Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile CERTIFICATO IL FALLIMENTO DELLO SCHEMA DEI DUE VINCITORI DIMEZZATI… ORA SI APRE UNA PAGINA NUOVA TRA M5S E PD
C’è un’antica sapienza costituzionale in questa “esplorazione” dall’esito annunciato ma non inutile.
Perchè è chiaro che al Quirinale non occorre attendere la giornata di venerdì per capire che, anche questo giro, non porterà nè un governo, nè un serio e credibile “innesco” di trattativa tra centrodestra e Cinque Stelle o tra Lega e Cinque stelle.
Basta scorrere le dichiarazioni, anche quelle odierne, dei due vincitori dimezzati per registrare che il solco, se possibile, si è ancora allargato, con veti e puntigli dai toni quasi elettorali.
E lo stesso accadrà domani quando il centrodestra si presenterà unito al giro supplementare chiesto dalla Casellati. Anzi, proprio questa foto del centrodestra unito, maliziosamente annunciata da Silvio Berlusconi all’uscita, fa franare l’ultimo appello rivolto da Di Maio a Salvini, quel “rompa con Berlusconi” diventato ormai un disco rotto.
E se l’esito è, appunto, annunciato, il passaggio politico che si sta consumando in queste ore è tutt’altro che irrilevante.
Perchè venerdì mattina, al temine del mandato “lampo”, sarà certificato il fallimento dello schema centrodestra-Cinque Stelle, su cui si è girato a vuoto per 45 giorni.
Cer-ti-fi-ca-to. Ecco.
È questo il senso di un mandato “mirato” conferito alla Casellati. Il capo dello Stato, pare un dettaglio ma è sostanza, non ha chiesto una esplorazione tout court, rivolta a tutti i partiti, ma l’ha circoscritta a quello che finora — e a parole – è stato l’unico perimetro di gioco, tra il primo partito e la prima coalizione.
E a certificare il fallimento, questo il punto, sarà un autorevole esponente del centrodestra come la Casellati. Spetterà all’esploratrice spiegare che non ci sono le condizioni per proseguire, per tutti i motivi che ormai anche una vasta opinione pubblica ha chiaramente compreso: il veto di Di Maio su Berlusconi, Salvini che non rompe con Berlusconi, Di Maio che non rinuncia alla sua pretesa di andare a palazzo Chigi.
A quel punto una pagina si chiude politicamente e mediaticamente senza alcuna forzatura da parte del capo dello Stato che, pazientemente, ha concesso due giri di consultazioni, un supplemento di esplorazione e nessuno potrà dirgli “noi volevamo provarci, ma non ce lo hai permesso”.
E, a quel punto, si inizierà a ragionare su un nuovo schema di cui già si annusa qualcosa nell’aria, incentrato sul dialogo tra Cinque Stelle e Pd.
A meno di clamorose novità politiche è nelle cose che al Quirinale si prepara una altrettanto paziente — e non breve – verifica del rapporto tra Pd e Cinque Stelle, anche utilizzando lo stesso metodo dell’esplorazione.
Un mandato esplorativo, anche in questo caso mirato e circoscritto, al presidente della Camera è un’ipotesi su cui si è già ragionato nei tanti brainstorming con i consiglieri giuridici del Colle e che sarà all’ordine del giorno da venerdì in poi.
Magari di mezzo ci saranno un paio di giorni di riflessione, ma è chiaro che con Fico si obbliga al confronto i Cinque Stelle e il Pd.
Diciamo così: si obbliga il leader pentastellato a confrontarsi seriamente con i democratici, senza avere più il forno leghista a disposizione e si obbliga il Pd a scendere dall’Aventino, ora che non ci sono popcorn da gustare davanti al giuramento del “governo populista”.
È una pagina tutta nuova, per nulla scontata a considerare le scorie non smaltite della campagna elettorale e del velenoso dopo voto, che richiederà altrettanta pazienza e capacità di attesa affinchè maturino condizioni che al momento non si vedono.
Perchè se da un lato c’è Berlusconi dall’altro c’è Renzi, un altro scarsamente avvezzo ai passi indietro.
Anzi, si intensificano le voci di un suo possibile passo in avanti, inteso come ritorno in campo ora che i due vincitori dimezzati si sono infranti contro il muro della realtà . È complicato che, anche in questo caso, puntigli e veti — quello di Renzi su Di Maio, quello di Maio su Renzi — possano produrre un rapido innesco di trattativa.
