Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
IN ITALIA LA RIVOLUZIONE NON SI PUO’ FARE PERCHE’ CI CONOSCIAMO TUTTI
L’uomo di Monti (e poi Letta) a Bruxelles (Enzo Moavero Milanesi), l’«eurocritico» che ai bei tempi chiedeva più Europa (Paolo Savona), l’ex avvocata di Andreotti (Giulia Bongiorno) e l’autore di una bella rubrica sul Foglio con Felli e di tante proposte con Brunetta (Giovanni Tria): il governo del cambiamento non deve nemmeno scomodare la letteratura con il Gattopardo perchè gli basta il motteggio che gli ha riservato ieri Giuliano Ferrara su Twitter con una battuta da vera Prima Repubblica: «In Italia la rivoluzione non si può fare perchè ci conosciamo tutti».
D’altro canto dalle parti della Lega ieri si registrava un silenzio di tomba piuttosto eloquente mentre cominciava a girare il nome di Tria all’Economia, rotto solo per i complimenti di rito tutti in coro quando non era più possibile far finta di aver perso la password di Twitter e Facebook.
Indice del fatto che ci sono alcuni sconfitti palesi che si evincono dalla lista dei ministri presentata da Giuseppe Conte, ovvero gli stessi che hanno costretto Giancarlo Giorgetti a tributare il suo omaggio all’euro con abiura e tutti gli altri giù al Nord (cit.) a darsi una robusta regolata
È sicuramente una coincidenza che il varo del governo arrivi nel giorno in cui la Lega cancella la scritta Basta Euro dai muri della sede, dopo che i programmi sull’Europa matrigna vengono robustamente ridimensionati in sede di contratto prestando il fianco agli attacchi dei noeuro duri e puri.
Salvini ha vinto la sua partita politica con Di Maio sacrificando sull’altare del pragmatismo gli “ideali”, le “prese di posizione” e i penultimatum, esattamente come faceva ai bei tempi Umberto Bossi.
Lo scenario migliore…
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha vinto la sua prima battaglia su Paolo Savona ministro dell’Economia, piegando Di Maio e Salvini a uno schema (la nomina in una posizione meno esposta rispetto a via XX Settembre) che il Quirinale stava indicando da ben prima che Giuseppe Conte salisse al Colle per farsi dire di no. Ce ne saranno altre e saranno più difficili, anche se questa è stata davvero complicata da spiegare all’opinione pubblica soltanto con le dichiarazioni ufficiali e senza la possibilità di aprire gli archivi.
Questa chance sarebbe arrivata con la proposta di messa in stato d’accusa del presidente, ma il rivoluzionario che vuole cambiare tutto affinchè nulla cambi se l’è robustamente rimangiata, così come il 90% delle sue iniziative politiche.
E adesso? Adesso ci sono due scenari (o per meglio dire: due copioni) che il governo del cambiamento potrebbe seguire nei mesi o negli anni che lo attendono a Palazzo Chigi.
Il primo è lo scenario migliore: rimangiarsi piano piano tutte le promesse oppure trovare un modo diplomatico per conseguirle in tono minore tentando il coglionamento degli elettori e dei piccoli fà ns (ieri abbiamo avuto un caso di studio interessante con la bufala del sondaggio con il M5S al 43%).
M5S e Lega possono tenere il punto sul deficit con l’Europa che si arrabbierà , manderà avvertimenti, severi moniti e poi, come all’epoca di Renzi, non farà nulla. Con un po’ di pazienza e tanta propaganda questo potrebbe essere spacciato come una vittoria su Bruxelles e persino qualche frangia estremista dei due schieramenti potrebbe prestarsi al giochino già riuscito con il gioco di parole sulla modifica dei trattati di Maastricht che ha consentito prima di prendersi il voto dei noeuro e poi di sostenere che “Noi? Mai pensato di uscire dall’euro, vogliamo solo modificare i trattati”.
D’altro canto la circonvenzione di incapace non ha mai interessato i magistrati quando si trattava di politica: perchè dovrebbero cominciare ora?
