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I GIOVANI PADANI VOLTANO LE SPALLE AL NORD, SI CAMBIA NOME PER ORDINE DI SALVINI, MA C’E’ CHI ABBANDONA: “SCELTA VIGLIACCA, E’ COME TOGLIERE IL CROCIFISSO AI CRISTIANI”

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

VIA IL SOLE DELLE ALPI, IL LEONE DI SAN MARCO, L’INDIPENDENZA DELLA PADAGNA E ANCHE ALBERTO DI GIUSSANO PER CARPIRE QUALCHE VOTO AL SUD: “SALVINI SEI UN VENDUTO, CON IL 18% NON VAI DA NESSUNA PARTE, HAI DISTRUTTO IL MOVIMENTO”

Mentre Salvini coltiva ambizioni governative, in casa Lega fa discutere la perdita di identità : “Nei prossimi giorni il nome del movimento Giovani Padani sarà  cambiato in Lega giovani“.
A spiegarlo è il coordinatore federale del Mgp Andrea Crippa — 31 anni e un biglietto per Roma staccato nel collegio uninominale di Bollate — in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.
Una notizia che ha fatto trasalire i vecchi militanti, tanto che da qualche ora nelle bacheche digitali dei più nostalgici è tutto uno sfogo: “Questa volta il sogno è finito davvero”.
La scelta di Crippa si inserisce nel solco tracciato da Matteo Salvini, che nei mesi scorsi ha definitivamente traghettato il partito oltre il Po, togliendo la parola Nord dal simbolo e creando un partito nazionalista a sua immagine e somiglianza.
“Si sono organizzati gruppi di giovani in tutte le regioni — spiega Crippa -. In Lazio, Umbria, Calabria e Abruzzo i numeri sono davvero importanti. Avrebbe poco senso continuare con il nome storico”.
La scelta della svolta nazionale del Movimento Giovani Padani va nella stessa direzione imboccata dal partito, depurato di qualsiasi riferimento al Nord e al passato secessionista.
L’archiviazione del passato procede a passi serrati. Sul tavolo del consiglio federale di lunedì prossimo ci sono le nuove tessere del partito. Anche in questo caso vecchi simboli e vecchi nomi lasceranno spazio a quelli nuovi, via il Sole delle Alpi, il leone di San Marco, via l’indipendenza della Padania e — teme qualcuno — via anche l’Alberto da Giussano. Il simbolo tra i simboli.
Domenica mattina, alla scuola politica di Milano, Salvini si è premurato di appuntarsi al petto la spilla con l’effige storica, puntualizzando che “il nostro simbolo di lotta e di libertà  non si tocca” spiegando poi che lo stesso andrà  messo “a disposizione di milioni di italiani che fino a poco fa ne erano lontani”.
Insomma, Salvini spiega le ragioni del mutamento di pelle: “C’è anche un mondo che non ci ha votato, che magari nelle regioni del Centro e nelle regioni del Sud non ha avuto la forza di votare la Lega. Quindi dobbiamo non solo rispondere a chi ci ha dato fiducia, ma anche parlare a quel mondo che ha fatto altre scelte elettorali ma che è pronto a sostenerci”.
Insomma, cari vecchi leghisti, per mangiare la torta bisogna ingoiare anche il boccone amaro.
Sarà . Ma sono in molti a non gradire. “Assistiamo a un venduto che si presta ad un processo di romanizzazione e di annullamento della causa leghista… è il sud che vuole portare nella bara tutto il paese con se” e, ancora: “Col 18% Salvini non va da nessuna parte… ha solo distrutto un grande movimento“.
Un commento, tra le centinaia che scorrono sui social network in queste ore di dibattito interno, riassume alla perfezione la posizione dei nostalgici: “Prima tolgono la parola Nord dal nostro simbolo, adesso l’Alberto da Giussano, tutto sempre per ‘non turbare la sensibilità  dei nuovi elettori mediterronei’. Lo considero un gesto vile, al pari di quelli che non festeggiano il Natale o tolgono il Crocifisso per ‘non turbare la sensibilità  dei mussulmani’“.
Se tra le fila leghiste c’è chi ancora oggi si immolerebbe per un Nord indipendente, va rilevato che nel dibattito 2.0 non mancano i sostenitori dell’operato del segretario. Sono i nuovi adepti, quelli folgorati sulla via di Damasco, che saliti sul Carroccio salviniano ammoniscono i malpancisti: “Bravi dividiamoci pure noi così torniamo all 0,6%.”
Salvini dal canto suo,   ritiene marginali le voci di dissenso interno (lo accusano di aver ‘affossato la gloriosa Lega Nord per riesumare la putrida Alleanza Nazionale’), lanciando anche una prossima stagione congressuale, utile negli intenti a marginalizzare ulteriormente le voci di dissenso rimaste.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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MARINE LE PEN IN CADUTA LIBERA NEI SONDAGGI, LA SUA IMMAGINE E’ PRECIPITATA IN UN ANNO: I SOVRANISTI SCHIATTANO, QUESTIONE DI TEMPO

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

IL SONDAGGIO LE MONDE   CERTIFICA UN CALO DI GRADIMENTO E CREDIBILITA’ TRA IL 10% E IL 20% … E’ A UN LIVELLO PIU’ BASSO DAL 2010 , PRECIPITATO AL 16%

