Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
LA MAIL DEL 13 MARZO CHE INCASTRA I FRANCESI: LA DOGANA FRANCESE SI LAMENTAVA CON LE FERROVIE ITALIANE DI NON POTER PIU’ USARE LA SALA DI BARDONECCHIA PERCHE’ OCCUPATA DA ALTRI… L’ATTEGGIAMENTO ARROGANTE TENUTO DAI GENDARMI, MA LA POLIZIA ITALIANA DORMIVA? E SE FOSSERO STATI TERRORISTI?
I poliziotti francesi potevano utilizzare “il locale della stazione che è a loro disposizione“, in base a un “accordo Italia-Francia del 1990 sulla cooperazione transfrontaliera”.
Questo quanto sostiene Parigi riguardo ai controlli effettuati su un migrante dai loro agenti nel locale di Bardonecchia usato dalla ong Rainbow4Africa.
Una versione, quella fornita dal ministro francese dei Conti pubblici, Gèrald Darmanin, che sia la Farnesina che il Viminale, ritengono “non soddisfacente e inesatta” per un semplice motivo: i francesi sapevano che i locali della stazione dove è avvenuto il blitz non erano nelle loro disponibilità e che dunque non potevano utilizzarli per controlli e attività .
A dimostrarlo c’è una mail di un funzionario della Dogana francese scritta il 13 marzo scorso a Rfi nella quale lamenta proprio l’impossibilità da parte degli agenti francesi di potere usare la sala di Bardonecchia “perchè occupata da altra gente”.
Secondo gli avvocati, l’accordo italo-francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana in vigore è quello firmato a Chambèry il 3 ottobre 1997, non quello del 1990.
E in ogni caso, spiegano i legali, l’intesa “non prevede l’imposizione di analisi mediche e accertamenti sanitari come quelli svolti venerdì sera a Bardonecchia
La ricostruzione dei fatti di Caterina, una volontaria di Rainbow4Africa.
“Eravamo in questa stanza, sono arrivati all’improvviso, hanno fatto irruzione”, spiega la donna. Gli agenti francesi hanno costretto il giovane nigeriano a seguirli nel locale e a sottoporsi al test delle urine: “Veniva da Parigi ed era diretto verso Napoli non stava andando in Francia — sostiene — Tremava, aveva paura. Quando un nostro mediatore culturale ha fatto notare agli agenti che non si stavano comportando nel modo giusto, per risposta gli hanno detto di stare zitto”.
I doganieri, sempre secondo Caterina, avrebbe fornito delle “basi” con le quali giustificare l’intervento diverse da quelle indicate dal ministro francese: “Hanno sostenuto che per una concessione delle Ferrovie del 1963 potevano utilizzare quel locale e hanno detto che non avevamo diritto di sindacare sul loro operato. È stato allora che abbiamo chiamato il sindaco e poi la nostra polizia”.
Viene da chiedersi a questo punto perchè la nostra polizia non sia intervenuta subito.
Il fatto che non sia stata avvisata dalla gendarmeria francese è acclarato, ma come è possibile che agenti stranieri armati “entrino nella nostra giurisdizione” senza che nessuno se ne accorga e li blocchi.
E se fossero stati terroristi?
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
JOHN, 31 ANNI, A SETTEMBRE AFFRONTO’ UN MALVIVENTE ARMATO DI MANNAIA CHE AVEVA APPENA RAPINATO UN SUPERMERCATO A ROMA
John Ogah, il cittadino nigeriano di 31 anni che a settembre affrontò un malvivente armato di mannaia che aveva appena rapinato un supermercato alla periferia di Roma, riceverà il battesimo da papa Francesco durante la veglia pasquale a San Pietro.
Il 26 settembre fuori da un Carrefour Express, dove da sei mesi chiedeva l’elemosina, Ogah aveva disarmato e messo ko un rapinatore.
Un italiano di 37 anni, che con una mannaia in mano si era appena fatto consegnare 400 euro dalla cassiera. Le telecamere del supermercato avevano immortalato la scena, e il video acquisito e diffuso dai carabinieri (che hanno poi arrestato il rapinatore, già condannato in direttissima a 4 anni di carcere) aveva fatto di John un paladino della legalità per i residenti del quartiere.
