Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
E FORSE E’ QUELLO CHE SPERA ANCHE SALVINI
Salvini non ha molti precedenti favorevoli nelle cause intentate. Qualche esempio?
Ha querelato Davide Vecchi del Fatto Quotidiano che aveva scritto che “non ha mai lavorato” e che lo aveva accusato “di aver mandato a catafascio La Padania” e ha perso la causa davanti al tribunale di Bergamo.
Ha querelato il sindacalista Marco Bentivogli che lo aveva definito ” il più grande assenteista di Bruxelles” e ha perso anche davanti al tribunale di Milano.
Ha querelato il responsabile della Mostra d’Oltremare di Napoli e ha perso la causa.
Ha querelato Cecile Kyenge che aveva detto “la Lega è un partito razzista” e ha perso la causa al tribunale di Roma.
Ha querelato Peppino Caldarola di Lettera 43 che ha scritto “sembra uscito da una bottiglieria” e ha perso la causa.
Ora tocca a Saviano perchè politicamente rappresenta una spina nel fianco dei sovranisti per le sue prese di posizione e le sue denunce nei confronti della politica xenofoba in atto.
E qui sta il primo elemento non certo casuale: aver presentato la querela su carta intestata del Viminale.
Sembra un cosa marginale, ma non lo è.
Apparentemente l’intento è quello di sostenere che Saviano ha offeso la reputazione dell’Istituzione, qualcuno potrebbe vedere un tentativo di “nascondersi” dietro la tutela governativa, ma non è così.
Dato che Saviano non ha mai fatto riferimento alla struttura del Ministero, ma a Matteo Salvini politico, la querela avrebbe potuto (e dovuto) essere presentata dal cittadino Matteo Salvini, segretario della Lega.
Cosa cambia?
Che il giudice potrebbe tranquillamente archiviare in quanto il querelante doveva adire l’autorità giudiziaria a titolo personale e non trincerandosi dietro un titolo che in questo caso non è indice di rappresentanza, in quanto non offeso dalle parole di Salvini.
In Italia sono migliaia le cause archiviate con motivazioni del genere, gli addetti ai lavori lo sanno, e non solo loro.
Salvini non vuole rischiare di perdere la causa come segretario della Lega, mentre se la perde per un vizio formale potrà sempre sostenere la parte della vittima della Magistratura che gli ha impedito di avere giustizia.
Il tempo ci dirà se la nostra sensazione è fondata.
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
“DIETRO L’ANGOLO C’E’ LA RUSSIA DI PUTIN”
“Il ministro della mala vita si è deciso a querelarmi. Non ho avuto alcuna comunicazione
ufficiale, quindi non so ancora chi sia il magistrato incaricato delle indagini, ma posso assicurare che appena lo saprò chiederò di essere interrogato”.
Lo scrive su Facebook Roberto Saviano, commentando la querela del ministro dell’interno Matteo Salvini, di cui HuffPost ha pubblicato il documento integrale. “Tocca agli uomini di buona volontà prendersi per mano e resistere all’avanzata dell’autoritarismo – continua lo scrittore – Anche di quello che, per fare più paura, usa la carta intestata di un ministero, impegnando l’intero governo contro uno scrittore. E sono sicuro che in questo ‘governo del non cambiamento’ nessuno fiaterà , aggrappati come sono tutti al potere. Io non ho paura”.
Oggi, aggiunge, “non bisogna arretrare di un passo davanti a un potere che ha il terrore delle voci critiche, che ha il terrore dei testimoni oculari delle nefandezze che si consumano ogni giorno nel mediterraneo e, in definitiva, ha il terrore di chi ogni giorno afferma con forza che incutere paura è l’arma nelle mani di chi vuole restringere le libertà personali”.
“Non l’ho mai fatto, ma vi chiedo di essere oggi con me in questa battaglia: dietro l’angolo c’è la Russia di Vladimir Putin, modello del ministro della mala vita che, come è noto, ha spesso portato alle estreme conseguenze il contrasto al dissenso”.