Sondaggi in caduta libera per Marine Le Pen.
Secondo uno studio dell’istituto Kantar-Sofres, pubblicato da Le Monde, tutte le cifre sono in ribasso sul gradimento della presidente del FN.
A definirla come una leader “impegnata” è il 66% degli intervistati (-14% rispetto al 2017) mentre il 49% la ritiene in grado di prendere decisioni (-20%).
A pensare che la Le Pen comprenda i problemi dei francesi è il 40% (-9%), il 30% ritiene che sia in grado di attirare adesioni anche fuori dal suo partito (-12%) e soltanto il 26% pensa che abbia delle idee nuove per risolvere i problemi della Francia (-10%).
Appena dieci mesi dopo l’inizio delle presidenziali francesi, la sua immagine secondo i sondaggisti d’oltralpe è crollata: chi la giudicava simpatica è sceso dal 35% al 25%, chi la considerava una buona presidente della Repubblica è calato dal 24% al 16%, un livello ancora più basso del peggiore indice del Front National di Jean Marie Le Pen, il 18% del 2010.
Con il congresso di Lilla di oggi e il cambio di nome in Rassemblement National, l’ultimo disperato tentativo di invertire la rotta.

(da agenzie)

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L’AUTISTA CHE LASCIA A PIEDI I PROFUGHI DA CHI PUO’ ESSERE DIFESO SE NON DALLA LEGA? A QUANDO LA TESSERA DI REGIME PER POTER SALIRE A BORDO DI UN BUS?

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

UN SOGGETTO DA LICENZIARE IN TRONCO E PROCESSARE PER DIRETTISSIMA ORA DIVENTA UNA VITTIMA, ROBA DA SGANASCIARSI SE NON FOSSE TRAGICA

Alla fermata del bus c’erano solo migranti e l’autista proditoriamnete non si è fermato.
E’ successo non una ma per ben due volte, in dicembre, su una delle linee di bus di Trentino Trasporti: lo hanno segnalato gli stessi profughi parlando con gli operatori. Dalle verifiche è emerso il nome dell’autista: Moreno Salvetti, 42enne ex assessore e ora consigliere comunale di Avio, braccio destro del sindaco, già  noto alle cronache per le sue ‘sparate’ politiche piuttosto ruvide.
L’accusa è quella brutta di razzismo: sono neri, li lascio a piedi.
Il sindacato Uil Trasporti lo difende in modo esilarante: “Ha agito in buona fede”.
L’azienda e gli uffici dell’assessorato ai trasporti si sono subito attivati per verificare se la mancata fermata trovasse conferma anche nel sistema di rilevazione satellitare del mezzo, che è in grado di indicare con precisione data e ora di ogni evento a bordo autobus.
“Per quanto accertato – spiega ancora la Provincia – dalla società  congiuntamente con la Provincia, la condotta si è concretizzata in una ripetuta violazione degli obblighi, con conseguente turbativa al regolare svolgimento del Servizio Pubblico con danno anche all’immagine della società “.
Moreno Salvetti, che guida gli autobus da vent’anni, dovrà  affrontare un provvedimento disciplinare ma forse anche un processo.
La Procura è stata informata. Rischia il licenziamento e rischia di dover pagare anche i danni d’immagine a Trentino Trasporti.
Sul caso interviene anche la neo-deputata della Lega Nord Vanessa Cattoi cin una dichiarazione allucinante: “Solidarietà  all’autista di Trentino Trasporti che rischia il licenziamento. Scelte come queste da parte dell’azienda rischiano di alimentare ulteriormente l’insofferenza dei cittadini nei confronti della presenza di migranti”.
Cioè se un autista non compie il suo dovere per razzismo la colpa è degli immigrati che vengono lasciati a terra pur avendo il biglietto.
Una dichiarazione che in un Paese civile avrebbe determinato il decadimento dalla sua carica di parlamentare per apologia dell’illegalità .
Una vergogna per la Nazione, c’è da aver paura se sul bus sale una tizia del genere, altro che i profughi.

(da agenzie)

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“VI SPIEGO COME FUNZIONA LA MACCHINA DELLA PROPAGANDA M5S: COSI’ DISTRUGGONO I LORO NEMICI”

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

PARLA ARNALDO CAPEZZUTO, EX CAPO DELLA COMUNICAZIONE M5S IN CAMPANIA… SI SCONTRO’ CON IL GRUPPO DIRIGENTE E FU MANDATO VIA

