Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
CON PIROZZI CHE RIMANE IN CORSA, IL CENTRODESTRA ARRIVA SOLO AL 20%… E SENZA VITTORIA NEL LAZIO AL 40% NON CI ARRIVA, A DETTA DI TUTTI I SONDAGGISTI
E dunque, alla fine, il candidato del centrodestra a governatore del Lazio sarà Stefano Parisi, già candidato sconfitto a Milano contro Sala e già oggetto, in queste ore, di qualche sfottò sui social per un curriculum presentato in milanese.
L’accordo prevede questo: Parisi, che non ha trovato nella famosa quarta gamba di Fitto e Cesa, non presenterà la sua lista (parliamo dello zerovirgola) alle politiche e, in cambio, riceverà tre collegi di fascia intermedia, di quelli dove te la devi giocare, nè blindati nè persi in partenza.
Un milanese a Roma contro Zingaretti, la Lombardi, ma anche contro lo Scarpone del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. Questo il quadro.
La scelta certo riguarda il Lazio, ma ha, al tempo stesso, una ricaduta e un significato politico “nazionale”.
Perchè il 4 marzo c’è, come noto, l’election day e il voto sulla Regione, inevitabilmente, si intreccia con quello per le politiche.
Più di un sondaggista dice questo: “È evidente che la candidatura di Pirozzi toglie voti al centro centrodestra sul piano nazionale. Il sindaco farà una campagna tutta contro i partiti, da uomo nuovo, grillino di destra. Chi lo vota poi che fa, vota Berlusconi? Una parte sì, ma non tutti”.
Ecco, è difficile quantificare se in dieci, venti, o trenta ma il Lazio può diventare l’Ohio d’Italia per il centrodestra in testa nei sondaggi.
Insomma, è difficile che senza un pieno nel Lazio possa ottenere la maggioranza, o quasi, a livello nazionale.
E qui siamo al significato politico di questa cosa.
A Roma l’operazione Marchini impedì alla Meloni di andare al ballottaggio (e chissà magari vincere), questa volta l’incapacità di trovare un candidato unitario si rivelerà altrettanto fatale.
La verità è l’esito finale è un raro esempio di superficialità , imperizia, assenza di strategia politica. Il sindaco di Amatrice, appoggiato da vecchie volpi della ultradestra come Storace e Alemanno, e appoggiato anche da Salvini, ha raccontato come ha ricevuto incoraggiamenti ad andare avanti (non era forse Tajiani a stimarlo al punto da volerlo come commissario per il terremoto?).
Poi, quando la regione è entrata nella trattativa nazionale, è stato impossibile farlo tornare indietro, nonostante l’offerta di un collegio sicuro o della vicepresidenza.
Andando al dunque, il Lazio è metafora di una coalizione bugiarda che sta assieme per spartirsi il bottino elettorale, ma senza un vincolo politico, programmatico, e uno straccio di idea comune.
La verità è che, per mesi, Berlusconi che ha più in testa il Nazareno che la Pisana non ci ha mai messo la testa, mentre Salvini ha sostenuto Pirozzi, senza parlarne con i potenziali alleati secondo una prassi che lo vede essere concreto nel Nord, dove governa, e a giocare le partite del sud (Sicilia e Lazio) per una visibilità a scapito degli alleati. E alla fine era prevedibile che arrivasse il veto di Giorgia Meloni, che nel Lazio rappresenta il partito più forte.
E allora, facciamo l’elenco per voci, in questo inizio di campagna elettorale: le Fornero (chi la vuole abrogare chi rivedere), il tre per cento (chi lo vuole sforare, chi rispettare), i dazi di Trump (chi li apprezza, chi li critica), il Lazio buttato via.
La sensazione è che la coalizione di centrodestra, frettolosamente data per vincente, sia in una situazione di stallo, perchè non è più (da tempo) una coalizione politica, ma un accrocco per prendere voti con questo sistema elettorale.
E col passare dei giorni emerge sempre di più la sostanza di una coalizione dei separati in casa.
Poi, il 5 marzo si vedrà . In regione, probabilmente, il problema neanche si porrà . Nell’ultimo sondaggio, con Pirozzi in campo, il resto del centrodestra era dato al venti per cento.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
E CHI AVEVA DENUNCIATO IL MALAFFARE E’ STATO TRASFERITO
Per i pendolari lombardi si è appena chiuso un mese di passione. A giugno, la media giornaliera dei treni soppressi, che in genere si ferma all’1%, è arrivata al 3,5%. L’azienda dice che è colpa del caldo e dei treni vecchi, ma la risposta è più complessa di così e si può riassumere, alla fine, in un vizio d’origine: i manager che negli scorsi anni hanno guidato Fnm — la società per azioni di Regione Lombardia che controlla Trenord — hanno sbagliato strategie, usando spesso l’azienda per arricchirsi e per accrescere il proprio potere e la propria rete di influenze.
L’attuale ad di Trenord, Cinzia Farisè, si è ritrovata a gestire una società in grande difficoltà e — nonostante qualche miglioramento — il servizio ancora oggi fa acqua da tutte le parti
Nella seconda parte dell’inchiesta vi raccontiamo come funzionava il sistema dei controlli che avrebbe dovuto prevenire e denunciare gli episodi di malaffare.
Lo scorso aprile, Consob ha sanzionato gli ex componenti del collegio sindacale di Fnm — l’organo che aveva il compito di vigilare sul rispetto della legalità — per non aver comunicato le numerose irregolarità riscontrate nell’esercizio della propria attività .
La delibera sottolinea “una rilevante carenza strutturale nel sistema di controllo interno” di Fnm. Un sistema nel quale tutti tacevano su tutto perchè tutti, persino alcuni controllori, avevano qualche scheletro nascosto nell’armadio: tra questi Carlo Alberto Belloni, che di quel collegio sindacale era stato il presidente per oltre un ventennio. Il suo punto debole sono i telefoni aziendali.