È però altrettanto chiaro che queste esplorazioni, sapienti e maieutiche, fatte di tentativi andati a male, riflessioni e fallimenti, hanno anche l’innegabile funzione di preparare, diciamo così, la scelta solitaria del capo dello Stato quando la situazione lo renderà necessaria e quando il tema del governo non sarà più rinviabile.
Proporre un nome e, con esso, un “governo del presidente” dopo il voto sarebbe stato visto, in questo dibattito politico primitivo nelle categorie propagandistico nella forma, come un “golpe” contro la volontà dei cittadini.
Proporlo dopo averle tentate tutte, ma proprio tutte, tra esplorazioni, consultazioni e settimane di riflessioni, diventa una “necessità ” a cui è difficile sottrarsi. Ma per questo c’è tempo.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile LA MOSSA PER SCARICARE SU DI MAIO IL FALLIMENTO DELLA TRATTATIVA… DOMANI SECONDO GIRO CON CENTRODESTRA UNITO
A fine serata la bolgia leghista produce l’ultima offerta al Movimento 5 Stelle. 
Nei fatti viene concessa a Luigi Di Maio la premiership ma in cambio deve accettare Forza Italia in una compagine di governo.
Matteo Salvini e il capo politico grillino non si sentono ormai da un po’, tuttavia emissari leghisti per tutta la mattinata nei corridoi di Montecitorio hanno cercato punti di contatto con i grillini per sondare ancora una volta il terreno a poche ore dall’inizio delle consultazioni della presidente del Senato Maria Alberta Casellati.
Nel Transatlantico della Camera, dove c’è il pieno di deputati e senatori, per esempio Raffaele Volpi, tra i parlamentari leghisti più vicini al leader, parla fitto fitto con Riccardo Fraccaro, braccio destro del capo politico pentastellato. Le condizioni dei grillini sono sempre le stesse: Di Maio premier e mai con Silvio Berlusconi. Alcuni esponenti del Carroccio vanno su tutte le furie, lo stesso Salvini accusa l’aspirante premier si “sentirsi al centro dell’universo”.
Ed ecco che viene decisa la strategia per inchiodare Di Maio a una decisione difficile da prendere e nello stesso tempo per fare in modo che il centrodestra esca dal cono d’ombra in cui è finito.
A parlare in chiaro, nel salotto di Porta a Porta, è l’uomo delle trattative Giancarlo Giorgetti, poco dopo essere stato ricevuto dalla presidente Casellati a Palazzo San Macuto: “Tra fare il primo ministro e dire no a Berlusconi, Di Maio rinunci almeno a una pregiudiziale. Se non viene rimossa almeno una pregiudiziale il tentativo di domani della presidente Casellati fallirà “.
Perchè domani ci sarà un nuovo giro di consultazioni, il secondo a distanza di pochissime ore e questa volta il centrodestra andrà unito e non più diviso come oggi, e ci sarà anche Salvini volato nel pomeriggio a Catania per un impegno già preso da tempo e che non ha voluto disdire.
Secondo alcuni, forse, consapevole che questo secondo giro sarebbe stato poco utile e quindi è rimasto defilato.
Sta di fatto che il centrodestra di nuovo unito alla consultazioni è un segnale di non poco conto. Un siluro quasi sparato contro i 5Stelle per mettere in chiaro che, malgrado ciò che sostiene Di Maio, la coalizione è unita.
Quindi — dice ancora Giorgetti — “Di Maio deve fare uno sforzo ulteriore. Se non lo fa, o non vuole fare il governo o lo vuol fare con il Pd”. E se così sarà , Salvini avrà gioco facile per scaricare tutte le colpe sul Movimento 5 Stelle “che — spiegano i leghisti — non è stato capace di dare un esecutivo al Paese”.
Salvini e Berlusconi oggi hanno giocato insieme. Il leader di Forza Italia, uscendo dal salone di palazzo San Macuto, non ha posto nessun veto al Movimento Cinque Stelle. Anzi, a differenza dei toni usati al Quirinale, quando ha dato ai 5Stelle degli antidemocratici, questa volta è stato più soft: “Non abbiamo messo mai veti nei confronti di nessuno, anzi li abbiamo subiti. Forza Italia non ha mai messo veti all’alleanza del centrodestra con i 5 stelle”.
