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“RENZI, UN INGRATO”: LA RESA DI VERDINI, SACRIFICATO DAL PD PER LIMITARE I DANNI

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

“PENSA DI ESSERE DE GASPERI, MA E’ SOLO UN BULLETTO DI PERIFERIA”… APPARENTAMENTO NEGATO, ALA NON ESISTE PIU’

L’ingratitudine è un sentimento e i sentimenti, si sa, non sono contemplati nel crudele cinismo della politica. Ma un uomo “infatuato e tradito” dopo quasi tre anni di amore seppur clandestino non può che sfogarsi che in questi termini: “Ho accumulato tantissima amarezza, Renzi è un ingrato, non doveva rifiutarci l’apparentamento, a maggior ragione dopo che gli avevo ribadito il mio ritiro. Più che per me, mi dispiace soprattutto per voi che mi avete seguito e avuto fiducia in me”.
È questo lo sfogo di Denis Verdini consegnato ad alcuni suoi colleghi parlamentari di Ala, il partitino parlamentare nato nell’estate del 2015 da una costola della destra berlusconiana (e non solo).
Liberali e riformisti, ma con lo stigma dell’impresentabilità  del loro leader Verdini: ben sette tra inchieste, processi e condanne per reati che vanno dalla corruzione e dalla bancarotta alla truffa.
Toscano come Matteo Renzi, Verdini è stato dapprima l’ideologo del renzusconismo, indi dell’evoluzione del Pd in Partito della Nazione.
Obiettivi inseguiti in questi anni di sostegno alla maggioranza e che di colpo sono spariti in una manciata di giorni.
Appena due settimane fa, a metà  gennaio, quelli di Ala, nemmeno venti tra senatori e deputati, erano convinti di entrare con le loro liste nella coalizione di centrosinistra.
Per farlo avevano finanche recuperato il glorioso simbolo dell’Edera repubblicana (il secondo partito più antico d’Italia, nato nel 1895) e cominciato la ricerca dei candidati sui fatidici territori. Poi lo stop.
Al Nazareno, raccontano, l’alleanza coi verdiniani sarebbe costata almeno due punti percentuali, con o senza “Denis”.
E con il Pd che continua a scendere nei sondaggi forse non era il caso di peggiorare le cose. Prosegue lo sfogo di Verdini riferito sempre da alcuni suoi colleghi: “Io con Matteo avevo un patto. Quest’estate mi ha cercato Berlusconi, era agosto, e mi ha chiesto di organizzargli la quarta gamba di centro. Gli ho detto di no, Matteo mi aveva assicurato al cento per cento che saremmo andati nel centrosinistra”.
Invece no, non è finita così. I verdiniani spiegano che per cavarsi dall’impaccio del voltafaccia, niente alleanza e niente liste nel plurinominale, il segretario del Pd avesse offerto solo due o tre posti nell’uninominale in Toscana per gli autoctoni di Ala di quella regione, Mazzoni o Faenzi o Parisi. A quel punto Verdini ha chiuso drasticamente. “E agli altri cosa gli dico?”.
Amarezza e ingratitudine. E provoca sorpresa il ritratto di Verdini — dalla fama di politico prosaico e pragmatico — come uomo “infatuato e tradito”. Innamorato di Renzi, ovviamente. Un rapporto fatto di telefonate e sms e coltivato quotidianamente con la frequentazione di Luca Lotti, la scatola nera del renzismo. Nulla da fare, alla fine.
Ieri, giorno di chiusura delle liste elettorali, Verdini se n’è stato a Firenze. Tornerà  oggi a Roma, nel suo ufficio nella sede di Ala in via della Scrofa.
E dire che un lustro fa, alla consegna delle liste per le Politiche del 2013, Denis Verdini trascorse una convulsa giornata, all’inseguimento sull’autostrada Roma-Napoli di Nicola Cosentino, fuggito con le liste forziste della Campania. Cosentino era stato escluso e Verdini era lo sherpa azzurro per conto di Berlusconi. Altri tempi, decisamente.
Tra i parlamentari di Ala nessuno si candiderà  altrove. Il loro rammarico si riversa tutto nel controverso idillio tra i due toscani, “Denis” e “Matteo”. In ogni caso, il primo non si doveva fidare troppo del secondo.
Sostiene Lucio Barani, capogruppo al Senato: “Sono ritornato ad Aulla, il mio paese. Noi di Ala siamo stati la stella cometa che ha indicato la strada delle riforme. La storia ci riterrà  protagonisti della XVII legislatura, nel bene e nel male. Da socialista e da craxiano sono fiero di avere abbattuto i comunisti carnefici di Bettino, grazie a noi il Pd si è spaccato e i carnefici sono andati via”.
Renzi? Risposta: “Qui non siamo di fronte alla politica, ma a una patologia, lo dico da medico. Si è fatto esplodere da kamikaze, ammazzando anche quelli accanto a lui come noi. Non ci ha voluti perchè non siamo servi sciocchi. Alla foce dell’Arno stanno già  preparando le imbarcazioni per andarlo a prendere e buttarlo nel fiume dopo il 4 marzo. Finirà  molto male per lui”.
Vincenzo D’Anna, altro senatore di Ala, aveva intuito già  da mesi la deriva renziana. Fu lui a parlare di un trattamento per i verdiniani da “amanti clandestini”.
A ottobre si è dimesso dal Senato e oggi è presidente dell’ordine nazionale dei biologi: “Renzi pensa di essere De Gasperi ma è soltanto un bulletto di periferia. Non ha voluto fare il Partito della Nazione ed è diventato terzo su tre. Altro che Macron”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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ALESSIA D’ALESSANDRO “L’ECONOMISTA GRILLINA STRAPPATA ALLA MERKEL” CHE NON E’ STATA STRAPPATA E NON E’ ECONOMISTA

