Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile PARTITI IN ORDINE SPARSO, PLATEALE ROTTURA NEL CENTRODESTRA, MATTARELLA CERCA DI METTERE ORDINE TRA I BAMBOCCIONI… BERLUSCONI METTE ALL’ANGOLO SALVINI: SE ROMPE, FINISCE PER FARE DA STAMPELLA A DI MAIO
Tempo, perchè prima o poi un governo nascerà . E se c’è un punto fermo del Mattarella pensiero, al termine della lunga giornata di consultazioni, è che il voto a giugno è una prospettiva, semplicemente, lunare. L’unica davvero non contemplabile.
Tempo, perchè è stata questa la richiesta dei vari partiti, assecondata affinchè “possano valutare responsabilmente la situazione, le convergenze programmatiche, le possibili soluzioni per dare vita a un governo”.
L’avverbio chiave è “responsabilmente”, che richiama l’esigenza di evitare una lunga crisi al buio.
Ed è indicativo che, nel chiudere il primo giro di colloqui annunciando il secondo, il capo dello Stato non ha indicato una data, che resta “elastica”. Presumibilmente sarà al termine della prossima settimana, giovedì o venerdì, al termine degli incontri annunciati dai leader dei vari partiti.
C’è, nell’avverbio, un’indicazione di metodo — si sarebbe detto una volta: mette i partiti di fronte alle loro responsabilità — ma anche tutta l’incertezza che si è manifestata nel corso della giornata di colloqui. Perchè, a mettere in fila gli elementi, uno “schema” politico non c’è e non c’è neanche l’ombra di una generica convergenza programmatica.
E non è un caso che Mattarella, nel trarre il suo primo bilancio, ha parlato della necessità che “vi siano intese tra più parti politiche per formare una coalizione che possa avere la maggioranza in Parlamento e quindi far nascere e sostenere un governo”.
Coalizione non è sinonimo di “contratto” o di intese generiche: è un vincolo politico serio che si fonda su un programma condiviso e sull’assunzione piena di una responsabilità di fronte al paese.
E se è certo positivo che è emersa la volontà di parlarsi, fatto nient’affatto banale, è sembrato che passerella alla Vetrata abbia — paradossalmente – acuito più che attutito le divisioni.
A partire dal centrodestra, con Berlusconi, in versione europeista, che si è detto favorevole a un governo del presidente mostrandosi indisponibile al dialogo con i Cinque Stelle e Salvini che ha iniziato criticando l’Europa e finito annunciando che l’unico interlocutore per un governo di cinque anni è Di Maio (ma mai il Pd).
E se la novità , diciamo così, mediatica è stata l’apertura del leader pentastellato al Pd (per la prima volta nel suo insieme), politicamente questa ipotesi nelle ovattate stanze quirinalizie è apparsa assai complicata da percorrere.
Perchè il controllo del partito da parte di Renzi è palpabile e questo rende qualunque margine ancora ristretto. Tanto che con la delegazione democratica, nel corso del colloquio, l’argomento non è stato neanche affrontato.
Ed è difficile che la linea dell’opposizione senza se e senza ma possa essere scalfita, quanto meno nel breve termine.
Per questo, di qui al secondo giro di consultazioni, il tema vero tornerà il dialogo tra Salvini e Di Maio. Tempo, hanno chiesto entrambi.
Perchè qui il punto è come gestire la questione Berlusconi. E non è questione da poco. La zampata del vecchio leader ha complicato parecchio il gioco di sponda degli ambiziosi runner della Terza Repubblica: quel trasformare un veto subìto da Di Maio in un veto posto, con una certa durezza, ai “populisti, pauperisti, giustizialisti” non è solo una mossa d’orgoglio per le troppe umiliazioni subite.
È una mossa politica che indebolisce Salvini il quale, nella sua trattativa con Di Maio, ha sperato di ridurre il Cavaliere al ruolo di comparsa che dà il via libera al governo pur di evitare il voto anticipato, “nascondendosi” come avvenuto sull’elezione dei presidenti delle Camere.
E invece il Cavaliere i panni della comparsa li ha già dismessi.
Al Colle hanno avuto la netta impressione che questo schema sia difficile e che, a questo punto, per Salvini la questione si pone in modo più tranchat: o il parricidio o la partecipazione, da socio di minoranza, a un governo con Di Maio.