Con questo taglio si potrebbe andare avanti addirittura fino alla fine della legislatura, dove però i nodi dei sogni spacciati per solide realtà arriveranno rumorosamente al pettine.
Lo scenario peggiore
C’è poi la possibilità di uno scenario peggiore ed è quella che vede il governo del cambiamento improbabilmente pronto a scatenare una guerra come quelle immaginate dagli amici di Savona: una partita da giocare sull’orlo della crisi di nervi già paventata nei giorni dello spread e accompagnata da una robusta figuraccia sul complotto della BCE contro l’Italia.
In questo caso possiamo aspettarci “Anni Interessanti”, come diceva Hobsbawn, ma il governo sarà infinitamente più breve del Secolo dello storico.
Breve ma intenso.
Il finale della storia in questo caso sarebbe tutto da scrivere, perchè una caduta rovinosa con tanto di corsa alle elezioni potrebbe concludere nel modo più inglorioso la parabola politica di Di Maio e Salvini, mentre l’ennesimo esecutivo “tecnico” e di “emergenza” — con tanto di Draghi all’orizzonte — potrebbe riuscire nel miracolo di peggiorare ulteriormente la situazione.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
ABBANDONATO IL SOGNO DI UN PIANO DI SPESA DA 100 MILIARDI, CERCHERANNO DI GALLEGGIARE TRA MINIMI INVESTIMENTI E SOSTEGNO ALLA DOMANDA
Per chi attraversava la periferia nord di Milano quella scritta a caratteri cubitali era una
presenza ormai familiare. Ora quel muro bianco a via Bellerio, sede storica dai tempi del Senatùr – rappresenta plasticamente il nuovo corso.
Via «Lega Nord» ma soprattutto quel «basta euro» che ha contribuito al miracolo salviniano: dal 3 al 24 per cento in cinque anni, se i sondaggi non sbagliano.
Ma cosa rappresenta quella vernice? La fine di un obiettivo o solo la rimozione di un tabù scomodo?
«Quel che vogliamo fare in Europa è quel che abbiamo scritto nel contratto di governo firmato con i Cinque Stelle, nè più, nè meno», abbozza Claudio Borghi, l’ex funzionario di Deutsche Bank che non ha mai nascosto le sue opinioni antieuro.
Che ne è della richiesta di cancellare un pezzo di debito pubblico? O dell’ipotesi di trasformare la Cassa depositi e prestiti in una nuova Iri?
In realtà quel che resta in quelle due paginette in fondo al contratto rappresentano poco di quel che le bozze raccontavano, ma soprattutto non svelano le intenzioni del nuovo governo nei confronti delle istituzioni comunitarie.
«Quel che faranno dipenderà da molti fattori, non ultimo il carattere del nuovo ministro», dice un vecchio amico dei leghisti, Giulio Tremonti.
Il Nord europeista
Secondo l’ultimo sondaggio di Euromedia il 57 per cento degli italiani vuole restare nell’Unione, il 60 è contrario all’uscita dall’euro. Fra loro ci sono molti elettori della Lega, e Matteo Salvini lo sa.
Pochi giorni fa all’assemblea di Confindustria di Varese non c’era un solo imprenditore disposto a firmare l’azzardo dell’Italexit.
Il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi lo ha detto chiaramente: «Anche se non ci piace come ha funzionato, crediamo nell’Unione europea».
La mancata nomina di Paolo Savona a ministro del Tesoro dimostra che l’appartenenza dell’Italia all’Unione e alla moneta unica non è solo una questione politica ma legale: dal 2001 sta scritta perfino nell’articolo 117 della Costituzione.
Le tracce del dialogo
Se – come fa l’ultimo numero dell’Economist – l’Italia giallo-verde somiglia a un gelato con la bomba dentro, la coppia Salvini-Di Maio finora ha passeggiato per le stanze europee con il cono in mano.
Ma le tracce di un atteggiamento più realista ormai sono evidenti, a partire dalla scelta di Giovanni Tria come alternativa al poco cauto Savona.
