Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile MARCELLO, 56 ANNI, UNO DEI 318 DIPENDENTI LICENZIATI DI FIGLINE: “NON SI DEVE AVERE PAURA DEI POVERI CHE CERCANO RISCATTO E DIGNITA’, MA DEI RICCHI SPECULATORI”
Marcello Gostinelli, 56 anni, sta per perdere il lavoro.
E’ un operaio della Bekaert da 35 anni. Bekaert è l’azienda di Figline Valdarno, in provincia di Firenze, che fabbrica cordicelle in acciaio per penumatici. Lui si occupa del collaudo del prodotto finito.
Insieme a lui, sono a rischio licenziamento altri 317 operai. Tutti, venerdì scorso, hanno ricevuto una lettera a casa in cui l’azienda, di proprietà belga, annuncia la chiusura.
Ieri Marcello ha partecipato al presidio antirazzista in piazza Ognissanti a Firenze.
E sul palco, con le lacrime agli occhi, ha detto queste parole: “Non ho paura di chi ha il coraggio di venire qua, su una barca, senza nulla, per aggrapparsi agli scogli e cercare una vita migliore. Ho paura dei ricchissimi, che arrivano, sfruttano il mio lavoro, mi prendono tutto, e poi mi chiudono lo stabilimento in trenta minuti”.
Marcello ha spiegato: “In un momento come questo sarebbe stato facile fare demagogia e dire che i migranti ci rubano il lavoro e vengono qui a delinquere, queste persone vengono dipinte come mostri, ma non ci si rende conto che i veri mostri sono i signori delle multinazionali che fanno speculazione sulla pelle della gente come noi, se continuiamo a dare la colpa agli stranieri perdiamo di vista i veri responsabili delle nostre condizioni sociali ed economiche, che invece sono quelli che hanno chiuso un’azienda in mezz’ora”
Poi ha ricordato il momento in cui ha scoperto del licenziamento imminente: “Erano le 8.30 di mattina ed ero appena entrato al lavoro, il caporeparto è venuto verso di me, mi ha abbracciato e mi ha detto che avrebbero chiuso l’azienda”.
(da Globalist)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile LA CANTANTE E’ NOTA PER LA SUA AVVERSIONE PER I MIGRANTI
Rita Pavone colpisce ancora. 
Dopo aver pubblicato alcuni mesi fa un pezzo falso sui ‘vuò cumprà ‘ che sapevano della strage nella Ramblas, rilanciando così la bufala razzista che sosteneva che gli ambulanti quella mattina non fossero in circolazione, ora se la prende con i Pearl Jam.
“Ma farsi gli affari loro, mai?!”, non usa mezzi toni su Twitter e se la prende con il gruppo.
Secondo l’interprete de “Il ballo del mattone”, la band di Seattle durante il concerto all’Olimpico di Roma ha avuto l'”ardire” di cantare una cover di “Imagine” di John Lennon accompagnandola da un messaggio politico contro la chiusura dei porti e le decisioni del governo italiano in tema di immigrazione.
Immediate le reazioni sui social e le critiche di moltissimi utenti, che hanno definito la cantante-icona degli anni Sessanta “razzista” e “xenofoba” e le hanno suggerito ironicamente di “far pre-approvare da Salvini le scalette di tutti i concerti che si tengono sul suolo italiano”…
Allusioni politiche che lei non ha ignorato e alle quali ha risposto senza mezzi termini con una serie di tweet: “…ritengo poco etico e altamente opportunistico approfittare di un proprio concerto per dare consigli. Il mio: “Ma farsi gli affari loro, no?” era inteso come: Con tutte le rogne che hanno a casa loro negli USA, vengono a fare le pulci a noi? Puoi essere il più grande artista del mondo, ma ciò non toglie che sei un ospite e come tale dovresti comportarti. Amen”.
I Pearl Jam, per ora, non hanno risposto alla cantante di Geghegè, ma la discussione sui social non si può dire certo conclusa, visto che in serata è arrivato l’appoggio di Matteo Salvini:“Onore a Rita Pavone, che non si inchina al pensiero unico!”, scrive, con tanto di punto esclamativo.