“E’ straordinario. Sono molto emozionato – commenta John Ogah all’ANSA – ringrazio il pontefice che ha accolto il mio desiderio. Ho sempre avuto una grande fede e questo mi ha aiutato nella vita”.
John Ogah, che dopo il suo gesto eroico ha ricevuto il permesso di soggiorno, su proposta dei carabinieri del Comando provinciale di Roma, da qualche mese ha un impiego stabile e un tetto sotto cui dormire.
Il giovane nigeriano lavora alla Croce rossa come magazziniere. Cattolico dalla nascita, qualche tempo fa avrebbe espresso il desiderio di ricevere il battesimo da Papa Francesco e stasera quel desiderio si avvererà .
Il padrino di battesimo, su sua esplicita richiesta, sarà il capitano Nunzio Carbone, comandante della Compagnia di Roma Casilina che per primo prese a cuore la sua vicenda.
“È una forte emozione”, commenta Carbone. “Dopo avere affrontato il rapinatore – ricorda – Ogah si era dileguato perchè non perfettamente in regola con i documenti. Noi lo abbiamo rintracciato e il suo gesto eroico è stato premiato. Da qualche mese ha un lavoro stabile e una casa”.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
UNA SERIE DI DOCUMENTI PROVA CHE I GENDARMI FRANCESI SAPEVANO CHE NON POTEVANO ENTRARE NELLA STRUTTURA A SEGUITO DI COMUNICAZIONI SCRITTE TRA FERROVIE DELLO STATO E DOGANA FRANCESE… L’ACCORDO DI CHAMBERY ESCLUDE INOLTRE CHE LA FRANCIA POSSA IMPORRE CONTROLLI SANITARI SUL NOSTRO TERRITORIO
L’Irruzione degli agenti francesi nel centro migranti di Bardonecchia suscita sdegno e rabbia e assume le caratteristiche di un incidente internazionale.
A seguito dell’incontro con l’ambasciatore francese a Roma, Christian Masset, convocato alla Farnesina, il ministero ha emesso un duro comunicato: “A seguito di quanto accaduto a Bardonecchia nella serata di venerdì 30 marzo, il Ministero degli affari esteri ha immediatamente chiesto spiegazioni alle autorità francesi, sia tramite l’ambasciata di Francia a Roma, sia tramite la nostra ambasciata a Parigi. Non avendo ricevuto alcuna giustificazione per il grave atto (considerato del tutto al di fuori della cornice della collaborazione tra Stati frontalieri), si è deciso di convocare oggi pomeriggio, alla Farnesina, l’ambasciatore di Francia in Italia, Christian Masset. In tale occasione, il Direttore Generale per l’Unione Europea, Giuseppe Buccino Grimaldi, ha rappresentato all’ambasciatore la ferma protesta del Governo italiano per la condotta degli agenti doganali francesi, ritenuta inaccettabile e ha manifestato, al contempo, disappunto per l’assenza di risposte alle nostre richieste di spiegazioni. Il Direttore Generale Buccino ha altresì mostrato all’ambasciatore Masset lo scambio di comunicazioni intervenuto nel corrente mese tra Ferrovie dello Stato italiane e Dogane francesi, da cui emerge chiaramente come queste ultime fossero al corrente che i locali della stazione di Bardonecchia precedentemente accessibili ai loro agenti non lo sono più, essendo adesso occupati da una organizzazione non governativa a scopo umanitario. Peraltro, proprio per discutere insieme della questione, i due Paesi avevano deciso di incontrarsi presso la Prefettura di Torino il prossimo 16 aprile a livello tecnico.Quanto avvenuto mette oggettivamente in discussione, con conseguenti e immediati effetti operativi, il concreto funzionamento della sinora eccellente collaborazione frontaliera.”
“VIOLATO UN PRESIDIO SANITARIO”
«L’accordo italo francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana in vigore è quello firmato a Chambery il 3 ottobre 1997 e non prevede l’imposizione di analisi mediche e accertamenti sanitari come quelli svolti ieri sera a Bardonecchia», hanno riferito all’Ans fonti legali vicine alle ong. È stata una «grave ingerenza nell’operato delle Ong e delle istituzioni italiane», si legge in una nota diffusa da Rainbow4Africa, che ricorda: «un presidio sanitario è un luogo neutro, rispettato anche nei luoghi di guerra».