Lo testimoniano le parole di alcuni fra i più radicali oppositori della moneta unica, come il neosenatore Alberto Bagnai. Due giorni fa il professore di Pescara, noto per le battute poco urbane contro i giornalisti, in una serie di tweet postati in inglese dal suo alterego Alberto Seccai ha scritto che l’obiettivo della maggioranza gialloleghista è «solo un mix di investimenti e di sostegno alla domanda», l’unica strada per crescere di più e avere un debito sostenibile.
«Non possiamo credere che i nostri amici europei avranno obiezioni contro questo approccio ortodosso».
Frasi che sarebbero probabilmente sottoscritte senza difficoltà dal ministro uscente. Ma il segno più tangibile di un più concreto approccio ai rapporti con Bruxelles sono i contatti informali con il mondo giallo-verde, iniziati ben prima delle elezioni. Secondo quanto risulta alla Stampa una delegazione della maggioranza ha già abbozzato e discusso una strategia con alcuni fra i più alti funzionari di Bruxelles e Francoforte.
Trattati immodificabili
Dimenticate ciò che si legge nel programma di governo, come la modifica dei Trattati, o «il ritorno a Maastricht» A meno di non abbandonare la moneta unica o l’Unione, «per quel tipo di riforme è necessaria l’unanimità », spiega Tremonti.
Tutto ruota attorno al piano franco-tedesco di riforma delle istituzioni europee.
Per superare le resistenze di Angela Merkel – sempre più schiacciata a destra dall’avanzata della destra dell’Afd – Emmanuel Macron ha bisogno dell’Italia.
Il Quirinale lo sa bene, e lo testimonia un fatto passato inosservato la scorsa settimana, nel momento più duro dello scontro fra il Quirinale e Salvini sul nome di Savona: l’irrituale telefonata di Emmanuel Macron al quasi dimissionario Giuseppe Conte. Possibile che il presidente francese non fosse stato avvertito dalla sua ambasciata di quel che stava accadendo nella Capitale?
Ovvio che sì: la telefonata aveva proprio l’obiettivo di rimettere in pista il governo dei vincitori.
Il piano sul sussidio Ue
Come con Donald Trump, il pragmatico ex banchiere ha già fatto di necessità virtù: per lui, più che una minaccia, la maggioranza giallo-verde può trasformarsi in un’opportunità .
I terreni di incontro fra Roma e Parigi sono molti: la denuncia dell’enorme surplus commerciale tedesco, la riforma del diritto di asilo, la durissima trattativa che inizia solo ora sul prossimo bilancio europeo che deve fare a meno dei fondi britannici.
Il primo obiettivo della maggioranza giallo-verde sarà probabilmente un vecchio pallino di Pier Carlo Padoan: l’introduzione di un sussidio di disoccupazione europeo. Per l’Italia significherebbe contare su quasi quindici miliardi di fondi comuni.
Superare la resistenza dei tedeschi non sarà facile. Se la maggioranza gialloverde deciderà di procedere su questa strada, dovrà mettere nel cassetto i sogni del contratto di governo.
Nelle capitali i costi del piano – non inferiore ai cento miliardi di euro – coperti con un enorme condono fiscale hanno provocato ilarità .
Altrettanto prudente dovrà essere l’atteggiamento del neoministro Salvini sul tema dell’immigrazione. Eppure la sensazione è che la strategia aggressiva tenuta sin qui dal leader leghista abbia già ottenuto qualche risultato. «L’Europa deve mostrarsi più generosa con l’Italia sul tema migratorio», diceva qualche giorno fa a La Stampa il direttore dell’istituto Bruegel Guntram Wolff, già alto funzionario tedesco della Commissione. Macron è pragmatico, ma non fino al punto di spingersi su posizioni più vicine a Marine Le Pen che alle sue.
La difficoltà della maggioranza gialloverde sarà trovare una sintesi fra le tentazioni europeiste e filoatlantiche di Di Maio e quelle di Salvini, finora attento a quel che accade nel blocco di Visegrad, capeggiato dall’autocrate ungherese Victor Orban.