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

IL PROFILO DELLA CANDIDATA NON CORRISPONDE AFFATTO A COME E’ STATA DESCRITTA

Alessia D’Alessandro, 28 anni, residente da tempo in Germania fa parte del team di “supercompetenti” scelti personalmente da Luigi Di Maio per rappresentare il MoVimento 5 Stelle nei collegi uninominali.
La D’Alessandro sarà  candidata in Campania, ad Agropoli, dove sfiderà  l’ex sindaco di Agropoli Francesco Alfieri (salito agli onori delle cronache per la battuta di De Luca sulle fritture) e Marzia Ferraioli, docente di procedura penale all’Università  Tor Vergata e candidata per il centrodestra.
Alessia D’Alessandro non c’era ieri a Roma all’incontro di presentazione dei candidati per l’uninominale.
Di Maio l’ha definita “assistant del Management Board — Economic Council della Cdu in Germania”.
Alcuni giornali però si sono fatti prendere dall’entusiasmo e così per il Corriere della Sera la pentastellata è diventata “la candidata M5S strappata ad Angela Merkel” spiegando che “ha studiato presso Sciences Po” a Parigi dove però a giudicare dal curriculum sarebbe andata in Erasmus.
Stesso titolo anche per Il Giornale e per l’Huffington Post che la fa diventare “economista” spiegando poi che la candidata plurilaureata “lavora come staffista al Centro ricerche economiche della Cdu”.
Insomma oltre ad essere il classico cervello in fuga che tanto affascina i giornalisti e accende gli animi dei lettori la D’Alessandro non è stata “strappata alla Merkel”.
Perchè di fatto non faceva parte dello staff della Cancelleliera mentre lavorava come assistente al marketing di un’organizzazione imprenditoriale.
In qualità  di assistente al marketing è improprio quindi anche definirla “economista”, semmai è laureata in “Global economics and Management” (alla Jacobs Univesity di Brema, un’università  privata fondata nel 2001).
Non risulta che la pentastellata abbia conseguito un dottorato in materie economiche.
Il solo fatto di essersi laureata in scienze economiche non la rende un’economista.
Così come avere conseguito una laurea triennale e una specialistica non consente di definirla “plurilaureata”. Dettagli.
Quello che è certo è che la D’Alessandro ha un curriculum di tutto rispetto e il fatto che abbia lavorato per la CDU sicuramente potrà  essere d’aiuto a Di Maio nell’impostare la famosa trattativa con la pistola del referendum per l’uscita dall’euro sul tavolo.
Non si capisce però per quale motivo i giornali debbano esagerare le competenze dei candidati.

(da “NextQuotidiano”)

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L’AMMIRAGLIO VERI, CANDIDATO M5S POI COSTRETTO AL RITIRO, LASCIA TUTTI DI STUCCO: “NON SO PER CHI VOTERO'”

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

E OGGI E’ STATO SOSTITUITO CON LA IENA GIARRUSSO SENZA CHE NESSUNO LO DICESSE ALLA ROCCHI CHE ERA SUBENTRATA IERI AL SUO POSTO

“Avevo mal interpretato una regola del M5S, non mi sembrava importante”.
Così, ai microfoni de La Zanzara (Radio24), commenta la sua vicenda l’ammiraglio in congedo, Rinaldo Veri, che si è ritirato precipitosamente dalle candidature del M5S perchè consigliere comunale eletto a Ortona (Chieti) in una lista civica alleata col Pd.
“Mi sembra una regola un po’ troppo rigida” — continua l’ufficiale — “però da buon militare ho il dovere di rispettare le regole. E quindi ho ritenuto corretto ritirarmi. Ripeto: a me questo aspetto era sfuggito. Io comunque mi sono messo a disposizione per il bene del mio Paese, ho servito lo Stato per 40 anni e credevo di poter essere utile”.
Poi, alla domanda dei conduttori, Giuseppe Cruciani e David Parenzo, che gli chiedono chi voterà  il 4 marzo, l’ammiraglio dà  una risposta inattesa: “Volete sapere troppo. Non lo so, vediamo come va la campagna elettorale”.
E alle insistenze dei giornalisti che gli ricordano la sua candidatura-lampo per il M5s, Veri si accomiata e riattacca il telefono.
L’agenzia di stampa ANSA fa sapere che la “Iena” Dino Giarrusso sostituirà  per il MoVimento 5Stelle l’ammiraglio Rinaldo Veri al collegio uninominale Roma 10. Inizialmente l’ ammiraglio era stato sostituito dalla parlamentare Carla Ruocco, già  capolista al proporzionale. Giarrusso si era candidato alle Parlamentarie ma poi aveva fatto sapere di voler rinunciare il 6 gennaio scorso. Ora, secondo quanto scrive l’ANSA, ci ha di nuovo ripensato.
Intanto, contattata dall’Adnkronos, Ruocco afferma di non essere a conoscenza dell’ingresso di Giarrusso al suo posto: “Non so nulla, non mi è stato comunicato alcunchè”.
Un manicomio pentastelllato.