E il sindaco di Bardonecchia, Francesco Avato: «Non avevano alcun diritto di introdursi lì dentro. Non si permettano mai più. Quella è una stanza gestita dal Comune con dei mediatori: i volontari di Raimbow4Africa, come altre realtà , collaborano con il progetto. L’accesso alla sala è possibile solo agli operatori autorizzati”
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
SE LA POLIZIA ITALIANA FOSSE INTERVENUTA ARRESTANDO I GENDARMI FRANCESI ORA NON CI SAREBBERO TANTE DISCUSSIONI INUTILI, BASTAVA APPLICARE LA LEGGE
L’ambasciatore francese a Roma, Christian Masset, è stato convocato alla Farnesina in relazione all’episodio di Bardonecchia, dove cinque agenti delle dogane francesi hanno fatto irruzione in una sala della stazione gestita dal Comune in cui operano i volontari della ong Rainbow4Africa, che danno assistenza ai migranti respinti dalla Francia e a quelli che tentano la traversata al confine.
Lo fanno sapere fonti della Farnesina. “Abbiamo chiesto spiegazioni al governo francese e all’Ambasciata di Francia a Roma, attendiamo a breve risposte chiare, prima di intraprendere qualsiasi eventuale azione”, avevano fatto sapere poco prima fonti del ministero.
Ma a Parigi nessuno sembra avere intenzione di chiedere scusa, anzi.
Nel pomeriggio interviene, con una nota, il ministro francese dei Conti pubblici, Gèrald Darmanin, cui fanno capo i doganieri: “Al fine di evitare qualsiasi incidente in futuro, le autorità francesi sono a disposizione di quelle italiane per chiarire il quadro giuridico e operativo nel quale i doganieri francesi possono intervenire sul territorio italiano in virtù di un accordo (sugli uffici di controlli transfrontalieri) del 1990 in condizioni di rispetto della legge e delle persone”, si legge nel comunicato firmato dal ministro.
La brigata ferroviaria delle dogane francesi di Modane era di controllo sul Tgv Parigi-Milano, spiega il comunicato del ministro francese.
“Gli agenti hanno sospettato di un viaggiatore di nazionalità nigeriana e residente in Italia in merito a un eventuale detenzione corporea di stupefacenti”.
“In applicazione dell’articolo 60bis del codice delle dogane gli agenti hanno chiesto alla persona il permesso di procedere a un test delle urine e la persona ha accettato per iscritto”.
Gli agenti, spiega la nota, hanno quindi atteso l’arrivo del treno per utilizzare i locali attinenti alla stazione di Bardonecchia messi a disposizione della dogana francese in applicazione degli accordi del 1990 degli uffici transfrontalieri”.
Gli stessi locali, si legge, “erano da qualche mese messi a disposizione di una associazione per i migranti e gli agenti hanno sollecitato la possibilità di accedere ai sanitari, permesso che gli è stato accordato”.
Il controllo, prosegue la nota “si è rivelato negativo, nondimeno i membri dell’associazione hanno chiesto che la persona rimanesse con loro”.
Vi sono almeno quattro palesi balle:
1) I gendarmi francesi non hanno a disposizione un bel nulla, devono chiedere il permesso alla polizia italiana, cosa che non hanno fatto.
2) I locali della stazione era nella disponibilità d’uso della gendarmeria francese 27 anni fa, quando erano operativi, non da quando sono stati utilizzati per altri fini dopo un periodo di disuso
3) Ammesso che il nigeriano fermato (esame urine risultato poi negativo) avesse dato il permesso per le analisi queste andavano fatte in territorio francese non italiano.
4) E’ falso che la Ong abbia dato il permesso per l’utilizzo dei locali che sono stati presi di autorità , tanto è vero che i medici hanno chiamato la polizia italiana.
Quindi Parigi ha perso l’occasione per tacere .