(da “La Stampa”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
NASCE UN GOVERNO INCIUCIO FIGLIO DEL MANCATO RISPETTO DELLA ALLEANZA DI RIFERIMENTO DA UN LATO E DELLE PROMESSE DALL’ALTRO, MA NESSUNO SI INDIGNA
Gli ultimi due, tre mesi, hanno messo in evidenza che la società , forse, è cambiata parecchio, e, con essa, anche la politica
Fino a qualche anno fa, l’onore, la parola data, gli impegni assunti, erano una questione davvero importante. Una questione di principio
Un Governo frutto di un “inciucio”, figlio di un mancato rispetto della specifica alleanza elettorale di riferimento, o delle promesse fatte in fase pre-elettorale, benchè collegato ad ipotesi Coatituzionalmente ammessa, sarebbe stato bollato come tradimento
Il popolo si sarebbe indignato.
Oggi, invece… Oggi si saluta con entusiasmo un patto tra forze antinomiche, e su tante questioni.
Si giubila per un compromesso ed anche se non se ne conosce bene (se non addirittura per nulla) il relativo contenuto.
Si ragiona semplicemente sul “corollario” (o postulato: fate voi) “questo, si, questo personaggio mi va bene”, e molto poco su quale sarà la sostanza dei relativi accordi programmatici.
Tra gazebo e votazioni in piattaforma, diciamoci la verità , il popolo non ci avrà capito proprio nulla.
Forse non sarà stato nemmeno debitamente informato, perchè il quesito postogli non atteneva al merito delle specifiche idee oggetto dell’accordo, ma se andasse loro bene che si governasse insieme a “Pincopallino” oppure no. Punto!
Giubilare a “scatola chiusa” non è mai una cosa davvero seria perchè quello che veramente conta (e dovrebbe continuare ad avere un peso specifico ed esclusivo) non è la “semplice formazione” che proverà a “giocarsela”, la partita, ma che “gioco” si praticherà !
I tempi saranno cambiati, forse. O, forse, molto più semplicemente, è finita del tutto “l’illusione” e, con essa, lo stesso “sogno”.
La rabbia e la paura hanno preso il sopravvento. Si lanciano i dadi.
“Nel doman non v’è certezza…” Speriamo che un “domani”; comunque ci sarà …
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
SI OFFRE E POI SOFFRE: SEDOTTA E ABBANDONATA
Prima s’offre, poi soffre. Giorgia Meloni è stata illusa e delusa da Lega e MoVimento 5 Stelle,
che le avevano fatto annusare la possibilità di entrare nel governo — già ventilata e orgogliosamente smentita qualche tempo fa da Guido Crosetto — ma poi alla fine l’hanno tenuta fuori a causa di un veto posto dagli eletti e dalla base del M5S. La Meloni aveva tentato di attaccarsi al carro di Savona ministro dell’Economia nei giorni scorsi, fiutando l’aria, ma adesso voleva entrare in un governo che aveva recepito il veto di Mattarella su Savona: una logica politica tutta sua che però alla fine non aveva pagato.
Stop che la Meloni non ha gradito, ovviamente.
«Mi pare di capire che Salvini abbia parlato del nostro ingresso per rafforzare il centrodestra ma abbia ricevuto il no dei 5 Stelle. Va bene, mi dispiace e non mi fa ben sperare per il futuro di questo governo», ha spiegato ai giornalisti a cose fatte.
A porte chiuse ha dovuto calmare i vertici di Fdi, sul piede di guerra dopo il «niet» M5S.
Durante la giornata di trattative Guido Crosetto aveva fatto sapere che FDI in ogni caso avrebbe votato solo la fiducia senza chiedere poltrone. Ma certamente.
Peccato che per votare la fiducia basti dire “votiamo la fiducia” e quindi non serva alcun annuncio preventivo di entrare nella maggioranza.
La stessa Meloni è passata dall’annuncio di fiducia all’annuncio di astensione. Non solo.
Racconta la Stampa che a un certo punto a Giorgia il governo non è più piaciuto, chissà perchè:
D’altro canto, ha aggiunto «questo governo non ci rassicura, sono pessimista sulla sua durata e sulla capacità di fare le riforme che servono». Ma la delusione non significa fare la guerra: «Facciamoli partire con un’astensione e restiamo fuori», ha concluso con il vertice di Fdi.