Quando nel 2015 scoppiò lo scandalo Achille e i carabinieri iniziarono a spulciare i documenti aziendali, Belloni si “ricordò” improvvisamente di dover restituire circa 37mila euro di spese, maturate tra il 2009 e il 2014. Di questi 37 mila euro:
3.259 euro Belloni li aveva spesi in ristoranti nel 2011;
34 mila euro erano stati spesi in telefonate partite tra il 2009 e il 2014 da due utenze telefoniche aziendali che Fnm aveva dato come benefit a Belloni.
L’11 febbraio 2015, Belloni in tutta fretta rimborsa la prima tranche di spese; un mese dopo, il 12 marzo 2015, salda il conto con un assegno da 20.090 euro. Per Fnm e per la procura di Milano, che hanno puntato la lente soltanto sugli anni che vanno dal 2011 al 2014, la vicenda si chiude qui.
Ma cosa ne è stato delle spese precedenti al 2009? È possibile che Belloni non abbia saldato tutti i conti in sospeso con la società , sui quali non è mai stata fatta luce? Guardando le spese telefoniche, sembrerebbe di sì.
Durante un’intervista, Belloni aveva dichiarato di aver ricevuto la prima sim telefonica aziendale nel 2003 e la seconda nel 2011.
Tuttavia, un report di NordCom, la società che gestisce la telefonia del gruppo, racconta un’altra storia: la prima sim assegnata all’ex capo dei controllori di Fnm sarebbe stata attivata il 17 novembre del 1998; la seconda risulterebbe attiva dal 17 settembre 2003. Abbiamo chiesto a Belloni di spiegare la discrepanza tra le informazioni contenute nel documento di NordCom e quelle che ha fornito durante l’intervista: “Belloni — ha scritto il suo legale — conferma di aver pagato per intero le somme quantificate dalla società (ma le spese precedenti al 2009 non sono mai state quantificate, ndr) e che la seconda utenza, all’ottobre del 2003, era registrata come apparato accessorio a un’autovettura societaria e pertanto non era in suo possesso”. Ovvero, era un telefono fisso, piazzato su un’automobile. Ma di questo fatto non c’è traccia nel documento di NordCom.
Cosa ne è stato dei soldi spesi tra il 1997 e il 2008 dalla prima utenza e tra il 2003 e il 2008 dalla seconda?
Perchè, sul report di NordCom che Belloni non ha mai contestato, non c’è alcun riferimento all’utenza telefonica installata su un’autovettura? A quanto ammontano le spese maturate da queste due sim aziendali pagate con i soldi pubblici? Sono state restituite o sono finite nel dimenticatoio semplicemente perchè non sono mai state oggetto di un audit o di un’indagine della magistratura?
Scivoli d’oro
A controllare gli atti della società non c’erano solo i sindaci, ma anche il servizio di Internal Audit, diretto da un ex finanziere, Alessandro Orlandini, autore dei dossier più scottanti sugli amministratori della società . Il 27 aprile 2015, quando lo scandalo “spese pazze” è scoppiato e la società è ormai sotto l’occhio dei magistrati, Belloni si lamenta con il whistleblower Franzoso (che aveva lavorato col dirigente dell’Internal Audit al dossier su Achille), accusandolo di non aver adottato il presunto “metodo Orlandini”:
“Quando io dicevo che non bisognava scrivere determinate cose (nei report, ndr) — dice Belloni — non dicevo che non bisognava trovarle. Bisognava trovarle, fare come faceva Orlandini (…) che veniva dal presidente (Achille, ndr) e le mediava a suo vantaggio… che Orlandini, fosse un figlio di puttana lo sapevate”.
Per Belloni, quindi, Orlandini era a conoscenza delle malefatte di Achille, ma anzichè denunciarle, le usava per ottenere vantaggi personali.
È impossibile sapere se ciò che dice Belloni sia vero. Di certo c’è che l’ex capo dell’Internal Audit è stato al centro di una “bizzarra” risoluzione del rapporto di lavoro, cominciata con un procedimento disciplinare finalizzato a un licenziamento per giusta causa e finito con un accordo stragiudiziale accompagnato da una ricca e segreta buonuscita.
Il 18 giugno 2014 Alessandro Orlandini viene arrestato su ordine della Procura di Palmi (allora coordinata dal procuratore Giuseppe Creazzo), in provincia di Reggio Calabria, nell’ambito dell’operazione “Profondo nero”, un’inchiesta su riciclaggio di denaro e frode fiscale che non aveva nulla a che vedere con Fnm, per la quale il 10 febbraio 2017 — quasi tre anni dopo l’avvio delle indagini — Orlandini è stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver compiuto “operazioni finanziarie fittizie […], operando diversi bonifici per ingenti somme di denaro in favore di società estere […] a fronte dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti”.
Quando in Fnm vengono a sapere dell’arresto del dirigente, la società chiede il verbale dell’interrogatorio reso da Orlandini ai magistrati di Palmi. Dalle carte, stando al verbale della riunione del Comitato Controllo e Rischi di Fnm del 28 luglio 2014, emerge:
che l’allora capo dell’Internal Audit sarebbe stato consapevole di aver agito “in contrasto con la propria attività lavorativa svolta in Fnm”;
che avrebbe ammesso “le proprie responsabilità in ordine alla commissione di fatti delittuosi”;
che ammette di aver compiuto una violazione del codice etico di Fnm per conflitto di interessi. Orlandini, infatti, confessa di aver “consigliato all’Ad di Ferrovie nord di firmare un contratto di consulenza con la società Geax, il cui Amministratore Unico risulta essere socio della [società ] 4Value insieme allo stesso Orlandini”. In poche parole, Orlandini si sarebbe fatto affidare una consulenza da Fnm.
Vista la gravità delle affermazioni, il Comitato Controllo e rischi decide di avviare un procedimento disciplinare in previsione di un licenziamento per giusta causa, ma poi — inspiegabilmente — la società torna sui suoi passi:
“al fine di prevenire un contenzioso giudiziale — ha spiegato Fnm — è stato riconosciuto al dott. Orlandini un importo (secretato, ndr) per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in linea con i paramentri del CCNL dirigenti industria”.
