Destra di Popolo.net

CAMBRIDGE ANALYTICA LAVORO’ ANCHE PER UN PARTITO ITALIANO: L’IDENTIKIT PORTA ALLA LEGA

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

LA SOCIETA’ TRAVOLTA DALLO SCANDALO NEGLI USA PER L’USO ILLECITO DEI PROFILI FB NELLA CAMPAGNA ELETTORALE DI TRUMP NON DICE IL NOME MA LO DEFINISCE “UN PARTITO CHE NEL 2012 ERA IN VIA DI RINASCITA”… SE ERA LA LEGA QUANTO HA PAGATO, PER QUALE LAVORO E COME MAI I SOLDI NON SONO A BILANCIO?

Ha avuto anche un misterioso cliente nel mondo delle formazioni politiche italiane Cambridge Analytica, la società  di analisi dati che ha lavorato per la campagna di Donald Trump e che è finita nella bufera con l’accusa di avere utilizzato illecitamente i profili Facebook di 50 milioni di elettori americani a scopi elettorali.
Dal sito della società  si apprende infatti che nel 2012 Cambridge Analytica ha portato avanti “un progetto di ricerca” anche per conto di un partito italiano.
La società  non cita l’identità  della formazione, limitandosi a definirla un partito che nel 2012 era “in via di rinascita” e che “ebbe i suoi ultimi successi negli anni ’80”.
Per questo partito non meglio identificato, Cambridge Analytica “ha fatto una ricerca su membri e potenziali simpatizzanti, per sviluppare una strategia di riorganizzazione”.
Sempre secondo la società  “la struttura organizzativa flessibile e moderna derivata dalle riforme suggerite ha permesso al partito di avere una performance superiore alle aspettative iniziali in un periodo di turbolenza nella politica italiana”.

(da “Huffingtonpost”)

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COSA DOVEVA FARE L’ITALIA SE NON AVESSE UN GOVERNO COMPLICE DEI CRIMINALI LIBICI: PRENDERE A MITRAGLIATE LA GUARDIA COSTIERA LIBICA

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

A 73 MIGLIA DALLA COSTA SI E’ IN ACQUE INTERNAZIONALI….NON ESISTE UNA SAR LIBICA, L’IMO, ENTE INTERNAZIONALE PREPOSTO, NON HA MAI RATIFICATO L’AUTOINVESTITURA DELLA LIBIA A SFORARE IN ACQUE INTERNAZIONALI… L’ITALIA HA VIOLATO LA LEGGE PER COMPIACERE DEI CRIMINALI

Una delle questioni più spinose che si sta riaccendendo rispetto ai soccorsi nel Mediterraneo centrale riguarda la zona di ricerca e soccorso (Sar) affidata alla guardia costiera libica. Dal 2013 le operazioni nelle acque internazionali di fronte alle coste libiche erano state affidate alla guardia costiera italiana in seguito all’operazione Mare nostrum, ma dalla scorsa estate le autorità  italiane vogliono che il coordinamento torni in mano ai guardiacoste libici.
La guardia costiera libica nell’agosto del 2017 ha reclamato la sua sovranità  sulle acque internazionali e ha chiesto l’attribuzione della propria zona Sar alle autorità  marittime internazionali.
Questa autorizzazione non gli è stata mai concessa.
Tuttavia in un comunicato il 16 marzo 2018 la guardia costiera italiana per la prima volta afferma che i soccorsi avvenuti il 15 marzo erano sotto il coordinamento di Tripoli e implicitamente critica la condotta dell’organizzazione umanitaria che ha rifiutato di riconsegnare alla Libia i migranti appena salvati.
Le autorità  marittime internazionali non hanno concesso ai libici la giurisdizione su quel tratto di mare. “Anche in ragione della mancanza di adeguati requisiti per essere riconosciuta dall’International maritime organisation (Imo) si deve ritenere che un’area Sar libica non esista”, scrive l’Asgi in un comunicato.
“Non sussistendo la responsabilità  di alcuno stato sull’area del mar libico a sud di quella maltese e confinante con le acque territoriali della Libia, la prima centrale contattata ha la responsabilità  giuridica di attivarsi per salvare le barche dei migranti e dei rifugiati in pericolo e per condurli in un porto sicuro”, conclude l’Asgi.