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
ECCO LE REGOLE CHE LA POLIZIA FRANCESE NON HA RISPETTATO… SALVINI PERDE UN’OCCASIONE PER TACERE: VUOLE ESPELLERE I DIPLOMATICI FRANCESI CHE NON C’ENTRANO UNA MAZZA, SENTIRE IL SERVO DI PUTIN PARLARE DI SOVRANITA’ E’ COME ASCOLTARE UNA PUTTANA CHE PARLA DI VERGINITA’
Non è vero che la polizia francese non può girare armata in territorio italiano e non è vero che non può fare controlli o altre indagini, ma deve avvertire i colleghi italiani. E’ tutto scritto nel trattato di Schengen che regola i rapporti tra gli Stati.
I doganieri che ieri hanno fatto irruzione nella saletta di Bardonecchia non avrebbero potuto farlo se non avvisando i colleghi del commissariato di Bardonecchia.
Una cosa diversa è il loro ruolo sui treni: c’è un accordo che permette alla polizia italiana di controllare i vagoni anche oltre il confine, fino a Modane, e ai francesi di arrivare fino a Bardonecchia.
Il problema è quel che accade, una volta scesi dal treno, sul territorio italiano.
In quel caso gli articoli 40 e 41 del trattato di Schengen sono molto specifici: un inseguimento è possibile, così come un’operazione di polizia ma è necessario avvisare il paese su cui la polizia straniera sta operando e – se non è stato possibile avvisare prima per il carattere urgente dell’operazione – è obbligatorio richiedere l’intervento della polizia italiana.
In altre parole ieri sera i doganieri – se hanno ritenuto necessario controllare immediatamente lo straniero fermato dal treno e sottoporlo al test delle urine – avrebbero dovuto farlo chiedendo l’intervento della polizia di Bardonecchia.
Nella saletta gestita dal Comune, dove operano volontari e mediatori culturali delle associazioni che offrono assistenza ai migranti, poi, i doganieri non avrebbero potuto entrare: prima che scoppiasse l’emergenza migranti al Colle della Scala, infatti, quella saletta – di proprietà delle ferrovie dello stato – in effetti era stata data in concessione alla polizia francese, negli anni ’90 ma la saletta era caduta in disuso e adesso la possibilità dei francesi di usare quello spazio era decaduto.
Pertanto i gendarmi francesi hanno violato due regole e andavano arrestati in attesa che le diplomazie risolvessero il problema.
Quanto a Salvini che chiede di espellere i diplomatici francesi invece di quelli russi, è semplicemente ridicolo perchè in questo caso i diplomatici non c’entrano una mazza.
Comprendiamo che deve leccare il fondoschiena in ogni occasione al suo datore di lavoro russo, da buon “sovranista sovietico”, ma c’è un limite alla decenza.
Qua doveva intervenire il suo amico Minniti (che infatti non viene attaccato da Salvini) ma in questo caso nessuno ha eliminato con il gas un avversario politico.
Salvini riservi le fiale dell’ex agente del Kgb a miglior causa.
(da agenzie)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
APERTURE ANCHE A FORZA ITALIA: “SOLO SENZA BERLUSCONI”
I colonnelli del Movimento 5 Stelle si stringono l’uno all’altro, compatti. «Luigi Di Maio è il nostro premier», ripetono ad ogni ora del giorno, «nessun altro se non lui». Le dichiarazioni, tutte uguali, si affastellano l’una sull’altra, come nel tentativo di nascondere una debolezza, camuffare una verità scomoda, crearne una nuova.
Il passo indietro di Di Maio sulla premiership al termine del secondo giro di consultazioni, per poi convergere sul Pd, è un’idea tanto concreta quanto pericolosa, almeno in questo momento.
«Abbiamo posto il paletto di Di Maio a Palazzo Chigi», ragionano i vertici Cinque stelle, «se ora mettessimo in discussione il nostro stesso punto, indeboliremmo la nostra posizione nelle trattative».
Di Maio è nervoso. Si aggira intorno a Montecitorio, tutt’uno con il suo smartphone, i modi sono bruschi, il volto scuro come non si vedeva da tempo.
D’altronde, ogni giorno che passa senza un governo, la sua leadership si indebolisce. Per questo gli uomini del quartier generale grillino stanno cercando di serrare i tempi.
