Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile COME LE VECCHIE CARIATIDI DELLA NOMENKLATURA COMUNISTA, PACIFISTI A SENSO UNICO… QUANDO PUTIN HA INVASO LA CRIMEA NON HA VERSATO NEANCHE UNA LACRIMA DI COCCODRILLO
Matteo Salvini dice Give Peace a Chance. Dopo l’attacco di Donald Trump alla Siria il leader della Lega si è
improvvisamente scoperto pacifista e utilizza gli argomenti più popolari negli anni precedenti a sinistra per criticare, senza nominarlo, il leader USA su cui aveva riposto tante speranze e foto-ricordo negli anni scorsi. Rimangiandosi tutti gli elogi di questi anni a The Donald nel nome del superiore interesse putiniano,
Salvini su Facebook scrive:
Stanno ancora cercando le “armi chimiche” di Saddam, stiamo ancora pagando per la folle guerra in Libia, e qualcuno col grilletto facile insiste coi “missili intelligenti”, aiutando peraltro i terroristi islamici quasi sconfitti. Pazzesco, fermatevi. #stopwar #stopisis
E la parte surreale della vicenda è che avrebbe anche ragione, se non fosse che era lui quello a farsi fotografare con The Donald o addirittura con le sue magliette, come un piccolo fà n, assicurando che l’elezione di Trump avrebbe portato a una nuova fase mondiale con la distensione dei rapporti con la Russia.
Così non è stato perchè, com’era facilmente immaginabile e come è sempre successo da che la politica è politica, il presidente USA ha capitalizzato il dissenso finchè era necessario per rimediare voti, per poi muoversi nella scia tracciata dai suoi predecessori.
Il Salvini pacifista di oggi è quindi credibile tanto quanto l’analista politico di ieri. Mentre il suo rifiuto di fare nomi nel post su Facebook dimostra che c’è ancora spazio per un altro dietrofront e avanti, march!
D’altronde, Salvini ha delle idee ma se non vi piacciono ne ha delle altre.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile “IN QUESTE SITUAZIONI MEGLIO NON DIRE NULLA, E’ UN ATTACCO CONTRO L’USO DELLE ARMI CHIMICHE”
“In queste situazioni è meglio non pensare e non dire nulla”. Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha bocciato laconicamente il duro commento di Matteo Salvini contro l’attacco missilistico in Siria ad opera di Stati Uniti, Francia e Regno Unito.
Il leader della Lega aveva detto: “Stanno ancora cercando le “armi chimiche” di Saddam, stiamo ancora pagando per la folle guerra in Libia, e qualcuno col grilletto facile insiste coi “missili intelligenti”, aiutando peraltro i terroristi islamici quasi sconfitti. Pazzesco, fermatevi”.
“Si tratta di un attacco su obiettivi precisi contro siti legati alla produzione di armi chimiche che traduce il principio internazionale di condanna di queste armi”, risponde Berlusconi. E nel sottolineare che “Trump ha voluto avere al suo fianco la Francia e il Regno Unito”, chiede un’accelerazione sulla formazione del Governo. “Vuol dire che dovremmo con sollecitudine avere un nostro governo. Questa crisi deve accelerare la sua formazione”, spiega.
“Serve un governo forte e autorevole, quello del centrodestra, perchè oggi purtroppo siamo arrivati ad una situazione in cui abbiamo un governo che non conta niente”, aggiunge il Cav, che specifica: “Dopo l’attacco serve un governo di tutti? Spero di no. Credo che si debba ripartire dal centrodestra che è la coalizione che ha vinto le elezioni”.
I 5 Stelle si dicono “preoccupati”, ma pronti a restare a fianco degli alleati. In un post pubblicato su Facebook, Luigi Di Maio, scrive: “Siamo preoccupati per quel che sta accadendo e riteniamo che in Siria occorra accelerare con urgenza il lavoro della diplomazia, incrementando i canali si assistenza umanitaria”. Di Maio sottolinea la necessità di restare al fianco degli alleati.
(da agenzie)
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Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile IL GIOCO DELLE PARTI: TRUMP PER FARE DIMENTICARE GLI SCANDALI, PUTIN CONDANNA CON MODERAZIONE, ASSAD CONTINUERA’ A MASSACRARE IL SUO POPOLO
«La Russia è stata avvertita in anticipo degli attacchi militari congiunti di Usa, Regno Unito e Francia
contro la Siria» ha dichiarato la ministra della Difesa francese, Florence Parly.