Insomma, davanti all’uomo che per anni ha gestito tutti i dossier più scottanti sugli amministratori, Fnm cambia velocemente idea: da un licenziamento praticamente ormai scritto a una buonuscita.
Il caso di Orlandini non è isolato. Anche all’ex storica dirigente affari legali di Fnm, l’avvocato Antonella Tiraboschi — un’altra che di dossier esplosivi se ne intendeva parecchio — è toccata una sorte simile: un licenziamento in tronco che si trasforma in un ricco “accordo transattivo teso ad evitare l’insorgenda controversia” e protetto da clausola di riservatezza.
Il 1° ottobre 2015 Tiraboschi viene licenziata formalmente perchè la posizione alla quale era preposta era stata “soppressa”. Sei mesi prima, nella sua ultima uscita pubblica all’assemblea degli azionisti del 2015 (un’assemblea movimentata dall’intervento di Beppe Grillo e di Stefano Buffagni, del Movimento 5 Stelle lombardo che avevano puntato il dito su alcune “discrepanze” di bilancio e gestionali), la dirigente aveva messo la società in forte imbarazzo, dicendo… la verità .
Interpellata dal giornalista del Fatto Marco Lillo sulle consulenze affidate da Fnm a Domenico Aiello, legale e uomo di fiducia di Roberto Maroni, Tiraboschi aveva confermato l’esistenza di “un incarico giudiziale” con un compenso massimo di “100 mila euro” e di un’altra consulenza “avente un tetto massimo di 50 mila euro”. Poche ore prima, lo stesso Aiello, intervistato da Lillo, aveva negato l’esistenza di tali consulenze.
Sei mesi dopo quel fatto Fnm ha chiuso un rapporto di lavoro che andava avanti da 23 anni.
All’inizio del suo mandato Gibelli aveva promesso trasparenza ma agli azionisti e al pubblico la notizia dell’addio del legale viene data con un comunicato stampa “farlocco”: “Il direttore Affari Legali del Gruppo Fnm — si legge — ha deciso, dopo 23 anni di carriera, di intraprendere una nuova attività libero-professionale aprendo un proprio studio legale”.
La storia vera è racchiusa in un verbale di accordo firmato nel novembre successivo, di cui Business Insider è entrata in possesso.
In quel verbale, “Fnm revoca il licenziamento del 1 ottobre 2015 di cui in premessa” e offre alla sua ex dirigente una via d’uscita lastricata d’oro:
“Quale corrispettivo del consenso […] allo scioglimento del rapporto — si legge — [la società ] si impegna a versare alla dirigente a titolo di incentivo all’esodo la somma lorda di euro 260 mila”, a cui vanno ad aggiungersi altri 45 mila euro tra consulenze e benefit. Il totale fa 305 mila euro lordi, a fronte dei quali l’ex dirigente affari legali accetta di rinunciare “a ogni pretesa o richiesta economica” e, soprattutto, di mantenere il silenzio su tutto ciò che riguarda la galassia Fnm.
Il conflitto di interessi
La pagina dedicata ai controlli non è ancora finita: l’ultimo capitolo riguarda Deloitte, la società che per anni ha certificato i bilanci della holding Fnm e della controllata Trenord. Accanto all’attività di controllore, Deloitte ha svolto anche quella di consulente.
Tra il 2012 e il 2016, infatti, ha ottenuto — sempre senza gara — cinque appalti da Trenord per complessivi 647 mila euro. La società le commissiona: due consulenze per “L’assistenza del modello 231” (65 mila euro una, 115 mila l’altra), una “Consulenza per vendita e assistenza” (230 mila euro), un’altra per “Prestazioni di servizi professionali” (115 mila), “Il bilancio di sostenibilità per gli anni 2014, 2015 e 2016” (altri 122 mila euro)
§La domanda è scontata: come può una società che deve certificare il bilancio di un’impresa pubblica vincere, senza gara, appalti di quella stessa impresa pubblica? Lo abbiamo chiesto direttamente a Deloitte, che ci ha risposto così:
“Deloitte & Touche S.p.A. e altre società del network Deloitte hanno svolto servizi professionali nel pieno rispetto dei principi e delle norme professionali di riferimento e in piena conformità a quanto consentito dal DL 39/2010”.
Una procedura conforme alla legge, certamente, tuttavia poco cristallina.
Il finale di questa storia riguarda chi i controlli aveva tentato di farli davvero e che, vista l’impossibilità di bonificare dall’interno, ha scelto di denunciare il malaffare alle autorità : Andrea Franzoso.
Col suo intervento, Franzoso ha permesso a Fnm di recuperare quasi 500 mila euro. Per un dipendente così, ci si aspetterebbe una promozione.
Ma in Fnm, anche in quella di Maroni-Gibelli, la normalità è merce rara. Tanto che Franzoso è stato rimosso dal suo incarico e messo nelle condizioni di non nuocere. Oggi non lavora più per Fnm.
(da “Business Insider”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
EMANAZIONE DELLA REGIONE LOMBARDIA, E’ L’ESEMPIO CHE CON L’AUTONOMIA LA SITUAZIONE NON CAMBIA
Ammonta a 684.8 milioni la cifra anticipata dal governo per il trasporto pubblico locale in Lombardia (Tpl). La cifra destinata alla Lombardia, che vale come anticipazione dell’80% per il 2018, costituisce il 17,36% della quote ripartite, che nel complesso tra tutte le regioni sfiora i 4 miliardi su un totale di quasi 5 miliardi.
Un po’ di storia
Il 29 aprile 2011 nascE di Trenord, il secondo vettore ferroviario italiano, società di proprietà di Regione Lombardia e Fs, che ogni giorno trasporta 750 mila pendolari lombardi.
Secondo la narrazione, Trenord oggi offre il miglior servizio di trasporto pubblico locale in Italia e viene sempre citata dal presidente lumbard Bobo Maroni come esempio di società pubblica virtuosa. Ma è puro storytelling.