(da agenzie)

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LE PROMESSE IMPOSSIBILI DI LUIGI DI MAIO

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

NEL PROGRAMMA DEL M5S VI SONO MISURE CHE RICHIEDEREBBERO DECINE DI MILIARDI… E PENSARE DI TROVARE I FONDI RISPARMIANDO SUGLI SPRECHI E ‘ PURA FOLLIA (O EVIDENTE MALAFEDE)

La metamorfosi del Signor L., al secolo Luigi Di Maio, non è avvenuta in una sola notte, ma lentamente, giorno dopo giorno, fino alla pirotecnica kermesse pescarese di domenica 21 gennaio.
Nel corso della quale il giovane candidato premier 5Stelle si è impadronito del Movimento – o forse lo ha ereditato da Beppe Grillo, ridotto per l’occasione
a «megafono» – e ha sciorinato un programma di governo che avrebbe fatto la sua figura come relazione   al congresso di uno di quei partitoni che non ci sono più.
In quel documento, come avrete capito, c’è tutto e il contrario di tutto, comprese le balle che sono il sale delle campagne elettorali.
Ma per molti aspetti è assai interessante sfogliarlo visto che, per la prima volta da che esiste, il movimento prova a mettere insieme qualcosa di più delle cinque vaghe stelle programmatiche degli esordi. A quel tempo per fare proseliti contavano di più i vaffa, diciamo.
Intanto, quello che non c’è, o non c’è più.
Cassato, per esempio, il referendum sull’euro: con l’Europa matrigna si tratta, ma guarda un po’. Bene, un sano bagno di realismo.
Ma stupisce la disinvoltura con la quale
si vorrebbe far dimenticare una parola d’ordine che ha agitato le piazze per anni.
Non c’è più l’appoggio alle battaglie No Tav, e nemmeno il vangelo ambientalista legato al sogno della decrescita felice.
Ignorato il tema dell’immigrazione e pure quello, altrettanto sensibile, della lotta all’evasione fiscale che in verità  non ha mai fatto breccia nel cuore grillino: al contrario, si propone di abolire Equitalia e gli studi di settore, e certo gioiranno i piccoli imprenditori perbene, ma più ancora gli evasori incalliti con partita Iva.
Alle imprese Di Maio regala pure la chimera di 400 leggi da abolire, idea che ricorda l’allegro falò appiccato qualche anno fa dal ministro Calderoli davanti ai suoi uffici.
Foto memorabile, effetti zero.
In quanto al resto, si annuncia una generosa pioggia di denaro (pubblico).
Spicca il reddito di cittadinanza, ma senza l’enfasi del passato, un po’ ridotto, e non si sa se assorbirà    i bonus Renzi-Gentiloni. Ora fa da pendant, lato disoccupati, alla proposta delle pensioni minime a 780 euro netti.
Costo totale, una ventina di miliardi.
Ancora più corposa la sostituzione dell’odiata legge Fornero con i pilastri 41 – gli anni minimi di contribuzione per andare in pensione – e 100, somma tra età  e anni di contributi.
Che è come dire addio a buona parte dei 140 miliardi che la Fornero fa risparmiare da qui al 2020, 35 ogni anno.
Ora, è lecito sognare, ma se vuoi tenere in piedi il sistema previdenziale, il costo dei contributi devi pur scaricarlo da qualche parte.
E no, perchè lo stesso programma promette anche sgravi alle imprese (giù il cuneo fiscale) e meno tasse ai cittadini.
Doppio salto mortale.
Agli imprenditori, che sembrano i veri destinatari del nuovo grillismo versione Di Maio, si promette l’abolizione o la riduzione dell’Irap, dalla quale lo Stato incassa una ventina di miliardi l’anno; e ai cittadini, la rimodulazione delle aliquote Irpef per i ceti medi, un’altra quindicina di miliardi di minor gettito.
E visto che
ci siamo, il programma prevede pure più poliziotti, più magistrati, più professori…
A fare i conti della massaia, qui già    ci sono promesse per un centinaio di miliardi di euro. L’anno. E infatti, si dirà , è per questo che Di Maio chiede di sfondare il parametro del tre
per cento deficit-Pil concordato con l’Europa: per avere più margini di spesa.
Ma è come chiedere la luna, quel vincolo è scolpito nei trattati di Maastricht, impervio trovare un nuovo accordo, specie se il Paese è aggravato da 2400 miliardi di debito. Matteo Renzi, più accorto, si limitò   a invocare il 2,9 ma il fuoco di sbarramento fu tale che da allora   non ne ha parlato più.
Certo, tutto è possibile. Perfino   che i 5S riescano ad ammorbidire Bruxelles. Ma non a forzare la logica. Infatti, mentre si chiede di sforare il deficit, si promette un taglio del debito del 40 per cento in dieci anni, che tradotto in euro significa abbattere una settantina di miliardi l’anno.
Che sommati a quelli che si vogliono spendere…
Se vi dicono che tutti questi soldi si trovano risparmiando sulle spese superflue, non ci credete, sono chiacchiere: non c’è riuscito nessuno, nemmeno Bondi Mani
di forbice nè Cottarelli lo sbianchettatore, e neppure i sindaci grillini che, nel piccolo delle loro amministrazioni, non sono riusciti finora a risparmiare un euro.
Per quanto spregiudicato, deve saperlo lo stesso Di Maio. Che forse più che scrivere un serio programma di governo vuole lanciare un messaggio a imprese e famiglie – siamo dalla parte vostra – e un amo   a tutti gli altri partiti perchè siano loro a bocciare le sue proposte. Premessa a un’opposizione lunga e proficua.
Ma finora l’unico che gli ha risposto   è stato Matteo Salvini: quando ha saputo che non darà  il reddito di cittadinanza agli immigrati, anche   se regolari, ha invitato Di Maio
a scendere in piazza con lui. Luigi   come Donald: Italia first.