L’Eliseo quindi conferma la strategia di “deconflicting” dietro l’attacco di questa notte: missili su obiettivi mirati e piena collaborazione con i russi per evitare l’incidente imprevisto che possa portare a un’escalation del conflitto.
Non a caso la stessa Russia ha sottolineato come nessuna bomba sia caduta nelle zone di difesa aerea russa a Tartus e Hmeymim.
Mosca infatti non ha attivato i suoi sistemi di difesa aerea dislocati in Siria. Lo fa sapere il ministero della Difesa, citato dalla Tass.
I raid di Usa, Gran Bretagna e Francia sono stati contrastati unicamente dai sistemi antimissilistici siriani “S-125, S-200, Buk e Kvadrat”. “Sono sistemi prodotti oltre 30 anni fa in Unione Sovietica”, ha precisato il ministero russo.
Anche l’ambasciatore americano a Mosca, John Huntsman, ha detto a Interfax che gli Stati Uniti hanno contattato la Russia prima di procedere all’attacco per evitare vittime tra i militari russi e la popolazione civile. I raid, ha sottolineato l’ambasciatore, non rappresentano un conflitto fra superpotenze.
«Gli attacchi aerei occidentali in Siria hanno preso di mira il principale centro di ricerca per armi chimiche e due siti di produzione sono state colpite la possibilità di sviluppare e produrre armi chimiche. L’obiettivo è semplice: impedire al regime di usare di nuovo armi chimiche», ha precisato la ministra francese Parly.
Le infrastrutture colpite erano state usate per colpire uomini, donne e bambini in spregio a tutte le norme internazionali, non cerchiamo il confronto e per questo abbiamo fatto in modo che la Russia fosse preventivamente avvisata dell’attacco» ha aggiunto in una conferenza stampa all’Eliseo, insieme al ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, che ha ribadito: l’uso delle armi chimiche «viola il diritto internazionale ed è inaccettabile», l’operazione in Siria è stata «legittima, limitata e proporzionata».
Ovviamente non è tardata ad arrivare la condanna da parte di Putin, che ha chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Reazione tuttavia contenuta nei toni e nei contenuti.
(da agenzie)
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Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile UNA SPERIMENTAZIONE PER AIUTARE 28.000 DISOCCUPATI A TROVARE UN NUOVO IMPIEGO HA OTTENUTO SOLO IL 10% DI ADESIONI
Incassa il sussidio e nasconditi.
L’italiano, quando perde il posto e accede agli ammortizzatori sociali, si guarda bene dal cercare un nuovo lavoro.
È una questione culturale, è l’abitudine alle politiche passive del lavoro che rende complicato attivare in Italia sistemi di sostegno al reddito a pioggia, come potrebbe essere il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle.
La conferma viene da una sperimentazione lanciata da Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del Lavoro, creata a inizio 2017 e diretta da Maurizio Del Conte, professore di Diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano.
L’Anpal nasce non solo per rilanciare il sistema nazionale dei centri per l’impiego, ma anche per disegnare nuove strategie di sostegno alla ricerca di nuove opportunità professionali.
L’ente ha avviato lo scorso anno una sperimentazione, coinvolgendo 28 mila disoccupati su una platea di circa 125 mila percettori di Naspi, l’indennità di disoccupazione introdotta dal Jobs Act.
Ai soggetti selezionati – scelti con un sistema randomizzato e quindi estratti a caso su tutto il territorio nazionale – sono state inviate delle lettere per partecipare a un percorso di attivazione su misura con colloqui, corsi di formazione e un sistema di ricollocamento che prevedeva un premio compreso tra i 250 e i 5 mila euro euro per la società o il centro per l’impiego che fossero riuscite a trovare un lavoro alla persona.
Il risultato? Solo 2.800 persone si sono presentate ai centri per l’impiego, vale a dire il 10 per cento degli aventi diritto.
Un esito piuttosto magro, che Maurizio Del Conte prova a spiegare così: «Il dato più negativo di questa sperimentazione è stata sicuramente la bassa partecipazione al piano di attivazione al lavoro. Tendenzialmente abbiamo notato che la reazione delle persone coinvolte è stata quella di nascondersi, di non dare alcun seguito alla proposta offerta».