Un vero peccato, perchè sarebbe stato divertente sapere come avrebbe preso l’entrata in maggioranza Walter Rizzetto, ex grillino uscito in polemica con i 5 Stelle, e quella nutrita schiera di attivisti di FDI che sono ferocemente antigrillini e all’opposizione matta e disperatissima a Roma.
Chissà se Giorgia, prima di chiedere di entrare in maggioranza, ha chiesto loro un parere.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
PREOCCUPAZIONE PER EUROSCETTICISMO E POPULISMO
Dai titoli americani a quelli inglesi, spagnoli e tedeschi, la stampa estera non risparmia pesanti critiche verso il governo italiano a firma Lega e Movimento 5Stelle che nascerà ufficialmente oggi con il giuramento del Presidente del consiglio e dei ministri davanti al Presidente della Repubblica.
“Un’amministrazione euroscettica al potere in Italia, la terza economia d’Europa”, così si legge sull’americano Wall Street Journal.
Nella lista di cariche e ministri annunciata ieri, i due leader M5S e Lega saranno entrambi vicepresidenti del Consiglio.
“Un ruolo che permetterà a Luigi Di Maio e Matteo Salvini di guidare il governo – si legge ancora sul Wsj – verosimilmente oscurando il primo ministro Giuseppe Conte, un avvocato e un accademico poco conosciuto”, “emerso come candidato di compromesso dopo che i leader dei partiti della coalizione hanno rinunciato a rivendicare la premiership come parte del loro patto per formare un governo”.
Preoccupazioni sul quotidiano americano per la figura scelta come ministro dell’economia, Giovanni Tria, “un economista che ha criticato l’eurozona affermando che ha fallito l’obiettivo di raggiungere la convergenza tra le diverse economie che compongono l’euro area e di eliminare gli squilibri macroeconomici”.
I media tedeschi si occupano anche oggi del governo italiano e la copertina weekend del giornale economico Handelsblatt sceglie un’immagine significativa: lo stivale si stacca dal continente e il sud affonda in mare con il titolo “fine settimana speciale’.
“I populisti ci provano di nuovo”, titola la Sueddeutsche Zeitung.
“Giuseppe Conte dovrà costruire il governo”, scrive Frankfurter Allgemeine Zeitung in prima pagina. All’interno, un articolo dedicato alla “coalizione dei volenterosi”, nella quale definisce il professore Tria, ministro dell’Economia al posto del professo Savona, come un politico “a favore dell’euro”.
Nelle pagine di economia lo stesso giornale pubblica un articolo sul fatto che “l’Italia ha bisogno di investitori di lungo periodo”: “la tempesta peggiore sembra almeno per ora superata”, si legge nell’articolo, dove si citano i sondaggi che mostrerebbero che nel 62% (per altri il 70%) di casi gli italiani rispondono di voler restare nell’euro. “Secessione. Nemici dell’Europa di destra e sinistra hanno conquistato l’Italia e alimentano l’odio contro la Germania. Come si è potuto arrivare a questo”, è il titolo dell’intervento del germanista Angelo Bolaffi sulla Sueddeutsche Zeitung.
Il settimanale economico inglese l’Economist dedica ai fatti italiani la copertina con il disegno d’un gelato tricolore esplosivo e il titolo: “Maneggiare con cura”. Per il resto la formula di rito che si ripete ovunque come chiave di lettura è quella della svolta “populista”, ma con titoli prevalentemente di pura cronaca e toni che virano verso l’attesa dopo gli allarmi dei giorni scorsi legati ai contraccolpi sui mercati e i commenti – in alcuni casi al vetriolo – pubblicati su giornali come il Financial Times o il Guardian.
“Accordo su un nuovo governo in Italia”, riporta la Bbc, annunciando l’avvento d’una “coalizione populista dopo mesi di scontro politico”.
“L’Italia pronta a un governo populista”, fa eco SkyNews, che sul sito dedica pure un profilo a Conte tornando fra l’altro sulla sua “limitata esperienza politica” e sulle polemiche sul curriculum.