Come ogni pendolare ben sa, la società non è mai stata in grado di raggiungere le prestazioni minime richieste dal contratto di servizio in fatto di puntualità (lo standard dovrebbe essere il 95% dei treni, a stento ha raggiunto l’86%) nè, nonostante le promesse dei vertici regionali, ha mai dato tutti i treni nuovi promessi sulle varie tratte. Mancanza di fondi, è sempre stata la scusa di manager e politici.
In realtà , negli anni, Trenord e in generale la holding regionale che la controlla, Ferrovie Nord Milano, sono state foraggiate dalla politica a piene mani.
Ma le società , al posto di pensare al benessere dei pendolari, sono state utilizzate come parcheggio per politici indagati, condannati o semplicemente trombati (tutti di Forza Italia, Lega e Comunione e Liberazione); o come bancomat per dirigenti che hanno pescato a piene mani dai fondi pubblici; o come pozzo infinito di consulenze per gli “amici”, tra i quali anche l’avvocato impegnato a difendere lo stesso Maroni.
Tanto sotto il regno di Roberto Formigoni, quanto sotto quello dei “barbari sognanti” di Maroni, che era stato eletto, ramazza in mano, promettendo di fare piazza pulita del malcostume.
Letta a sette anni di distanza, la foto della inaugurazione mostra un ex presidente regionale, Formigoni, condannato a sei anni per le presunte tangenti per la fondazione Maugeri e San Raffaele; un ex ad di Trenord nonchè direttore generale di Ferrovie Nord Milano, Giuseppe Biesuz, condannato in primo grado per il fallimento della Urban Screen, una società che aveva amministrato fino al 2008; un ex presidente di Fnm, Norberto Achille, condannato oggi a due anni e otto mesi per aver depredato Fnm per spese personali.
Oggi, Fnm è guidata dal leghista Andrea Gibelli, l’uomo che Maroni, dopo lo scandalo che portò alla defenestrazione di Achille, ha scelto per “rimettere a posto le cose”. Peccato che lo stesso Gibelli è arrivato in piazzale Cadorna — una poltrona da 288 mila euro netti l’anno — con le vesti dell’indagato nello stesso processo che vede Maroni imputato per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e induzione indebita.
La cronaca giudiziaria negli anni ha raccontato di una società depredata, un inquietante Far West dove girano miliardi, tra contratti di servizio per il trasporto pubblico (440 milioni di euro l’anno) e lavori pubblici affidati a Fnm dalla Regione (oltre un miliardo ogni quinquennio).
Uno tsunami di soldi (nostri) il cui utilizzo dovrebbe essere super controllato. Purtroppo tale controllo, negli uffici di piazzale Cadorna, Milano, non c’è mai stato. Con buona pace di migliaia di pendolari lombardi costretti spesso a viaggiare come bestie su treni vecchi e sporchi.
IL NEPOTISMO
«In questa società non esistono i ladri e gli onesti, bene che vada esistono una serie di conniventi!» diceva nel 2015 — senza sapere di essere registrato — Carlo Alberto Belloni, per 21 anni presidente del collegio sindacale di Fnm. E non sbagliava certo. Prendiamo la vicenda di Giuseppe Biesuz, uno che aveva raggiunto la poltrona più alta della società , grazie all’appoggio diretto dell’amico Marcello Dell’Utri, nonostante non avesse uno straccio di laurea e che quindi il capo di Trenord non lo potesse fare…
Lauree fasulle a parte, agli atti della società esiste un report redatto dai controllori interni di Fnm (ma solo dopo l’arresto del non dottor Biesuz nel 2012), secondo il quale l’ex dg avrebbe affidato consulenze da centinaia di migliaia di euro ad amici e big della galassia ciellina senza avere i titoli per farlo. Un’elargizione durata anni, nota a tutti, ma che nessuno aveva mai avuto il coraggio di denunciare.
Idem per l’ex presidente Norberto Achille, condannato a Milano per peculato e truffa aggravata, che nel suo ventennale regno aveva messo macchine e telefoni aziendali a disposizione della moglie e dei figli.
Secondo la procura è arrivato a spendere circa 500 mila euro di fondi pubblici, oggi in buona parte restituiti, per pagare le multe prese dal figlio Marco (180 mila euro in 5 anni) con la macchina aziendale, le telefonate dei congiunti (120 mila euro in cinque anni) con le sim aziendali e una serie di altri “benefit”, tra cui film porno, scommesse sportive e serate al Twiga di Briatore. Una linea di credito privata (sui conti della società ) di cui moltissimi, se non tutti, sapevano.
Ma chi pensava che con le “spese pazze” di Achille, Fnm avesse toccato il fondo, non aveva ancora letto l’incredibile storia di Davide Lonardoni, alias “Mr milione di euro”, il dipendente di Nord Ing, società del gruppo Fnm, arrestato il 4 ottobre del 2016 nell’ambito di un’operazione del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, con l’accusa di aver intascato tangenti per pilotare alcuni appalti pubblici affidati a Fnm.
LE CONSULENZE AL FIGLIO DEL DIRETTORE
Davide Lonardoni non era un dipendente qualsiasi. È il figlio di Dario Lonardoni, ex direttore generale di Ferrovie Nord e attuale assessore ai lavori pubblici di centrodestra del Comune di Saronno.
Secondo un’indagine dell’ufficio Internal Audit di Fnm, che Business Insider ha potuto leggere, tra il 2005 e il 2013 la Sp.In, una società di cui Lonardoni jr è legale rappresentante, ha ottenuto da Nord Ing 14 commesse, per un valore totale di 987.940 euro. Nello stesso periodo Sp.In ha ricevuto altri 176 mila euro direttamente da Ferrovie Nord, altra società del gruppo Fnm, quella amministrata direttamente dal papà Dario.
In totale, cioè, Lonardoni in 7 anni incassa con la sua società privata 1.164.000 euro da due società del gruppo Fnm in cui il padre aveva un ruolo di primo piano. Ma non è finita qui: mentre otteneva consulenze su consulenze, Lonardoni Junior percepiva anche uno stipendio fisso da Nord Ing, prima come collaboratore a progetto e poi, a partire dal 1 marzo del 2013, come dipendente part-time a tempo indeterminato.