(da agenzie)

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FACEBOOK, CROLLO A WALL STREET DOPO LO SCANDALO SU CAMBRIDGE ANALYTICA

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

ACQUISTATI ILLEGALMENTE DATI DI 50 MILIONI DI UTENTI DEL SOCIAL NETWORK

Facebook accusa il colpo dello scandalo dei profili rubati dalla società  Cambridge Analytica e il titolo a Wall Street arriva a perdere quasi otto punti percentuali in una seduta complessivamente molto negativa per la Borsa Usa. A fine seduta la società  di Mark Zuckerberg cede il 6,8%, una perdita che è la più pesante degli ultimi quattro anni, e trascina al ribasso tutto il comparto tecnologico.
Cinquantuno milioni di profili di elettori americani – secondo quanto rivelato dall’inchiesta giornalistica del Guardian e del New York Times-   sono stati violati dalla società  Cambridge Analytica, quando era al servizio della campagna di Donald Trump per la Casa Bianca, e i dati sono stati usati per influenzare il voto.
Una vicenda sulla quale prende posizione l’Unione europea con la commissaria alla Giustizia Vera Jourova secondo la quale “da una prospettiva Ue, il cattivo uso per fini politici di dati personali appartenenti agli utenti di Facebook, se confermato, è inaccettabile e orripilante”.
Jourova è appena arrivata negli Usa dove incontrerà  i responsabili della società  con cui è già  in contatto, e i rappresentanti del governo Usa, in particolare i segretari Wilbur Ross e Jeff Sessions, con cui dovrà  discutere dell’applicazione dell’accordo Ue-Usa sulla protezione della privacy e le nuove regole su Internet e cloud.
“Non sono una spia e sono pronto a parlare con l’Fbi e davanti al Congresso americano”, afferma – secondo quanto riporta la Cnn – Aleksandr Kogan, l’accademico che attraverso l’app ‘Thisisyourdigitallife’ ha raccolto le informazioni su 50 milioni di americani, provocando lo scandalo che sta travolgendo Facebook.
Quelle informazioni, infatti, sono state acquistate da Cambridge Analytica, la società  di dati che avrebbe aiutato Donald Trump nelle elezioni del 2016, ma avrebbe giocato un ruolo importante anche nel voto sulla Brexit e in decine di altre consultazioni.   Kogan, respingendo con forza l’accusa di essere una spia russa, contraddice quindi Facebook, che finora si è difesa affermando di aver autorizzato la raccolta di dati dei suoi utenti per scopi accademici. “Non abbiamo mai detto che il nostro progetto era finalizzato a una ricerca universitaria”, afferma, contestando il fatto che Facebook lo abbia radiato dal social network con l’accusa di aver violato gli accordi.
Per accedere ai dati, Cambridge Analytica avrebbe sfruttato un’applicazione chiamata ‘thisisyourdigitallife’ e presentata a Facebook e ai suoi utenti come uno strumento per ricerche psicologiche la cui raccolta dati sarebbe servita per fini esclusivamente accademici (una sorta di test che prometteva di rivelare alcuni lati della personalità ). Scaricata da oltre 270mila persone, la app avrebbe consentito – attraverso le posizioni geografiche, le pagine seguite, i contenuti a cui gli utenti mettevano i ‘mi piace’ e anche le attività  degli amici – di accedere ai loro dati e a quelli di ‘amici’ e ‘contatti’ di Facebook.
La pressione sul social network è cresciuta anche perchè secondo le rivelazioni dell’inchiesta, la società  sarebbe stata a conoscenza dell’utilizzo illecito dei dati già  dal 2015 e si sarebbe attivata per chiederne l’immediata cancellazione, senza però informare gli utenti della violazione.
Anche per questo paralementari americani e britannici si sono già  mossi per chiedere chiarimenti a Facebook. Il parlamentare inglese Damian Collins, del partito conservatore, ha già  chiesto a Zuckerberg di testimoniare in una commissione d’inchiesta della Camera dei Comuni.