Una sovranista che da 30 anni ha spostato la residenza in Svizzera per non pagare le tasse in Italia non poteva che trovare la solidarietà del “sovranista della domenica”.
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile LE REPLICHE DEL BULGARO: “IO SONO UN VIGILE DEL FUOCO” E DELLO SVEDESE: “IO SONO UN SALDATORE”
Ci sono un francese, un italiano, un bulgaro e uno svedese che vanno al Consiglio Europeo.
Ad un certo punto l’italiano, che si chiama Giuseppe Conte e incidentalmente è il presidente del Consiglio, si impunta e cerca di stravolgere l’ordine dei lavori. Interviene il francese, il presidente Emmanuel Macron che riprende il premier italiano: «Non sai come funziona un Consiglio europeo! Ci sono delle regole, non ci si comporta in questo modo».
«Io sono un professore di legge!» ha detto Conte dimenticando che era una trattativa politica
Conte non ci sta, lui è l’avvocato del popolo italiano dal multiforme curriculum venuto in Europa per far capire che l’Italia non è mica un paese di «bari, gente che andava a chiedere favori senza mettere sul tavolo nulla di concreto» (come ha scritto su Facebook il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano).
La musica nel Bel Paese è cambiata, non tanto per il pugno di ferro sulle Ong, per la chiusura dei porti (per scherzo) ma per la competenza.
Ed è per questo che Conte non la prende bene: «Io sono professore di legge e so che se un documento ha un numero di protocollo quel documento si discute e si approva tutto, non a pezzi», risponde a Macron.
Il problema, non secondario, è che il documento in discussione è un documento politico e non ha valore di legge.
Del resto al Consiglio Europeo si stava conducendo una trattativa politica e non una battaglia legale.
Questo fatto, di per sè autoevidente dovrebbe essere noto anche al preparatissimo e competetentissimo premier italiano.
A quel punto il primo ministro bulgaro Boyko Borissov prende la parola e ricorda le sue pregresse esperienze lavorative: «Bene, io ero un vigile del fuoco e non è così che si fa un negoziato».
Anche il primo ministro svedese Stefan Là¶fven non si trattiene «lei è un professore di diritto, e io ero un saldatore in una cittadina del Nord della Svezia, ma so che lei non si sta comportando in modo appropriato».
Non c’è che dire una bella lezione di politica per il professor Conte, avvocato del popolo, messo al suo posto da un pompiere e un saldatore.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile I SOLITI PAROLAI: DOPO UNA RELAZIONE DI MERKEL E MACRON SULLA MANCATA ATTUAZIONE DEGLI ACCORDI DI MINSK, I SOVRANISTI SI CALANO LE BRACHE
I leader europei hanno concordato di estendere le sanzioni economiche contro la Russia per altri sei
mesi relativamente alla questione dell’Ucraina.
“C’è stata – ha spiegato una fonte comunitaria – una breve discussione sugli accordi tra Russia, Ucraina e Minsk, che ha portato a un accordo per estendere le sanzioni per altri sei mesi”.
Durante il Vertice il presidente francese, Emmanuel Macron, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, hanno presentato un rapporto sulla mancata attuazione degli accordi di Minsk sul cessate il fuoco in Ucraina.
Secondo fonti europee, la decisione di prolungare per altre sei mesi le sanzioni contro i settori bancario, finanziario e energetico russi sarà formalmente presa a livello di ambasciatori dei 28.
L’Italia ha votato come tutti gli altri per la proroga delle sanzioni, nonostante avesse minacciato nelle settimane scorse di far valere un sedicente diritto di veto.
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile LA REGOLA CHE 1000 EURO DEVONO ESSERE DESTINATI ALL’ORGANIZZAZIONE DI EVENTI UFFICIALI DEL M5S
C’è maretta nel MoVimento 5 Stelle per il fondo di sostegno con i soldi dei parlamentari che è stato annunciato ieri insieme al varo delle nuove regole sui rimborsi.
Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera racconta che a far storcere il naso a una parte del gruppo parlamentare (che mostra una crescente insofferenza anche verso il ruolo dei burocrati nei ministeri) è la decisione di istituire una quota mensile di mille euro da destinare con rendicontazione a «organizzazione e partecipazione ad eventi ufficiali» targati M5S.
La notizia, circolata tra i Cinque Stelle già alcuni giorni fa, ha dato il la a qualche malumore.
L’obiezione ricorrente tra la vecchia guardia è che «prima si poteva restituire anche meno», mentre i nuovi si lamentano, in qualche caso, di introiti ridotti rispetto ai loro impieghi precedenti.
Le nuove norme, soprattutto il tetto dei 3.000 euro per vitto alloggio e trasporti hanno anche provocato indirettamente qualche cambio negli stili di vita in chi è alla seconda legislatura
La strada però, nonostante i malumori interni, è tracciata. Anzi. Sul blog delle Stelle emerge la volontà del Movimento di trasformare la regola interna in obbligo di legge per tutti i partiti.
La forzista Elvira Savino, però, punge: «Nel giorno in cui si vogliono abolire i vitalizi agli ex parlamentari, i grillini si sono aumentati lo stipendio a 6.250 euro al mese».
Anche il Fatto Quotidiano racconta che qualcuno è sull’orlo di una crisi di nervi:
Ieri i parlamentari hanno scoperto che 1.000 euro sui 3.600 originariamente previsti solo per le spese relative ai collaboratori ora dovranno essere destinati “all’organizzazione e alla partecipazione a eventi ufficiali del Movimento”.
In pratica, sibilava ieri un deputato, “ci chiedono di pagare eventi sul territorio e di restituire il resto. Ma è chiaro che così si riprenderanno anche gran parte di quei soldi”.
Mentre c’è grande nervosismo anche per l’obbligo per ministri e sottosegretari eletti di restituire tutte le indennità aggiuntive.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile NON SPIEGA COME E DA CHI… E NON CHIARISCE PERCHE’, ESSENDO OGGETTO DI REATO, SIANO STATI SPESI INVECE CHE ESSERE RESTITUITI ALLO STATO
“I soldi che dicono che abbiamo sottratto? Non ci sono quei 50 milioni, Repubblica sta cercando quei
soldi in Svizzera, in Lussemburgo… Fate inchieste su cose vere, non perdete il vostro tempo”.
Risponde così, Matteo Salvini, ministro dell’Interno, vicepremier e segretario del Carroccio, ai microfoni di Circo Massimo su Radio Capital.
A Massimo Giannini che gli chiede dove siano finiti quei soldi che la magistratura di Genova sta cercando (per tentare di restituirli allo Stato), il leader leghista risponde con un “quei soldi non ci sono, sono stati spesi in dieci anni”, lasciando aperto il caso.
Come sono stati spesi?
E, soprattutto, visto che dagli atti del processo di Genova risulta che quell’ammontare era nelle casse della Lega quando Umberto Bossi fu scalzato e sostituito da Roberto Maroni e poi da Salvini: perchè quei soldi che erano frutto di una truffa ai danni dello Stato sono stati spesi e non restituiti all’Erario?
Perchè Salvini non si è costituito parte civile nel processo che è stato fatto contro il Senatur?
Tutti interrogativi a cui il vicepremer leghista non ha mai risposto
In aprile la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Procura di Genova, che ha chiesto di poter sequestrare i soldi che arriveranno in futuro sui conti della Lega Nord. Quei soldi che il partito, secondo i magistrati genovesi, deve restituire dopo la condanna di Umberto Bossi e Francesco Belsito per la maxi truffa sui rimborsi elettorali dal 2008 al 2010.
È dello scorso luglio la sentenza che ha portato alle condanne di Bossi a 2 anni e due mesi e dell’ex tesoriere Belsito a 4 anni e dieci mesi, oltre a quelle di altri cinque imputati: i tre ex revisori contabili del partito Diego Sanavio, Antonio Turci e Stefano Aldovisi (rispettivamente condannati a due anni e otto mesi, due anni e otto mesi e un anno e nove mesi) e i due imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet (cinque anni ciascuno).