E poco dopo sia Giorgetti sia Meloni hanno detto di aver apprezzato la linea del leader di Forza Italia.
Adesso si attende una risposta da Di Maio, che dovrà maturare in questa lunga notte. Ma un deputato leghista di primo piano, dal grande senso pratico, ragiona così: “Se Di Maio vuole fare il premier e come si è visto non ci rinuncerà per niente al mondo, noi glielo facciamo fare ma non può chiederci di spaccare la coalizione”.
Così — sempre secondo quanto viene studiato negli uffici della Lega — si aprirà una partita tutta nuova riguardo gli incarichi di governo. “Al Movimento 5 Stelle va il premier e casomai a noi la gran parte dei ministri”.
Per adesso però questi restano ipotesi. Ma il Carroccio si prepara in caso a intraprendere un’altra strada ancora: “Un governo del presidente? La Lega è una forza responsabile e Salvini si è dimostrato uno statista”.
Ecco la giravolta per non rimanere con le spalle al muro e far paura ai 5Stelle che in questo caso vedrebbero sfumare il sogno di Luigi Di Maio.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile VERSO IL SI’ ANCHE A M5S MA CON TANTE CONDIZIONI E SENZA DI MAIO PREMIER
Da quando stamane il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dato mandato alla presidente del Senato Maria Alberti Casellati di verificare l’esistenza di una maggioranza di governo tra centrodestra e M5s, il Pd si è messo in movimento.
Come se si sentisse chiamato in causa già da ora, eppure sulla carta non lo è.
Ma è chiaro a tutti tra i Dem, a partire dal segretario dimissionario Matteo Renzi e dal reggente Maurizio Martina, che se il mandato della Casellati dovesse fallire, lo schema quirinalizio cambierà e allora sì che sarà chiamato in causa il Pd.
Ecco perchè, già da oggi, con tutti i condizionali del caso sul futuro prossimo, il Pd si prepara a scongelare il suo sì ad un governo con il Movimento cinque stelle.
Il pressing nel partito è forte anche da parte dei renziani di seconda fascia sul capo Renzi, da sempre contrario ma la novità è che stavolta potrebbe dire sì: potrebbe definitivamente scongelare l’Aventino del Pd.
Chiaramente con delle condizioni. La prima è: non con Luigi Di Maio premier.
E poi, elencano i renziani più incalliti, “i cinquestelle dovrebbero rivedere i giudizi dati su di noi, dovrebbero riconoscere il programma del governo di centrosinistra…”. Insomma, messa così, è difficile che la situazione si sblocchi.
Ma nel Pd tutti sanno che l’ora della responsabilità sta per scoccare e tutti sono d’accordo sul fatto che non la si può affrontare impreparati e sull’Aventino. Bisogna scendere.
Tra i parlamentari in Transatlantico a Montecitorio girano varie ipotesi, tra cui anche quella di un prossimo incarico al presidente della Camera Roberto Fico per verificare, dopo l’eventuale fallimento di Casellati, l’esistenza di una maggioranza di governo tra M5s e Pd.
Non è detto che vada esattamente così. Ed è prematuro, segnalano alti dirigenti Dem, pensare allo stesso Fico come premier di un governo democratico-pentastellato.
E’ ovvio che, prima di decidere la prossima mossa, Mattarella vuole capire cosa emergerà dal mandato di Casellati. Niente si può dare per scontato.
Il punto è che nel Pd, tra una congettura e un’altra sui modi e sui tempi, si prepara però un punto di approdo eventuale nel merito: se non ci sarà maggioranza tra centrodestra e M5s e nemmeno tra la sola Lega e M5s, se insomma il mandato di questa settimana dovesse fallire, allora i Dem faranno la loro parte per prendersi una responsabilità di governo anche con i cinquestelle.
Certo oggi i renziani più ortodossi non hanno perso occasione per ‘bombardare’ ancora il quartiere pentastellato.