Ed è per questo che Berlusconi ha espresso il suo sostegno alla possibilità di indicare Salvini come “premier”, dunque capo della coalizione, con la malizia di chi sa che l’alternativa è di fare il secondo di Di Maio.
Forse il nervosismo che trapela tra i leghisti rivela che è stato toccato il punto vivo della questione.
Perchè politicamente è abbastanza chiaro il perimetro entro cui muove (o non si muove Salvini). Il leader leghista non può permettersi di fare la stampella di Di Maio, con il leader dei Cinque Stelle a palazzo Chigi, neanche avendo come contropartita ministeri pesanti.
Può “reggere” un governo con i Cinque Stelle solo se a palazzo Chigi va un nome terzo, però questa possibilità è legata al fatto di trattare da capo del centrodestra, nel suo insieme, anche con Berlusconi.
Ecco l’incastro che il tempo dovrà sciogliere. Tempo che è certo lungo, ma non eterno. Perchè Mattarella si è fatto l’idea che, al termine del prossimo giro di consultazioni, non serve affidare incarichi ad un esploratore, ma che sarà opportuno affidare un pre-incarico a chi ha un programma comune e procedere per tentativi successivi, mettendo in contro anche eventuali fallimenti.
Attenzione: non è un dettaglio, perchè un fallimento del genere, come insegna il precedente di Bersani, non è indolore, anzi è tale da azzoppare anche le carriere più ambiziose.
Non a caso sia Di Maio sia Salvini — questa è l’impressione dei ben informati — hanno il terrore riceverlo il pre-incarico e, così hanno confidato nei rispettivi entourage, sono pronti a rifiutarlo se non ci fossero le condizioni perchè “non si può fare la fine di Bersani”.
C’è solo un modo per evitare questa eventualità , ed è costruire una seria ipotesi di governo. Che oggi non si vede, ma c’è ancora una settimana, prima che vada in scena il secondo bagno di realtà al Quirinale, dopo l’odierna lezione di diritto costituzionale: per fare un governo, serve una maggioranza, che va costruita perchè nelle urne nessuno ha preso il 51 per cento.
Responsabilmente.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile NO A UN INCONTRO ORA, SEMMAI SE E QUANDO CI SARA’ UN PRE-INCARICO
La risposta è no. Almeno quella di Matteo Renzi: ma su questa linea l’ex segretario del Pd riesce
ancora una volta a tenere tutto il partito, pur tra i mugugni dei non-renziani. E’ quanto trapela dal suo quartier generale dopo l’invito di Luigi Di Maio a incontrare Maurizio Martina per costruire insieme punti di programma di governo, “modello tedesco”, come quello usato da Angela Merkel e i socialisti per la nuova ‘grande coalizione’.
Veramente il reggente Martina è tentato di sedersi al tavolo con Di Maio, almeno come uscita tattica per non restare con il cerino in mano, attaccati ad un no a priori. Ma Martina non è ancora segretario: si gioca la guida del partito all’assemblea nazionale del 21 aprile. Renzi e i suoi gli hanno fatto capire che potrebbero ritirargli l’appoggio qualora decidesse diversamente dalla linea ufficiale: opposizione.
E dunque ufficialmente il Pd potrà incontrare Di Maio soltanto nel caso in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovesse affidargli un pre-incarico di governo al termine del secondo giro di consultazioni la prossima settimana. Non prima.
“Perchè mai dovremmo incontrarlo adesso? — ci dice dietro anonimato una fonte Dem – Se lo facessimo, ci direbbe di sì a qualsiasi proposta, cancellerebbe il reddito di cittadinanza per accettare il nostro reddito di inclusione e altre cose simili. E’ in evidente difficoltà con Salvini che non molla Berlusconi, ha l’obiettivo di arrivare a Palazzo Chigi: perchè mai dovremmo aiutarlo? L’incontro sul programma sarebbe una finta, una bischerata. E gli serve per spaventare Salvini…”.
Parole che chiariscono il motivo per cui alla fine tutto il partito si accoda al no renziano. Per ora.
L’ex segretario ha tenuto una riunione ristretta con i suoi oggi pomeriggio, prima che Di Maio parlasse dal Quirinale dopo il colloquio con il presidente della Repubblica. Presenti Lotti, Boschi, i capigruppo Marcucci e Delrio, il presidente Orfini.