Il metodo da seguire continua ad essere quello dei due forni, come ribadisce Emilio Carelli: «Dialogo con tutte le forze politiche, a destra e a sinistra, nell’interesse del Paese, affinchè si faccia un governo».
Da una parte, quindi, si sondano gli umori in casa Pd, dopo le posizioni dialoganti espresse da Dario Franceschini e Andrea Orlando.
La forza contrattuale dei dem, oggi, non è certo quella di cinque anni fa. Ci scherzano su Alessandro Di Battista e Giulia Sarti: «Te li ricordi nel 2013? E ora invece li vedi piccoli piccoli».
Il boccino, però, è sempre nelle mani del Pd, chiamato a decidere se seguire la posizione morbida di Franceschini e aprire ai Cinque stelle oppure seguire la linea dura di Matteo Renzi, fisso all’opposizione. «Il forno del Pd si sta scaldando in queste ore», conferma una fonte con un ruolo di peso all’interno del Movimento.
«Quello con il centrodestra, invece, è già caldo», ma trova il sostegno soprattutto dei vertici del Movimento, più che della sua base parlamentare, rimasta scottata dall’elezione di Elisabetta Casellati alla presidenza del Senato: «Ci siamo rimasti malissimo», ripetono in tanti. Il veto, però, per come le trattative si stanno intavolando in questi giorni, riguarda solo ed esclusivamente Silvio Berlusconi e la sua presenza dentro il partito.
«Siamo contrari al Cav, non a Forza Italia», è il punto dei vertici M5S.
La soluzione andrà quindi trovata all’insegna della creatività e della fantasia. «Se riuscissero a completare un’operazione di make up, allontanando Berlusconi, e favorendo una figura di garanzia, potremmo includere Forza Italia senza problemi», è il messaggio chiarissimo che arriva dai piani alti del Movimento.
Adesso, si dovrà giocare sulle tempistiche. L’obiettivo del M5S è arrivare a meta entro tre settimane. Comunque, prima delle regionali, per togliere un’arma alla Lega. Sul tragitto, le consultazioni, tra le acque tranquille del primo giro, e quelle tumultuose della settimana successiva, dove più di un equilibrio potrebbe essere spostato.
E il più grosso problema di Di Maio, in questo momento, potrebbe proprio essere quello di far trasparire tutta la sua impazienza, di non reggere alla pressione dell’attesa, sapendo che ogni giorno che passa, tra le mille telefonate e le passeggiate frenetiche intorno a Montecitorio, la sua leadership si indebolisce sempre di più.
Fino a quando qualcuno potrebbe chiedergli di fare un passo indietro, per il bene del Movimento.
(da agenzie”)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
L’EX CAV FA APPELLO AI RESPONSABILI, L’ALLEATO E’ PER TORNARE AL VOTO
Silvio Berlusconi, sempre in contatto diretto senza intermediari con Matteo Salvini, ha capito quanto sia difficile trovare un’intesa con Luigi Di Maio.
Nei colloqui privati con il capo della Lega sente aprirsi sotto i piedi la faglia di nuove elezioni.
«Silvio, se non riusciamo a fare un governo come centrodestra o con i 5 Stelle, io non sono disposto a sostenere un’ammucchiata con tutti dentro, anche se vestita da governo del presidente».
La prossima settimana al capo dello Stato il leader leghista dirà di essere pronto a fare di tutto per trovare una maggioranza con i pentastellati, di non voler accampare pretese di incarichi da premier a vuoto, cioè esplorativi.
Spiegherà che le maggiori difficoltà vengono dai grillini. Tutte cose che il presidente della Repubblica sa già perfettamente. Ma il ragionamento di Salvini avrà una curvatura ben precisa: se tutte queste trattative, colloqui telefonici, sms, compreso un possibile faccia a faccia con Di Maio tra martedì e mercoledì, dovessero risultare vani, ecco che allora che si aprirebbe la strada del ritorno alle urne.
Il punto verrà fatto dopo le regionali di Friuli e Molise che per la Lega dovrebbero servire per mandare un segnale forte e chiaro al Colle, ma soprattutto a Di Maio: siamo i più forti, siamo in crescita di consensi ovunque.
