le idee, per uno schieramento incarnante determinati valori e visioni. Si rincorreva il “sogno”. Lo facevamo noi elettori, ma anche i “partiti” ed i relativi schieramenti, ci provavano.
Oggi, invece, sembra di assistere alla perenne pantomina dell’inciucio sostanziale.
Si arriva a far parte, a votare ed a sponsorizzare finanche una “ammucchiata di fatto”, ovviamente travestita da coalizione, pur: 1) di continuare a sentirsi parte di qualcosa; 2) ovvero per assuefazione; 3) ovvero, e peggio ancora, per mancanza di voglia e di coraggio, fosse anche soltanto etico…
Quella di questo periodo è la campagna elettorale più brutta che io ricordi. Gli schieramenti sono soltanto potenziali. Si basano su intese di massima. Non sono realmente vincolanti.
Qualora non si raggiungesse il quorum previsto, ognuno farà  per se. Le stesse idee di fondo sono annacquate, stantie, ripetitive.
Molte proposte sono del tutto prive di senso, di fondamento e di prospettiva. Non rappresentano un progetto destinato a durare nel tempo.
Non sono un vero e proprio movimento: sono soltanto un cartello per cercare di accaparrare voti per riuscire a far sedere qualche “deretano pesante” su uno scranno. Un marketing meramente “accattorio”. Di realmente valoriale, di autentico, nella maggior parte dei casi, non c’è proprio nulla.
Nel marasma generale – e generalizzato – bisognerà  saper scegliere, quindi..
Meglio partecipare al gioco “dell’appartenenza” o badare alla sostanza delle idee, delle visioni e delle prospettive?
Il voto, meglio esprimerlo o evitare?
E, per l’ipotesi affermativa, meglio votare le idee o l'”ammucchiata di fatto”?
“Vendersi” al miglior offerente, magari rinnegando anni di impegno, o essere persone serie?
Rimanere fedeli alle proprie idee o accontentarsi di un compromesso al ribasso?
Ognuno avrà  la sua, personale risposta.
Per quanto mi riguarda, guardo alle idee. Alla prospettiva ed al valore (umano e professionale) delle persone che le sostengono e che le portano avanti.
La “pagnotta” non mi interessa. Non mi è mai interessata. La passione, l’autenticità  della condotta e l’etica, almeno per quanto mi riguarda, non hanno prezzo.
Per riuscire a servire il mio Paese. Per riuscire a fare il mio piccolo dovere di Cittadino. Per esercitare in modo degno quella “sovranità  che mi appartiene”, bado ai sogni.
Mi faccio guidare dalla passione profonda e sincera.
Quelle cose che ti si leggono negli occhi, ed anche quando taci…

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale

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