(da “La Repubblica”)

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IL PROFESSIONISTA SCALZA I MEET UP: I NEO ELETTI M5S SI RIUNISCONO AL SENATO

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

VIA SANDALI E PONCHO, ORA TUTTI LOOK ISTITUZIONALI

Non c’è più il senatore in sandali o la senatrice spettinata in poncho.
Nel Movimento 5 Stelle adesso abbondano i professori universitari, i ricercatori, i dirigenti ospedalieri, tutti scortati dai parlamentari uscenti.
Andrea Cioffi e Laura Bottici, secondo mandato per entrambi, si infilano in un ascensore con Ugo Grassi. “Lo vedete? È un docente universitario”, dicono.
E lui, blazer e cravatta istituzionale, sottolinea: “Sono ordinario di diritto civile alla Parthenope di Napoli, con il ‘th’ mi raccomando”.
Tutti cercano Emanuele Dessì, il senatore espulso e riammesso, colui che su Facebook scriveva di aver picchiato un rumeno e protagonista della vicenda relativa alla casa pagata a sette euro. Ma lui non c’è. Non è presente alla riunione tra Luigi Di Maio e i neoeletti così da evitare l’assalto: oggi in mostra ci sono tutti gli altri.
In Transatlantico, vicino alla buvette, passeggia con occhio attento Maria Domenica Castellone , vincitrice nel collegio di Giuliano, con un passato negli Stati Uniti: “Adesso vivo in Italia da tanti anni. Sono oncologa, ricercatrice del Cnr”.
E quanto è soddisfatto Sergio Puglia accanto a lei: “Secondo me, il Senato tutte queste professionalità  non le ha mai viste. E soprattutto in un solo gruppo”.
La mutazione genetica è evidente. Il cittadino da meet up non c’è più.
Il laureato precario è rimasto nelle retrovie. Il no global, nel primo appuntamento dei 112 a palazzo Madama, non è contemplato.
Il capo politico è istituzionale. “Saremo il perno di questa legislatura. Dobbiamo ragionare da maggioranza”, dice Di Maio e parte l’applauso.
Poi spiega come si svolgerà  la prima assemblea dell’Aula per eleggere il presidente del Senato e ribadisce: “Le intese sulle presidenze non riguardano il governo”.
Non aggiunge altro, non scopre le carte di fronte ai nuovi arrivati. I senatori più navigati lo sanno: “La presidenza di Palazzo Madama andrà  alla Lega”.
I nuovi arrivati hanno già  imparato il registro da utilizzare. “È prematuro fare discorsi su alleanze di governo”, dice Fabrizio Ortis, consulente informatico: “Conosco Di Maio da quando eravamo all’1%”.
Accanto c’è Luigi Di Marzio, spilletta Rotary attaccata alla giacca: “Sono direttore sanitario del Cardarelli. Quando hanno saputo che mi candidavo con i 5 Stelle mi hanno cacciato”. Poi aggiunge: “Sono emozionato. Ah, vi presento mio fratello, lui non è senatore ma l’ho portato con me”.
Passa una senatrice che chiede a Cioffi: “Scusa, il bar per mangiare qualcosa?”. E lui: “Faccio da Cicerone. Andiamo in buvette”.
Con l’aria di chi è conosciuto da tutti si aggira il comandate Gregorio De Falco, tenuta informale, jeans, scarpe sportive e giacca: “Stiamo cominciando la navigazione, abbiamo un ottimo nocchiero. Io darò fondo a tutte le mie risorse”.
Immagina per lui un futuro nella commissione Trasporti. Sorride, scherza e si muove come chi si è già  adattato all’ambiente.
Ecco Danilo Toninelli, da deputato diventato capogruppo al Senato. Va ripetendo: “Vogliamo realizzare il programma. Tra i nostri senatori abbiamo grandissime professionalità “. Antropologicamente sono diversi ma la tradizione di certe frasi e parole d’ordine resta la stessa.