La linea è sempre quella di opposizione. E anche sull’assemblea nazionale del 21 aprile, ad oggi, non è affatto detto che i renziani sostengano la candidatura di Martina. Dopo le voci di accordo dei giorni scorsi, la bilancia pende di nuovo a sfavore di questa ipotesi. Soprattutto dopo la novità arrivata da Di Maio: questo invito a vedersi non per aderire a un programma pentastellato ma a costruire insieme un programma.
Un invito che ha messo in difficoltà la parte ‘dialogante’ del Pd, che si è posta il problema di come uscirne tatticamente.
“Se quella di Di Maio è un’uscita tattica per giocare con Salvini, noi dovremmo quanto meno rispondere tatticamente”, ci dice un esponente orlandiano commentando a caldo l’uscita del leader pentastellato, mentre nel Pd fervono i contatti per trovare una via d’uscita.
C’è da dire che comunque la scelta di Di Maio di mettere sullo stesso piano il Pd e la Lega non piace nemmeno alla parte dialogante tra i Dem. “Pur volendo come si fa? Non ha mica detto che scommette sul centrosinistra, continua a dire che destra e sinistra si equivalgono, che fare un governo con noi o con Salvini è uguale!”, sbotta un esponente dell’area di Dario Franceschini, che dalla scorsa settimana invita il partito a discutere la linea di opposizione.
Insomma, Di Maio per ora non convince nemmeno i non-renziani. Che però sarebbero andati a sentire cosa vuole, se non fosse per Renzi.
Non è escluso che fino all’assemblea del 21 aprile l’ex segretario rispolveri l’idea di tirare fuori un suo candidato alla segreteria, al posto di Martina che non a caso avrebbe voluto accorciare i tempi dell’assemblea al 15 aprile.
“Fino al 21 c’è tempo”, dice uno dei suoi, malgrado sulla carta resti l’indisponibilità di Delrio, Guerini e Richetti a candidarsi alla segreteria. L’ultimo dei tre vorrebbe farlo ma solo in un congresso vero con primarie. Di certo c’è che ora la reggenza è di Martina, la guida è di Renzi.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile APERTO PROCEDIMENTO CONTRO LA GUARDIA COSTIERA LIBICA DA PARTE DELLA PROCURA DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE DOPO IL RAPPORTO DEL SEGRETARIO ONU GUTERRES… “NON ESITEREMO AD APPLICARE MANDATI DI ARRESTO”… LA VERGOGNA DELL’ITALIA CHE FINANZIA DEI CRIMINALI
L’ufficio della procuratrice della Corte penale internazionale ha acquisito nei giorni scorsi il rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite Antà³nio Guterres sulla situazione in Libia.
L’attenzione del Tribunale penale dell’Aia si è concentrata sulle accuse — dure e circostanziate — di violazione dei diritti dei migranti presenti nel territorio libico, che citano espressamente il Dipartimento per la lotta all’immigrazione clandestina e la Guardia costiera di Tripoli.
La conferma dell’interesse della Corte penale internazionale è arrivata ieri direttamente dall’Aia.
Già lo scorso novembre la procuratrice Fatou Bensouda aveva dichiarato che i crimini contro i migranti detenuti o gestiti da trafficanti in Libia “potrebbero ricadere nella nostra giurisdizione”.
Il Tribunale dell’Aia ha poteri d’intervento per i genocidi, i crimini di guerra o contro l’umanità .
Bensouda, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, aveva dichiarato: “Se i seri crimini citati dallo statuto di Roma continuano ad essere commessi in Libia, non esiteremo ad applicare nuovi mandati di arresto”.
L’acquisizione del rapporto Onu del 12 febbraio, oltre a confermare l’esistenza di un fascicolo aperto sulla questione migranti in Libia, è un campanello di allarme anche a Roma.
Nel documento acquisito dall’Aia è riportata una dura accusa alla Guardia costiera di Tripoli: “La missione Onu Unsmil ha continuato a documentare una condotta spericolata e violenta da parte della Guardia costiera libica — scrive il segretario generale Antà³nio Guterres — nel corso dei salvataggi e/o delle intercettazione in mare”.
L’Italia da diversi mesi fornisce un diretto e ampio supporto alle motovedette libiche.
Martedì 3 aprile l’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Perrone aveva difeso l’operato della Guardia costiera libica: “Bisogna avere rispetto per gli uomini della Marina libica” — sono le incredibili parole riportate dal Mattino.