Anche questi magheggi sono più che noti ai vertici di Fnm, allora guidati da Achille: il report che li denuncia risale a luglio del 2014, ma non ha mai determinato alcun provvedimento.
“So, ma faccio finta di non vedere”, un atteggiamento che Fnm adotta spesso quando c’è di mezzo Lonardoni. Tant’è che un anno dopo quel report, la società ha ignorato un altro potenziale segnale d’allarme.
Il 16 ottobre del 2015 un dipendente di Fnm entrò nella stanza di Andrea Franzoso — il whistleblower che con le sue denunce in procura aveva fatto esplodere lo scandalo delle “spese pazze” di Achille — ammettendo di sapere che “molte ruberie non sono ancora state portate alla luce”, come “le presunte irregolarità nell’affidamento di un servizio al figlio dell’ex direttore di esercizio, Lonardoni”.
Il giorno stesso, Franzoso scrisse al servizio Risorse Umane di Fnm segnalando la confidenza, ma anche in questo caso la sua lettera non portò all’avvio di un’inchiesta interna.
Che Fnm avesse già pianificato un futuro luminoso per Lonardoni Jr diventa chiaro il 23 maggio del 2016, quando l’ex presidente di Nord.Ing, Roberto Ceresoli — in barba alle consulenze e alle segnalazioni — lo nomina responsabile dei servizi di ingegneria e della direzione lavori sicurezza e ambiente.
Una posizione che nell’organigramma si trova immediatamente al di sotto del direttore generale, la carica ricoperta per tanti anni da papà Dario. Una carriera splendente interrotta dall’intervento a gamba tesa della Guardia di Finanza di Milano, che ha arrestato Lonardoni jr con l’accusa di aver pilotato gli appalti della linea ferroviaria tra i terminal T1 e T2 di Malpensa. L’arresto ha obbligato l’attuale presidente di Fnm, Andrea Gibelli, a sospendere il contratto e lo stipendio di Lonardoni.
Le vicende di Biesuz, Achille e Lonardoni dimostrano che i controllori interni non si sono mai mossi prima dell’intervento della magistratura. Chi ci ha provato — come il whistleblower Andrea Franzoso, l’ex addetto dell’Internal Audit Luigi Nocerino, l’ex presidente dell’OdV Arnoldo Schoch e l’ex presidente del Comitato Controllo e Rischi di Fnm Laura Quaini — o è stato rimosso dall’incarico o non lavora più per Fnm.
(da “Business Insider”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
I MAGISTRATI DOVRANNO CHIARIRE SE IL CEDIMENTO E’ STATO LA CAUSA O L’EFFETTO DEL DERAGLIAMENTO DEL TRENO
Di sicuro c’è il “cedimento strutturale” di un pezzo di binario di 23 centimetri sulla rete di competenza di Rfi. Le cause del deragliamento sulla linea Milano-Cremona all’altezza di Pioltello del treno 10452 carico di 350 pendolari, in cui sono morte tre donne con cinque feriti in condizioni gravi, sono tutte da chiarire.
La Procura di Milano si è subito mossa aprendo un’inchiesta, sottoponendo a sequestro l’area e i documenti relativi alla manutenzione della tratta ferroviaria e infine nominando due consulenti esperti in disastri ferroviari.
I magistrati dovranno capire se il cedimento del binario sia stato la causa o l’effetto del deragliamento del treno.
Le responsabilità , a seconda del caso, farebbero capo a due società diverse: nel primo a Rfi, società partecipata al 100% dalle Ferrovie dello Stato italiane di proprietà del Ministero dell’Economia, nel secondo a Trenord, l’operatore che gestisce il servizio ferroviario in Lombardia e alcune tratte lombarde ma non la Milano-Cremona, società partecipata al 50% da Trenitalia e da Fnm, che fa capo alla Regione.
Secondo l’Ansa, la rotaia che ha ceduto stava per essere sostituita e accanto ad essa c’era il tratto di binario nuovo che avrebbe dovuto sostituire quello vecchio e per il quale erano in corso i lavori di manutenzione, ma questa informazione non trova altre conferme al momento.
Rfi e il Ministero dei Trasporti hanno difeso l’impegno nella manutenzione della rete. “Ogni anno vengono destinati 270 milioni di euro, di cui 130 solo per i binari” e “il convoglio diagnostico è passato sulla tratta interessata dal deragliamento lo scorso 11 gennaio, una volta al mese vengono effettuati i controlli a piedi”, ha fatto sapere Rfi. Mentre il ministro Graziano Delrio dopo il vertice in Prefettura ha dichiarato che si tratta “di una delle linee più monitorate della intera rete ferroviaria. Hanno confermato investimenti in corso e che il loro monitoraggio è molto alto” perchè “tra le più frequentate”.
D’altronde dalla Lombardia arriva la maggiore domanda di trasporto pendolare: in numeri, 1.733 chilometri di rete regionale e 735mila viaggiatori al giorno per circa 2.400 corse nel 2016.
Ma, secondo il rapporto Pendolaria stilato da Legambiente, la linea che va da Milano a Cremona è una delle peggiori della Regione, nonostante un leggero miglioramento nella qualità del materiale rotabile utilizzato in questi ultimi anni come su altre linee. 151 km, di cui 60 a doppio binario e 91 a semplice binario, su cui viaggiano oltre 10 mila pendolari giornalieri.
Treni spesso in ritardo e sovraffollati, ai quali i viaggiatori sono ormai abituati, se non rassegnati, nonostante l’aumento del +48,9% delle tariffe praticate da TreNord dal 2010 ad oggi.
A livello nazionale l’offerta per l’Alta Velocità è aumentata in meno di 11 anni del 435%, ha rilevato Legambiente, mentre il trasporto regionale rimane difficile, anche per via della riduzione dei treni Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-15,5% dal 2010 al 2016) con un calo del 40% dei passeggeri e la diminuzione dei collegamenti regionali (-6,5% dal 2010 al 2016), dopo i tagli realizzati nel 2009.