(da “Huffingtonpost”)

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PRESIDENZE: IN POLE LE LEGHISTE BONGIORNO-STEFANI PER IL SENATO E IL GRILLINO FRACCARO PER LA CAMERA

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

DI MAIO APRE SUI NOMI DEI MINISTRI, IL PD E’ IN PREDA A LITI INTERNE

“Dei ministri si parla con il presidente della Repubblica, dei temi invece con i partiti politici”. Parola di Luigi Di Maio. Il leader del M5s parla ai senatori riuniti a Palazzo Madama, prima riunione in vista della prima seduta d’aula venerdì. Le sue sono parole che producono un’eco anche fuori dall’assemblea pentastellata.
Perchè piombano nella cronaca politica post-elettorale all’indomani dell’intervista in cui Walter Veltroni apre alla possibilità  che il Pd appoggi un governo con il M5s “sotto la regìa di Mattarella”. Bingo? No, perchè il Pd è davvero agli stracci: immobilizzato dallo scontro interno. E il centrodestra pure non si sente molto bene, messo sotto scacco da Matteo Salvini che tenta di non perdere la posizione acquisita col voto, primo tra gli alleati.
Ma oggi la palla scorre più sul campo del centrosinistra.
Lo constati parlando con i Dem più vicini alla posizione di Veltroni. Non sono contenti, eppure oggi Di Maio ha compiuto un passo gigante nei loro confronti, almeno così sembra. Di fatto, ha messo in soffitta la squadra dei ministri presentata al Colle in campagna elettorale per far largo ad una nuova squadra eventualmente concordata con Mattarella.
Il che è tanto per quella parte del Pd che guarda al Quirinale come unico interlocutore che possa modificare la scelta iniziale di stare all’opposizione. Chi nel Pd appoggia un’apertura al M5s “sotto la regìa di Mattarella” — e sono tanti, da Veltroni, a Gentiloni, Delrio, Franceschini, Zanda, tutti tranne i renzianissimi insomma — oggi non festeggia di fronte al passo di Di Maio.
Anzi impallidisce immobilizzato da una guerra interna che — tutti scommettono — si potrebbe risolvere in un’ennesima scissione. Shock.
Non a caso, per commentare le parole di Di Maio scendono in campo i renziani. Scatenati. Dice il Dem Michele Anzaldi: “Di Maio, in pieno delirio di onnipotenza, continua a disprezzare il ruolo del Quirinale, mettendo in grave imbarazzo il presidente della Repubblica e tirandolo per la giacca. Dopo la sceneggiata della lista dei ministri portata al Colle in piena campagna elettorale, ora il leader M5s dice che di ministri ne parlerà  col Capo dello Stato. Ecco l’ennesima fake news: a parlare di ministri con il Capo dello Stato sarà  il presidente del Consiglio incaricato. Di Maio si sente già  incaricato?”. Alessia Morani: “Di Maio conferma che la lista dei ministri era una sceneggiata”.
Ma soprattutto c’è il presidente del partito Matteo Orfini a capitanare la rivolta renziana contro il padre nobile Veltroni, addirittura.
Un’apertura da parte di Di Maio? “Non ci interessa minimamente. Noi stiamo all’opposizione, vogliamo starci e ci staremo. Con il M5s non c’entriamo nulla, siamo radicalmente alternativi a loro così come siamo radicalmente alternativi al centro destra”.
Nel Pd volano gli stracci. E fioccano le scommesse su una prossima rottura. Non ora, non sull’elezione dei presidenti delle Camere, passaggio che ormai per tutti i gruppi sta assumendo una forma più o meno ‘neutra’ rispetto alle trattative sul governo.