(da “L’Espresso”)

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POLTRONE GIREVOLI

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

SINDACI, GOVERNATORI ED EUROPARLAMENTARI PRONTI A MOLLARE L’INCARICO PER FARSI ELEGGERE IN PARLAMENTO

Avevano preso un impegno davanti ai loro elettori e ora sono già  pronti ad assumersene un altro senza tuttavia curarsi di onorare fino alla fine quello precedente.
Come trapezisti della politica, tentano di passare da un seggio a un altro seggio, purchè parlamentare.
Arrivano dai consigli comunali, regionali, da incarichi da governatore e dal Parlamento europeo per giocarsi un posto nella prossima legislatura nonostante avessero promesso che poi non sarebbero “andati a Roma” e che si candidavano “per restare”.
A volte la bulimia della poltrona può creare distorsioni surreali: in Calabria il consigliere regionale ex Fi Fausto Orsomarso è candidato nel listino alla Camera con Fratelli d’Italia. Se venisse eletto lascerebbe il suo posto all’ex assessore della giunta Scoppeliti Giacomo Mancini Jr, primo dei non eletti dei consiglieri nel 2014 per Forza Italia ma al tempo stesso, capolavoro della politica, candidato nel collegio uninominale di Cosenza per Montecitorio con il Partito Democratico. E pensare che è il nipote dell’omonimo statista del Psi – molto vicino a Pietro Nenni – che convinse Craxi a iniziare la Salerno-Reggio Calabria: a Cosenza gli hanno intitolato una via.
Per dire, i consiglieri di opposizione in Abruzzo sono rassegnati: la consiliatura è finita anche se si dovrebbe votare solo nel 2019 e il consiglio regionale non sarà  convocato prima delle elezioni del 4 marzo, “scelta vergognosa che descrive plasticamente lo stato comatoso di un esecutivo ormai ridotto in frantumi”, dicono da Forza Italia.
Il motivo? Il governatore Pd Luciano D’Alfonso è capolista nel listino per il Senato. In caso di elezione la legge gli mette a disposizione sei mesi per decidere l’incarico da ricoprire.
Quando iniziò a esplodere la polemica, il presidente provò a stopparla: “Sono contento di fare il presidente della Giunta regionale, lo voglio fare fino alla fine e chi mi chiede di candidarmi al Senato, quindi alle politiche, mi deve spiegare qual è la convenienza per l’Abruzzo e gli abruzzesi. Accetterò a queste condizioni”.
Avendo accettato, avrà  quindi ravvisato una “convenienza per gli abruzzesi”, senza tuttavia avvertire l’esigenza di comunicarla anche a loro.
Come in Abruzzo anche in Puglia è tutto fermo: stop ai lavori (tranne le commissioni purchè ci sia il numero legale) per 40 giorni, sono troppi i consiglieri candidati: Fabiano Amati, Marco Lacarra, Sergio Blasi, Donato Pentassuglia, Saverio Congedo, Giandiego Gatta e l’assessore Filippo Caracciolo. L’elezione di alcuni di questi candidati costringerebbe con ogni probabilità  il governatore Michele Emiliano a modificare la squadra della sua giunta. Nelle liste Pd candidata anche la presidente del Consiglio comunale di Lecce, Paola Povero.
Anche in Sardegna si rivota per le regionali nel 2019 ma il Pd candida i consiglieri regionali e presidenti di commissione Gavino Manca (plurinominale Sardegna Nord alla Camera), Antonio Solinas (uninominale Oristano) e Franco Sabatini (uninominale Nuoro alla Camera).
E Gianfranco Ganau, fra i più votati alle regionali del 2014 e presidente dell’assemblea, imputato a Sassari in procedimento penale per tentata concussione e tentato abuso d’ufficio per una vicenda che risale al periodo in cui era sindaco della città . Le storture però sono trasversali ai partiti.
A Milano dieci consiglieri comunali tentano la corsa per il Parlamento. Nella maggioranza ci prova al Senato Franco D’Alfonso (lista civica del sindaco Beppe Sala), ex assessore della giunta guidata da Giuliano Pisapia, che è stato candidato dal Pd in quota Insieme al collegio uninominale di Milano 2. Anche la consigliera Pd, Diana De Marchi, correrà  per il Senato (collegio uninominale Sesto San Giovanni).
Per Forza Italia correrà  invece Maria Stella Gelmini che a febbraio dell’anno scorso, garantiva: “Non sono un ‘big’ che si candida per poi andare a Roma. La mia scelta è Milano, e mi candido per rimanere in Consiglio comunale e portare il mio contributo di esperienza e di impegno alla città . Lavorare nell’aula di Palazzo Marino sarà  un onore”.
È candidata per la riconferma alla Camera all’uninominale di Desenzano e come capolista nel plurinominale a Brescia e Milano 1.
C’è poi il caso di Matteo Salvini, candidato premier della Lega con il dono dell’ubiquità : ha rinunciato a correre in un collegio uninominale ma è capolista in cinque listini al Senato (Calabria 1, Lazio 1 – Roma, Lombardia 4- Milano, Liguria 1, Sicilia 2). Il segretario del Carroccio è, come risaputo, anche deputato al Parlamento Europeo e, infine, consigliere comunale a Milano.