(da agenzie)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
I SONDAGGI CERTIFICANO UN CALO DEL 7% DEL PARTITO DI SEEHOFER CHE SCENDE AL MINIMO STORICO DEL 37,5% … AUMENTANO SOLO I VERDI, AFD SOTTO LA MEDIA NAZIONALE
Le polemiche anti-immigrati, gli attacchi contro la cancelliera Angela Merkel e la svolta a destra dal sapore decisamente populista imboccata nelle ultime settimane dal ministro degli interni e leader dell’Unione cristiano-sociale Horst Seehofer non paga. Non almeno in termini di voti e di consenso. Tre mesi prima delle elezioni amministrative nella seconda più popolosa regione tedesca, la Csu è crollata nei sondaggi al suo minimo storico del 38%
L’ultimo sondaggio è disastroso per la Csu, partito gemello della Cdu della Cancelliera, ma pur sempre un altro partito.
I cristianosociali si presentano orgogliosamente solo nel land meridionale, il più ricco della Germania, e se si votasse domenica prenderebbero meno del 37,5%, quasi otto punti in meno rispetto all’anno scorso.
Dati rispettabili in apparenza, ma la Csu da sempre era abituata alla maggioranza assoluta. Ancora cinque anni fa, aveva ottenuto alle elezioni regionali il 57%.
Un crollo di 20 punti, se il sondaggio venisse confermato, che spaventa i bavaresi. La Spd perderebbe un paio di punti, scendendo al 16%, mentre i verdi avanzerebbero fino al 14%. Il dato significativo è che il partito xenofobo Afd si fermerebbe a sua volta al 10%, ben al di sotto della media nazionale dell’anno scorso quando raggiunse il 12,6% e quindi non beneficierebbe per nulla del calo dei consensi della Csu.
L’orientamento dell’elettorato sarebbe quindi quello di punire l’atteggiamento anti-immigrati di Seehofer e le sue continue critiche alla Merkel con un travaso di voti ai Verdi o con l’astensione.
Se alle elezioni federali si proietta il risultato locale c’è il rischio di non superare lo sbarramento minimo del 5% per entrare al Bundestag: nel 2013 si ottenne il 7,2, e lo scorso 24 settembre si è scesi al 6,2 pur avendo ottenendo il 44,2. Quale sarebbe la percentuale nazionale con il 37% nel land? Dipende, ovviamente, dalla partecipazione alle urne, ma si corre sull’orlo del baratro.
(da agenzie)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
“IL MINISTRO PERDE SEMPRE PIU’ CONTATTO CON LA CROSTA TERRESTRE”… E RISPONDE PER LE RIME ANCHE A SALVINI
Che Tito Boeri non avesse varcato la soglia della Camera dei deputati per limitarsi a leggere
una difesa tecnica dell’operato dell’Inps lo si è capito subito.
Non sono nemmeno un paio di minuti che ha preso la parola, ed ecco che arriva la staffilata: “I numeri erano contenuti tutti nella relazione che abbiamo inviato al ministero il 6 luglio. Sei pagine, ma per capirle bisognava almeno sfogliarle”.
Una botta fortissima.
Perchè è dalla cronistoria del documento che contiene la stima di 8mila disoccupati in più all’anno derivanti dal decreto Dignità che Boeri lancia quella che è suonata a tutti gli effetti una controffensiva alle accuse di “manine”, “complotti” e “confusione” arrivate da Luigi Di Maio, come anche da Matteo Salvini.
Ai quali ha risposto sfoderando un sorriso sornione e una durissima verve lessicale. “Non accetto minacce da chi dovrebbe tutelare la mia sicurezza personale”, dice al ministro dell’Interno. “Perde sempre più contatto con la crosta terrestre”, rilancia rivolgendosi al capo politico del Movimento, “si mette in orbite lontane dal nostro pianeta”.
Poi ha snocciolato la ricostruzione di una timeline volta a decostruire la tesi del leader 5 stelle, secondo la quale sarebbero state fornite due diverse relazioni al pro
Così l’ex professore ha spiegato davanti ai commissari che il 2 luglio è arrivata la richiesta del ministero del Lavoro di stimare ai fini del decreto la platea dei lavoratori coinvolti, per stimare il minor gettito eventuale dei lavoratori a tempo determinato e del maggiore derivante da quelli a tempo indeterminato.