E questo perchè — con questo chiaror di luna — nessuno sa che aspetto avranno le trattative sul governo che entreranno nel vivo con le consultazioni al Quirinale dopo Pasqua. Dunque, nessuno ha interesse a pregiudicarle, almeno per ora. Ma le consultazioni saranno il momento in cui il Pd, ago della bilancia di un bel pezzo di questa storia, entrerà  decisamente in crisi.
Nel partito monta il timore che i renziani possano decidere di staccarsi, di costituire da subito in Senato un gruppo diverso dal Pd.
Un esito che nell’ala governista nessuno si augura. Ma tra i dirigenti più vicini all’ex segretario c’è anche chi smentisce che la scissione sia sul tavolo: “Fantasie”.
Sarà , ma le pistole sono puntate, per usare una metafora pesante che però rende bene l’idea dei rapporti interni. E anche la trattativa interna sui capigruppo è in alto mare: il renziano Andrea Marcucci al Senato potrebbe avere meno chance di Teresa Bellanova. Alla Camera continua a girare il nome di Lorenzo Guerini, ma il Pd è una girandola impazzita, impossibile fare previsioni.
Il capogruppo uscente Ettore Rosato oggi ha aperto all’ipotesi di referendum tra gli iscritti per decidere eventuali alleanze. Una posizione mediana insomma tra l’ala aperturista e l’ortodossia renziana, ma ha solo aggiunto paglia al fuoco.
Il punto è che dal Pd passa il resto. All’apertura di Di Maio manca ancora la parte sul programma (nel Pd i filo-veltroniani si aspettano proprio un tavolo di trattative su questo, stile Spd con Angela Merkel). Ad ogni modo, se l’apertura cadesse nel vuoto, la situazione potrebbe davvero precipitare.
Oggi nei palazzi girava molto la voce secondo cui Di Maio e Salvini potrebbero prendere per sè le cariche di presidente della Camera e del Senato, rispettivamente. Sarebbe l’arma finale, che fa paura a Pd e Forza Italia, i partiti meno interessati ad un ritorno al voto che sembrerebbe più facile con i due leader alle presidenze del Parlamento.
Una minaccia sul tavolo insomma, niente di più per ora. Salvini stesso va assicurando che non vuole strappare l’alleanza con il centrodestra: dopodomani, altro vertice con Meloni e Berlusconi. Non vuole insomma correre il rischio di diventare il comprimario di Di Maio (17 per cento contro 33).
E allora per le presidenze, caduti in disgrazia Paolo Romani di Forza Italia e Roberto Calderoli per la Lega (problemi giudiziari), al Senato si fa strada l’ipotesi Giulia Bongiorno, l’avvocato di cause milionarie, ex finiana candidata con Salvini.
Oggi verrebbe accettata controvoglia dall’ex Cavaliere per i dissidi passati, ma ha un ottimo rapporto con Niccolò Ghedini, lo ha difeso nel Ruby-ter.
Ecco: però dalla presidenza del Senato Bongiorno non potrebbe più curare le sue cause penali e questo è un inconveniente per una penalista del suo livello e con clienti di quel livello economico.
E allora l’altro nome in pole è la leghista Erica Stefani, certamente più sconosciuta, avvocato, giurista. Insomma in questo caso prevarrebbe il metodo di scelta di un candidato competente, ma meno noto.
E sembrerebbe proprio che la presidenza della Camera vada al Movimento cinque stelle (Fraccaro il più quotato).
Ma le presidenze non appaiono più come lo scoglio che influenzerà  la trattativa sul governo. Semplicemente perchè avvisaglie di trattativa non ce ne sono. Figurarsi se qualcuno vuole scogli in un orizzonte che già  così appare impossibile.