Tripletta per il “Capitano”, come lo chiamano i suoi fan.
Anche Luigi Amicone, vicino a Comunione e Liberazione nonchè fondatore di Tempi, è già  consigliere a Milano e candidato al Senato nel listino di Bologna, quota Forza Italia.
Nelle zone del terremoto, il sindaco leghista di Visso eletto nel 2014 Giuliano Pazzaglini è pronto, qualora venisse eletto, a dismettere la fascia da primo cittadino: il suo collegio è l’uninominale per il Senato ad Ancona-Macerata (con paracadute nel listino proporzionale) e dovrà  vedersela con il candidato di LeU Bruno Pettinari, legale di Nonna Peppina.
Sempre nelle Marche per il Carroccio ci saranno l’assessore di Treia Tullio Patassini, la consigliera comunale di Jesi Silvia Gregori. Anche Forza Italia attinge dal mondo dei rappresentanti del territorio: il sindaco di Cingoli, la vicepresidente del Consiglio Comunale di Macerata, la presidente del Consiglio Comunale di Urbino e altri. Ad Ascoli Piceno en plein: candidati sia sindaco che vicesindaco. Altri cittadini con la fascia tricolore candidati sono, per citarne alcuni: quello di Montefalco in Umbria (Lega), quello di Norcia e quella di Amelia (Forza Italia).
In Campania il Pd candida al Senato Stefano Graziano, già  consigliere regionale eletto nel 2015. Nel collegio vicino, in lista dopo Matteo Renzi, c’è Valeria Valente, consigliere comunale a Napoli (e deputata uscente) nonchè già  candidata sindaco (sconfitta) dei dem. Con lei c’è Mara Carfagna, anche lei consigliere a Napoli, che risulta capolista alla Camera per Forza Italia in due collegi plurinominali, quello di Napoli città  e quello della provincia nord di Napoli.
Quanto alla Regione, oltre a Graziano sono 10 i consiglieri in lizza per un seggio parlamentare: il presidente della commissione Sanità  Raffaele Topo, capolista nel plurinominale a Napoli Sud.
Anche Antonio Marciano è candidato al Senato, nel collegio uninominale Napoli-centro ovest. Nel collegio uninominale alla Camera di Santa Maria Capua Vetere è candidato Gennaro Oliviero. Eppoi, sempre in quota centrosinistra: Nicola Marrazzo, Francesco Borrelli e Maria Ricchiuti dell’Udc. Forza Italia schiera invece Flora Beneduce, coinvolta in un’inchiesta per voto di scambio insieme a Luigi Cesaro, noto al pubblico come Giggino a’ purpett, e Massimo Grimaldi. Con Fratelli d’Italia corre Luciano Passariello e l’ormai ex dopo il suo passaggio con Noi con l’Italia Alberto Gambino.
Tornando alla Liguria, singolare il caso anche di Patrizia Saccone: la più votata della Lista Toti alle comunali di La Spezia dopo aver rassegnato le dimissioni da assessore nella precedente giunta guidata dal Centrosinistra, ora corre per un posto alla Camera con Forza Italia: “Si riparte”, ha dichiarato con nonchalance.
A Savona nell’uninominale per il Senato il centrodestra ha piazzato Paolo Ripamonti, attuale assessore alla Sicurezza nel Comune; nel plurinominale Manuela Gagliardi, vicesindaco sempre a La Spezia.
C’è poi tutta la pattuglia di europarlamentari che scappano da Bruxelles: il gruppo più nutrito è quello del Pd, quattro su 31. Il presidente del Gruppo Socialisti e Democratici (S&D), Gianni Pittella si presenta in Campania 3 e al collegio uninominale del Senato in Basilicata, Nicola Caputo a Caserta, (collegio uninominale al Senato), Isabella De Monte a Udine, (collegio uninominale al Senato) e Elena Gentile, ad Andria (Puglia), anche lei al collegio uninominale al Senato.
Per gli azzurri correrà  Licia Ronzulli, ombra di Berlusconi e europarlamentare, in Puglia 2 come capolista per il Senato.
Nello stesso gruppo è presente Lorenzo Cesa (Unione di Centro), che invece si candida in Campania come capolista di Noi con l’Italia nel collegio di Nola.
Della quarta gamba del centrodestra c’è anche Raffaele Fitto, capolista alla Camera proporzionale Puglia 1 (Bari) Puglia 2 (Lecce) Puglia 3 (Taranto Brindisi).
Tra i leghisti, oltre Salvini c’è Lorenzo Fontana, candidato proporzionale a Verona provincia come capolista.
Diverso il discorso per i 15 eurodeputati del M5S, che rimarranno in Europa. Una delle regole dello statuto per le candidature è infatti quella di avere già  concluso il mandato. A chiudere l’ex sindaco di Padova, Flavio Zanonato, che dopo quattro anni a Bruxelles sarà  candidato al Senato nel collegio uninominale di Padova e della Bassa Padovana per Liberi e Uguali. “Corro in un collegio difficilissimo per difendere i valori della sinistra, dalla parte dei lavoratori, dei giovani precari e della povera gente”, ha detto Zanonato. Certa è infine la candidatura di Sergio Cofferati (LeU), ex segretario generale della Cgil, collegio Genova 3 uninominale per la Camera.
Ultimo appunto: le “poltrone girevoli” fanno presa anche sull’estrema destra.
A Trenzano, nel bresciano, il primo cittadino Andrea Bianchi è candidato alla Camera: è stato il primo sindaco eletto da CasaPound.