«La macchina del fango social non esisteva solo in Veneto. Anzi. È così dappertutto, e c’è una regia nazionale».
Chi parla così è Arnaldo Capezzuto, giornalista, ex capo della comunicazione ufficiale del M5S in Campania, la regione dei pezzi grossi Luigi Di Maio, Vincenzo Spadafora, Dario De Falco.
Capezzuto non è stato solo l’addetto alla comunicazione ufficiale M5S in Campania, ma l’uomo che ha messo in piedi l’ufficio comunicazione in Regione.
Un testimone oculare eccezionale. Parliamo con lui dopo che è esploso giorni a febbraio il caso della “macchina del fango” ufficiale M5S, quando emersero le istruzioni date in chat dal capo della comunicazione ufficiale veneta M5S ai candidati grillini: trovate qualunque cosa per distruggere gli avversari.
Succede anche altrove, Capezzuto?  
«Pure a me capitava. Quando stavo qua in Regione»
Chi le girava, queste istruzioni?
«Rocco Casalino. Casalino ha la rete, i gruppi. Gestisce una serie di gruppi con tutti quelli che facevano comunicazione regionale».
Lei che ruolo aveva?  
«Ero il capo della comunicazione M5S in Campania».
La figura del Veneto era il suo omologo?
«Sì. Tutti noi capi facemmo anche una riunione, a Milano, da Davide Casaleggio, in cui ci spiegava tutta la piattaforma Rousseau. In quell’occasione io fui l’unico che faceva piccole fotografie alle varie schede. Casaleggio si fermò e mi disse “ma lei che fa?. Qua non si fanno foto e non si registra, si prendono solo appunti delle cose più importanti, poi noi vi manderemo il materiale”».
Non un inno alla trasparenza.
«Nella pausa tra una slide e l’altra, Casaleggio jr diceva ad esempio “adesso, quando andate fuori, trovate un messaggio che possa servire, in modo indotto, alle battaglie del Movimento. Inventatevi cose che abbiamo fatto qua dentro.”. Invece quella era una seduta normale in cui stava spiegando Rousseau. Loro ce l’hanno, questa cosa. Dopo quell’incontro a Milano, hanno fatto queste liste, tutti gli uffici comunicazione delle Regioni in una lista whatsapp. Coordinate da Casalino; anche se lui sta al Senato ha tutto in mano. Poi c’è l’esperto di twitter, l’esperto di Facebook, e così via».
Ci può spiegare come funziona in pratica questa macchina?
«Funzionava così: nella pagina del gruppo regionale – che fa tot condivisioni, tot mi piace, eccetera – loro che dicono? Dato che in due anni tutte queste pagine regionali sono assai cresciute, loro – quando c’è una cosa importante anche a livello nazionale – per cui dovevamo organizzare una controffensiva, ci dovevamo coalizzare tutte le pagine su un obiettivo. “Io vi dico l’obiettivo – ci veniva detto – e voi procedete”».
Cioè in sostanza vi veniva detto: questo è l’obiettivo, distruggetelo?  
«Bravo. Ci dicevano “voi, con modalità  diverse, dovete veicolare questi contenuti che noi vi facciamo e vi trasmettiamo”. Loro monitoravano tutte le pagine di Facebook. In quell’occasione vennero consegnati tutti i vari indirizzi web, e tutti gli accessi».
Stiamo parlando delle pagine ufficiali.  
«Pagine ufficiali, collegate all’attività  istituzionale di promozione del lavoro dei consiglieri M5S».
Le password chi le aveva?  
«Un incaricato di Casalino diventò amministratore in tutte le pagine d’Italia di sostegno all’attività  regionale. Ma così anche degli enti locali, così anche delle altre strutture. Loro che facevano? Da Roma, da Milano, dove stava Casaleggio, questo incaricato ogni giorno faceva i diagrammi del flusso del movimento delle pagine e dei like. Quando dovevano fare attacco, ci dicevano: “Questo è il contenuto, Veneto, alle ore così fate questo; Campania, alle ore così fate questo”»
Anche con obiettivi di black propaganda?  
«Sì. Quando tornai in Regione feci una riunione con tutti i consiglieri e dissi loro: sentite, io ho partecipato a un bando pubblico, sono un giornalista, la pagina regionale ufficiale M5S l’ho creata io, e non mi presto a questo gioco. La Ciarambino (Valeria, ex candidata regionale M5S, fedelissima di Di Maio, ndr.) disse “no, tu non ti devi permettere”».
Su questo lei fu mandato via, non le fu rinnovato il contratto?  
«Sì, e anche sugli attacchi indiscriminati che loro facevano. Avviso di garanzia? “Sei un mafioso”, “sei un cattivo”, eccetera. Le faccio l’esempio più clamoroso che mi ha toccato, il caso Graziano, un esponente del Pd molto importante, accusato di concorso esterno in associazione camorristica, poi assolto, già  dallo stesso pm. Io, prima di fare gli attacchi, avvisai tutti, Ciarambino e tutti i consiglieri: “Andateci cauti, dissi, ho letto le carte, diciamo solo che è un’accusa grave, ma nell’inchiesta, credetemi, non c’è niente, non c’è l’utilità  e il ritorno diretto del consigliere”. Graziano, in quell’occasione, decresce, nei consensi. Non c’era prova. In seguito a quei fatti mi hanno cacciato. Non volevo sporcarmi facendo quelle cose».
Che successe?  
«Chiamai Casalino. Era l’estate 2016. Ho tutto conservato, slide, fotografie, screenshot. Gli dissi: “Non sono d’accordo con voi, io non posso fare questa cosa, con questi contenuti aggressivi e non accertati”».

(da “La Stampa”)

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JUS SOLI: GRAVEMENTE MALATO, SENZA CITTADINANZA PERDE POSSIBILITA’ DI CURARSI, LA BATTAGLIA DEI GENITORI DI AHMED