(da “Huffingtonpost”)

argomento: elezioni | Commenta »

BARBARA BALZERANI CONTRO MINNITI: “CHE DIO LO PERDONI…”

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

L’EX BRIGATISTA CONTESTA L’ACCUSA   SPROPORZIONATA DI TERRORISMO A QUATTRO RAGAZZI CHE AVEVANO MANOMESSO UN COMPRESSORE IN VAL DI SUSA

L’ex terrorista, registrata con la telecamera nascosta da un giornalista di Matrix: “Spada di Damocle che questi signori intendono mettere sulle lotte attuali”C’è una “spada di Damocle che questi signori intendono mettere sulle lotte attuali”. Così Barbara Balzerani ha parlato in conclusione della serata di venerdì scorso al Cpa di Firenze per la presentazione del suo romanzo ‘L’ho sempre saputo’: lo rivela un servizio realizzato quella sera, con una telecamera nascosta, dall’inviato di ‘Matrix’ Pietro Suber, che andrà  in onda mercoledì su Canale 5.
“Ai quattro ragazzi che avevano manomesso il compressore in Val di Susa – ha detto la ex brigatista, già  condannata all’ergastolo e libera dal 2011 in base ai benefici della legge Gozzini – gli hanno dato l’accusa di terrorismo, li hanno messi in 41 bis! C’è una sproporzione tra quello che accade e quello che i vari ministri degli Interni… con l’ultimo, che Dio lo perdoni…, riescono ad elaborare… che mette paura, veramente”.
L’ex terrorista ha quindi raccontato ai presenti di aver visto in tv, al mattino, un servizio sulla cerimonia commemorativa della strage di via Fani, criticando la giornalista autrice del pezzo, “una di queste giornalistucole che gli danno cinque euro ogni volta che fanno un servizio”.
Una donna dal pubblico ha chiesto a Balzerani se, alla fine, qualcuno “si alzerà  una mattina e dirà  basta”.
“Non lo so – ha replicato l’ex brigatista – bisognerebbe anche capire un attimo, vero… come fare… che fare?”, chiudendo con una risata.
A margine della stessa presentazione del suo libro, Balzerani aveva sostenuto che quello della vittima “è diventato un mestiere” ed ha “il monopolio della parola”: frase per cui è stata duramente criticata da più parti.

(da agenzie)

argomento: Giustizia | Commenta »

“SPERO CHE LE CONSIGLIERE VENGANO STUPRATE DA UN NIGERIANO”: E QUESTA SAREBBE UNA CANDIDATA AL SENATO

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

IL REATO DI ISTIGAZIONE A DELINQUERE NELL’ERA MINNITI PARE SIA   STATO ABOLITO SE UNA COSI’ PUO’ FARE LA CONSIGLIERA COMUNALE A MONZA

Radio Lombardia ha pubblicato questo screenshot in cui si vede uno status — nel frattempo rimosso — di Fiorella Carpignaghi, candidata per il Senato nel collegio uninominale di Monza e Brianza con Forza Nuova.
“Spero vivamente che alcune consigliere subiscano violenza e stupro da parte di qualche bel nigeriano… ma forse è proprio ciò che cercano”, scrive la Carpignaghi pubblicando una foto che ritrae militanti di Forza Nuova durante   l’ultima riunione del consiglio comunale di Desio (MB) nella quale e’ stata approvata una mozione di centrosinistra e 5 Stelle che prevede il divieto di utilizzo di spazi pubblici a chi non sottoscrive una dichiarazione di condivisione dei valori democratici e antifascisti della Costituzione.
Il post è stato poi subito rimosso, ma non abbastanza in fretta da non essere notato. Radio Lombardia ha fatto in tempo a ‘salvarlo’ e diffonderlo in una nota stampa.
La mozione è stata poi approvata nella notte tra giovedi’ e venerdi’ scorsi dalla maggioranza di centrosinistra e dai 5 Stelle mentre i consiglieri di Lega e Forza Italia sono usciti al momento del voto

(da “NextQuotidiano”)

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MUSUMECI FA A MENO DI SGARBI, L’ASSESSORE DA ZERO DELIBERE IN TRE MESI

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

IL CRITICO D’ARTE ELETTO ALLA CAMERA: “MUSUMECI NON VEDE L’ORA CHE ME NE VADA”