“I leader populisti raggiungono un accordo per far risorgere la coalizione”, informa da parte sua all’interno il progressista Guardian, che nell’edizione online ripropone poi in un richiamo il disinvolto titolo sulle parole di Jean-Claude Juncker su Sud, lavoro e corruzione che ieri ha contribuito a scatenare una bufera sul presidente della Commissione europea. “I partiti populisti raggiungono un nuovo accordo per formare un governo”, scrive a sua volta senza enfasi il conservatore Daily Telegraph, mentre il tabloid Daily Mail osserva come la compagine di Conte (“un avvocato poco noto”) s’appresti a partire al “secondo tentativo” dopo “l’approvazione della lista dei ministri”
“Lo spread, il timore di nuove elezioni, la tenacia di Sergio Mattarella hanno consentito ieri quello che sembrava impossibile lunedì mattina: a tre mesi dalle elezioni di marzo e nel mezzo di una crisi istituzionale senza precedenti Lega e M5S hanno ceduto e chiuso un accordo per la formazione dell’esecutivo, spostando dal ministero dell’economia l’euroscettico Paolo Savona”, scrive El Pais.
“Le ultime 48 ore sono state da infarto – spiega El Mundo -: mentre Carlo Cottarelli aveva praticamente chiuso la lista dei suoi ministri, Luigi di Maio ha proposto in extremis a Matteo Salvini di indicare un altro candidato come ministro delle finanze”. Sarà , scrive il quotidiano di Madrid, “il primo governo populista d’Europa”.
Anche Abc rileva che il nuovo esecutivo italiano “sarà il primo governo completamente populista d’Europa. Sarà un test importante per l’Italia e per l’Europa”.
(da Globalist)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
FINALMENTE L’ISPETTORE MANCATO POTRA’ APPURARE COSA CI FANNO DUE TRAM UNO DAVANTI ALL’ALTRO
È nato il governo del cambiamento. Il parto è stato lungo e complicato e alla fine la montagna
dei voti a 5 Stelle ha partorito il classico topolino con dentro addirittura un ex ministro dell’odiatissimo governo Monti (per i più distratti lo stesso governo che varò la legge Fornero) e l’ex avvocata di Giulio Andreotti.
Fortunatamente per il Paese il MoVimento 5 Stelle sta presidiando le istituzioni democratiche e lo fa con uno dei suoi uomini migliori: il senatore Vito Crimi.
Ieri Giuseppe Conte ha presentato la lista dei ministri ed è stato confermato quello che tutti sapevano ormai da qualche tempo: la nomina di Vito Crimi a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti.
Una delega senza dubbio importante e di prestigio, e fa senza dubbio sorridere che Crimi abbia avuto successo laddove l’ex Ministro dello Sport Luca Lotti ha fallito. Durante il governo Renzi ad avere la delega ai servizi segreti era il sottosegretario Marco Minniti. Incarico che dopo la caduta del senatore di Scandicci è rimasto nelle mani di Gentiloni. I confronti però lasciano sempre il tempo che trovano.
Meglio concentrarsi sulla biografia di Crimi, grillino della primissima ora nonchè idolo del Web. In nome della trasparenza Crimi una volta diede il suo numero di telefono in diretta a Radio Due (è lo stesso dal 1997, spiegò).
Ora che il senatore Crimi si occuperà dei Servizi Segreti potrà sicuramente portare a termine alcune delle sue clamorose indagini.
Ne citiamo due. La prima è quella del complotto dei piedini sporchi (chi sparge la polvere che sporca i piedini dei bambini?).
Un post ridicolo sul quale Crimi si giustificò dicendo che era tutta colpa dei giornali (ovvio).
In un’altra occasione il sottosegretario si cimentò con il trasporto tramviario. Cosa ci facevano due tram uno di fronte all’altro? La risposta è: erano in coda (quindi erano uno dietro l’altro), ma per Crimi i due mezzi stavano per scontrarsi.
C’è poi da appurare l’esistenza (ed eventualmente chi ne sia a capo) della lobby dei grafici che falsa i sondaggi. Insomma, siamo proprio in buone mani. Ma per fortuna un caso l’ispettore Crimi l’ha risolto.
Nel 2013 infatti sosteneva che il Parlamento potesse legiferare anche senza una maggioranza e senza un governo in carica.