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

L’APPELLO AL PRESIDENTE MATTARELLA PER LE CONSEGUENZE DI UNA NORMA ASSURDA

Nel 1999 una giovane coppia dello Yemen raggiunge l’Italia per far operare il figlio neonato all’Ospedale Pediatrico Apuano di Massa.
Diciannove anni dopo, i genitori affidatari temono che Ahmed, se non avrà  la cittadinanza, possa perdere il diritto di farsi curare in Italia.
Per questo, con il supporto del Comune di Massa, fanno appello al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Arrivato dallo Yemen a un anno di vita per curare una grave cardiopatia, Ahmed è cresciuto a Massa con una coppia che si era detta disponibile ad ospitarlo due mesi, il tempo delle cure, ma visto l’aggravarsi del quadro clinico si è trovata a farsi carico di lui fino a oggi, quando il ragazzo, affetto da una grave forma della sindrome di DiGeorge, di anni ne deve compiere venti.
Ahmed non parla, riesce a comunicare solo a gesti, dipende totalmente dall’assistenza dei suoi genitori affidatari, eppure, se non interverrà  il Presidente della Repubblica, unico ad avere la facoltà  di concedere la cittadinanza fuori dalle consuete procedure, il ragazzo rischia di perdere la possibilità  di curarsi in Italia
Ahmed nasce nel novembre del 1998 ad Hajjah, villaggio abbarbicato sui monti a nord ovest dello Yemen. Affetto da una grave forma di cardiopatia, grazie al sostegno di una ditta italiana dove il padre del bambino lavorava come operaio, a San’a, nella capitale, il piccolo riesce a raggiungere l’Ospedale Pediatrico Apuano di Massa, dove viene operato d’urgenza e gli viene salvata la vita.
Dopo diversi mesi, il quadro clinico si complica ulteriormente, ma i genitori di Ahmed, Amen e Khaleda, si vedono costretti a tornare nello Yemen, dove hanno lasciato altri due figli piccoli.
Vista la criticità  del quadro clinico, il bambino viene dato in affidamento dai servizi sociali di Massa Carrara a Luciano Ricci e Adriana Fruzzetti, che lavorando proprio nel reparto di cardiochirurgia pediatrica hanno le competenze necessarie per prendersi cura del piccolo, che nei primi dieci anni di vita arriverà  ad affrontare 12 interventi chirurgici.
Tuttora, per tutta la durata della notte necessita di un respiratore automatico. Tra i paesi più poveri del mondo, dal 2015 lo Yemen è anche sconvolto dalla guerra. Così i genitori di Ahmed, con cui la famiglia affidataria è sempre rimasta in contatto, hanno visto devastare il loro paese dai bombardamenti dell’Arabia Saudita, che anche con un importante contributo dell’industria delle armi made in Italy, ha raso al suolo anche obiettivi civili come scuole e ospedali.
Questo è il quadro che rende impraticabile qualunque ipotesi di adozione, ma anche ogni possibile garanzia per il mantenimento in salute di Ahmed nello Yemen
Nel 2016, i genitori affidatari di Ahmed hanno ottenuto, in accordo con i servizi sociali di Massa Carrara, la proroga dell’affidamento fino al 2019.
Al compimento dei 21 anni, non esistendo la possibilità  di prorogare l’affidamento, nessuno sa quale sarà  la situazione giuridica del ragazzo.
Un permesso di soggiorno per cure mediche, oggi, oltre all’enormità  di procedure burocratiche e i costi spropositati che potrebbero andare a carico del ragazzo, che resterebbe senza alcun titolo giuridico a casa della famiglia Ricci.
Inoltre, non essendo infatti, quella di Ahmed, una sindrome che ‘sulla carta’ richiede terapie specifiche e continue, pur necessitando di un monitoraggio costante e l’utilizzo di dispositivi medici che non tutti saprebbero maneggiare, è possibile che il tribunale, come purtroppo è già  avvenuto per casi analoghi, respinga la richiesta di permesso per ragioni sanitarie, sostenendo che le cure mediche non siano “necessariamente da svolgere in Italia”
Se il permesso per motivi di salute non venisse accordato, l’unica alternativa resterebbe quella del permesso per motivi umanitari, a sua volta messo a rischio dalle “promesse elettorali” presenti nel programma condiviso dalla coalizione di centro destra di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, che rivendicano continuamente il loro “massimo impegno” per abolire la “protezione umanitaria”, rendendo di fatto un rischio concreto il mancato rinnovo del permesso e il contestuale provvedimento di espulsione per Ahmed.
“Anche se questo cortocircuito non dovesse avvenire, e il tribunale accogliesse la richiesta di permesso per ragioni sanitarie, senza cittadinanza che diritti avrebbe Ahmed?”
La paura dei genitori affidatari non è infondata, perchè se infatti il Servizio Sanitario Nazionale è previsto finchè un minore è in affidamento e preso in carico dai servizi sociali, questo accesso gratuito sarebbe messo a rischio, e le frequenti cure a cui Ahmed, senza preavviso, spesso deve sottoporsi, ricadrebbero integralmente sulla famiglia Ricci, sempre che gli venisse accordato il ruolo di tutori, fatto, anch’esso, non scontato.
Per questo, Luciano Ricci e Adriana Fruzzetti, che fino a oggi hanno scelto di condurre la loro lotta a basso profilo, tentando tutte le vie istituzionali, arrivano ad appellarsi direttamente al Presidente della Repubblica per fare avere la cittadinanza ad Ahmed, una richiesta che anche il Comune di Massa ha fatto sua, attraverso i servizi sociali, inoltrando una raccomandata urgente al Prefetto di Massa Carrara Enrico Ricci, affinchè facesse l’appello giungesse al Quirinale.
Purtroppo però, a un’anno di distanza dall’invio della lettera, non è arrivata nessuna risposta, e i genitori non sanno se, in qualche modo, le istituzioni sono intenzionati ad aiutarli a uscire da questo labirinto burocratico, d’altra parte, se è vero che la cittadinanza possa essere conferita” nell’interesse dello Stato, per meriti speciali, come una grazia o un premio”, è inevitabile pensare che Ahmed, con la sua ostinata voglia di vivere, la meriti.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ORFINI: “NON AIUTEREMO LA NASCITA DEL NUOVO GOVERNO, QUANDO SI PERDE SI VA ALL’OPPOSIZIONE”

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

“E’ LEGITTIMO CHE M5S E LEGA SI DIVIDANO LE PRESIDENZE DI CAMERA E SENATO”