Tre mesi e mezzo, zero delibere e una riunione di giunta.
Sono i numeri dell’avventura di Vittorio Sgarbi da assessore ai Beni Culturali della Regione Siciliana. “Il presidente   Nello Musumeci non vede l’ora che io me ne vada. Non sarò più assessore ai Beni culturali. Hanno deciso loro che me ne devo andare, non ho scelto io“, annuncia il critico d’arte presentando la mostra “Antonello incontra Laurana” a Palermo.
“La sgradevolezza nei confronti di un grande professionista quale io sono — sostiene Sgarbi — si manifesta continuamente. Oltretutto, se me ne fossi andato tre giorni fa questa mostra sarebbe rimasta orfana, così come quella a palazzo Riso che inaugureremo presto”.
Indicato in giunta da Forza Italia, il critico d’arte è stato anche eletto alla Camera dal partito di Silvio Berlusconi alle ultime elezioni politiche.
I due incarichi, però, sono incompatibili secondo la legge ma Sgarbi ha ancora del tempo per decidere quale carica mantenere. Sarà  stata la giunta per le elezioni, che si riunirà  dopo l’insediamento delle Camere, a intimare all’esponente di Forza Italia di optare entro un mese per uno dei due incarichi.
D’altra parte già  ai tempi della nomina in giunta il critico d’arte aveva annunciato l’intenzione di lasciare l’incarico in Sicilia in caso di nomina a ministro dei Beni culturali, in un eventuale governo di centrodestra.
“Me ne andrò quando lo consente il regolamento del Parlamento. La giunta per le elezioni dovrebbe essere convocata per la fine di marzo, a quel punto io avrò un mese per decidere se restare come assessore o andare in Parlamento e più o meno saremo al giorno del mio compleanno, l’8 maggio, che tra l’altro è il giorno in cui mi cacciò la Moratti. Sia chiaro, non rimango perchè ho bisogno di questo c… di poltrona, dove non mi sono mai seduto, ma perchè mi pare bello che quello che ho iniziato si porti a compimento”, spiega Sgarbi annunciando dunque che lascerà  la Sicilia, dopo che nei giorni scorsi il Movimento 5 stelle aveva presentato all’Ars una mozione di censura nei suoi confronti.
“L’idea che Musumeci mi chiami e mi dica ‘la situazione è insostenibile’, immagino perchè bussano i 5 stelle alle porte, ‘e quindi te ne devi andare’ significa che il patto secondo cui avrei lasciato l’assessorato solo se diventavo ministro è diventato: te ne devi andare perchè sei deputato. Forse, siccome quasi sicuramente non diventero ministro, sarei restato qui, ma il tempo di capire come vanno le cose. Non sono io che me ne vado, sono di fatto stato cacciato. Fra assessore e deputato avrei scelto la prima, anche perchè questi erano i patti ma loro hanno deciso che devo sloggiare per lasciare il posto a qualcuno che sono sicuro che sarà  siciliano e di un partito. Forse hanno bisogno di bilanciare…non so”.
Poi rilancia. “Un piccolo ricatto per Musumeci, che non vede l’ora che me ne vada. Il 27 arriva un mecenate che porterà  39 milioni per Selinunte. Non li dà  a me, ma deve trattare con me. Con chi tratterà  se me ne vado? Fossi Musumeci aspetterei”, dice spiegando che invece   “Gianfranco Miccichè voleva che io rimanessi il più possibile”. Il risultato di tre mesi e mezzo di lavoro sull’isola? Il critico d’arte sostiene di avere “fatto bene nelle condizioni in cui ero è in tre mesi di lavoro”. Il ritiro sui monti altro non sarebbe che il week end sulle Madonie convocato dal governatore per discutere di finanziaria.
Per la verità , però, qualche giorno fa a fare il bilancio dell’esperienza di Sgarbi nella giunta Musumeci era stato Emanuele Lauria sull’edizione palermitana di Repubblica. L’assessore non si è presentato alla prima riunione di giunta il 30 novembre scorso, visto che dopo aver fatto la foto ufficiale ha preso il primo volo per Bologna.
Poi si è fatto vedere una volta a Palazzo d’Orleans mentre tra gli atti approvati dal governo in tre mesi e mezzo nessuno risulta provenire dal suo assessorato: su 164 delibere, provvedimenti di spesa e nomine, non ce n’è una che porta la firma o è stata proposta da Sgarbi.
Che, però, racconta sempre Repubblica, nei suoi cento giorni da assessore è stato l’incubo dei dipendenti del suo assessorato presentandosi spesso a sorpresa — a volta a sera inoltrata — in ufficio.