A quel punto dall’Inps parte una richiesta di dati, che sono arrivati il 6 luglio.
Il tempo di elaborarli, ed ecco che il 6 è stata spedita la prima relazione tecnica al via Veneto. Prima e unica, dato che la versione spedita l’11 sera conteneva semplicemente chiarimenti richiesti dalla Ragioneria generale dello stato. Nessuna doppia versione dunque. E, soprattutto, il numerino magico ben presente sin dall’inizio di una vicenda probabilmente meno intricata di quel che è sembrata all’inizio.
Ma è anche dal punto di vista del merito che Boeri ha rincarato la dose: “Il ministero — ha spiegato – aveva già messo in conto una riduzione dell’occupazione a tempo determinato per effetto del decreto”. Le stime poi elaborate dall’istituto, ha aggiunto, “potrebbero essere ottimistiche, se si tiene conto che ai lavori in somministrazione vengono estese tutte le restrizioni stabilite dal decreto per i contratti a tempo determinato”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
ARCHIVIATI GLI SCONTRINI, AUMENTATE LE SPESE, MOLTIPLICATI I BILANCI… IL MOVIMENTO DIVENTA ASSOCIAZIONE: MENO STELLE E PIU’ ROUSSEAU… I GRUPPI PARLAMENTARI HANNO INCASSATO E SPESO 32 MILIONI DI EURO
Alla faccia della sua pur notevole carica istituzionale, Paola Taverna ti accoglie nel suo video con l’aria nasale e compiaciuta di una annunciatrice: «Sabato e domenica ci sarà una nuova tappa di Rousseau City Lab. Il mouse di Rousseau arriva a Livorno, alla rotonda di Ardenza».
È vicepresidente del Senato, sembra un navigatore satellitare, una signorina buonasera, la voce del supermercato: «Entra su Rousseau alla voce Activism. Scopri l’evento che è più vicino a te».
L’incredibile video non è isolato: è pieno trend a Cinque stelle. Meno movimento, più Associazione Rousseau. Meno vaffa, più azienda.
Riguarda un po’ tutti i volti noti: dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli che si dedica con passione ai video della “Rousseau open Academ” – la più recente creatura del team di Davide Casaleggio- fino al Guardasigilli Alfonso Bonafede, intento a spiegare tutto de «lo scudo della rete», cioè il pool di avvocati cui rivolgersi, come grillini.
Così, anche così, col salto al governo il mito dell’anticasta si è tradotto, più che in politica, in tecnica, strategia mediatica e opacità .
Slittamenti che si svolgono su vari livelli.
La famosa trasparenza diventa qualcosa di sempre più rarefatto, la piazza viene rinchiusa e stipata nel mega mouse gonfiabile della Associazione Rousseau, il tecnoaziendalismo sopravanza insieme con la macchina di Casaleggio.
Le Cinque stelle diventano sempre più Rousseau: c’è anche un dominio che lo esemplifica, l’indirizzo web «rousseau.movimento5stelle.it», che porta dritto nel futuro.
E ci sono significative mosse mediatiche: a giugno, per distogliere l’attenzione dal caso di Luca Lanzalone — che fra l’altro aveva incontrato Davide Casaleggio a una cena poco prima del suo arresto – Luigi Di Maio ha dato grande spolvero alla pubblicazione del bilancio dell’Associazione Rousseau.
Non una parola su quello (rimasto peraltro riservato) della Associazione Gianroberto Casaleggio che pure aveva organizzato l’evento al centro delle polemiche.
E, soprattutto, Di Maio non ha dato alcuna pubblicità – come avrebbe fatto fino a poco tempo fa – al mero conto finale delle spese del comitato elettorale presieduto da suoi fedelissimi, che pure aveva raccolto «64 mila euro nei primi due giorni», «quasi cinquecentomila» all’inizio di febbraio e alla fine boh (nel 2013, le polemiche per la mancata pubblicazione partirono a neanche due settimane dal voto — e Grillo si precipitò a raccontare dove stavano i soldi).