In parte succede perchè i percettori di disoccupazione sono lavoratori stagionali con contratto a termine e quindi non necessitano di un altro lavoro, ma attendono la ripartenza della stagione, facendo fronte ai periodi di inattività con i sussidi pubblici. Ma in generale «c’è un’assoluta impreparazione e una mancanza di tradizione all’idea che, quando si percepisce indennità , si possa e si debba ricercare attivamente un lavoro», spiega Del Conte, «abbiamo notato che le domande si sono concentrate verso la fine del periodo di copertura economica dell’assegno Naspi. Significa che, solo quando il sussidio economico sta per finire, allora alcune persone si attivano per valutare l’opportunità offerta dai centri per l’impiego. Questo non è buono, perchè tutti gli studi concordano nel dire che più ci si allontana dal periodo di occupazione precedente, più è difficile trovare un nuovo lavoro».
Il professore, più che puntare a un sussidio a pioggia – come quello ipotizzato dal Movimento 5 Stelle, che vorrebbe lanciare un sistema di sostegno al reddito a 360 gradi con il reddito di cittadinanza – avanza l’urgenza di lanciare un piano massivo di formazione culturale, perchè vengano scardinate le cattive abitudini e si punti piuttosto a una immediata ricerca di lavoro, già dal giorno seguente della perdita del posto di lavoro.
Il piano è già cominciato: infatti dal 3 aprile di quest’anno l’assegno di ricollocazione, cioè la sperimentazione descritta sopra, è stata esteso a tutte le persone disoccupate che percepiscono la Naspi da almeno quattro mesi, vale a dire a una platea di un milione di italiani.
Fra qualche mese sarà possibile capire l’attitudine dei percettori di assegno di disoccupazione alla ricerca di un nuovo lavoro.
«Estendendo il progetto, speriamo di raccogliere risultati molto diversi. Infatti nella sperimentazione alcuni lavoratori non si sono presentati perchè non erano stati coinvolti i colleghi di lavoro, poichè non avevano ricevuto la lettera. L’effetto gruppo, invece, potrebbe invogliare molti a partecipare».
Nella fase di sperimentazione, si è aggiunta la preoccupazione che, partecipando all’evento, si mettesse a rischio l’indennità di disoccupazione percepita: «Ma si tratta di una paura ingiustificata, perchè il percorso di formazione e ricollocamento è un’opportunità in più e non toglie nulla», spiega Del Conte.
L’assegno di ricollocazione, infatti, che varia dai 250 ai 5 mila euro a seconda della probabilità di occupabilità del disoccupato e della tipologia di contrato, viene versato all’ente che eroga il servizio di ricollocazione solo se riesce a trovare un posto al disoccupato.
Il progetto, grazie a una nuova disposizione contenuta nella legge di bilancio, si potrà estendere anche ai lavoratori in cassa integrazione straordinaria. In questo caso sono state fatte altre sperimentazioni, concedendo ai percettori di cassa integrazione di mantenere parte dell’ammortizzatore sociale anche quando ha trovato una nuova opportunità di lavoro: qui l’86 per cento dei lavoratori ha aderito all’iniziativa.
«Con Anpal abbiamo iniziato un’inversione di rotta dal punto di vista del messaggio da comunicare ai disoccupati e delle regole di ingaggio. C’è bisogno di far capire alle persone che il sussidio economico non è fine a se stesso, ma deve essere solo finalizzato alla ricerca di un nuovo lavoro. Il rischio, introducendo e ventilando l’ipotesi di un reddito di cittadinanza come lo vorrebbe il Movimento 5 Stelle è tornare a una logica assistenzialista, di dispensare denaro senza avere la possibilità di inserire queste persone nel mondo del lavoro. Perchè oggi i centri per l’impiego non sarebbero in grado di far fronte ai volumi che potrebbero riversarsi lì».
La fase due del jobs act, che doveva concentrarsi sullo sviluppo delle politiche attive, si è bloccata soprattutto a causa della vittoria del No al Referendum del 4 dicembre 2016, che non ha permesso ai centri per l’impiego territoriali di essere unificati sotto un unico ente nazionale.
Al contrario restano vincolati alle specifiche leggi regionali, frammentando parecchio il sistema e rendendo complicato realizzare un unico database con le opportunità occupazionali del paese.
Attualmente le persone che lavorano nei 550 centri per l’impiego nazionali sono 7.500, più 1.500 collaboratori.