Per il presidente del Pd Matteo Orfini, “è legittimo e ragionevole” che Lega e M5S si dividano le presidenze di Camera e Senato. “Non mi sembra ci siano le condizioni per cui la presidenza di una Camera vada a un rappresentante del Partito democratico”. Quanto alla futura leadership del Pd, Orfini allontana le primarie e indica la preferenza per un’elezione del segretario nella plenaria Dem.
Ospite a Mezz’ora in più su Rai Tre, Orfini chiude seccamente la porta a ogni spiraglio di sostegno a un governo M5S. “Non aiuteremo la nascita del nuovo governo”, chiarisce il presidente Pd, che aggiunge: “Qualora sostenessimo un governo del M5S, in varie forme, sarebbe la fine del Pd”.
“Secondo me quando si perde si sta all’opposizione: il voto parla chiaro. Non si può immaginare che il Pd vada al governo. Noi abbiamo perso, non si aiuta la nascita di un governo in questi casi. Non esiste in natura un accordo tra Pd e M5s”.
“Considero il tentativo di obbligare il Pd a fare la scelta contronatura” di appoggiare un un governo M5S “una sorta di stalking”.
“Il governo M5s e Lega c’è già “, sostiene l’esponente Dem.
“In Parlamento hanno votato sempre insieme e oggi anche un personaggio come Bannon parla della possibilità  di questo governo. Sono sovrapponibili più di qualsiasi altra forza e lo si è visto anche in campagna elettorale”.
Sull’ipotesi di un governo del presidente con tutti dentro, “vedremo”, risponde Orfini, “è uno scenario totalmente diverso. Non mi sembra ci sia la disponibilità  delle principali forze. Non dettiamo la linea al presidente della Repubblica, siamo rispettosi del ruolo di tutti ma abbiamo un mandato dei nostri elettori che avremo il dovere di rispettare”.
Renzi andrà  alle consultazioni al Quirinale? “No, evidentemente no. E domani non credo sarà  alla direzione”.
Chi vuole la damnatio memoriae scarica le proprie responsabilità , secondo il presidente del partito. “La divisione nel Pd tra renzismo e antirenzismo non ha molto senso. Allora Renzi lo scelsero gli iscritti. Oggi non possiamo cavarcela dando tutte le responsabilità  a Renzi. Ogni singolo dirigente ha responsabilità . Non cerchiamo un capro espiatorio”.
E ancora: “Io non penso che il Pd possa ricostruirsi prescindendo da Renzi. Chi oggi fa abiure e damnatio memoriae lo fa solo per lavarsi delle proprie responsabilità  che sono minori da quelle di altri ma ci sono”.
La relazione, domani in direzione, la farà  Martina. “L’assemblea va convocata entro circa un mese dalla presentazione delle dimissioni, quindi verso il 5 aprile (con possibili slittamenti per via delle consultazioni, ndr). Renzi spiegherà  in assemblea le ragioni delle sue dimissioni”, afferma Orfini.
Per il presidente Pd, si tratta di “dimissioni inevitabili, di fronte a una sconfitta di quelle dimensioni”. Non solo: “ci consideriamo tutti dimissionari con lui”, aggiunge, riferendosi all’intero gruppo dirigente. Quanto alla modalità  con cui il segretario ha rassegnato le dimissioni, Orfini afferma: “Renzi si è dimesso, ho la lettera dal 5 che domani leggerò. È una lettera molto semplice, dove si prende atto del risultato e si rassegnano le dimissioni”.
Quanto al futuro del Pd, alla domanda se preferisca l’opzione elezione del segretario da parte dell’assemblea o primarie, Orfini non ha dubbi: è per la prima, e qui bisogna ricordare che Renzi ha in assemblea una maggioranza schiacciante. “Penso che dobbiamo trovare ciò che ci aiuta a riflettere meglio. Non penso che convocare le primarie tra tre mesi possa essere la soluzione migliore. Meglio riflettere sui temi. Serve una fase di riflessione e discussione, retta da un segretario di transizione”.
Orfini risponde a un gruppo di lavoratori e sindacalisti della Fiom, alcuni dei quali spiegano di aver votato per la prima volta M5s dopo avere votato in passato Pd. “Dopo la sconfitta dobbiamo anzitutto ascoltare chi non ci ha votato: non abbiamo risposte da dare perchè evidentemente quelle che abbiamo dato non sono state ritenute sufficienti. Uno dei pilastri del pensiero di sinistra è che il lavoro dà  dignità  all’uomo: ecco perchè in questi anni abbiamo lavorato per creare lavoro e non siamo mai stati d’accordo sul reddito di cittadinanza, pensiamo che il lavoro non può essere sostituito dal reddito di cittadinanza. Certo, c’è un problema se gli operai non ci ritengono vicini. Se c’è questo senso di alterità  rispetto al partito di cui sono presidente, evidentemente c’è un problema nostro”.