Ci sono mosse giudiziarie: è la Rousseau e non il Movimento ad aver tirato fuori, in febbraio, i soldi per risarcire una causa persa da M5S.
Mosse commerciali: il sito tirendiconto.it ha addosso tutti i segni di un prossimo smantellamento, mentre è già statuito che i 331 deputati e senatori eletti con M5S verseranno ciascuno 300 euro al mese all’Associazione di cui Casaleggio jr è socio fondatore, tesoriere, dominus (totale: quasi 6 milioni in un quinquennio).
E ci sono mosse politiche: il più recente bilancio presentato in Parlamento alla Commissione preposta non è quello del partito, ma quello di una Associazione che, per quanto definita «cuore del Movimento», non è quella che ha presentato le liste e depositato il contrassegno elettorale, nè nel 2013 nè nel 2018; così, i rendiconti non sono più firmati nemmeno da Beppe Grillo, ma da Davide Federico Dante Casaleggio e Pietro Dettori.
Sembrava fosse un partito, invece era un calesse.
Ma conviene cominciare terra terra, dagli scontrini. Nel M5S non se ne vede più uno da un pezzo. Gli ultimi risalgono alla fine del 2017.
Bisogna andare nella preistoria grillina, per ricordare che la scorsa legislatura era cominciata addirittura con espulsioni comminate ai parlamentari per carenze sul fronte della presentazione delle prove di spesa .
In piena campagna elettorale 2018, l’esplodere del caso dei finti bonifici ha fatto il resto. E la nuova legislatura è cominciata con il presidente della Camera Roberto Fico che si è visto rinfacciare i rimborsi taxi, quando si è fatto fotografare sull’autobus. Perchè mai continuare a prestare il fianco a tutto ciò? Cade così il mantra degli scontrini.
I parlamentari saranno tenuti a restituire 2 mila euro al mese, oltre ai 300 destinati alla Rousseau, e avranno diritto a un forfait per le spese di soggiorno, vitto e trasporto di tremila euro, senza dover presentare prove.
Non proprio da buttar via, visto che nel 2013 la regola era tenere al massimo tremila euro, non limitarsi a restituirne 2 mila (a «i nostri terranno 2500 euro al mese», proclamava Grillo al tempo dello Tzunami tour).
Nel partito mugugnano, ma intanto il famoso “tirendiconto” è in disarmo.
Fermo alla scorsa legislatura: ancora col faccione di Alessandro Di Battista, che invece è a zonzo per l’America, o dello stesso Di Maio, che ormai sta a via Veneto tra i ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro. I rendiconti ancora fermi alla scorsa legislatura, a Dicembre 2017: ma nel 2018 li hanno presentati in due.
Insieme agli scontrini, faremo più fatica ad avere i minuziosi rendiconti che – soprattutto al Senato – i gruppi parlamentari M5S fornivano.
C’è da dire, anzi, che il gruppo Camera si è già aggiornato. Tutt’ora, in ritardo vistoso, non ha ancora fornito il link ufficiale al bilancio 2017, si è limitato a dare anticipazioni all’agenzia di stampa Adnkronos: e in effetti sono bastati a far venire i brividi.
Non volevano i soldi pubblici, anzi lo scrivono tutt’ora sul sito: «Non riceve alcun finanziamento pubblico». Ma attraverso i contributi di Camera e Senato ne hanno presi eccome. E tanti: 32 milioni di euro, complessivamente, in un quinquennio.
Soldi incassati dal movimento, attraverso i gruppi parlamentari, e poi spesi. Tutti. Tanto da finire in rosso.
Osservando l’andamento, si vede che nel quinquennio le spese sono esplose, a partire dal 2015. E hanno finito per rosicchiare i soldi messi da parte nel primo biennio, più virtuoso.
Il gruppo della Camera ha certificato un quasi un milione in rosso per il 2017, 803 mila euro per la precisione. Il francescanesimo, totalmente abbandonato .