(da “Huffingtonpost”)

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ABOLIRE LE UNIONI CIVILI “PERCHE’ VANNO VERSO LA FINE DELL’UMANO”? LA DERIVA ILLIBERALE DEL CENTRODESTRA

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

MA NON ERANO “LIBERALI” CERTI PERSONAGGI? LO STATO NON DOVRA’ MAI AVERE IL POTERE DI DIRCI   COSA PENSARE… IL RICONOSCIMENTO DELLE UNIONI CIVILI E’ UN DOVEROSO ATTO DI CIVILTA’

«Le unioni civili saranno abolite perchè “vanno verso la fine dell’umano”…». È la promessa elettorale del centro-destra riunitosi durante il convegno “Oltre l’inverno demografico”, organizzato il 27 gennaio a Roma da Alleanza Cattolica e dal comitato Difendiamo i nostri figli in vista delle elezioni politiche del 4 marzo
A pronunciarla, “premiata” da uno scroscio di applausi, la parlamentare Eugenia Roccella, oggi candidata con Forza Italia per la Camera in Emilia Romagna nel collegio uninominale di Casalecchio di Reno.
Alla manifestazione erano presenti anche il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri di Forza Italia, Stefano Parisi, segretario nazionale di Energie per l’Italia, il leader leghista Matteo Salvini e la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni (fonte: “L’Espresso”).
Il centrodestra, insomma, sta sempre più rischiando di scrivere una paurosa (e inaccettabile) pagina retriva…
Ma non erano “liberali certi personaggi”?
Piaccia oppure no, non saremo mai tutti uguali. Le situazioni, e le stesse persone, saranno sempre diverse ed avere una normativa capace di saper dare risposte alle variegate situazioni che la vita propone, che la stessa libertà  e natura degli individui sentono ed avvertono, dovrebbe essere la condizione minima di una società  civile.
Molti si fanno distrarre dai preconcetti, dai dogmi, dalle “astruserie di concetto”, dimenticando il valore più importante di tutti nel rapporto tra individuo e “funzione di governo”: lo Stato non dovrà  mai avere il potere di dirci cosa pensare.
Il riconoscimento delle unioni civili è stato un significativo atto di civiltà  nei confronti di chi la pensa o è diverso da noi: tornare indietro, sarebbe davvero indecoroso.

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale

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QUANDO PARAGONE LITIGAVA CON ROCCO CASALINO E LO CHIAMAVA “BOTULINO”

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

IL GIORNALISTA SI ERA PRESO PURE UNA QUERELA DAL CAPO DELLA COMUNICAZIONE M5S… ORA SONO LINGUA IN BOCCA

Gianluigi Paragone, candidato a 5 Stelle, ha spiegato oggi ai microfoni di Radio Cusano Campus quale potrebbe essere il suo ruolo all’interno del partito di Grillo.
Quello, ad esempio, di essere l’uomo del dialogo post voto tra Movimento Cinque Stelle e la Lega (non più Nord) di Matteo Salvini.
In fondo Paragone conosce bene il linguaggio leghista, avendo diretto per diversi anni il quotidiano La Padania che sotto la sua direzione ad aprile 2005 commentò con il titolo a tutta pagina «La favola di Finocchio» l’apertura di Zapatero sulle nozze gay.
L’ex conduttore de La Gabbia è anche tornato su una questione che lo aveva visto contrapposto al leader della comunicazione a 5 Stelle Rocco Casalino rivelando di aver fatto pace con l’ex concorrente del Grande Fratello.
Nel 2015 Paragone raccontò su Facebook — a riprova della sua caratura morale — che i rapporti personali con il 5 Stelle erano “pessimi” e rivelando di essere stato querelato da Casalino perchè “l’ho canzonato con il nomignolo Botulino”.
In quel periodo i rapporti tra il M5S e Paragone erano piuttosto tesi.
Ma non per la querela sul nomignolo affibbiato dall’ex direttore della Padania.
Il motivo era la partecipazione degli esponenti pentastellati al programma di Paragone. Qualcuno forse se l’è dimenticato ma c’è stato un tempo in cui i grillini avevano la consegna di non andare troppo in televisione.
Paragone avrebbe voluto che anche i parlamentari del 5 Stelle si misurassero in confronti diretti con gli avversai politici invece che con le classiche interviste apparecchiate senza contraddittorio.
In un tweet del 2014 Paragone si rivolse a Casalino invitandolo ad uscire dalla casa del Grande Fratello.
In pratica i grillini non accettavano le regole del talk show e Paragone se ne ebbe a male continuando a perseguitare per un po’ Casalino. Ad esempio mandando un’inviata de La Gabbia ad Italia a 5 Stelle al Circo Massimo (ottobre 2014) a chiedere ossessivamente a Casalino se “era vera la storia del botox”.
Ora a quanto pare i due hanno fatto finalmente pace. Anche perchè adesso sarà  Casalino a dire a Paragone dove potrà  andare a parlare e in che modo partecipare ai talk show.
Nel frattempo segnaliamo che Paragone qualche minuto fa ha twittato “mediazioni con la Lega? Forse è bene aprire bene le orecchie..” e linkando l’intervista a Dalla vostra parte dove annuncia di voler andare a caccia dei voti della Lega e di fare quello che la Lega storica faceva e non fa più.
Che abbia già  cambiato idea o che si sia espresso male?

(da “NextQuotidiano“)

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QUANDO NICOLA CECCHI (M5S) SFOTTEVA DI MAIO CON IL TWEET DI VITTORIO FELTRI

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

ERA APPENA DICEMBRE 2017, QUANDO IN UN TWEET RICORDAVA CHE DI MAIO NON HA MAI LAVORATO IN VITA SUA…ORA E’ CANDIDATO ALLA CAMERA PER IL M5S