«Gli stessi sondaggi, per quanto possano valere, lo dicono», sottolinea Salvini, che fa notare che il suo partito continua a crescere. Evita però di evidenziare è il calo di Forza Italia. Il Carroccio sta divorando gli azzurri. Cosa che maliziosamente fa notare Paolo Romani, sconfitto nella corsa alla presidenza del Senato e sostituito come capogruppo da Anna Maria Bernini: «Ai sondaggi non ci crede più nessuno, ma ormai Forza Italia è la metà della Lega! Vogliamo fare una riflessione al riguardo?», scrive in un tweet Romani, che pubblica un sondaggio che indica la Lega al 21% e Fi al 12%.
Rischiare di scivolare piano piano verso le elezioni sarebbe mortale per Berlusconi. A Salvini, almeno a parole, non fa paura. «A me non spaventa il voto… prima proverò in ogni maniera possibile a dar vita a un governo», dice dalle vacanze di Ischia.
Accordo in alto mare, nonostante tutti gli sforzi che sta facendo Giancarlo Giorgetti. Ma mentre lui tiene stretti rapporti con M5S, Forza Italia guarda con preoccupazione al paletto posto dai grillini: Berlusconi dovrebbe nascondersi.
«Ma il nostro leader – precisa uno di più stretti collaboratori dell’ex Cavaliere – non ha intenzione di scomparire per fare un piacere a Di Maio. Non si tratta di fare una photo opportunity. Il problema di fondo è che venga riconosciuto che Salvini sta trattando anche per Berlusconi».
Ogni giorno che passa cresce la distanza su cosa fare se dovesse fallire la grande coalizione centrodestra-5 Stelle.
Il leghista Massimiliano Fedriga, la mette così. «Allo stato attuale, con prese di posizione personalistic
he come quella di Di Maio “o io premier o niente”, è più facile che si vada elezioni». Esattamente quello che Berlusconi vuole evitare a tutti i costi. Ieri ha diffuso una nota per esprimere la soddisfazione per le donne di Fi elette ai vertici istituzionali e dei gruppi parlamentari.
Il messaggio politico più rilevante era però l’appello a «tutte le forze politiche responsabili» per affrontare una legislatura complessa. Un appello ai parlamentari «responsabili» che non voglio tornare a votare, senza escludere un governo del presidente.
È proprio su questo punto che cresce la divisione tra Berlusconi e Salvini. Non è un caso che ogni gruppo parlamentare del centrodestra andrà per conto proprio alle consultazioni del Quirinale. Il leader azzurro ha convocato ad Arcore (forse addirittura il giorno di Pasqua) le neo capigruppo Gelmini e Bernini per mettere a punto una strategia alternativa.
Eppure la richiesta ai giudici di Milano di essere riabilitato, dopo tre anni dall’esecuzione della pena, presentata a metà marzo al tribunale di Milano, sembrava aprire la possibilità di tenersi pronto a nuove elezioni nazionali oppure a quelle europee. Come candidato questa volta. Era stato lo stesso Berlusconi a sostenere che il deludente risultato elettorale era stato causato della sua assenza nelle liste. Ma ad Arcore credono poco a una risposta positiva del tribunale. E, in ogni caso, riabilitazione o no, meglio un governo del presidente che le urne.
(da “La Stampa”)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
PER LA PREMIERSHIP TRE GIURISTI… ORA RENZI TEME DI RESTARE SOLO
Pazienti, in attesa, i giocatori della partita sanno che si dovrà consumare senza esiti il primo giro di consultazioni al Quirinale prima che si faccia sul serio.
Davanti a una selva di microfoni, appena usciti dallo studio alla vetrata, la prossima settimana i vari leader mostreranno i muscoli, parleranno agli italiani ancora il linguaggio della campagna elettorale.
Eppure, sotto la superficie, molti sono già al lavoro per «aiutare» Mattarella a trovare una quadra superando i due maggiori ostacoli che oggi si frappongono al governo M5S-Pd-LeU: Matteo Renzi e Luigi Di Maio.
Il primo luogo dove si combatte la battaglia è dentro e attorno al Partito democratico. Le uscite di Andrea Orlando e Dario Franceschini, terminali di un disegno più alto, rispondono infatti a un unico scopo.