E dove sono andati questi soldi?
Oltre che nella sempre crescente numero di dipendenti, in collaborazioni, consulenze e incarichi esterni. Per la “comunicazione” e non solo.
Già nel 2016, solo il comparto era lievitato del 375 per cento, superando il mezzo milione di euro di spese. Per il 2017, il caso più notevole è anche il più curioso: quello Domenico De Masi, il sociologo forse più amato – e di certo più pagato – dai Cinque stelle (almeno prima che passasse nel comitato promotore di Leu).
Le due ricerche da lui svolte (insieme con un team di 14 persone, ha poi precisato), sono la voce più pesante della spesa di 183 mila euro devoluti in servizi (il restante è andato alla Ipsos, per due sondaggi). Un’enormità .
Nella nota al rendiconto, si precisa che i risultati della prima ricerca sono stati presentati, quelli della seconda mai, perchè dovevano essere il cuore di un convegno organizzato per febbraio 2018, e «successivamente rimandato a causa delle imminenti elezioni» (evidentemente non preventivabili).
La spesa sempre crescente – a fronte di donazioni degli attivisti grillini che si aggirano attorno a una media fissa di 27-29 euro a testa – è del resto un dato comune nei molti bilanci presentati dai Cinque stelle. E si dice “molti” non a caso.
Pur non volendo accedere ai contributi pubblici (cioè ai rimborsi elettorali e al meccanismo del 2 per mille), infatti, il Movimento Cinque stelle ha presentato almeno il triplo dei bilanci necessari, in una moltiplicazione di numeri che (per paradosso) si traduce in mancata chiarezza.
Secondo quanto risulta pure alla commissione per la Trasparenza, detta Commissione Calamaro dal nome del suo presidente, e alla quale i partiti debbono presentare i loro rendiconti, il Movimento sembra essere uno e trino: cioè per ognuno dei primi tre anni della scorsa legislatura (unici dati finora disponibili) ha presentato tre bilanci.
Quello del Comitato elettorale per le elezioni politiche 2013, quello per le europee del 2014, e infine, quello dell’Associazione MoVimento Cinque stelle che si è presentata alle elezioni (si tratta dell’Associazione tra Grillo, suo nipote e il commercialista Nadasi, costituita nel 2012; quella che si è presentata alle ultime elezioni e che ha Di Maio come capo politico ancora non ha presentato bilanci).
A tutti questi bilanci si aggiungono i due dell’Associazione Rousseau (nata a metà 2016). Il risultato complessivo rasenta un Picasso nel periodo cubista.
Ci sono molti più bilanci di quelli che dovrebbero esserci, perchè per la legge l’obbligo a trasmettere i rendiconti è di chi ha ottenuto il 2 per cento dei voti o ha almeno un eletto (ma non hanno obblighi i comitati elettorali, e tanto meno le Associazioni come la Rousseau che formalmente si occupa solo della piattaforma on line di M5S).
E si finisce per avere un quadro incongruo: l’unico organismo che dovrebbe aver soldi, cioè il Movimento cinque stelle, non li ha.
In compenso, in tutte le sue molteplici incarnazioni, finisce in passivo: non c’è n’è uno che nel giro di un paio d’anni non abbia almeno 4 mila euro di rosso.
Per converso, in tanta moltiplicazione, mancano tasselli che logicamente sarebbero fondamentali: manca ad esempio il primo rendiconto del comitato elettorale 2013, cioè quello dei fondi raccolti per le politiche che videro per la prima volta M5S diventare titolare di un quarto dei voti degli italiani.
Qualcosa si ricava nel rendiconto successivo, quello del 2014, nel quale si dichiara che l’anno prima c’erano stati un totale di 737 mila euro di contributi (di cui 41 mila dall’estero), e uscite per complessivi 626 mila euro.
In compenso, il Movimento vero e proprio conta nello stesso periodo sulle sole quote associative: 600 euro, poi 800, poi mille. Il suo massimo di spesa riguarda la registrazione del simbolo (4 mila euro).