La recente strategia italiana sembra puntare ad un maggiore coinvolgimento dei libici nelle operazioni di soccorso, con una differenza sostanziale rispetto alle azioni della nostra marina e delle Ong: tutti i migranti recuperati dalle motovedette di Tripoli vengono riportati nei centri di detenzione, quegli stessi lager duramente accusati dall’Onu.
Di fatto un respingimento, che l’Italia non può fare direttamente, pena una condanna davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, come già avvenuto nel 2011. L’aumento degli interventi della Guardia costiera libica, appoggiata dalla Marina italiana, sta poi creando una situazione di forte tensione con le Organizzazioni non governative, come accaduto diverse volte con la Open arms, la Sea Watch (il 6 novembre del 2017) e la Sos Mèditerranèe.
Il rapporto dell’Onu finito sul tavolo della Corte penale internazionale denuncia, infine, con durezza anche i centri di detenzione per migranti che operano in Libia, dove vengono portati i naufraghi recuperati in mare dalla Guardia costiera di Tripoli. Scrive il segretario generale dell’Onu: “I migranti sono sottoposti ad arresti arbitrari e torture (…). Gli autori sono ufficiali dello Stato, gruppi armati, trafficanti di uomini e gang criminali”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile ASSEMBLEA DEL PD IL 21 APRILE PER SCEGLIERE IL NUOVO SEGRETARIO
“Sono pronto a fare la mia parte candidandomi segretario, in coerenza con il lavoro di queste
settimane da reggente e nella convinzione profonda che si possa costruire la stagione del nostro rilancio”.
Maurizio Martina la sua discesa in campo la annuncia così, in un post su Facebook. Nel quale dà un’altra notizia: l’Assemblea che deve eleggere il nuovo segretario dem sarà sabato 21 aprile.
Quindi, presumibilmente prima che Sergio Mattarella abbia finito il suo giro di consultazioni, e non a cose fatte, come avrebbe voluto Matteo Renzi.
In tempo potenzialmente utile per cambiare la linea dell’opposizione senza se e senza ma voluta dall’ex premier e magari portare il Pd dentro un sempre ipotetico governo istituzionale.
I grandi elettori dell’attuale reggente sono Dario Franceschini e Andrea Orlando. Non a caso, i dialoganti.
A loro potrebbe aggiungersi Paolo Gentiloni, la cui discesa in campo, caldeggiata da molti, in primis da Carlo Calenda, viene definitivamente bruciata dalla tempistica (presumibilmente il 21 sarà ancora premier). E poi Graziano Delrio, che resta una figura di mediazione.
Renzi ormai mal sopporta Martina (dinamica per lui abituale, come fu per Gentiloni: lo caldeggiò come premier, per poi nei mesi soffrirlo sempre di più) ma potrebbe persino decidere di far convergere i suoi voti su di lui, per assenza di candidati propri. Lorenzo Guerini sembra indisponibile e Debora Serracchiani non convince.
La battaglia in realtà si sposta sulla durata del segretario che uscirà dall’Assemblea.
Ci sono tre date possibili per il congresso: il prossimo ottobre, il 2019 prima delle Europee e il 2021 (quando sarebbe dovuto terminare il mandato di Renzi). Martina nel suo post non parla di futuro congresso. Aspira a un mandato pieno.
In campo però c’è già Matteo Richetti, che sabato lancia la sua corsa.
Non all’Assemblea, ma alle future primarie, che si aspetta non più lontane di un anno. E per un congresso nei prossimi mesi anche Renzi potrebbe essersi riorganizzato, magari puntando sullo stesso Richetti.
O andandosene, per fare il suo partito.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile IL CENTRODESTRA PREVALE DALLA SANITA’ ALL’ EDITORIA … DOMINANO FORZA ITALIA, LEGA, FDI E M5S
Non c’è solo il caso del capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci che, come raccontato dal Fatto, si divide tra lo scranno parlamentare e il cda del gruppo di famiglia (la multinazionale farmaceutica Kedrion, con 600 milioni di fatturato, partecipata dal 2012 dalla Cassa depositi e prestiti).
Se il disegno di legge “in materia di incompatibilità parlamentare”, presentato nel 2013 dai suoi stessi compagni di partito (primo firmatario Massimo Mucchetti), avesse visto la luce, oggi il renzianissimo presidente dei senatori democratici non avrebbe potuto sedere contemporaneamente a Palazzo Madama e nel consiglio d’amministrazione dell’azienda specializzata in emoderivati “in rapporti con amministrazioni pubbliche”.