Preparare il terreno per un cambio di gioco, oltre il recinto aventiniano dove Renzi spera di rinchiudere i dem. Ma ancora è presto, prima devono consumarsi tutti i passaggi politici e costituzionali delle consultazioni.
«Noi — spiega uno dei registi dell’operazione — non possiamo appoggiare un governo Di Maio. Nessuno nel Pd può spingersi a tanto. Lo stiamo facendo capire ai Cinquestelle. Ma è giusto che ci arrivino piano piano».
I contatti con Franceschini e Orlando, tramite i grillini Emilio Carelli e Danilo Toninelli, sono frequenti e il ragionamento che viene esposto dai dem è sempre lo stesso: individuiamo insieme un programma limitato, offriteci un presidente del Consiglio votabile, un profilo «alla Rodotà », e una discussione si può aprire. Nonostante Renzi.
«Anche il programma va impostato su punti chiari, che “parlino” ad entrambi gli elettorati ed escludano di fatto il centrodestra: legalità , lotta alla corruzione, difesa del lavoro, contrasto alla povertà . Oltre ovviamente alla legge elettorale».
In questo ragionamento si riconoscono non soltanto i due ex-ministri. Ma anche alcune grandi figure di riferimento che, con discrezione e senza apparire, stanno spingendo pezzi di Pd in quella direzione.
Nelle conversazioni ricorrono sempre i nomi di Romano Prodi e Giuliano Amato. Anche il percorso politico è in qualche modo già abbozzato. Perchè a metà aprile, esaurito appunto senza esito il primo giro di consultazioni, nel Pd si aprirebbe una discussione vera. Pesante.
Con una dichiarazione di smarcamento dallo schema renziano per bocca dello stesso Paolo Gentiloni. Un vero e proprio appello che dovrebbe suonare come un tana libera tutti. Nella speranza che anche l’ex segretario alla fine si pieghi o venga messo in minoranza.
I nomi che circolano per guidare questo governo sono tre e tutti di giuristi di altissimo profilo: Giovanni Maria Flick, Paolo Grossi e Giorgio Lattanzi.
I primi due ex presidenti della Corte costituzionale, l’ultimo — Lattanzi – presidente in carica
. È quel «governo della Consulta» che si era affacciato proprio all’indomani del voto, poi inabissatosi nel calore dello scontro politico.
A questo schema si tornerebbe – nella speranza di quella parte del Pd fuori dall’ortodossia renziana – anche per scongiurare il progetto alternativo che viene attribuito all’ex segretario dem.
Ovvero quello di accodarsi a un governo di centrodestra, purchè non guidato da Salvini ma da un leghista meno contundente come Giancarlo Giorgetti.
Renzi sa bene cosa si sta muovendo alle sue spalle. E non è un caso, viene spiegato, se Andrea Marcucci, il fedelissimo capogruppo al Senato, ieri abbia sparato proprio in quella direzione: «Il Pd non sosterrà mai nessun governo del M5S. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente».
I due leader che in campagna elettorale più si sono combattuti – Renzi e Di Maio – in questa fase sono tatticamente alleati per evitare ogni soluzione che passi sopra le loro teste.
Come quella rivelata ieri da La Stampa e attribuita a Max Bugani , un Cinquestelle della prima ora: passo indietro di Di Maio e dialogo con il Pd.
Ieri mattina, in un Transatlantico deserto, nonostante gli strali del quartier generale grillino che smentiva le parole di Bugani, un rilassato Alessandro Di Battista ad alcuni deputati di sinistra confidava: «Quella di Bugani? Una sua opinione personale». Per ora.
(da “La Stampa“)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
LA VERSIONE DELLL’UOMO SMENTISCE QUELLA DELL’ON COVOLO E DEL FAMIGERATO BITONCI
Rachid, profugo ghanese di 22 anni che ha vissuto all’hub di Bagnoli e sei mesi fa si è trasferito a Padova,dove divide un appartamento con altri migranti e frequenta i corsi della cooperativa che lo segue, è la persona che ha colpito l’onorevole leghista Silvia Covolo alla stazione cittadina l’altroieri.
Ma la sua versione dei fatti è completamente diversa da quella data ieri da Covolo e dall’ex sindaco Massimo Bitonci.