Molti più soldi si ritrova a gestire il comitato per le elezioni europee del 2014. Parte con 617 mila euro di contributi (di cui 39 mila dall’estero) ne spende per la campagna elettorale 413 mila. I restanti 200 mila circa vengono in parte girati alla causa del mai celebrato referendum no euro (45 mila nel 2014, 30 mila nel 2015), altri in spese per lo più non specificate.
Intorno ai soldi raccolti per le europee si verifica peraltro un caso di strani conteggi: nel counter collocato sul sito del Movimento, in alcuni momenti aumenta il numero dei contribuenti senza che aumenti il totale, in altri momenti accade l’inverso.
Come se fossero numeri a caso, il che quantomeno non è estetico: ufficialmente vale alla fine il rendiconto (dove il numero dei contribuenti non c’è).
Nel quale si segnala come quello di Beppe Grillo, 54 mila euro circa, sia in pratica l’unico ad aver superato i 10 mila euro. Il tutto, comunque, è niente rispetto ai 32 milioni che arrivati via Parlamento, e ancor meno rispetto a quelli che arriveranno: basti pensare che i parlamentari sono più che raddoppiati da 126 a 331.
In questo delirio di bilanci, ecco sorgere l’Associazione Rousseau.
Fondata l’8 aprile 2016 da Davide e Gianroberto Casaleggio (quattro giorni prima della sua morte), alla fine di quell’anno era in attivo di 79 mila euro, nel 2017 è già in passivo secondo la solita tendenza: 135 mila euro il disavanzo di gestione.
Dice Davide Casaleggio che la maggior parte dei soldi (89 mila euro) sono serviti a rendere i dati degli iscritti più sicuri, dopo che il sistema è stato bucato più volte dagli hacker. Di certo, 31 mila e spicci la Rousseau li ha messi a bilancio nel 2017 prevedendo che le sarebbero serviti, al centesimo, nel febbraio 2018 , per pagare una causa persa contro espulsi romani da M5S.
Più ancora che i soldi, tuttavia, è il sistema in crescita a dover essere messo sotto la lente.
Alcuni fattori mostrano infatti come il sistema Casaleggio sia sempre più attivo ed operante. Il Rousseau City lab che si citava all’inizio ne è un tassello. Casaleggio e i suoi soci girano l’Italia per mostrare come funziona il sistema della democrazia diretta. La tecnodemocrazia.
Dentro un bianco mouse gonfiabile, spiegano il futuro. E a illustrarlo, non c’è Luigi Di Maio, capo politico di M5S. C’è Enrica Sabatini, socia di Rousseau.
Che parla di «nuovi modelli di partecipazione», «democrazia diretta, invece che delegata», una «rivoluzione culturale» rispetto alla quale «in Italia ci sono pregiudizi», anche se «i risultati ci danno ragione, essendo arrivati al governo di questo Paese». Eccolo, il link, persino spudorato: è la Rousseau, ad essere arrivata al governo. I risultati le danno ragione.
Lo stesso Casaleggio, parlando durante la serata de “il mio voto conta” l’ha detto ancora meglio: «La consapevolezza dei propri diritti di cittadinanza digitale si sta alzando, un nuovo tipo di diritti e di strumenti . Oggi gli strumenti per esercitare questi diritti non sempre accessibili, ma quando lo diventano poi si pretendono, proprio come quelli che abbiamo creato con Rousseau».
Insomma l’accesso alla rete è «un diritto», persino sancito nel contratto di governo tra lega e cinque stelle, e questo è «un primo passo verso il riconoscimento di nuovi diritti, che stiamo cominciando a costruire anche grazie a Rousseau».
Ecco Davide che recupera il padre, le sue direttrici, e le porta su nuovi orizzonti. Senza dimenticare pure l’aggancio con il mito olivettiano: «In un certo senso siamo figli di Adriano.
E oggi la sua idea di comunità è il faro che ci indica la strada al centro di Rousseau», scrive Davide su Facebook a inizio luglio. Il mondo che gli gira attorno, del resto, funziona in maniera sempre più integrata. Tra echi olivettiani, e gli approdi più contemporanei.