“Oggi il capogruppo 5 stelle in Senato è tornato a parlare della nostra disponibilità a sostenere un governo Di Maio — scrive su Facebook il capogruppo Dem al Senato Andrea Marcucci – Toninelli sa benissimo che il forno con il Pd è chiuso, anzi non è mai stato aperto. Dicano se sono in grado di formare un governo con il centrodestra”. Il senatore Dario Parrini, anche lui fedelissimo renziano, parte dai punti programmatici precisati ieri da Martina, “che proporremo alla presidente Casellati”, per concludere: “Il nostro programma è totalmente incompatibile con sparate propagandistiche come il reddito di cittadinanza e l’abolizione della Fornero. Riaffermare le ragioni del riformismo contro quelle della demagogia è un dovere”.
Ecco, però nemmeno Di Maio sta parlando più di reddito di cittadinanza. Quanto all’abolizione della Fornero sembra sia rimasta appannaggio programmatico solo di Matteo Salvini.
Ma a parte il programma, sul quale il Pd chiederebbe delle garanzie forti, il ragionamento che sta facendo maturare la svolta tra i Democratici va anche per esclusione.
Se davvero il mandato a Casellati si concluderà con un nulla di fatto, spazzando via dal campo l’ipotesi di un governo tra Lega e M5s oltre che tra M5s e tutto il centrodestra, cosa rimane sul campo?
Anche l’ipotesi di un governo di tutti, sul quale il Pd si preparava a dire sì, ad una più attenta analisi delle ultime ore sembra scomparsa dall’orizzonte degli approdi finali di questa crisi. Basterebbe il no di Salvini per farla naufragare.
E il no di Salvini su questa opzione c’è: lui guarda alle europee, alle brutte stare all’opposizione fino a quel momento gli spiega le vele, per come la vedono nella Lega. Se non c’è il governo di tutti, cosa rimane?
Escluso il voto, almeno dall’orizzonte del Pd che non è affatto interessato a tornare alle urne così presto, sul campo resta la possibilità di un governo con chi ci sta.
E a quel punto, fatte salve le condizioni di cui sopra, ci potrebbero stare i Dem, i cinquestelle, Leu e una pattuglia di centristi.
Non a caso, qualche giorno fa, Pierferdinando Casini ha lodato “l’impegno atlantico” del M5s sulla crisi siriana. Forza Italia sarebbe fuori gioco, visto il no del M5s ad un accordo con Berlusconi: anche oggi lo ripetono in tutte le lingue.
Ovvio che la virata Dem non si potrebbe fare senza l’ok di Renzi: basta una manciata di no tra i suoi a far naufragare tutta l’operazione che da tempo è in cantiere nel Pd. Solo che doveva maturare. Ci hanno provato Dario Franceschini e lo stesso Martina con la parte definita più ‘dialogante’ nel partito.
Ma con una tempistica che non indovinava i tempi di Renzi. Troppo presto. E ora, prima si aspetta di capire se davvero fallisce l’operazione fortemente voluta da Silvio Berlusconi di stringere un accordo di governo di tutto il centrodestra con il M5s. Se, come sembra, non andrà in porto, entra in campo il Pd tutto, da Renzi in giù.
Chissà se c’entra il pranzo di Luca Lotti con il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri due settimane fa. Il ministro dello Sport giura di no: “Un incontro come un altro”, ha detto l’altro ieri. Ad ogni modo, la svolta verrebbe costruita sulla base di richiami alla responsabilità che nei prossimi giorni saranno pressanti, non solo da Mattarella ma anche da autorevoli dirigenti del centrosinistra, prevedono del Pd.
Walter Veltroni, per esempio, l’ha detto subito dopo le elezioni, in un’intervista al Corriere della Sera: “Dialogo tra il M5s e il Pd sotto la regìa di Mattarella”. Ecco: che lo si voglia definire un programma, una semplice idea oppure addirittura una profezia, ci si sta arrivando.
Spiega Piero Fassino all’agenzia Dire: “Ci si rende conto che bisogna dare un governo al Paese e Mattarella è giustamente preoccupato perchè il prolungamento logora il rapporto tra cittadini e istituzioni. Credo che il Presidente della Repubblica stia agendo nel modo migliore” e se dovesse saltare l’accordo Lega-M5s, “si apre una nuova fase, quindi si discute: non prefiguriamo formule che al momento non ci sono. Da 40 giorni M5s e centrodestra stanno cercando un accordo, sia nella versione con la coalizione che solo con la Lega. Fin qui non ci sono riusciti ma ora i tempi si stanno stringendo. Noi da subito abbiamo detto una cosa di buonsenso: ovvero che chi aveva avuto più voti avrebbe avuto il dovere di formare il governo, altrimenti si sarebbe aperto un altro scenario”.