Certo, un caso particolare rispetto al lungo e articolato elenco degli incarichi aziendali e delle partecipazioni societarie detenute dai neoeletti di Camera e Senato, passato in rassegna in uno degli ultimi dossier sfornati dall’associazione Openpolis.
Un elenco nel quale il centrodestra la fa da padrona.
Non a caso, il record di incarichi (ben 21) spetta al neodeputato di Forza Italia, Guido Della Frera. “Imprenditore del settore sanitario, turistico, alberghiero e ristorativo”, si legge nel report, “è anche socio di 8 diverse aziende”.
Ma non è tutto. “Sempre con Forza Italia in Toscana è stato eletto Maurizio Carrara, imprenditore nato a Firenze con ben 14 diversi incarichi aziendali”. A lui spetta il primato di partecipazioni aziendali, in qualità di socio di 11 imprese.
Non scherzano neppure Daniela Santanchè di Fratelli d’Italia, con 16 incarichi aziendali, e il berluscones Emilio Floris, socio di 10 diverse imprese.
“Il 35% degli incarichi aziendali e il 33,53% delle partecipazioni” societarie rappresentati nel nuovo Parlamento, scrive Openpolis, “sono riconducibili a parlamentari di Forza Italia”.
Alle cui file appartengono anche Giuseppe Massimo Ferro (14 incarichi e una partecipazione), Salvatore Sciascia (12 incarichi), e Cristina Rossello (10 incarichi).
Alle spalle del partito di Silvio Berlusconi, sul secondo gradino del podio, si piazza invece la Lega.
Tra i neo deputati e senatori del Carroccio spiccano i nomi dell’ex sindaco di Padova Massimo Bitonci, con 11 incarichi e 3 proprietà aziendali, e Giulio Centemero, anche lui con 11 incarichi aziendali, compreso quello di amministratore delegato di Radio Padania.
Medaglia di bronzo per il Movimento 5 stelle con il 19,50% degli incarichi aziendali e il 20,23% delle partecipazioni rappresentati nel nuovo Parlamento: da “Michele Gubitosa, eletto ad Avellino e socio di 4 aziende e con 8 diversi incarichi” a “Mario Turco, senatore pugliese, con 8 incarichi aziendali”, fino a “Salvatore Caiata (eletto con i 5 Stelle ma iscritto al Gruppo Misto della Camera, ndr), presidente del Potenza calcio con 6 proprietà e 6 incarichi aziendali”.
E il Partito democratico? “Volendo stilare una classifica dei parlamentari con più interessi economici, sono pochi gli eletti del Pd che figurerebbero in cima — rileva Openpolis — tra i primi 15 con più partecipazioni, solamente Gianfranco Librandi, deputato lombardo al secondo mandato, socio di 4 aziende”.
Quanto agli incarichi aziendali, oltre a Marcucci, spiccano i nomi di Claudio Mancini e Andrea Colaninno, tutti a quota 7.
Ma c’è anche un’ultima curiosità . Tra i neoparlamentari ci sono anche tre consiglieri della Arnoldo Mondadori Editore Spa: Cristina Rossello, Alfredo Messina e Pasquale Pio Graziano Cannatelli.
“Quest’ultimo è anche vice presidente Fininvest, azienda che schiera in Parlamento anche il consigliere Salvatore Sciascia”, rileva il dossier.
Altra azienda ben rappresentata nel nuovo Parlamento è la Dedalo comunicazione Srl, che “è riuscita a far eleggere due dei suoi tre soci, tutti di Fratelli d’Italia”. Si tratta di “Augusta Montaruli e Giovanni Donzelli”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile UNA NOTTE A CLAVIERE, SALENDO CON IL RISCHIO DI GELO E VALANGHE
“Maracaibo, mare forza 9, fuggire sì, ma dove?”. Oltre la vetrata della baita vedi gente che
ascolta e balla. Una ragazza con i capelli corti, l’abito aderente, beve Martini. Non sa. Non può vedere che appena fuori c’è Olanna che la guarda: “Sono arrivata dall’Africa in gommone, è la prima volta che vedo la neve”.
Stanno gli uni accanto agli altri, i ragazzi italiani che fanno festa e i migranti che tentano la traversata verso la Francia. Separati dallo spesso cristallo della baita. Di là caldo, musica; di qua gelo, terrore e speranza.