Come quello di Edoardo Narduzzi, amico di Gianroberto Casaleggio, che lavorò con lui alla WebbEgg e costruì la Netikos, esperto di startup, criptovalute e blockchain, è stato uno degli investitori di Pipero, ristorante nel quale si sono incontrati Davide Casaleggio e Luca Lanzalone, pochi giorni prima del suo arresto. Un’altra società di Narduzzi, la Mashfrog, è nella partnership degli organizzatori del master sulle criptovalute organizzato dalla Link University, l’ateneo privato che ha un rapporto privilegiato coi Cinque stelle.
L’università che adesso sta per aprire una nuova sede a Napoli. Proprio nell’area della ex Olivetti, ma sarà certamente un caso.
(da “L’Espresso”)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE MINISCI: “PERICOLO DI DISTORSIONI, NON PUO’ ESSERE CANCELLATO IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA'”
“Se interveniamo sulla legittima difesa nei termini di cui stiamo leggendo in questi giorni
rischiamo di legittimare i reati più gravi persino l’omicidio”. Commenta in questi termini il presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, Francesco Minisci, la riforma sulla legittima difesa.
“La legge — ha ricordato Minisci in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio della Cei,- regolamenta già in maniera adeguata tutte le ipotesi di legittima difesa.
Nel 2006 sono stati già attuati alcuni interventi di modifica prevedendo ipotesi particolari nel caso di legittima difesa all’interno del domicilio. Non vediamo quali possano essere gli ulteriori interventi”.
Una delle preoccupazioni del presidente dell’Anm è che si voglia cancellare il principio di proporzionalità : “In questi giorni abbiamo sentito dire che lo si vuole eliminare. Questo però è un principio cardine, dal quale non possiamo prescindere”. Ieri il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede aveva assicurato che non sarebbe stato oggetto di revisione.
Aveva specificato, infatti, che le modifiche avrebbero riguardato soltanto l’eccesso di legittima difesa: Non salta il principio di proporzionalità “, aveva garantito.
“Ho letto diversi disegni di legge — ha concluso Francesco Minisci – tra questi è previsto che un soggetto che torna a casa la sera può sparare ad una persona che vede arrampicarsi sul proprio balcone. In questo caso sarebbe prevista la legittima difesa, questa è una distorsione inammissibile”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
“NON C’E’ PASSAPORTO O COLORE DELLA PELLE CHE POSSA IMPEDIRE A UN ESSERE UMANO DI SALVARNE UN’ALTRO”
Salvare vite umane non è un’azione amministrativa e il soccorso in mare va garantito a tutti. Anche l’Europa non deve dimenticarlo.
Il presidente della Camera, Roberto Fico, del M5s, è tornato a parlare di migranti.
Un chiaro segnale di distanza dall’estremismo di Salvini anche se, per prudenza istituzionale, Fico ha pensato bene di sottolineare la piena sintonia con il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, anche lui dei Cinque stelle.
Le dichiarazioni del presidente della Camera arrivano dopo il duro scontro tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e la ong spagnola Open Arms che ha denunciato la guardia costiera libica di aver lasciato morire in mare una donna e un bambino suscitando la reazione del vicepremier leghista che ha parlato di fake news.
“Il lavoro della Capitaneria – ha scritto Fico su Facebook – merita un plauso doveroso. Siamo riconoscenti per il costante impegno nella tutela della vita umana. E’ stato per me un onore premiare gli uomini della Guardia costiera che si sono distinti per coraggio e abnegazione salvando oltre mille migranti nel mar Mediterraneo”.