Oggi Nicola Cecchi ha blindato il suo profilo Facebook.
Quello su Twitter lo ha proprio cancellato, ma per i più curiosi è ancora disponibile una copia cache.
Come è emerso ieri Nicola Cecchi, candidato del MoVimento 5 Stelle all’uninominale in Senato a Firenze 1, dove sfiderà  Matteo Renzi, è stato iscritto al Partito Democratico fino al 2016 e ha fatto anche campagna elettorale per il referendum sulle riforme voluto dall’allora premier.
Anche se Cecchi non ha mai ricoperto alcun incarico di partito o abbia avuto cariche elettive è stato — come ha ammesso lui stesso — iscritto al PD.
Se ne è andato però, come ha scritto ieri su Facebook “dopo aver visto ciò che è diventato con Matteo Renzi”.
Cecchi dice di esserne uscito “deluso e amareggiato, come molti altri iscritti ed elettori di centrosinistra”.
Non si spiega in ogni caso come mai abbia sostenuto le ragioni dei Sì al referendum costituzionale del 2016. Disciplina di partito (il partito di Renzi..) oppure convinzione personale?
In entrambi i casi non sembra esserci molto margine per poter stare all’interno del MoVimento 5 Stelle. Un partito che Renzi lo ha sempre criticato e che sulla riforma della Costituzione voluta fortemente da Renzi e dall’allora ministra Boschi ha sempre detto di essere contrario.
A leggere quello che rimane del profilo Twitter di Cecchi rimaniamo col dubbio. Quando è che ha lasciato il PD e ha scoperto che Renzi aveva profondamente trasformato il partito? Perchè il 16 dicembre 2017 Cecchi retwittava un post del Segretario PD contro i tagli alle pensioni d’oro proposti da Di Maio.
C’è da dire che il “deluso da Renzi” non lo è sempre stato. Nel 2013 Cecchi scriveva “Renzi finalmente sta facendo quello che aveva promesso”. Incoraggiando il Segretario PD ad andare avanti così.
Due giorni dopo Cecchi retwittava il direttore di Libero, Vittorio Feltri, che sfotteva di Maio ricordando che “prima di entrare in politica nei 5 stelle non aveva mai lavorato”. Un’inesattezza, perchè tutti sanno che Di Maio ha fatto lo steward allo stadio San Paolo. Un’attività    della quale il Capo Politico del M5S non si vergogna.
Come ha ricordato il 16 gennaio a CorriereLive “facevo lo steward in tribuna autorità , facevo accoglienza per i VIP, per le autorità  quindi lo facevo anche a livello buono“.
Qualche giorno prima Cecchi scherzava sulle sfide incrociate tra Renzi e Salvini e Salvini e Di Maio parlando di “prendere tre piccioni con una fava”.
Un paio di settimane fa Cecchi continuava a retwittare il leader dei Dem, questa volta per smentire la fake news di Berlusconi sul trattato di Dublino.
Per trovare qualche cinguettio critico su Renzi bisogna tornare al 2014 quando un evidentemente deluso Nicola Cecchi, se la prendeva con il Renzino e cogitava su possibili prospettive future di Forza Italia, per l’occasione rinominata in Forza Renzi. Naturalmente a tutti è concesso di cambiare idea nella vita, anche più di una volta come ha fatto Cecchi che ora ha deciso di mettersi al servizio del Paese “con una forza coerente e trasparente come il MoVimento 5 Stelle”.
Rimane qualche dubbio sulla scelta di candidare proprio Cecchi. A quanto pare la selezione delle candidature fatta personalmente da Luigi Di Maio non è stata così ferrea. Per non dire che non c’è stata perchè il fatto che siano stati proposti personaggi come l’ammiraglio Veri o Cecchi fa capire bene che non c’è stato alcun controllo.
Verrebbe quasi da dire che il M5S avrebbe fatto prima ad appaltare ai giornali la scrematura dei candidati, sicuramente i tanto vituperati giornalisti avrebbero fatto un lavoro migliore in meno tempo.

(da “NextQuotidiano“)

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TANTE CHIACCHIERE ZERO DUELLI, I BIG SE LA FANNO SOTTO E NON SI SFIDANO NEI COLLEGI UNINOMINALI