Siamo a Claviere, mezzanotte di Pasqua.
È terminata la messa nella chiesa di pietra dove pochi giorni fa i migranti avevano cercato rifugio, suscitando la rabbia del parroco.
Ma presto la folla si disperde e dall’ombra spuntano loro, i migranti. Prendono i sentieri che portano alla scuola di sci. Da qui parte la nuova rotta per la Francia, dopo che per mesi i migranti si ritrovavano a Bardonecchia e tentavano il Colle della Scala. Quasi un suicidio: salire di notte con il rischio di gelo e valanghe. Molti li ha salvati il Soccorso Alpino e speriamo che, con la primavera, non si trovino corpi sotto la neve.
Allora si parte da Claviere.
La Francia è a un passo, un paio d’ore fino al Monginevro zigzagando per sentieri, ma il rischio di essere beccati è altissimo: “Il deserto, poi la traversata del Mediterraneo. Tutto buttato via in pochi secondi”, racconta Fabien, la guida francese.
“Sentite le vostre forze. Se non ce la fate fermatevi”, raccomanda alle ombre che gli stanno davanti. Dodici persone in tutto. È il secondo gruppo questa notte. Fabien distribuisce maglioni, piumini, berretti. E soprattutto gli scarponi. Perchè “c’è un freddo bastardo e se uno si ferma sono fregati tutti”.
Pronti? Sì. Il gruppo di ombre si mette in moto, di corsa, anche se è durissima appena si prende a salire. Uno accanto all’altro, in silenzio. Non si conoscono nemmeno, li unisce la speranza. Dodici ragazzini.
Riescono appena a dirti da dove vengono: Nigeria, Sudan, Congo, Kurdistan, Siria.
Olanna — nigeriana di Awka — resta indietro. Con quel suo piumino scuro, il volto nero. Le vedi soltanto il bianco degli occhi, dei denti quando spalanca la bocca cercando aria. Ha una borsa a tracolla. Dentro ha il suo mondo: “Guarda”, dice mostrandoti la foto di una donna, la madre.
Poi una scatola per il trucco, una merendina, un telefonino con cui ha mandato un messaggio prima del grande salto. “Vengo dalla Nigeria, ho attraversato il deserto con una mia compagna di scuola, ma lei…”, allarga le braccia.
Annegata, fermata in Libia? Chissà . “Ho diciotto anni, in Nigeria era l’inferno. Preferivo morire”, dice mimando una mano intorno alla gola.
Olanna, che per gli Igbo significa oro di Dio. E chissà se è bella, chissà quanti anni ha: “Diciotto”, giura. Impossibile capirlo, sono tutti uguali, neri, in questo buio. Olanna cammina con Sephora: “Ci siamo incontrate sul barcone”, raccontano. Quasi non si capiscono, si scambiano mozziconi di frasi in inglese, ma si tengono per mano. Non si mollano mai. Cadono e si sostengono. Sephora con la neve alle cosce che trascina un trolley.
Era la notte perfetta per tentare: le nuvole che si sono diradate e la luna piena a illuminare montagne d’argento. Si vede il sentiero, ma il terrore è essere visti.
Ti sembra di sentire sotto le giacche il cuore di Olanna, Sephora, che batte all’impazzata. Che accelera quando dietro il crinale arriva una luce. No, è un’auto in lontananza. Dio — qualsiasi dio sia, ognuno qui ne prega uno diverso — che paura!
In testa alla comitiva c’è Fabien, coda di cavallo, occhiali: “Io lotto contro i confini”, racconta, “Di giorno monto antenne tv, lavoro in una cittadina a cento chilometri da qui”. Di notte lascia i due figli a casa e corre su per i monti ad aiutare i migranti. A rischiare la galera.
Sephora cade, con le mani protegge il trolley. C’è un abito coloratissimo: “Me lo ha dato mio padre… per il matrimonio”. Ma cosa speri di trovare? “Avevo nove fratelli, sei sono morti. In Francia ho dei parenti, almeno è una vita”.
“Venez, venez”, urla sottovoce Fabien.
Cos’è questo rumore? Una motoslitta sale dalla valle. Forse la Gendarmerie che, raccontano a Claviere, passa il confine senza timore. Silenzio. Il faro punta qui. La motoslitta sale, sfiora il gruppo. Sono due ragazzi con una bottiglia che vanno al rifugio.
Il cuore di tutti riprende a battere. “Allez, allez”, cammini, corri, cadi.