‘L’altro scenario’ ha cominciato ad aprirsi sulla questione siriana. Quando Trump ha bombardato Damasco, le distanze tra Pd e M5s si sono accorciate tanto quanto si sono allungate quelle tra M5s e Lega.
E Mattarella non ha mai fatto mistero dell’esigenza di dare al paese un governo in linea con le alleanze storiche del Belpaese, europeista, solido in diplomazia.
Ieri a Strasburgo la delegazione pentastellata si è persino congratulata con il discorso di Emmanuel Macron all’Europarlamento. Si sa che il presidente francese è un partner in Europa per i renziani del Pd e si è già aperta una competizione con i cinquestelle su chi fa prima ad allearsi con En Marche alle europee.
Chissà : un governo sostenuto sia dai Dem che dai 5s potrebbe anche servire a sciogliere questo nodo o a stringerlo ulteriormente.
Formalmente intanto Renzi si mantiene distante. Oggi se n’è tornato a Firenze da dove posta foto su Facebook: “Dite quello che volete. Ma le mattinate di primavera a Firenze sono una delle cose più belle del mondo. Buona giornata amici”
(da “Huffingtonpost”).
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile “IL DISEGNO E’ CHIARO: SBARRARCI LA STRADA. SE IL M5S APPOGGERA’ IL GOVERNO NON AVRA’ PIU’ IL MIO VOTO”
Stamattina, come ampiamente annunciato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha
conferito ad Elisabetta Alberti Casellati un mandato esplorativo per verificare la possibilità di un governo tra centrodestra e MoVimento 5 Stelle.
Un compito che la presidente del Senato, dopo un incontro stamattina di una ventina di minuti con il capo dello Stato, ha accettato spiegando che intende affrontare il compito con “lo stesso spirito di servizio che ha animato in queste settimane il ruolo di presidente del Senato”.
Il MoVimento 5 Stelle ha risposto alla decisione del presidente della Repubblica, che avrebbe potuto conferire anche l’incarico a Roberto Fico (e non è detto che ciò non avvenga dopo l’eventuale fallimento del tentativo di Casellati), con un video di Luigi Di Maio in cui il candidato presidente del Consiglio del M5S ha augurato buon lavoro alla presidente del Senato considerando l’incarico esplorativo un modo “per fare chiarezza” e rilanciando il suo impegno “sul reddito di cittadinanza, sullo stop al business dell’immigrazione e sulla lotta alla corruzione”.
Ma il popolo a 5 Stelle, evidentemente già scottato dalle affermazioni di Di Maio sulla possibilità di un governo con il Partito Democratico, non ha preso molto bene la designazione di Casellati e l’atteggiamento di Di Maio: “Praticamente l’incarico alla berluscona di turno!!! Sto iniziando a rompermi e con me tanti altri. Non vedo il perchè del tuo sorriso caro Di Maio”, ha scritto Raffaella sulla pagina fb del leader M5S; “Non ci hai detto niente di nuovo, sei troppo diplomatico ultimamente, occhio a quello che decidete xche’ i voti come sono venuti se ne vanno pure”, ha minacciato Vincenzo.
In molti, soprattutto, non concordano con le astruse procedure della Costituzione più bella del mondo, che permette addirittura a un “non votato dal popolo” di salire al Quirinale per l’incarico: “Ha dato l’incarico a una che ha preso 0 voti ma di cosa stiamo parlando si rimetteranno tutti insieme la situazione è questa punto fai valere i voti presi non fare cazzate”.
Moltissimi commentatori si sono lamentati per la scelta di Casellati oppure hanno contestato l’atteggiamento di chiusura di Di Maio nei confronti di Berlusconi.
Il grande complotto dell’incarico a Casellati fa parte di un disegno chiaro, secondo gli adepti pentastellati: “Sbarrare la strada ai 5 Stelle”. «Quando la Casellati si presenta a parlarvi rispeditela a cena a casa del suo capo a Arcore», consiglia una commentatrice del Blog delle Stelle.