«Non ho dato schiaffi all’onorevole leghista»
«Ho alzato il braccio verso il tabellone per indicare l’orario del treno a un amico in partenza per Bologna, l’ho allargato proprio mentre passava quella donna e l’ho colpita per sbaglio, senza alcuna intenzione di farle male», ha detto lui al Corriere del Veneto oggi.
E non finisce qui: «Subito dopo -continua Rachid — mi sono avvicinato, ho tolto il cappello e mi sono inginocchiato per chiedere scusa: la donna mi ha detto che andava bene così, mentre l’uomo (Bitonci, ndr) ha detto che scusarsi non bastava, ha preso il cellulare e mi ha scattato una foto senza chiedere permesso».
A quanto pare le telecamere possono confermare soltanto in parte la versione di Rachid o quella di Bitonci: da un lato si vede la Covolo che scende dal treno e va verso l’uscita della Stazione, dall’altro Rachid nell’atrio con alcuni amici.
A questo punto i protagonisti escono dall’inquadratura e rientrano solo quando il fatto è già avvenuto, con Rachid che chiede scusa e Bitonci che scatta la foto.
La versione di Bitonci e Covolo
Questa la versione dei fatti fornita dall’onorevole Covolo: «Avevo valigia, borsa e zaino. Stavo camminando a una decina di metri dai miei colleghi con cui ero arrivata a Padova da Roma, gli onorevoli Bitonci e Racchella, che erano poco più avanti. Si sono avvicinati in tre e mi hanno colpita. Io chiaramente ho urlato il mio disappunto, così i due colleghi si sono accorti che stava succedendo qualcosa. Eravamo subito fuori la stazione. Poi questi si sono avvicinati, visibilmente alterati, ma quando Massimo Bitonci ha palesato l’intenzione di chiamare la polizia se la sono data a gambe».
Silvia Covolo — che è avvocato — ha però deciso di non sporgere denuncia, «avrei dovuto farla contro ignoti, che senso avrebbe avuto?».
Per Bitonci invece il dato preoccupate è che in stazione non ci fosse nessuno a garantire la sicurezza «Ho dovuto sbracciarmi per farmi vedere da una macchina della polizia municipale».
Il commento del Presidente della Commissione Sicurezza Luigi Tarzia
Luigi Tarzia, presidente della Commissione Consiliare Sicurezza e Qualità della Vita del Comune di Padova è intervenuto questa mattina a commentare l’episodio che ha visto come protagonista l’onorevole Silvia Covolo. «Ferma restando la dichiarazione rilasciata ieri, a nome dell’Amministrazione comunale, di preoccupazione e di completa solidarietà su quanto accaduto in stazione all’onorevole Covolo» Tarzia sottolinea come la narrazione della vicenda abbia suscitato non poche perplessità .
Scrive Tarzia a neXt Quotidiano:
All’onorevole Bitonci è utile ricordare che da quando amministriamo noi la città la vigilanza in stazione è garantita da due pattuglie della polizia locale, con un servizio fisso e dinamico, dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 19 e poi fino alle 24 da una sola, con un servizio solo dinamico, garantito anche durante il fine settimana.
Alla vigilanza della Polizia Locale si aggiunge, sull’intera area della stazione, anche il servizio appiedato reso dall’Esercito per il tramite dell’Operazione Strade Sicure. Inoltre sull’area della stazione, su sollecitazione dell’amministrazione Giordani, vengono svolti mediamente due controlli interforze alla settimana predisposti e coordinati direttamente dal Questore
Stamane leggendo la rassegna stampa sembra si stiano rafforzando le perplessità su quanto accaduto. È utile attendere l’approfondimento dei fotogrammi delle videocamere, ma sono sicuro che se le scuse per un gesto involontario fossero state espresse da un “bianco” sarebbero state sicuramente accettate! Invece poichè sono state fatte da una persona di “colore” non sono state prese in considerazione ed anzi sono state prontamente strumentalizzate con la solita tecnica leghista: attaccare l’Amministrazione comunale, creare un certo procurato allarme ed infine gettare ancora fango sulla nostra città !
(da “NextQuotidiano”)
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