Per il ministero però, sulla rete gli investimenti sono stati fatti, almeno negli ultimi tre anni. Ma secondo Legambiente c’è un ritardo da colmare enorme. Dal 2002 ad oggi i finanziamenti statali hanno premiato per il 60% gli investimenti in strade e autostrade a discapito delle rotaie. “Quanto è stato finanziato per le reti metropolitane è ben poca cosa, visto che questa voce non raggiunge il 17% degli stanziamenti per opere infrastrutturali. Situazione identica, se non peggiore, quella delle ferrovie, prese in scarsa considerazione, con il 24% degli investimenti totali. In termini assoluti le infrastrutture stradali sfiorano la quota faraonica di 64 miliardi di euro, contro i 25,7 ed i 18,1 di ferrovie e metropolitane”.
La Regione Lombardia paga un ritardo notevole nel parco treni, malconcio da tempo come ammesso dallo stesso presidente della giunta Roberto Maroni a luglio scorso quando ha annunciato un investimento per 1,6 miliardi e 160 nuovi convogli, durante la campagna elettorale per il referendum per l’autonomia regionale.
Un’estate calda nel nodo ferroviario di Milano, con continui ritardi e disservizi continui. Qualche giorno dopo l’annuncio del Governatore, il 23 luglio, però un altro treno di Trenord diretto da Milano a Bergamo era parzialmente uscito dai binari proprio all’altezza di Pioltello. La scorsa estate nessuno degli oltre 200 passeggeri era rimasto ferito.
A sviare dalle rotaie, come spiegato al momento dell’incidente da Rfi, era stata la prima vettura a causa di un problema a uno scambio.
Sull’incidente di Pioltello proveranno a far luce i magistrati di Milano: saranno formalizzate a breve, le prime iscrizioni nel registro degli indagati per i vertici, tra manager e responsabili della sicurezza, di Rete Ferroviaria Italiana.
Non è escluso nemmeno che altre iscrizioni, sempre per ragioni tecniche legate agli accertamenti, debbano essere effettuate e che le indagini si allarghino anche ad alcuni responsabili di Trenord.
Trenord che è già al centro di un’altra vicenda giudiziaria milanese, particolarmente delicata, che vede indagati il Presidente Andrea Gibelli e il vice presidente di Fnm Gianantonio Arnoldi per aggiotaggio, e per i quali i pm hanno richiesto la proroga delle indagini fino a marzo.
Al centro dell’inchiesta il piano poi saltato di una fusione tra Trenord (50% Fnm e 50% Trenitalia) e Atm (100% Comune di Milano) e la comunicazione fatta l’anno scorso da Fnm di un accordo in dirittura d’arrivo a giugno.
Dopo il comunicato da parte di Ferrovie del Nord sull’intesa e i malumori dell’ad di Ferrovie Mazzoncini e del sindaco Beppe Sala che etichettarono le parole del presidente Gibelli come intempestive, il progetto di lì a poco saltò.
Come saltò la possibilità di dar vita a un’azienda con un fatturato da due miliardi di euro. Nel frattempo i pendolari ancora aspettano di poter viaggiare in condizioni accettabili. E di non morire sui binari.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
LE CAUTELE DEL PD, IL SILENZIO DEL M5S, L’INDIFFERENZA DEL CENTRODESTRA
Una legislatura importante sul tema dei diritti civili, quella appena conclusa.
Il Parlamento, dopo anni di tentativi, ha approvato la legge sulle unioni civili (che però non affronta il tema della genitorialità delle coppie gay), quella sul fine vita, il reato di tortura, le leggi sul divorzio breve, sul Dopo di noi (a tutela delle persone disabili) e contro il femminicidio.
Sono rimaste invece bloccate in Parlamento le norme sulla cittadinanza ai minori stranieri (Ius soli) e contro l’omofobia.
Quali possibilità ci sono che la prossima legislatura segni ulteriori passi avanti?
Abbiamo provato a capirlo mettendo in evidenza le posizioni dei principali schieramenti che si presentano al voto del 4 marzo.
Sui temi delle coppie omosessuali solo Pd e LeU spingono per ulteriori diritti.
Nel centrodestra non ci sono proposte, ma non c’è neppure la volontà manifesta di abrogare l’attuale legge sulle unioni civili.
Il M5S su questi temi sceglie invece di non pronunciarsi.
CENTROSINISTRA
Nozze gay come traguardo e riforma delle adozioni
Dopo la sofferta via crucis della legge sulle unioni civili, passata con la fiducia, dopo il faticoso varo del biotestamento, il Pd torna alla carica sul tema dei diritti civili nel suo programma, dovendo reggere il confronto con la Bonino, che chiede pure la legalizzazione dell’eutanasia.
Se nella bozza (che deve ancora essere vidimata da Renzi), spunta il matrimonio gay, non come obiettivo a breve ma come traguardo di lungo termine, la Lista Bonino propone «una riforma del diritto di famiglia, nella prospettiva di superare le discriminazioni in materia di matrimonio, unione civile, adozione, riconoscimento automatico dei figli alla nascita».
«Siamo ben consapevoli che ancora molto bisogna fare per giungere al matrimonio egualitario – dice la bozza Dem – che ormai è stato approvato nella maggioranza dei Paesi europei e che quindi anche il nostro Paese non può ignorare, ma sicuramente le unioni civili sono un primo passo fondamentale».
Per questo il Pd spinge per una riforma delle adozioni «tutti i bambini devono avere pari diritti», dopo che al Senato non passò quella delle coppie omosessuali. E promuove la lotta all’omofobia o il rifinanziamento dei centri anti-violenza.
«Bonificare» la normativa italiana dalla legge 40 sulla procreazione assistita è uno dei punti chiesti dai Radicali, insieme a leggi sulla legalizzazione delle droghe e lo Ius culturae (chiesto anche dal Pd), «per offrire a tutti i giovani le stesse opportunità di vita».
CENTRODESTRA
Più tutele per gli animali e aiuti in favore delle mamme
Nel programma di centrodestra dei «diritti» si parla eccome. Non per gli umani, però, ma per cani e gatti, ai quali si promette un apposito codice normativo che li tuteli.
Se si tratta di persone, invece, la loro difesa è molto meno gridata.