(da “Huffingtonpost”)

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FRONDA A TOTI, BIASOTTI SEGUE BERLUSCONI: “SE LA LEGA FA PATTI CON IL M5S, FORZA ITALIA ESCE DALLA MAGGIORANZA IN LIGURIA”

Marzo 19th, 2018 Riccardo Fucile

IL COORDINATORE LIGURE FORZISTA E DEPUTATO PROVOCA LE CONVULSIONI A TUTTI I POLTRONISTI CHE TOTI HA PIAZZATO IN REGIONE… QUESTI COME CAMPANO SE BERLUSCONI DA’ IL SCIOGLIETE LE RIGHE?

«In vent’anni di carriera politica non ho mai visto nulla del genere. Penso che quella di Salvini e Di Maio sia solo pretattica perchè, se facessero sul serio, sarebbero guai per la Regione Liguria e non solo».
Sandro Biasotti, coordinatore ligure di Forza Italia, ex presidente della Regione e deputato rieletto ora per la terza volta a Montecitorio, non fa giri di parole: per lui, l’alleanza tra Lega e Cinquestelle, «sarebbe una iattura», con effetti a catena «disastrosi».
Biasotti, un’intesa tra Salvini e Di Maio per un governo grillino-leghista quali ripercussioni avrebbe sul piano locale.
«Pesantissimi, senza dubbio, sulle Regioni a guida centrodestra, dove salterebbero le alleanze. Meno problemi, invece, credo si avrebbero nei Comuni».
Forza Italia uscirebbe quindi dalla maggioranza che sostiene Giovanni Toti e di cui la Lega è una colonna fondamentale
«Immediatamente. Del resto, sarebbe un’alleanza contro natura. La Lega, oggi, è il partito leader del centrodestra mentre i Cinquestelle sono, di fatto, una forza di sinistra. Basta guardare la lista dei loro possibili ministri: tutti organici al Pd…» .
Eppure il dialogo tra Salvini e Di Maio procede abbastanza spedito, malgrado la netta contrarietà  di Berlusconi.
«Personalmente ritengo sia solo pretattica: alla fine l’accordo non si farà . A meno che non spunti fuori una figura terza, altamente rappresentativa, che possa fare il premier anche con il sostegno di Lega e Cinquestelle. Una figura come Monti al quale pure noi votammo la fiducia».
Torniamo alla Liguria, dove Toti vanta un legame particolarmente forte con il partito di Salvini a dispetto, anche, delle posizioni più moderate di Berlusconi.
«Toti ha giustamente siglato un solido patto con la Lega per poter governare. Ma anche la presenza di Forza Italia, di cui Toti è un esponente importante, è indispensabile. Ma stiamo attenti: l’atteggiamento critico di Toti verso la linea del partito non significa che condivida in toto le posizioni di Salvini. Anzi, su questo punto è stato molto chiaro: sarebbe un grave errore allearsi con i Cinquestelle».
Non vede proprio nessun punto di contatto?
«In Liguria, come in altre Regioni, i Cinque Stelle sparano sul centrodestra un giorno sì e l’altro pure. Ultimi esempi: l’esposto alla Corte dei Conti sull’ospedale Galliera e quello sulle presunte spese pazze che riguarda l’ex consigliere Bagnasco (forzista, eletto in Parlamento, ndr). Un’intesa con loro non è neppure immaginabile».
Ritiene che, se dovesse concretizzarsi lo scenario da lei definito disastroso, la giunta Toti possa davvero cadere?
«Il rischio è altissimo sebbene nei consigli regionali, così come in Parlamento, per molti è difficile rinunciare a un lauto stipendio e andare a casa».

(da “il Secolo XIX”)

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