(da “Huffingtonpost”)

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E’ MORTA GRAZIELLA MASCIA, LA “PASIONARIA” DI RIFONDAZIONE

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

DEPUTATA DEL PARTITO DI BERTINOTTI, FU VICEPRESIDENTE DEL GRUPPO PARLAMENTARE

«Graziella se ne è andata. Stanotte dopo aver combattuto senza tregua contro una brutta malattia». Così il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, di Liberi e Uguali ha ricordato con un post su Facebook Graziella Mascia, dal 2001 al 2008 deputata di Rifondazione comunista, in cui ha rivestito il ruolo di segretaria della federazione milanese e vicepresidente del gruppo parlamentare.
Nata nel 1953 a Magenta, si è spenta nella notte tra sabato e domenica.
La camera ardente, aperta fino a martedì, è stata allestita alla casa funeraria di via San Giovanni 47, a Robecco sul Naviglio.
«Ha sempre combattuto Graziella – ha scritto Fratoianni –. Me la ricordo fin dai primi anni di Rifondazione Comunista. Lei che veniva da una storia così lontana dalla mia. Eppure sempre capace di guardare oltre la sua di storia. Attenta e curiosa. Rigorosa e piena di ironia. Me la ricordo, in mezzo a mille ricordi nelle strade di Genova durante i giorni del G8 e poi in Parlamento nel Comitato di indagine, impegnata giorno e notte per tentare di fare luce su quei fatti».
Anche l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, ha voluto ricordare la figura di Mascia. «Durante il mio mandato da presidente della Camera ho avuto modo di conoscerne l’impronta coerente e rigorosa, la grande umanità  e l’impegno politico. Le sue idee sono sempre state assai distanti dalle mie, ma so che la sua passione politica è proprio ciò di cui oggi ci sarebbe bisogno!»

(da agenzie)

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TRA GLI IMPRENDITORI DI VICENZA, INTERESSATI SOLO ALLE TASSE: “HO SCELTO SALVINI PER ESASPERAZIONE”

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

IL TRAVASO DI CONSENSI DA FORZA ITALIA … LEGATI A UN MODELLO INDUSTRIALE SUPERATO E PROVINCIALE, NON CAPISCONO CHE LE TASSE PRIMA DI ABBASSARLE BISOGNEREBBE PAGARLE

Il primo voto non si scorda mai. «Il mio fu intorno al 1976 per la Democrazia Cristiana, come facevano in molti a Vicenza nel feudo di Mariano Rumor. Poi venne il periodo del Partito Liberale, cioè il partito degli imprenditori. Avevamo diversi candidati affidabili, ne ricordo uno di cognome Pisoni. Ecco quindi l’era di Silvio Berlusconi, l’uomo di maggior successo in Italia. Per vent’anni l’ho preferito a tutti gli altri, nonostante le olgettine e persino alla luce di quella storia raccapricciante di Ruby nipote di Mubarak. Ma il 4 marzo 2018, per la prima volta nella mia vita, ho deciso di cambiare».
Cosa è accaduto, allora, nel profondo Veneto, qui nel Nordest italiano, da stravolgere abitudini consolidate e riti decennali?
Perchè la terza provincia italiana per fatturato nell’export, dopo Milano e Torino, la più manifatturiera d’Italia con 83.200 imprese registrate su 865 mila abitanti, ha scelto di votare la Lega di Salvini, della paura e del protezionismo?
Nel distretto industriale di Vicenza, le strade hanno nomi che non si possono fraintendere. Via del Lavoro. Viale dell’Economia.
Sono vie squadrate che finiscono nel nulla, capannoni industriali in sequenza all’uscita dell’autostrada. Si mischiano a concessionarie di auto di lusso, logistica, acciaierie, depositi di calcestruzzo dove le betoniere si fermano per fare rifornimento e ripartono sollevando nuvole di polvere.
Il centro del distretto è il padiglione espositivo della fiera di Vicenza di cui esistono manifesti datati 1854. «Per prevedere al collocamento dei commercianti che volessero accorrervi, si costruiranno lungo il viale di Campo Marzio le solite botteghe, ponendo ogni cura perchè riuniscano comodità  e sicurezza», scriveva il podestà . Vicenza dei tessuti. Delle meccanica. L’industria alimentare. La concia.
Il settore orafo. Mobili e legno. Vicenza dei trattori e dei crocefissi appesi all’ingresso degli stabilimenti, dove molte ditte portano i nomi di famiglia e hanno storie che si tramandano da generazioni.
Ecco dove incontriamo Giuseppe Cavinato, presidente dell’omonima impresa specializzata in pavimentazioni e resine per industrie e privati, una ditta ereditata dal padre. È lui ad essere passato dalla Dc alla Lega nel corso dell’esistenza, pur restando sempre al suo posto, qui nel distretto industriale.