E mentre qualcuno — pochi — si rende conto del fatto che il mandato esplorativo fa parte di una strategia che il presidente Mattarella pone in essere proprio perchè la ricerca della maggioranza è in un vicolo cieco, la maggior parte dei grillini riuniti nell’agorà di Internet gliele canta forti e chiare all’emissaria di Berlusconi: l’unico presidente del Consiglio buono è Luigi Di Maio.
Lotta dura senza paura
Elisabetta Casellati, tra l’altro, è stata eletta con i voti di una maggioranza composta dal centrodestra unito e dal M5s, cioè le due formazioni che hanno avuto maggior successo alle ultime elezioni.
La sua scelta è quindi un modo per rispettare nel primo tentativo la volontà popolare, come chiesto a gran voce in questi giorni dai leader di centrodestra e 5 Stelle. Il compito che le è stato conferito ha poi una durata temporale molto limitata: due giorni.
Entro venerdì la Presidente dovrà tornare al Quirinale per riferire sulla sua esplorazione, ben prima che si chiudano le ormai famose urne del Molise. Il tempo che Mattarella intende concedere ai partiti, dunque, non è infinito e non deve essere o apparire come una dilazione sulla strada della soluzione del problema: dare presto un governo stabile al Paese.
Ma la questione non è chiara ai fan dei 5 Stelle: “Praticamente continua la presa per i fondelli perchè durante le consultazioni a stanza chiusa, lontano da orecchie indiscrete avete già deciso tutto”, dice Aniello; “Non ce l’ha fatta Mattarella in 45 giorni a formare un governo e ora ce la deve fare la Casellati di forza Italia in due giorni??o forse è tutto già deciso…!! Se la mettiamo cosi si rivota !!”, sostiene Francesco. Insomma, ai grillini non la si fa.
E la situazione è disperata, ma non seria.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile “COME LE LEGGI RAZZIALI DEL ’38, STESSO FILONE SUB-CULTURALE”
L’abolizione dei vitalizi “colpirà degli ormai anziani signori” come le leggi razziali “perseguitarono i cittadini di religione ebraica”.
E il provvedimento andrà in porto, perchè “nessuno si tirerà indietro” per “compiacere a un’opinione pubblica plebea“.
In una lettera a Il Foglio, l’ex parlamentare di Forza Italia e Ncd, Giuliano Cazzola, critica aspramente il provvedimento al varo dell’Ufficio di presidenza della Camera, paragonandolo alle leggi del 1938 volute da Benito Mussolini.
“Al di là dei pregiudizi di carattere biologico, la principale funzione del razzismo, in tutte le varianti, è sempre stata quella di giustificare qualche forma di discriminazione o oppressione”, scrive il professore bolognese a proposito dell’abolizione dei vitalizi degli ex parlamentari.
“Ecco perchè, a ottant’anni di distanza dalle leggi per la difesa della razza — aggiunge — la Camera si accinge a ricordare quell’evento vergognoso, interpretandone e promuovendone il medesimo filone (sub)culturale con l’abolizione dei vitalizi”.
Secondo Cazzola, “come le leggi del 1938 perseguitarono i cittadini di religione ebraica per il solo fatto di essere tali”, il provvedimento che assumerà , “con efficacia retroattiva”, l’Ufficio di presidenza della Camera sui vitalizi “inventandosi criteri, acrobazie giuridiche e quant’altro” colpirà “degli ormai anziani signori e signore per il solo fatto di aver rappresentato la Nazione in un periodo della loro vita”.
“Nessuno si tirerà indietro”, predice Cazzola. Il motivo? “Per compiacere a un’opinione pubblica plebea e sobillata dalla menzogna e dall’invidia sociale“.
(da agenzie)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile UN’ALTRA SENTENZA CERTIFICA CHE I METODI DEL M5S NON SONO CORRETTI NE’ DEMOCRATICI
Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 3773 del 18 aprile 2018 ha accertato l’illegittimità
dell’espulsione irrogata dallo staff di Beppe Grillo nei confronti degli attivisti napoletani ed ha dichiarato che Antonio Ciccotti, Massimo Acciaro, Salvatore Cinque, Paola Staffieri, Marco Sacco e Roberto Ionta sono stati lesi nel loro diritto di partecipare alle primarie per la scelta delle candidature alla carica di consigliere comunale e di sindaco di Napoli per la lista MoVimento 5 Stelle alle elezioni amministrative del 2016.