Nei giorni scorsi era stato lo scrittore Roberto Saviano a chiedere pubblicamente a Salvini conto della fine di quei soldi. Il tema della restituzione dei rimborsi falsi della Lega è stato cavalcato per anni anche dal Movimento 5 Stelle, che ne chiedeva conto per bocca del capo politico Luigi Di Maio in una conferenza stampa ancora pochi mesi fa.
“La Lega Nord – tuonava Luigi Di Maio prima delle elezioni – che parlava di ‘Roma ladrona’ deve decine di miloni di euro ai cittadini italiani e urla al complotto: abbiano almeno la decenza di restituire i soldi prima di urlare al complotto”.
Ora che M5S e Lega sono alleati nel governo, la richiesta a Salvini di riconsegnare i soldi allo Stato, da parte edl M5s, è passata in secondo piano.
(da agenzie)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile IL SOLITO FAVORE A CHI HA COMMESSO ABUSI EDILIZI DA PARTE DI M5S E LEGA
Sergio Rizzo su Repubblica oggi racconta l’emendamento presentato in extremis al decreto terremoto dal relatore, il capogruppo dei 5 stelle in Senato Stefano Patuanelli. Ovvero, un condonino per gli abusi compiuti prima del disastro.
L’emendamento consente al proprietario dell’immobile («pur se diverso dal responsabile dell’abuso», precisa il testo) di chiedere contestualmente al contributo pubblico per la ricostruzione della propria abitazione anche la sanatoria per gli interventi abusivi.
Naturalmente di minore entità , considerando tali quelli che non superano il 5 per cento della superficie, dell’altezza o della cubatura.
Praticamente, un quarto del piano casa varato dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi.
La sanatoria riguarda anche i piccoli abusi commessi nelle aree con vincolo paesaggistico, dove però la misura degli eccessi tollerati si ferma al 2 per cento.
Concessioni perfino troppo limitate per Forza Italia, l’unica forza politica che ieri ha votato contro il provvedimento proprio con questa motivazione.
Senza contestare, ovviamente, la giustificazione di fondo dell’emendamento grillino. Ovvero, quella di «accelerare la ricostruzione degli edifici privati» pure in presenza di «lievi difformità edilizie»: che sono diffusissime nei paesi dell’Appennino massacrati dal sisma. Così diffuse che senza una sanatoria molti proprietari non avrebbero mai potuto ottenere i contributi. Adesso invece non avranno più problemi.
Quindi ci saranno solo multe per chi ha costruito abusivamente anche molto tempo prima di un sisma:
E per il modo oscuro e contraddittorio con cui è formulato l’emendamento non è neppure chiaro se chi si è fatto la stanza in più, ha ampliato il garage o ha chiuso una veranda, aumentando illecitamente prima del terremoto la superficie e la cubatura, potrà condonare e avere i soldi pubblici persino senza pagare la prevista multa compresa fra 516 e 5.164 euro.
Che invece di sicuro, pensate un po’, toccherà a chi ha aperto una finestra dove non poteva
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 29th, 2018 Riccardo Fucile L’ITALIA CEDE SU TUTTA LA LINEA: NON OTTIENE LA DISTRIBUZIONE OBBLIGATORIA DEI PROFUGHI MA SOLO QUELLA VOLONTARIA, SARA’ COSTRETTA AD APRIRE NUOVI CAMPI E ACCETTA I RITORNI DA GERMANIA E AUSTRIA… E L’ITALIA VOTA PER LE SANZIONI ALLA RUSSIA
Doveva essere accordo, e accordo è stato. Sul tavolo «restano le divisioni», afferma Angela Merkel. 
«L’Europa ha adottato le posizioni di Visegrad», brinda il premier polacco Mateusz Morawiecki facendo il controcanto a Giuseppe Conte, per il quale «ora l’Italia non è più sola».