«Quello che voi non avete capito è che la crisi non è mai finita» dice con amarezza, seduto sul vecchio divano all’ingresso dello stabilimento. «Lo sentite?». «Cosa?». «Questo silenzio tremendo. Il rumore dei tasti schiacciati dalla segretaria, nitidi, uno dopo l’altro. Una volta il telefono squillava in continuazione, erano ordini. C’era trambusto. Là  davanti, nell’azienda di fronte, era sempre pieno di camion che venivano a ritirare la merce. Adesso ce n’è uno soltanto. Stiamo facendo fatica. Molti hanno chiuso. Qualcuno si è suicidato. L’edilizia è ancora ferma. Se siamo vivi, è un miracolo».
E in questo contesto che la Lega è arrivata al 35,21% dei voti, con Forza Italia ferma al 9,52%, mentre il secondo partito è il Movimento 5 stelle al 23,42%. Significa che il cosiddetto voto di protesta è quasi al 60%.
«La Lega è l’ultima carta», dice Giuseppe Cavinato. «È il meno peggio. Almeno Salvini è giovane. Non ha fatto lui il disastro delle banche popolari. Ha promesso la flat tax. Soprattutto, sforerà  il limite del 3% imposto dall’Unione Europea. Non c’è alternativa. Darà  nuovi soldi alle banche, che faranno fidi a tasso zero agli imprenditori. Così si rimetterà  in moto il sistema. Berlusconi ormai ha fatto il suo tempo».
Il traino delle tasse
Prima di arrivare qui eravamo andati a Schio, 25 chilometri in direzione nord, dove ogni piccolo stabilimento ha una villetta attigua e la vita finisce per identificarsi su un’unica scena.
Schio era il posto che votava più a sinistra di tutto il Veneto, perchè era il voto degli operai della Lanerossi. Adesso la Lega è al 29,13%, Forza Italia al 7,17%, il Pd al 20,83%.
Entrando in questa costellazione infinita di piccole imprese, le risposte si assomigliavano tutte. «Berlusconi è vecchio». «Non ci fidiamo più». «Lo abbiamo fatto per la tasse». «Salvini tutelerà  gli italiani, non l’Europa». «Voto Lega per esasperazione, perchè questo Stato si mangia tutta la nostra fatica».
Per sentire qualcosa che riguardasse i migranti, il grande tema della campagna elettorale, bisognava fare domande specifiche. Perchè tutti parlavano, invece, sempre di lavoro.
«Chiedono meno tasse» dice Cristiano Dell’Omo, commercialista delle imprese a Schio. «Una volta Berlusconi era visto come un esempio. Uno con i soldi. Uno in grado di mantenere la moglie a cifre stratosferiche. Come politico aveva fatto lo scudo fiscale, un’operazione molto apprezzata da queste parti. Ma ora i piccoli e medi imprenditori guardano a Salvini per la flat tax. Per molti è l’ultima speranza. Si sono salvati solo quelli con un mercato fuori dall’Italia. Tutti gli altri stanno soffrendo maledettamente da anni, hanno bisogno di ossigeno. Anche io l’ho votato per questo».
Ma come, e i migranti? La sicurezza? «Anche quelli sono argomenti importanti» dice adesso Giuseppe Cavinato sul vecchio divano all’ingresso dell’azienda. «Ho votato Lega perchè voglio certezza della pena per i delinquenti. Chiediamo più carceri. Qui abbiamo avuto il caso del benzinaio Graziano Stacchio, che aveva sparato contro un rapinatore uccidendolo. E per fortuna, alla fine, le accuse contro di lui sono tutte cadute: era legittima difesa».
Il nemico Ue
Squilla il telefono. Forse è un ordine. «Eravamo trenta in azienda. Ma ho dovuto tagliare drasticamente e lasciare a casa persone che lavoravano con noi da una vita. Siamo rimasti in otto. Avevamo un negozio in centro, abbiamo dovuto chiuderlo. Ho pensato tante volte di arrendermi, ma non voglio farlo perchè lo devo a mio padre. Quando le banche popolari sono fallite, noi che avevamo azioni lì dentro a garanzia dei fidi, siamo finiti con l’acqua alla gola. Ci hanno chiesto di rientrare subito. Abbiamo dovuto restituire un milione e mezzo in un anno e tre mesi, e per una realtà  piccola come la nostra è stata un’impresa enorme. Ecco: essere ancora qui. Questa è la nostra storia. Aver resistito. Ma se non verranno abbattuti i limiti imposti dell’Unione Europea dovremo arrenderci. Queste sono le ragioni del mio primo voto a destra».
Il signor Cavinato, presidente dell’omonima impresa, è così convinto da non concedersi dubbi nemmeno sul protezionismo di Salvini, sui dazi di Trump, sull’idea di un mondo che potrebbe restringersi. «Non ci credo, mi sembra una sparata. Tutta la zona di Bassano del Grappa fino a Treviso è piena di commercianti che portano le loro scarpe in Cina e fanno affari laggiù. Se mettono i dazi, viene giù tutto».