Una sentenza che fa il paio con quella del Tribunale di Roma del febbraio 2018 che aveva riconosciuto analoghe lesioni dei diritti di elettorato passivo di due attivisti romani per le primarie del febbraio 2016: anche in quell’occasione, come in questa, ad assistere gli attivisti M5S era l’avvocato Lorenzo Borrè.
Nel febbraio 2016, in occasione delle Comunarie di Napoli, il M5S aveva escluso gli attivisti grillini che facevano parte di un gruppo Facebook chiamato Napoli Libera; l’accusa nei loro confronti era quella di essersi “accordati” per proporre tematiche e candidature sul meetup di Napoli; gli attivisti avevano risposto alla sospensione con uno sciopero della fame, poi erano stati espulsi.
Nel luglio 2016 il tribunale ha cancellato le espulsioni e la decisione provocò poi i vari cambi di regole nel M5S.
Dopo Roma, oggi il M5S si ritrova un’altra sentenza del tribunale in cui si spiega che i loro metodi non sono corretti nè democratici.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile L’ANNUNCIO E’ UN BLUFF… QUELLO CHE NESSUNO DICE: IL TURISMO, GRAZIE AI RISVOLTI MEDIATICI INTERNAZIONALI, E’ AUMENTATO DEL 30% OGNI ANNO DAL 2015
Il centro chiuso in realtà è aperto, con il solito schieramento di polizia e di vigili del fuoco davanti al cancello, con il consueto buco nella rete da cui sono entrati e usciti migliaia di migranti.
Basta aspettare qualche minuto davanti all’ingresso per vederli inerpicarsi, uno dopo l’altro, lungo il sentiero che corre a fianco dei padiglioni, sotto lo sguardo delle forze dell’ordine.
Per legge potrebbero entrare e uscire dal cancello principale — questo è un centro aperto – ma il patto per non allarmare Lampedusa alla vigilia della stagione turistica è che vengano scoraggiati a girare per le strade.
Certo è che la chiusura di questo hotspot — annunciata il 13 marzo scorso dal ministero dell’Interno con un «progressivo e veloce svuotamento» in vista dei prossimi lavori di ristrutturazione — non è mai avvenuta.
E che questo luogo simbolo della tragedia delle migrazioni continua a essere una trincea, seppure silenziata.
È vero, non arrivano più i subsahariani dalla Libia ma si è riaperto il fronte tunisino, con decine di ragazzi che arrivano alla spicciolata con proprie barche, «migranti economici» per lo Stato, da avviare ai centri per il rimpatrio.
Ne sono arrivati più di cento nell’ultimo mese, e gli sbarchi si susseguono a ritmo pressochè quotidiano.
Lo ammette anche Totò Martello, il sindaco che ha chiuso l’era di Giusi Nicolini: «Come da patti con il governo, le motovedette non portano più qui i migranti salvati in mare, ma non si può dire che l’emergenza sia finita», dice mentre si appresta a inviare una lettera al presidente del Consiglio dei ministri scongiurando di prorogare la sospensione delle tasse concessa come «risarcimento» dal governo Berlusconi dal 2011 al 2017.
Il tempo è scaduto e le cartelle esattoriali sono diventate esecutive. «Tra una quindicina di giorni arriveranno — spiega — morte sicura per molte imprese del turismo e della pesca».
Sarà vero?
L’emergenza ha portato con sè anche i risarcimenti ai pescatori delle cento barche dell’isola (trentamila euro per le grosse, 6.500 per le più piccole), i ventisei milioni di euro dispensati al Comune da Berlusconi e i venti da Letta come compensazione per i disagi.
Oltre che una candidatura per l’Isola al Nobel per la Pace, un film vincitore dell’Orso d’oro, il primo viaggio di Papa Francesco dopo l’elezione al soglio pontificio, era il 28 luglio 2013.
E, secondo qualcuno, anche il boom turistico di Lampedusa, diventata comunque celebre nel mondo: più 30 per cento a ogni stagione dal 2015 a oggi.
Ma qui, oggi, c’è solo voglia di archiviare quella pagina.