Poca cosa se confrontati con i 110 mila addetti alle politiche attive della Germania, i 70 mila del Regno Unito i 60 mila della Francia.
«Nel panorama europeo siamo il paese meno avvezzo alle politiche attive. La nostra tradizione si basa solo sui sussidi di cassa integrazione, un modello oggi non più è sostenibile. Bisogna innanzitutto ripartire dai servizi di ricollocamento non solo potenziandoli, ma assumendo persone con professionalità e competenze».
C’è ancora da affrontare il tema della condizionalità del sussidio: infatti nel Jobs Act esiste l’obbligo per il lavoratore di accettare l’offerta occupazione presentata dal centro per l’impiego, sempre che sia rispondente alla formazione e agli skill professionali della persone, pena il taglio del sussidio economico.
«Il fatto che l’erogazione dell’assegno mensile sia condizionato all’accettazione del percorso lavorativo è una regola esistente già da molti anni. Tuttavia i casi di revoca del sussidio per mancata attivazione a causa del rifiuto del lavoratore sono rarissimi. Siccome il contributo proviene direttamente dallo Stato, non c’è nessuna pressione sul funzionario del centro per l’impiego a segnalare i casi di rifiuto all’Inps, che a sua volta dovrebbe adottare il provvedimento di revoca del sostegno economico stanziato. Questo sistema molto complesso ha reso pura teoria il principio di condizionalità . A tal proposito andrebbe ricostruito tutto il sistema decisionale della condizionalità , in modo da rendere automatico il taglio del sostegno economico in caso di rifiuto».
(da “L’Espresso”)
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Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile I CARABINIERI RECUPERANO IN UNA CASA D’ASTE DI MONACO DI BAVIERA DUE DIPINTI RUBATI NEL 2011
Lo stratagemma era infallibile. Una “colf” dalle referenze false infiltrata in case e ville di famiglie nobiliari
con le pareti tappezzate di opere d’arte, approfittava dell’assenza dei padroni di casa, fotografava quadri di valore e, quando era pronta la copia falsa antiquata, sostituiva la tela portando via l’originale.
La banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti dei carabinieri del nucleo tutela patrimonio artistico anche questa volta non ha fallito e ha consentito l’individuazione, nel catalogo di una nota casa d’aste di Monaco di Baviera, di due dipinti, olio su tela, rubati anni fa nella residenza di una famiglia nobiliare a Venezia.
I due quadri di Lazzaro Baldi e Niccolò Berrettoni, allievi di Pietro da Cortona e Carlo Maratta, del valore di circa 200.000 euro, sono stati recuperati in Germania dai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale di Venezia che hanno denunciato una persona per ricettazione.
Le indagini coordinate dalla Procura di Venezia hanno permesso di stabilire che le due opere sono state trafugate nel 2011 da una banda specializzata che utilizzava come “gancio” una donna italiana, dall’aspetto e dalle maniere irreprensibili, che riusciva a farsi assumere come governante presso famiglie nobili del Veneto e approfittava del momento giusto per fotografare le opere d’arte che venivano poi ricopate da abili pittori.
I falsi venivano quindi rimontati su telai e rimesse nelle cornici originali dalle quali, nel frattempo, veniva smontato l’originale.
(da agenzie)
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Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile PER IL PROLUNGAMENTO NON CI SONO SOLDI E VOLONTA’ POLITICA
Nove chilometri in direzione del nulla.
Da qualche mese vicino al casello di Parma Ovest, nel bel mezzo della pianura Padana, ruspe e betoniere stanno alacramente lavorando per costruire una nuova autostrada: è la TiBre, l’autostrada Tirreno-Brennero.
Sulla carta collegherà , prolungando la Camionale della Cisa, il porto di La Spezia all’autostrada del Brennero.
Ma con ogni probabilità il collegamento da Parma Ovest a Nogarole Rocca, in provincia di Verona, non verrà completato mai.
E quasi certamente della TiBre alla fine verranno costruiti soltanto i 9 chilometri dove ora lavorano macchine e operai del costruttore Pizzarotti, un tratto che si concluderà al paesello di San Quirico di Trecasali.
Sarà , chissà per quanto tempo, l’autostrada più breve d’Italia. E – insieme – una tra le meno utili e tra le più costose.
Prodigi che avvengono solo in Italia.