Sono le 4.41 del mattino quando il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, finalmente annuncia l’intesa a ventotto sui migranti. Sono passate 13 estenuanti ore dall’avvio dei negoziati: in mezzo il veto italiano, litigi tra leader, alleanze rotte e ricomposte, battute per stemperare la tensione e un’incessante propaganda — non senza qualche gaffe – da parte della nostra delegazione a Bruxelles, impegnata a mascherare la “scatola vuota», un accordo che tradisce gli annunci del primo mese di vita del governo gialloverde ma che per sfuggire alla ruspa di Matteo Salvini deve essere venduto come una grande vittoria del premier Conte.
Eppure l’Italia cede su tutta la linea: non ottiene la distribuzione obbligatoria di tutti i migranti, ma solo quella volontaria dei rifugiati, sarà costretta ad aprire nuovi campi e accetta i ritorni nel nostro Paese delle persone scappate in Germania e Austria.
Già , perchè l’Italia incassa solo promesse ma cede su tutti i punti sul tavolo, abbandona al loro destino le promesse e le richieste rumorosamente avanzate nelle ultime settimane.
Concede ad Angela Merkel la negoziazione degli accordi sui movimenti secondari, l’obbligo di riprendere i migranti registrati sul nostro territorio ma lasciati fuggire in Germania.
Passaggio che permette alla Cancelliera di tornare a Berlino ed evitare la crisi di governo targata Horst Seehofer, il ministro dell’interno della bavarese Csu.
Conte in cambio ottiene il vago principio che parla di «un nuovo approccio sui salvataggi basati su azioni condivise dei partner Ue». Tanto basta al premier per lanciarsi a dire di avere ottenuto «la condivisione dei salvataggi in mare».
Ma è il resto delle conclusioni a segnare la Caporetto del governo italiano.
I leader danno mandato alla Commissione europea di esplorare la possibilità di creare «piattaforme» Onu in Africa dove sbarcare i migranti, come chiesto da Austria, paesi di Visegrad e Italia, anche se non si parla di Libia, come chiesto da Roma, e non si indica in quali paesi saranno installate, aprendo a un negoziato ancora tutto da costruire.
C’è anche l’impegno a rinforzare la Guardia costiera libica. C’è uno «sforzo condiviso» tra nazioni europee a prendersi carico dei migranti, che però verranno trasferiti in «centri controllati» negli stati che volontariamente si offriranno di costruirli.
Conte afferma «non siamo obbligati ad aprirli, valuteremo», ma è un bluff.
L’Italia è costretta ad allestirli venendo meno al “no” solenne che aveva avanzato negli scorsi giorni.
Il perchè è presto detto: avrà accesso alla redistribuzione tra partner dei richiedenti asilo solo chi ospiterà nel proprio paese questi nuovi mega hotspot. E ancora, l’Italia dovrà continuare a identificare i migranti e potrà inviare i rifugiati solo ai partner che lo accetteranno «su base volontaria». Gli altri, come oggi, dovranno essere ospitati fino al rimpatrio.
Dunque non cambia nulla rispetto alla situazione odierna, l’Italia chiedeva l’apertura di tutti i porti europei ai barconi, la distribuzione obbligatoria di tutti i migranti, richiedenti asilo ed economici (illegali) e invece si accontenta che un gruppo di volenterosi conceda di prenderne a carico un numero di rifugiati deciso volontariamente.
Il tutto fino alla riforma di Dublino, che introdurrebbe quote obbligatorie, sulla quale i leader si impegnano solo genericamente a negoziarla «quanto prima», un rinvio alle calende greche vista l’irremovibile opposizione degli alleati di Salvini: i Visegrad e l’Austria di Sebastian Kurz.
Magra consolazione: Conte incassa «l’impegno» dei governi a versare i 500 milioni per riempire il Trust Fund Africa, necessario a proseguire i progetti Ue nel Corno, Sahel e Maghreb.
Talmente poco che Salvini in mattinata minaccia: «Non mi fido delle parole, aspetto i fatti, vediamo che succede», risponde a chi a Roma chiede un commento sull’esito del summit.
E intanto Conte dà il via libera anche al rinnovo delle sanzioni alla Russia (troppe le pressioni, anche Usa, per non farlo) senza condizioni.
(da agenzie)
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