(da “La Stampa”)

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CORSA PER I FONDI A TASSO ZERO, COSI’ I GIOVANI IMPRENDITORI SI RIPRENDONO IL MEZZOGIORNO

Marzo 11th, 2018 Riccardo Fucile

TURISMO, ARTIGIANATO E CULTURA: OLTRE 5000 DOMANDE PRESENTATE PER GLI INCENTIVI DI “RESTO AL SUD”

Nel 2065 al Sud vivrà  meno di un terzo della popolazione attuale.
La grande fuga dal Mezzogiorno, fotografata dall’Istat, non sembra arrestarsi. Negli ultimi 15 anni sono oltre 200 mila i laureati che si sono trasferiti al Centro-Nord in cerca di lavoro.
Per provare a fermare questa emorragia il governo ha puntato su programmi come «Resto al Sud», un piano di finanziamenti per imprenditori under 35 delle otto regioni meridionali.
Il progetto è stato affidato a un’agenzia ministeriale, Invitalia, e ha un budget di un miliardo e 250 milioni di euro. Ogni soggetto può chiedere 50 mila euro, fino a un massimo di 200 mila per una società  di quattro membri.
Il 35% del finanziamento è a fondo perduto, il resto è concesso dalle banche convenzionate e va restituito in 8 anni.
Gli interessi sono a carico dello Stato, per cui il tasso è zero. Non essendo un bando non ci sono scadenze nè graduatorie: le domande vengono valutate con un criterio cronologico fino all’esaurimento dei fondi.
I requisiti: non bisogna avere un contratto a tempo indeterminato, essere titolare di un’impresa o aver ricevuto agevolazioni nazionali negli ultimi tre anni. E non si può investire in attività  agricole, di commercio o libere professioni.
Invitalia promette una risposta entro 60 giorni, ma chi ci è passato racconta di tempi ancora più rapidi. «In un mese abbiamo inviato la domanda, siamo andati a Roma per il colloquio e abbiamo ricevuto l’ok» spiega Luigi. Idem Francesco: «Mi sono stupito di quanto sia stata veloce la procedura».
A oggi sono state presentate oltre 1400 domande (una cinquantina quelle approvate, altre 5 mila sono in arrivo), per un totale di oltre 85 milioni di investimenti che, si stima, creeranno 5370 posti di lavoro.
Quasi una domanda su due (46%) arriva dalla Campania. Seguono Sicilia e Calabria (16%). Buona la partecipazione delle donne: il 43%.
Il progetto permette a molti ragazzi che avevano lasciato il Sud di rientrare, ma attrae anche i giovani del Nord (purchè siano disponibili a trasferirsi dopo l’ok al progetto).
«Mettiamo i ragazzi nella condizione di inventarsi un lavoro» dice l’ad di Invitalia, Domenico Arcuri. «Per la prima volta gli incentivi coprono il 100% degli investimenti e questo abbatte un muro che nel Mezzogiorno spesso è invalicabile: l’accesso al credito».
LE STORIE
LA VISIONARIA – “Con i miei video 3D faccio vivere le chiese”
«Troppi giovani del Sud si lamentano ma restano con le mani in mano. Io amo la mia terra, lasciarla sarebbe stato un fallimento. Per questo mi sono rimboccata le maniche».
Nella voce di Federica Novella c’è la determinazione di una 23enne che sta realizzando il suo sogno. Si definisce smanettona e con i 36 mila euro in arrivo da «Resto al Sud» aprirà  un laboratorio di stampa 3D e videomapping, la tecnica multimediale usata per proiettare effetti grafici su superfici reali. A Mineo (provincia di Catania), dove abita, le sue creazioni hanno dato vita alla facciata della chiesa di Santa Maria per la festa patronale. In città  ha sede uno dei più grandi centri per richiedenti asilo. E il progetto di Federica punta a coinvolgere anche i giovani extracomunitari con alcuni laboratori. Magari per creare altri portachiavi come il suo, una Sicilia in miniatura stampata in 3D. Ma il suo sogno è un altro. «Il mio fidanzato lavora in spettacoli pirotecnici, sogno di unire le forze e fare uno show con videomapping e fuochi artificiali».
GLI ENOLOGI – Luigi e Salvatore, nuova vita sotto l’Etna
Luigi Ciranni ha 35 anni, Salvatore Mangano 34. Coltivano un sogno che è quello di tanti ragazzi siciliani: realizzarsi senza abbandonare l’isola. Dopo tanti contratti stagionali, però, la vita rischiava di portarli altrove. In Australia o negli Usa, per esempio, dove gli enologi come loro hanno più opportunità . «Trovare un impiego stabile nel nostro settore è molto difficile» spiega Luigi.
L’idea ce l’hanno da tempo: in tutta la Sicilia orientale non esiste un laboratorio per le analisi del vino e i produttori sono costretti a rivolgersi altrove. Per lanciarsi servivano migliaia di euro. Un bel problema. Almeno fin quando non è saltato fuori «Resto al Sud». In attesa dei fondi stanno costituendo la società . Il nome del laboratorio l’hanno già  scelto: «Ci.ma Lab», ispirato ai loro cognomi ma anche alla punta dell’Etna che sovrasta Randazzo, il paese dove vivono. Era quello che cercavano: un lavoro e la vista sul vulcano. Ce l’hanno fatta due volte.
L’EX BALLERINA – Tra Veneto e Sicilia, la svolta di Tiziana
Quando, nel 2008, si trovava a Salisburgo, Tiziana Passoni non avrebbe mai immaginato che dieci anni dopo sarebbe andata a vivere a Palermo. Originaria di Portogruaro (provincia di Venezia), si trovava in Austria per un master di danza contemporanea, la sua passione fin da piccola. Il suo secondo amore, i cani, diventerà  presto il suo lavoro. Nel capoluogo siciliano, a 1500 chilometri da casa, trasferirà  la residenza per aprire un negozio di toelettatura dedicato ai cani. Da «Resto al Sud» è arrivato un finanziamento di 30 mila euro. «Sono specializzata nel taglio a forbice e punto a un servizio di qualità », spiega. Nella sua foto profilo di Facebook abbraccia Cocò, l’inseparabile brichon frisè che vive con lei e il fidanzato. Probabilmente sarà  lui il primo cliente a quattro zampe. «Nel negozio proporrò anche ozonoterapia e cromoterapia per i cani. Anche i cani hanno diritto al benessere».
L’INGEGNERE – “Lascio la ditta dei miei e ci provo da solo”
C’è qualcosa di meglio di un posto fisso nell’azienda di famiglia? Per Francesco Merlino sì: mettersi in proprio e tentare il grande salto. Lucano, laureato in ingegneria, sta per compiere 34 anni e da 3 lavora con i parenti che commercializzano prodotti per il trattamento domestico dell’acqua. Quando ha saputo di «Resto al Sud» non ha avuto dubbi: «Il limite per candidarsi era 35 anni, ho pensato che non avrei avuto altre occasioni». L’idea è stata passare dalla vendita alla produzione. Ha progettato un impianto per la depurazione dell’acqua che non utilizza pompe con l’obiettivo di ridurre costi, rumori e l’incidenza dei guasti. «Sul mercato non c’è nulla di simile, per questo voglio provarci». Dopo aver risolto il rapporto con la vecchia azienda, si prepara a lanciare quella nuova. L’obiettivo è realizzare 20 pezzi al mese sfruttando anche le competenze di alcune imprese locali. «Parto da solo, poi in futuro si vedrà ».

(da “La Stampa”)

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