Qualche settimana fa, da Presidente della Commissione Speciale del Senato, ha scoperto che le cose stanno diversamente.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
TRA LOGGE COPERTE E INTERNAZIONALI
Fabrizio D’Esposito sul Fatto di oggi torna sulla storia di Paolo Savona e della massoneria, scatenata ieri da un articolo del Corriere che attribuiva a Di Maio un’insinuazione sull’appartenenza dell’attuale ministro agli Affari Europei alla massoneria americana.
L’articolo racconta della vicinanza di Savona ai repubblicani: tra loro c’era il sardo Armando Corona detto Armandino, corregionale di Savona.
I due erano amici e Corona nel 1982 fu chiamato a un compito severo e per certi versi immane. “Ripulire la massoneria dalla P2 di Licio Gelli”, come disse anni dopo un altro sardo d’èlite, Francesco Cossiga.
Quindi:
Indi ci sono i sospetti su logge più “coperte”e di sapore internazionale. Di qui il presunto riferimento alla massoneria americana attribuito a Di Maio. Quello che è certo è che dopo gli anni repubblicani, Savona fu vicino al “gladiatore” Cossiga, cultore appassionato di grembiuli a cavallo tra la Chiesa e il Tempio massonico.
È l’esclusivo mondo della cattomassoneria (teismo più deismo dal punto di vista speculativo) oggi ancora attiva e in prima linea nella guerra al nuovo corso di papa Francesco (ma questa è un’altra storia).
L’esponente più famoso di questa filiera, un tempo potentissimo, è stato l’ex piduista, nonchè grande amico di Savona, Giancarlo Elia Valori.
E non è un caso che in questi giorni, l’economista non voluto da Mattarella sia stato difeso sul Tempo da Luigi Bisignani, altro cattomassone ed ex piduista di vaglia.
Bisignani ha accusato Mario Draghi di essere il vero nemico di Savona e ha fatto un perfido riferimento a due “confraternite”: “Sono da sempre di due confraternite opposte in politica economica: keynesiano Draghi, neo-monetarista Savona”.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
AVEVA ASSUNTO E POI LICENZIATO LA FIGLIA DEL COMPAGNO
Barbara Lezzi è alla sua seconda legislatura come parlamentare. Di Lecce, 46 anni, professione
impiegata, arriva in Parlamento nel 2013. A Palazzo Madama è eletta anche nel 2018, questa volta battendo nel collegio uninominale di Nardò big come Teresa Bellanova del Pd, vice ministro dello Sviluppo economico, e Massimo D’Alema schierato da LeU.
Un plebiscito per nulla scalfito dallo scandalo dei rimborsi non fatti da alcuni parlamentari del M5S.
Finisce nella lista nera di coloro che non hanno rispettato le regole del movimento perchè risulta che abbia restituito 132mila 557 euro ma c’è un bonifico contestato di circa 3500 euro “immediatamente sanato”, dicono dai 5S.
E in accordo col Movimento annuncia che verserà tre mensilità di restituzione in più al fondo per il microcredito come penale per l’errore fatto”.
Lei si giustifica. Parla di “negligenza”, risulta “un unico bonifico non andato a buon fine” spiega.
“L’unica cosa che mi riconosco – aggiunge – è la negligenza del non avere seguito l’esito delle operazioni. Esito che per un bonifico è negativo presumibilmente per carenza di fondi. Ma ho restituito 132.741,20 euro. La mia buonafede mi rende tranquilla”.
Nel 2013, scivola su una presunta parentopoli perchè tra le sue collaboratrici al Senato, recluta la figlia del suo compagno. Quando si scopre, rescinde il contratto
(da “La Repubblica”)
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Giugno 1st, 2018 Riccardo Fucile
EUROPEISTA CRITICO E ABILE NEGOZIATORE, CANDIDATO CON SCELTA CIVICA E MINISTRO ANCHE CON LETTA
Un montiano nel Governo “populista”. Più avvezzo ai guanti della diplomazia che ai pugni sbattuti sul tavolo, quella di Enzo Moavero Milanesi è una delle nomine che attirerà più attenzioni sul neonato esecutivo M5S-Lega a guida Giuseppe Conte, dalla gestazione tanto imprevedibile quanto sfibrante.