Immaginata negli anni ’70, per decenni la TiBre è rimasta solo un progetto. E per andare dalla Spezia all’AutoBrennero si è dovuto passare per l’A1 e lo snodo di Modena, allungando il tragitto di una ventina di minuti.
Poi, nel 2006, una serie di circostanze – anche queste tipicamente italiane – cambiano la situazione. Quell’anno il governo Berlusconi decide di concedere senza gara pubblica alla società Autocisa, di proprietà della famiglia Gavio, una proroga di 34 anni della concessione di gestione dell’autostrada Parma-La Spezia.
Bruxelles protesta, minaccia l’infrazione alle regole e pesanti sanzioni.
Per aggiustare le cose l’Italia firma un accordo con l’Unione europea: Autocisa avrebbe finanziato la realizzazione della TiBre, acquisendo così il diritto al rinnovo automatico della concessione per la Parma-La Spezia.
Nel 2010 il Cipe approva il progetto, ma solo per il primo tratto di una decina di chilometri. I soldi, la bellezza di 513 milioni, 40 milioni di euro per chilometro di piattissima pianura, li mette Autocisa.
Che però ottiene il permesso di aumentare i pedaggi della Parma-La Spezia del 7,5% annuo dal 2011 al 2018, incrementando per più di un miliardo le sue entrate. Insomma, Gavio ha mantenuto la sua concessione, ha accollato la spesa dei lavori agli utenti della Camionale della Cisa (tra le più care d’Italia), e addirittura è riuscito a guadagnarci.
Lo Stato, stavolta, non ci ha rimesso un soldo; ma il prezzo è stato quello di dare via libera a una folle autostrada che non va da nessuna parte, e che forse mai ci andrà , nonostante mezza città di Parma sia favorevolissima.
Sì: perchè sia per la Regione Emilia-Romagna che per il governo il completamento dell’opera – che costerebbe altri 2,2 miliardi – fino all’AutoBrennero «non è di interesse prioritario».
Come ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, «il resto dell’autostrada è condizionato molto dalla sostenibilità finanziaria, e dalla sua reale utilità nei pezzi che mancano».
E a parte la logica e il buon senso, in questa storia italiana c’è un’altra vittima: l’ambiente.
In una pianura altamente cementificata, l’area interessata oggi dai lavori era una specie di isola felice: «terreni agricoli a prativi – spiega Rolando Cervi, presidente del Wwf di Parma – usati come foraggio per le mucche che danno il latte per il parmigiano nella food valley.
E ancora, una importante risorgiva a un passo dal corso del Taro, che aveva creato bei fontanili e i laghetti del Grugno, protetti come Zona d’Interesse Comunitario; e un bel pioppeto, anch’esso protetto, che era l’habitat privilegiato del raro e tutelato Falco cuculo». Adesso sulla risorgiva ci corre il viadotto dell’autostrada; e difficilmente i falchi vorranno nidificare a dieci metri dalle automobili.
Un altro pezzo di pianura che si copre di cemento. Quel che più addolora, è che questo cemento chissà per quanto tempo non servirà a niente e nessuno.
(da “La Stampa”)
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Aprile 14th, 2018 Riccardo Fucile NON SOLO: AMA “REGALA” AI PRIVATI RIFIUTI DI PLASTICA E CARTA
Roma ha il piano rifiuti zero che punta ad arrivare, entro il 2021, ad un aumento vertiginoso delle
percentuali di raccolta differenziata. à
Secondo la sindaca Virginia Raggi l’obiettivo è il 70%, qualche giorno fa a Piazza Pulita Roberta Lombardi ha rilanciato dicendo che Roma entro la fine del mandato della giunta del M5S arriverà addirittura all’85% di raccolta differenziata.
Riuscire a farlo però sarebbe un’impresa più che miracolosa dal momento che attualmente la percentuale di raccolta differenziata nella Capitale si attesta a meno della metà di quanto promesso da Lombardi, ovvero tra il 43% e il 44%.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Dall’arrivo dei 5 Stelle al governo della Capitale la percentuale di raccolta differenziata non è certo aumentata in modo vertiginoso.
Per fare un paragone con un’amministrazione precedente quando Ignazio Marino arrivò al Campidoglio nel 2013 la percentuale di raccolta differenziata era al 37%, quando Marino fu cacciato — nel 2015 — era arrivata al 41%. Per il 2017 l’obiettivo di AMA era portare la raccolta differenziata al 48%, quest’obiettivo non è stato raggiunto.