Zero riferimenti ai gay, con un silenzio che per certi aspetti li rassicura: significa che le unioni civili non verranno rimesse in discussione.
Alle donne il centrodestra garantisce «pari opportunità », specie se si tratta di madri lavoratrici. Lo Ius soli, ovviamente, è tabù.
Sul fronte immigrazione, semmai, si vuole mettere un freno all’«anomalia» (così viene definita nel testo programmatico) della protezione umanitaria, restringendo lo status di profugo, cioè il rovescio dell’accoglienza.
L’accento cade altrove, ad esempio sulla sicurezza che, se declinata al femminile, significa anche lotta a stupri e aggressioni, dunque al fondo una questione di libertà personale. Mara Carfagna rivendica ai governi Berlusconi (quando lei fu ministra delle Pari opportunità ) la legge anti-stalking e l’istituzione dei centri anti-violenza, con campagne di propaganda contro l’omofobia.
Se poi si parla di giustizia e fisco, fa notare Anna Maria Bernini, il tema delle garanzie viene declinato come difesa dei cittadini che vanno considerati utenti e non più sudditi. §
MOVIMENTO 5 STELLE
Questioni troppo divisive. Nessun accenno nei 20 punti
Quando entrò in Parlamento il M5S spingeva tantissimo sullo sdoganamento dei diritti civili. Nei primi due anni di legislatura i grillini hanno presentato diverse proposte di legge o sostenuto quelle altrui: matrimoni gay, maternità surrogata, eutanasia, cannabis, reato di omofobia, e persino Ius soli.
Poi qualcosa è cambiato. Anche perchè 5 anni fa non c’era un capo politico, una linea condivisa e i parlamentari facevano un po’ per conto loro.
Questo prima di capire che i diritti civili sono considerati troppo divisivi se vuoi prendere voti a destra e a sinistra.
Il primo segnale di cambiamento è stato sulla stepchild adoption contenuta nella legge sulle unioni civili. Ma è sulla cittadinanza ai figli dei migranti che c’è stata la svolta più eclatante firmata Luigi Di Maio: il capo politico e il M5S si sono rimangiati la battaglia che loro stessi avevano confezionato in forma di proposta legislativa.
Nello stesso tempo, però due deputati grillini, Matteo Mantero e Silvia Giordano, sono stati tra gli autori della legge sul biotestamento.
Ora Mantero è intenzionato a riproporre quella sull’eutanasia (votata sul blog con oltre il 90% di favorevoli) e a battersi di nuovo per la legalizzazione della marijuana. Sui diritti continua a non prevalere una linea unica, sul programma non se ne fa cenno e molta dell’azione dei futuri parlamentari dipenderà se il M5S andrà al governo o meno. Perchè nel primo caso la parola del capo politico conterà certamente di più.
LIBERI E UGUALI
Stepchild adoption, Ius soli e contrasto all’omofobia
Matrimonio egualitario per le coppie gay, sul modello dei grandi Paesi europei come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Introduzione della stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio del partner, la norma che fu stralciata nel 2016 quando il governo Renzi mise la fiducia sulle unioni civili.
Sono alcuni dei punti chiave in tema di diritti civili contenuti nel programma di Liberi e Uguali. L’altro caposaldo di LeU è lo Ius soli, nella versione approvata dalla Camera nell’ultima legislatura, e cioè uno Ius soli temperato: per poter chiedere la cittadinanza prima dei 18 anni uno dei genitori deve essere in Italia da almeno 5 anni e rispondere a determinati criteri di reddito, alloggio e conoscenza della lingua; in alternativa il minore deve avere frequentato un corso completo di studi.
Anche sul fine vita non si registrano proposte alternative rispetto alle norme adottate dal Parlamento nel 2017: non sono previste norme sull’eutanasia sul modello svizzero.
LeU propone poi un «rafforzamento del contrasto a fenomeni di omofobia e transfobia», ma il programma non entra nel merito delle norme approvate dalla Camera nel 2013, che introduceva alcune aggravanti della legge Mancino salvando però la libera espressione di «opinioni che non istighino all’odio o alla violenza».
Previsti forti investimenti sui centri contro la violenza sulle donne.
(da “La Stampa”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
“A ME SAREBBE PIACIUTO STUDIARE, MA SONO ANDATO A LAVORARE DA BAMBINO PERCHE’ AVEVO ALTRE SORELLE A CUI DARE DA MANGIARE, C’E’ CHI VUOLE FARE IL LEADER E NON SA NEANCHE L’ITALIANO”
Antonio Razzi contro Luigi Di Maio sull’uso corretto della grammatica.
Alla domanda durante un’intervista a Radio Padova se la mancata ricandidatura dell’esponente di Forza Italia sia dovuta anche alla fatica a coniugare correttamente i verbi, Razzi controbatte: «Non sono l’ultimo della classe – spiega – sa quante ne sento io di fregnacce, da certi professori, ed anche dai Cinque stelle che ce ne sono parecchi qui al Senato, che poi si mettono a ridere tutti. Almeno io sono andato a lavorare da bambino perchè avevo altre sorelle a cui dare da mangiare, anche se a me mi piaceva studiare. Ma in compenso conosco tre o quattro lingue».
«Mi vergognerei – rincara riferendosi a Di Maio del Movimento 5 stelle – a voler fare il leader del Paese, quando sa l’italiano peggio di me. Almeno io ho fatto 41 anni di lavoro in Svizzera, quello quando cazzo ha lavorato?».
Sulla sua esclusione dalle liste il senatore non nasconde la delusione.
«Nella vita io ho imparato l’educazione, anzi i miei genitori che non ci sono più mi hanno imparato sempre il rispetto. Io quando voglio dire una cosa a uno, gli vado personalmente e gli dico: guarda mi dispiace questo non si può fare – sottolinea -. Mi piacerebbe sapere il motivo, come mi hanno chiesto il voto nel 2010 potevano dire guarda che adesso non ti possiamo ricandidare per tanti motivi».