Gennaio 30th, 2018 Riccardo Fucile

NEI COLLEGI POCHE SFIDE GUSTOSE: BOSSI-PARAGONE, SGARBI-DI MAIO, CASINI-ERRANI, D’ALEMA-BELLANOVA

Alla fine niente scontro finale, niente Armageddon.
Doveva essere una lotta all’ultimo sangue fra i vari leader di partito, che in modi e tempi diversi si erano tutti ripromessi a vicenda di sfidarsi nei rispettivi collegi uninominali di appartenenza.
Promesse e minacce rivelatesi pistole scariche alla prova dei fatti. Matteo Renzi, Luigi Di Maio, Pietro Grasso e Giorgia Meloni si tengono a distanza siderale l’uno dall’altro in vista delle prossime elezioni.
Ancor più Matteo Salvini, che non raccoglie nessuna sfida in quota maggioritaria del Rosatellum, optando per la guida di cinque circoscrizioni plurinominali.
E così, volendo tirare una linea sotto la giornata di presentazione delle liste e provare ad abbozzare un bilancio, i motivi d’interesse vanno cercati altrove.
Doveva essere una zavorra da nascondere, occultare in qualche collegio sperduto fuori dai riflettori. Invece la vera protagonista è lei. Maria Elena Boschi è sì candidata nel collegio uninominale di Bolzano (dove l’elezione sembra assicurata, con l’unica incognita della sfidante forzista Micaela Biancofiore a insidiarla), ma figura anche in cinque listini plurinominali (Cremona, Lazio 3 e in tre circoscrizioni siciliane).
Superata in questa speciale classifica solo dalla collega di governo Marianna Madia (1+6).
E se Matteo Renzi ha utilizzato le fedelissime per ovviare alla regola dell’alternanza di genere fra uomo e donna, candidandole laddove sicuramente rinunceranno per far posto agli uomini secondi o terzi in lista, è innegabile che la sovraesposizione della zarina del renzismo è un segnale non trascurabile della trasformazione del Pd in una creatura a immagine e somiglianza del suo segretario.
Dall’altra parte, Silvio Berlusconi non sembra avere nessuna intenzione di inimicarsi il leader del partito che potrebbe rappresentare un piano B da dopo il 5 marzo in caso di implosione del centrodestra.
Il segnale forte viene lanciato a Roma. Il candidato prescelto per sfidare Paolo Gentiloni è Luciano Ciocchetti, politico di lungo corso passato per tutte le declinazioni possibili dello scudocrociato, schierato da Noi con l’Italia, il quarto partner della coalizione, con poche speranze di elezione.
Un competitor morbido, che non dovrebbe dare grandi grattacapi al premier uscente. Prova a spezzare la cavalcata dell’inquilino di Palazzo Chigi il Movimento 5 stelle, candidato Angiolino Cirulli, un imprenditore presentato da Di Maio come “uno degli azzerati del decreto salva-banche”.
Azione di disturbo che il frontrunner stellato dovrà  invece subire nel suo collegio di Acerra, dove si troverà  lanciato contro un cliente scomodo come Vittorio Sgarbi, candidato dal centrodestra.
Dovrebbe avere vita facile a Latina Giorgia Meloni, contrapposta a Tommaso Conti di Leu, Federico Fautilli del Pd, e Leone Martellucci del M5s.
Poche possibilità  invece a Palermo per Pietro Grasso, anche se, per ovvie ragioni di percentuali, la partita di Liberi e Uguali si gioca interamente sulla quota proporzionale, dove il presidente del Senato verrà  ripescato.
Renzi dovrebbe avere vita facile a metter piede in quel Senato che voleva abolire passando per il suo collegio fiorentino. Suggestiva qui l’interdizione della Lega, che con la più radicale fra le scelte possibili gli candida contro l’economista-polemista antieuro Alberto Bagnai.
Parlando di leader, due tra i duelli appassionanti coinvolgono da un lato Umberto Bossi e dall’altro Massimo D’Alema. Entrambi avranno come obiettivo finale l’accesso a Palazzo Madama. Il senatùr – sempre che all’ultimo non gli venga preferito Adriano Galliani – se la giocherà  a Varese con un avversario di peso.
Il Movimento 5 stelle mette in campo Gianluigi Paragone, per anni direttore dell’organo di partito della Lega, il quotidiano La Padania. D’Alema nel suo Salento incrocerà  le spade con l’agguerrita senatrice uscente dei 5 stelle Barbara Lezzi e con l’altrettanto battagliera viceministro dello Sviluppo economico Teresa Bellanova, candidata dal Pd
Come nel caso Renzi-Bagnai, altra sfida che si prospetta aspra è quella che avverrà  a Siena, terra squassata dalle recenti vicende del Monte dei Paschi.
Sarà  infatti Claudio Borghi, consigliere economico di Salvini e già  candidato presidente della Toscana, a tentare di sfilare la sedia su cui Pier Carlo Padoan sembrerebbe potersi accomodare con una certa facilità .
Tutti i ministri uscenti non dovrebbero avere grandi difficoltà  nell’affacciarsi nel nuovo Parlamento (Minniti a Pesaro, De Vincenti a Sassuolo, Franceschini a Ferrara, Pinotti a Genova, Fedeli a Pisa, Lorenzin a Modena).
Da segnalare i casi di Graziano Delrio (Reggio Emilia) e Luca Lotti (Empoli), unici a non avere il paracadute proporzionale, sia pur candidati in zone che appaiono più che blindate per i Dem.
Tra i big non si può non citare Bologna, dove a contendersi un posto saranno Pier Ferdinando Casini per il centrosinistra, Vasco Errani sotto le insegne di Liberi e Uguali, e la presidente di Confedilizia Bologna Elisabetta Bruni in qualità  di indipendente di centrodestra.
In casa Leu due nomi di peso come quelli di Pier Luigi Bersani e Laura Boldrini dovranno vedersela rispettivamente con la Pd Alessia Rotta a Verona e con l’influente deputato M5s Manlio Di Stefano nel terzo collegio di Milano.
Guardando ai 5 stelle e scendendo verso Sud, da segnalare due sfide interessanti a Roma. Carla Ruocco, che sembrava dovesse contendere il collegio a Gentiloni, sfiderà  invece il segretario radicale Riccardo Magi. Mentre il professor Lorenzo Fioramonti, economista e astro nascente della new wave grillina, proverà  a superare il presidente Pd Matteo Orfini nelle borgate della zona este della capitale. Rimanendo a Roma, Emilio Carelli, tra i pochi volti nuovi presentati da Di Maio e dotati di un peso specifico autonomo, se la vedrà  con il giovane Pd Tobia Zevi, Senato, mentre Emma Bonino, Leader di + Europa, dovrà  competere con due avversari poco noti, come Laura Lauri (Leu) e Claudio Consolo (M5s).
Girando per il Belaese non si possono non segnalare altri casi interessanti.
La giornalista Francesca Barra, candidata da Matteo Renzi, sfiderà  a Matera il bersaniano Filippo Bubbico, ex viceministro dell’Interno.
La collega di partito Chiara Geloni se la vedrà  a Massa con l’ex sottosegretario Cosimo Ferri. Infine curiosa la sfida di Agropoli. Franco Alfieri, balzato all’onore delle cronache tempo fa per le parole di Vincenzo De Luca che lo invitava a offrire “fritture di pesce” in cambio di voti, se la vedrà  con la grillina Alessia D’Alessandro. Professione? Consigliera economica della Merkel.

(da “Huffingtonpost”)

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