Trovi il sentiero, lo perdi ancora.
Fabien si ferma. Guarda. Fa un gesto con la mano: venite qui. Vicini. Uno accanto all’altro, senti il respiro. Poi quelle parole: “Siete in Francia”.
Troppo buio, non riesci a vedere il volto nero di Olanna, la sua espressione.
Soltanto le lacrime gelate che luccicano.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile “STAVO DIETRO A DI MAIO, NELLA CALCA MI HANNO SPINTA”… CHE SIA STATO UN INFILTRATO?
Un vero e proprio bagno di folla per Luigi Di Maio, al termine del primo giro di consultazioni al Quirinale.
Il leader del Movimento Cinque Stelle, racconta l’agenzia di stampa DIRE, accompagnato dai capigruppo Giulia Grillo e Danilo Toninelli, prima saluta gli attivisti Cinque Stelle che lo attendono sotto al palazzo della Consulta, quindi si avvia lungo via della Dataria per tornare a piedi a Montecitorio.
Invano cerca di seminare i giornalisti e i militanti Cinque Stelle.
Si forma una calca ancora più numerosa della prima. Di Maio risponde a tutti stringendo mani. Un militante lo invita a non farsi corrompere. “Non accadrà . E sai perchè? Perchè a noi i soldi non interessano”, lo rassicura Danilo Toninelli.
Mentre Di Maio si allontana, racconta sempre la DIRE, dal gruppo si stacca una signora. “Mi hanno rubato il portafoglio”, confida al marito reggendo la borsa che porta a tracolla.
“Stavo dietro a Di Maio, nella calca mi hanno spinto, devono essere stati i fotografi. È accaduto quando mi sono avvicinata a loro”, dice al cronista della Dire che la invita a ripensare meglio la dinamica del furto.
Non possono essere stati i fotografi. Non è stato per caso qualcuno infiltrato tra i militanti?
La militante pentastellata lo esclude. Amareggiata medita il da farsi. “Devo fare la denuncia alla polizia. Avevo tutti i documenti dentro. Ma che schifo. Così è ridotta Roma”.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile OVVIAMENTE PER DI MAIO E I NEO ELETTI… QUANDO CASALEGGIO DICEVA: “OGNI VOLTA CHE DEROGHI A UNA REGOLA, PRATICAMENTE LA CANCELLI”
Per i parlamentari M5S è scarica la ‘pistola sul tavolo’ delle elezioni anticipate in caso di
mancata intesa sulla formazione del governo.
Non ci sarebbe un effetto dissuasivo, per chi ha appena conquistato lo scranno alla Camera o al Senato, nella prospettiva di un ritorno alle urne in tempi brevi.
E ciò sarebbe dovuto ad un preciso impegno del candidato a palazzo Chigi.
Secondo quanto riferito da un eletto pentastellato all’Adnkronos, è stato proprio Luigi Di Maio a fornire rassicurazioni in tal senso: se, a seguito di uno stallo protratto e infruttuoso per la nascita del nuovo esecutivo , si dovesse tornare a votare entro sei mesi, è stata la promessa del leader, “tutti gli eletti saranno confermati in lista“, ‘sterilizzando’ nel contempo la XVIII legislatura ai fini del divieto M5S di esercitare più di due mandati elettivi.
Trovano così ulteriore conferma le voci che parlavano di un addio alla regola dei due mandati uscite subito dopo il risultato delle elezioni, anche se per Fabio Fucci, ad esempio, l’eccezione in nome del poco tempo della consiliatura non è stata fatta.
La deroga alla regola quindi arriverà , anche se Gianroberto Casaleggio sosteneva il contrario: “ogni volta che deroghi ad una regola praticamente la cancelli”.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 5th, 2018 Riccardo Fucile ABBATTUTI DECINE DI ALBERI SENZA CHE NESSUNO DEI COMITATI PENTASTELLATI PROTESTI
C’era un tempo in cui nelle città italiane le amministrazioni comunali non potevano toccare le alberature per potarle o abbatterle senza che qualcuno del MoVimento 5 Stelle intervenisse in loro difesa.
Il caso più famoso fu quello di Milano dove il M5S organizzò manifestazioni, hashtag e sit-in e festival per protestare contro la decisione di abbattere 573 alberi per la realizzazione della linea M4 della Metro. Poi a Roma è stata eletta Virginia Raggi e le cose sono cambiate.