Alla domanda se abbia parlato con Silvio Berlusconi o con Niccolò Ghedini, Razzi aggiunge: «Ho il telefono, lo chiamo, ma non te lo passano e quindi è inutile che lo chiamo. Ho lavorato così bene che mi sentivo orgoglioso di fare ancora una legislatura».
(da agenzie)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
IL MEDICO DI LAMPEDUSA “LA MIA VITA E’ QUA, UN ATTO DI AMORE PER LA MIA TERRA”
Pietro Bartolo, responsabile medico dell’isola di Lampedusa, dice no alla candidatura alle elezioni politiche con Liberi e Uguali.
Ad annunciarlo alle agenzie di stampa AdnKronos e Agi è lo stesso Bartolo, che Pietro Grasso aveva voluto inserire tra i candidati.
“Resto a Lampedusa e la mia rinuncia a candidarmi in Parlamento non è un passo indietro, ma uno avanti in direzione di quest’isola che amo e dei migranti a cui mi sento vicino. I problemi restano, gli sbarchi continuano, le questioni sono ancora aperte: non posso andarmene” afferma, spiegando la rinuncia come “un atto d’amore per Lampedusa”.
“Sono stato molto combattuto, stanotte non ho dormito. Poi ho parlato con gli amici di LeU, sono rimasti molto dispiaciuti, ma mi hanno capito” dice ancora.
Sulla sua decisione “hanno pesato anche gli ultimi fatti”, dal gesto disperato di un giovane migrante che si è tolto la vita, alle recenti tensioni nell’hotspot, fino alla denuncia del Garante nazionale che ieri ha parlato di struttura ridotta a un carcere e di situazione che crea sconcerto e inquietudine.
“Resto ambasciatore di questa isola e delle sue aspirazioni, della sua voglia di futuro e di accoglienza: è la mia dichiarazione d’amore per Lampedusa”.
Bartolo aggiunge ancora che “continuerò a fare il mio lavoro e a sostenere al contempo il progetto di Leu in cui credo, convinto che, loro da Roma e io qui, potremo insieme fare il bene di questa comunità , dando risposte concrete al fenomeno della migrazione”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
SECONDO IL QUOTIDIANO TEDESCO “SOLO RIFORME RADICALI POTREBBERO CAMBIARE QUALCOSA, MA NESSUN PARTITO LE PREVEDE”
“L’Italia è l’assoluto fanalino di coda dell’eurozona, messo anche peggio della Grecia“. Lo sostiene il quotidiano tedesco Die Welt in un articolo intitolato “Se i greci lasciano indietro gli italiani” pubblicato il 25 gennaio.
Secondo il quale il timore degli economisti delle banche d’affari è che alle prossime elezioni, indipendentemente da chi vinca, “non c’è da aspettarsi riforme di base”, dice Timo Schwietering, analista della banca Metzler.
“Solo riforme radicali, come in Grecia, potrebbero cambiare qualcosa”, dice il quotidiano di Berlino. “Ma cose del genere non sono nel programma elettorale di nessuno dei contendenti alle elezioni”.
“L’Italia è l’unico paese dell’Eurozona il cui livello di vita, dall’entrata in vigore dell’unione monetaria, è diminuito”, prosegue Schwietering.
“Prima aveva un modello economico facile”, dice Daniel Hartmann, capo economista della banca Bantleon, che si occupa del risparmio gestito.
Secondo il quale “quando la congiuntura si bloccava, si svalutava la lira, che ridava benzina alle esportazioni e rianimava la congiuntura”.
Dall’entrata in vigore dell’unione monetaria questo modello non ha più funzionato e il Paese dovrebbe abbassare i costi o aumentare la produttività , è quindi la conclusione che sottolinea come “il passaggio al nuovo campo all’Italia non è ancora riuscito”.
Mentre sarebbe necessaria soprattutto una riforma dell’amministrazione: “Le prestazioni sono scarse e per giunta care”.
Un permesso di costruzione costa tre volte la Germania, un procedimento giuridico in Italia è di 3 anni, in Germania di uno e mezzo
(da”Il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 25th, 2018 Riccardo Fucile
IL LOCALE NON AVEVA EMESSO NEANCHE LO SCONTRINO FISCALE MA LA STRISCIATA DELLA CARTA DI CREDITO E’ VALSA DA PROVA
Una multa pesante, da 20 mila euro. Così i vigili hanno punito l’Osteria Da Luca, la locanda a due passi da San Marco che aveva presentato un conto da truffa, 1.143 euro per 4 bistecche e una frittura.
I quattro studenti giapponesi imbrogliati hanno avuto così la loro piccola soddisfazione.
Il locale non aveva neanche emesso lo scontrino fiscale ma la “strisciata” della carta di credito era diventata la prova incontestabile che i gestori li avevano tartassati.
La notizia della multa elevata al ristorante è stata diffusa dal sito on line de La Nuova Venezia, che aggiunge anche altri particolari, ad esempio che il titolare della trattoria era stato in passato fermato per droga.
Sanzione pesante, arrivata dopo il controllo della polizia locale, carabinieri del Nas e ispettori dell’Usl effettuato ieri nel locale. Non sono però state riscontrate irregolarità tali da portare alla chiusura del locale.
Viceversa, non sarebbe sanzionabile un altro locale veneziano dal conto particolarmente salato, la Trattoria Casanova, che per due primi, un secondo grande e due bottiglie di acqua ha fatto pagare 315 euro ad altre tre studentesse giapponesi.
Il controllo all’Osteria Da Luca è avvenuto l’indomani della consegna al comando della polizia locale veneziana, da parte del portavoce del Gruppo 25 Aprile, Marco Gasparinetti, della copia della denuncia presentata dai quattro studenti giapponesi vessati alla Guardia di Finanza di Bologna, città dove risiedono.
Le verifiche di ieri hanno riguardato anche la conservazione dei cibi, l’esposizione delle tabelle merceologiche, la regolarità della struttura rispetto alle norme sanitarie imposte per poter continuare a lavorare, eventuali abusivi edilizi, le condizioni dei servizi destinati al pubblico e gli spazi usati dal personale che lavora nella trattoria.
(da agenzie)
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