A lui è stata assegnata una delle caselle più importanti per un Governo del “cambiamento” che si propone di andare nei consessi internazionali, a partire da quelli dell’Unione Europea, per rovesciare tavoli e a far sentire forte la voce dell’Italia: gli Esteri. §
In lui si riconosce tutto il lavorio di mediazione tra le due forze parlamentari di maggioranza e la presidenza della Repubblica che, a partire dal veto posto sul nome di Paolo Savona all’Economia, non ha nascosto la sua preoccupazione per il ruolo italiano nello scacchiere internazionale.
Quello di Moavero non è un volto nuovo.
La sua prima apparizione sulla scena politica nazionale è stata nel tanto odiato (e insultato dai leghisti e dai grillini) Governo tecnico di Mario Monti, le cui politiche hanno contribuito enormemente alle fortune elettorali sia di Lega che del Movimento 5 Stelle.
Nell’esecutivo del senatore a vita ha ricoperto il ruolo di ministro per gli Affari europei, lo stesso incarico poi ereditato nel Governo di Enrico Letta.
Nel 2013 si è anche candidato alle elezioni con “Scelta Civica con Monti per l’Italia”, senza successo. Forse neanche lui avrebbe mai immaginato che la sua parabola governativa, iniziata con un esecutivo tecnico, proseguita in un altro di “larghe intese” tra Pd e Popolo delle Libertà , sarebbe poi culminata in un Governo guidato da forze “populiste” che non hanno mai nascosto la loro intenzione, poi nel tempo mutata per forze di causa maggiore, di voler trattare a muso duro con le istituzioni europee fino anche a minacciare l’uscita dall’Eurozona.
I Moavero discendono dai Bocconi, ovvero da quella famiglia che, partendo da Cavenago, fondò a Milano prima la Rinascente e poi l’omonima Università .
Esperto di mercato e concorrenza, è un europeista convinto ma non acritico. Ed è un abile diplomatico noto alle cancellerie straniere, convinto che per raggiungere gli obiettivi prefissati la lotta aspra – ma condotta da soli – può essere meno proficua di una più silenziosa battaglia, se affiancata da qualche alleato di peso in più. Le famose trattative “a geometrie variabili”.
Giudice presso la Corte europea di Giustizia di Lussemburgo. Specializzato in antitrust, è stato fino al 2006 direttore generale del Bureau of European Policy Advisors della Commissione europea. Vicesegretario generale dell’esecutivo Ue dal 2002 al 2005, era stato in precedenza direttore del Servizio antitrust (2000-2001) e capo di gabinetto dell’allora commissario Ue alla Concorrenza Mario Monti (1999-2000); con lo stesso incarico aveva affiancato il neopremier anche quando era alla guida del Mercato interno (1995-1999). Tra il ’92 e il ’94 consigliere dei governi Amato e Ciampi. Insegna Diritto dell’Unione Europea alla Luiss di Roma.
L’ultimo suo incarico è stato quello di consigliere di Palazzo Chigi con Gentiloni per la promozione di Milano come sede dell’Ema.
Ma la sua figura è centrale non tanto per il curriculum di assoluto rispetto quanto per il suo trascorso politico. Un tempo bersaglio di chi oggi lo ha voluto come rappresentante dell’Italia nei trattati e negli accordi internazionali, Moavero è colui che più si avvicina a quella figura di garanzia di “impronta” quirinalizia.
La crisi istituzionale aperta dal veto di Mattarella su Savona si è col passare dei giorni mitigata, inducendo sia Salvini sia Di Maio a credere che la via per il “cambiamento” che porta a Bruxelles sarebbe stata di certo più impervia senza l’appoggio del Colle più alto di Roma.
E facendo così cadere la scelta, nei delicati equilibri del futuro governo, sull’europeista ‘scettico quanto basta’ per andar bene ai due azionisti di maggioranza
Un buon biglietto di presentazione per il neoministro Moavero, montiano del governo “populista”.
(da “Huffingtonpost“)
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