Lombardi ha detto che se entro il 2021 non si raggiungerà l’85% non si potrà dire che era colpa delle precedenti amministrazioni ma che la responsabilità sarà dei 5 Stelle. Inutile ricordare che in quella data nè Virginia Raggi nè la Lombardi potranno correre per un altro mandato (a meno che il M5S non cambi le regole come ha già fatto per i parlamentari).
In attesa della guerra di cifre che si scatenerà tra qualche anno ieri Piazza Pulita ha mostrato come anche i dati attuali non corrispondano al vero.
In buona sostanza il risultato sulla differenziata a Roma sarebbe gonfiato.
I rifiuti di Roma continuano quindi a dare spettacolo, questa volta non si tratta però di quelli che vengono “esportati” in altre regioni (o all’estero) perchè gli impianti di trattamento romani (sia per l’indifferenziato che per l’organico) sono sottodimensionati.
E non si tratta nemmeno della telenovela infinita dei nuovi impianti per il compostaggio che verranno messi in funzione, se tutto andrà bene, fra non prima di tre anni (ovvero nel 2021…).
Ieri Piazza Pulita ha mostrato che fine fanno i rifiuti della raccolta differenziata che già ora si sta facendo a Roma.
Il problema della differenziata di Roma è duplice, da un lato ci sono quei cittadini che la fanno, che separano carta, plastica e indifferenziato anche se non hanno il porta a porta e dall’altro ci sono quelli che buttano tutto a casaccio nel cassonetto.
Ci sono poi i rifiuti abbandonati fuori dai cassonetti, per incivilita o perchè, come spesso accade “c’è l’emergenza”.
Vale a dire perchè i mezzi di AMA — a causa anche di problemi meccanici e tecnici — non riescono a far fronte alla raccolta dei rifiuti.
A questo punto intervengono i privati, aziende che hanno partecipato all’appalto del Comune (da nove milioni di euro) per ripulire le strade dalla monnezza.
Ed è qui che iniziano i “trucchetti”.
Secondo Piazza Pulita infatti il materiale raccolto viene inviato a dei centri privati di smaltimento dove viene selezionato e separato (in modo da recuperare la parte riciclabile “preziosa” che poi viene venduta).
Il punto è che — come ha spiegato in un’intervista l’ex assessora all’ambiente Paola Muraro — quell’immondizia raccolta per strada concorre a formare il 43% di raccolta differenziata totale.
Ma non dovrebbe essere così perchè non sempre è possibile separare il materiale riciclabile dall’indifferenziato e quindi all’uscita degli impianti di smistamento la quantità di differenziato realmente raccolto è più bassa.
Non si tratta solo di numeri per la propaganda, sulla percentuale di differenziata il Comune riceve fondi da Regione e Ministero dell’Ambiente.
Non è finita qui, perchè in diversi centri di raccolta di AMA, dove i camioncini vanno a scaricare i rifiuti, sono presenti compattatori di aziende private che in teoria dovrebbero essere utilizzati durante le fasi di emergenza per scaricare l’indifferenziato “sporco”, quello da mandare nei centri di selezione privati che hanno partecipato al bando di AMA.
Piazza Pulita però ha scoperto che spesso nei compattatori ci finiscono anche i rifiuti “preziosi”, quelli frutto della raccolta differenziata fatta bene.
Si tratta di materiale che AMA potrebbe vendere, perchè già selezionato dai cittadini e che invece invia (pagandolo) alle aziende che a loro volta lo vendono senza nemmeno doverlo lavorare.
Secondo la Muraro si tratta di un “regalo di rifiuti puliti” che serve per “compensare” in qualche modo il fatto che alle ditte private arrivino rifiuti con una percentuale di indifferenziato superiore a quella prevista dal capitolato e quindi non lavorabili.
Il problema è che questa contropartita viene pagata dai cittadini romani (che da poco hanno beneficiato di un imperdibile sconto sulla TARI).
Secondo l’ex assessora della giunta Raggi se AMA fosse a conoscenza di questa procedura si potrebbe parlare tranquillamente di danno erariale.
Muraro stima che questo ciclo dei rifiuti venga a costare anche 20 milioni di euro l’anno.
(da “NextQuotidiano”)
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