All’epoca, era il 2015, contro “Pisapippa” era sceso in campo addirittura Gianroberto Casaleggio che aveva invitato i milanesi alla mobilitazione scrivendo che «Si può dire che dopo Attila è arrivata l’Amministrazione Comunale a Milano».
Per la cronaca venne poi approvata una variante del progetto che consentì di ridurre gli abbattimenti.
Per qualche tempo dopo l’insediamento della giunta Raggi anche a Roma la questione del verde pubblico non è stata affrontata e gli alberi non sono stati toccati. Ma solo perchè il Comune aveva sbagliato a fare il bando.
Ora la musica è cambiata, e quella che si sente nei viali di Roma è la partitura suonata dalle motoseghe che tagliano i pini domestici.
I pini domestici vengono abbattuti un po’ dappertutto, tra le proteste di alcuni cittadini ma nel quasi più completo silenzio da parte dei 5 Stelle che curiosamente non sentono la necessità di paragonare la Raggi (o l’assessora all’Ambiente Montanari) ad Attila.
Il 30 marzo la Montanari era ospite all’assemblea dell’ordine dei dottori agronomi e forestali della provincia di Roma.
Lo stesso giorno nel gruppo Facebook “Arboricoltori italiani” veniva postato il video dell’abbattimento di un pino in via Appia Nuova.
La scena è particolarmente interessante perchè è la dimostrazione plastica di come si fanno le cose a Roma. Un operaio sega la pianta dalla base che miracolosamente cade al suolo senza fare danni.
La circolazione stradale non era stata interrotta, l’albero non era stato “sramato” e solo il caso (e una buona dose di fortuna) ha impedito che qualche pezzo di ramo o qualche pigna una volta caduto a terra non schizzasse via e colpisse qualcuno. Per tacere dell’effetto della caduta di un albero di oltre venti metri sul fondo stradale.
In un’altra stagione del M5S, magari sotto un’altra amministrazione sicuramente ci sarebbe stato qualcuno a protestare, ad incatenarsi agli alberi o a spiegare che invece che abbattere i pini si possono fare interventi meno invasivi.
Che il pino domestico non sia un albero di facile gestione in un contesto urbano è cosa nota. L’apparato radicale estendendosi in orizzontale sotto l’asfalto non consente un buon ancoraggio al suolo della pianta e quindi il vento le fa cadere (ed infatti è successo proprio in via Appia Nuova).
Inoltre le radici sollevano il manto stradale creando disagi alla circolazione e aumentando i costi di manutenzione delle già disastratissime strade romane.
Ciononostante i pini romani fanno parte del paesaggio urbano della Capitale e alcuni cittadini si chiedono se sia stato davvero fatto tutto il possibile per salvarli.
Se per il M5S di Milano e per Casaleggio abbattere gli alberi per consentire la realizzazione della M4 era un crimine, abbatterli perchè la manutenzione e la messa in sicurezza costano troppo (o perchè non si sa come farla) allora che cos’è?
E soprattutto come mai ai cittadini — in ossequio alla trasparenza — non sono stati spiegati i criteri degli abbattimenti, magari convocando una riunione del quartiere per spiegare che quelle piante erano ormai giunte al termine del loro ciclo vitale.
Il problema è che non è solo su via Appia Nuova che si registrano stragi di alberi. Roma Today raccontava a gennaio del taglio indiscriminato di una quarantina di robinie in via della Villa di Lucina nel quartiere San Paolo.
Un intervento che — secondo l’assessora all’Ambiente si era “reso urgente dopo l’evento verificatosi circa due mesi fa, quando uno degli alberi si è improvvisamente spezzato schiantandosi sul recinto del presidio ospedaliero all’angolo di via di Villa Lucina”.
Altre sessanta acacie sono state abbattute al Villaggio Breda perchè nel 2016 un albero aveva centrato il pulmino di una scuola (fortunatamente senza ferire nessuno). Nè alla Garbatella nè su via Appia Nuova è però stato programmato un piano di sostituzione delle piante abbattute.
O meglio: l’intenzione di farlo c’è, ma non si sa quando. L’intervento della giunta a 5 Stelle quindi è: tardivo (si poteva fare prima ma il bando non c’era), poco trasparente (che fine hanno fatto decisioni partecipate?) e “monco” perchè mancano la manutenzione e la ripiantumazione.
(da “NextQuotidiano”)
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