Nessuno, o quasi, pensa che la tragedia degli sbarchi dalla Libia non arriva più su queste sponde ma si ferma qualche decina di miglia più a sud, tra naufragi e rimpatri nelle prigioni. «Quel che accade a Lampedusa esiste, quel che non accade non esiste», sintetizza don Carmelo La Magra, 37 anni, il parroco dell’isola, mole imponente e barbone rosso, venuto qui a piantare la bandiera dell’accoglienza senza se e senza ma. È lui a offrire il wi-fi ai tunisini, è lui ad avere collaborato — poche settimane fa — a una sorta di blitz solidale messo in atto da un gruppo di attivisti che è riuscito a fare avanzare a decine di tunisini la richiesta di asilo.
È piombata qui la commissione ministeriale, consapevole del rischio di aprire una maglia pericolosa. Due tunisini lo hanno ottenuto, gli altri hanno fatto ricorso — assistiti dall’avvocato Alessandra Ballerini — e sono comunque usciti dai centri per il rimpatrio in cui erano stati rinchiusi.
Pietro Bartòlo, il medico-eroe in prima fila negli sbarchi sulla cui storia si sta per girare un film, si aggira sul molo e guarda il mare: «Rimpiango i tempi in cui dalla Libia si sbarcava qui, la rimpiango perchè adesso muoiono e non lo sappiamo neanche. L’Italia è complice di un genocidio, e prima o poi sarà chiamata a risponderne».
(da “La Stampa”)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile TRA ROM, FORNI DA CHIUDERE E CAMALEONTI
Due giorni fa Matteo Salvini si fa scattare una foto a Santa Croce di Magliano (Molise) con tre donne
rom.
Due mesi fa l’intenzione (testuale) era di “asfaltarle”, e la ruspa è stata l’immagine più performante per far capire di che pasta fosse fatta la Lega.
Parimenti Luigi Di Maio, impegnato nella promozione del “governo di cambiamento”, ammonisce Salvini a non tirare troppo la corda, “altrimenti chiudo un forno”.
Nel neo linguaggio democristiano a cinquestelle il forno, che un tempo era la deprecabile attività camaleontica dei partiti (ci si allea con quello o con il suo opposto) diviene insperata virtù e fianco plusvalore.
Colpisce di questi due movimenti anti sistema la leggerezza del cambio di scena, la sicurezza con cui tolgono la tuta da lavoro e indossano il frac di gala, la disinvoltura del sorriso acquiescente.
Di Maio&Salvini, i nuovi ricicloni.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 18th, 2018 Riccardo Fucile LA NEODEPUTATA GRILLINA CHE SI ARRABBIA PER IL PROGRAMMA CAMBIATO DI NASCOSTO
«Venivo presa in giro dai colleghi durante la campagna elettorale perchè mi ero imparata a memoria tutto il programma, e adesso mi state dicendo che dovrei ricominciare daccapo?»: la reazione più autentica al programmagate del MoVimento 5 Stelle è quella della neodeputata Rosalba Testamento rilasciata a Federico Capurso sulla Stampa.
L’accusa lanciata dal Foglio è quella di aver “fatto sparire” il programma, sostituito con “in segreto” con uno “completamente diverso e non votato da nessuno”.
Già qualche tempo fa avevamo riportato i dubbi della senatrice Elena Fattori che si era lamentata su Facebook che il programma in materia di prevenzione vaccinale era stato modificato e che anche alcuni aspetti relativi all’immigrazione fossero stati in qualche modo “ritoccati”.
Anche il programma difesa, votato su Rousseau aveva subito qualche “emendamento” dal momento che tra una prima versione “provvisioria” frutto della votazione e quella definitiva era scomparso ogni accenno alla sospensione del programma di acquisto degli F35 (che pure era esplicitamente menzionata nel programma votato online).
Ma i pentastellati smentiscono:
«Fesserie», dice Vito Crimi, tra i più interessati al percorso di sintesi e cesello che ha portato alla versione definitiva del programma e visibilmente stizzito.
«Lanciare queste accuse significa non saper leggere. Le nostre posizioni non cambiano e gli attivisti non devono sentirsi traditi. Abbiamo solo espresso in una forma migliore le posizioni dettate dal confronto con i tavoli di lavoro».
Se non fosse che il confronto dei due programmi, prima e dopo le modifiche del comitato di parlamentari ed esperti, porta alla luce due visioni sostanzialmente diverse del mondo.
(da “NextQuotidiano”)
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