(da agenzie)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
APERTA UNA PROCEDURA PER LA LEGGE ANTI-SOROS CHE CRIMINALIZZA LE ATTIVITA’ A SOSTEGNO DEI PROFUGHI… INCASSA DALL’EUROPA MILIARDI E RIFIUTA DI ACCOGLIERE LA QUOTA MINIMA DI RICHIEDENTI ASILO CHE GLI SPETTA, TIPICO SOVRANISTA
Bruxelles contro l’Ungheria di Viktor Orban e la sua linea dura in materia di immigrazione. La
Commissione europea ha infatti deferito l’Ungheria del premier anti migranti, stimato da Matteo Salvini, alla Corte di Giustizia dell’Ue per inosservanza del diritto comunitario nelle sue leggi in materia di asilo e rimpatrio
La Commissione ha inoltre avviato una procedura d’infrazione per la cosiddetta legge Stop Soros, fortemente voluta da Orban che ne aveva fatto un tormentone in campagna elettorale, che criminalizza le attività a sostegno dei richiedenti asilo, perchè viola “le leggi, la carta dei diritti fondamentali e i Trattati dell’Ue”.
La procedura nei confronti dell’Ungheria per inosservanza della normativa dell’Ue in materia di asilo e rimpatrio era iniziata nel dicembre 2015.
Dopo una serie di scambi a livello sia amministrativo sia politico e una lettera complementare di costituzione in mora, la Commissione ha inviato un parere motivato nel dicembre 2017.
Analizzata la risposta delle autorità ungheresi, la Commissione ha ritenuto che la maggior parte delle preoccupazioni espresse non siano state ancora accolte e ha pertanto deciso ora di deferire l’Ungheria alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ultima fase della procedura di infrazione.
La lettera di costituzione in mora riguarda la nuova normativa ungherese che criminalizza le attività a sostegno delle domande di asilo. Denominata Stop Soros da Orban e dalle autorità ungheresi, qualifica come reato qualsiasi tipo di assistenza offerta da organizzazioni nazionali, internazionali e non governative, o da qualsiasi persona, a coloro che intendono presentare domanda di asilo o chiedere un permesso di soggiorno in Ungheria.
Le leggi comprendono anche misure di limitazione delle libertà personali, in quanto impediscono a chiunque sia perseguito penalmente a norma di tali leggi di avvicinarsi alle zone di transito alle frontiere dell’Ungheria
Le sanzioni vanno dalla detenzione temporanea alla reclusione fino ad un anno, seguita dall’espulsione dal paese. Inoltre la nuova legge e una modifica costituzionale hanno introdotto nuove cause di inammissibilità per le domande di asilo, limitando il diritto di asilo unicamente a coloro che raggiungono l’Ungheria direttamente da un luogo nel quale la loro vita o la loro libertà sono in pericolo.
La conclusione della Commissione è che l’Ungheria di Orban non adempie gli obblighi derivanti dai trattati, dalla normativa e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Le autorità ungheresi hanno 2 mesi per rispondere alle preoccupazioni espresse dalla Commissione.
(da agenzie)
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Luglio 19th, 2018 Riccardo Fucile
CORAGGIOSO DISCORSO PER I 153 ANNI DEL CORPO, ONORE DELLA NOSTRA REPUBBLICA: “NOSTRO DOVERE E’ PRESTARE AIUTO A CHIUNQUE RISCHI DI PERDERE LA VITA IN MARE”
Il Comandante delle Capitanerie di Porto, ammiraglio Giovanni Pettorino, ha tenuto un discorso in occasione del 153esimo anniversario della fondazione del Corpo.
Al termine del discorso, ha così detto: “prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare è un principio che è segno e baluardo distintivo di civiltà “.
Pettorino ha ripercorso tutte le attività principali della Guardia Costiera – dalla sicurezza dell’ambiente marino al controllo della filiera ittica, dalla sicurezza dei bagnanti a quella della navigazione – soffermandosi poi sul soccorso ai migranti. “In questi ultimi anni – ha detto – ad invarianza di risorse umane disponibili, il Corpo è stato chiamato a far fronte ad uno sforzo inedito, quello del soccorso in mare a migliaia di persone in pericolo”.
Un impegno “gravoso”, ha concluso, “che abbiamo assolto nella piena consapevolezza di ben onorare il giuramento prestato, da ciascuno di noi, di osservare la costituzione e le leggi. E un impegno cui abbiamo tenuto fede anche corrispondendo a quel principio non scritto che risiede nell’animo di ogni marinaio” prestare aiuto a chiunque rischi di perdere la propria vita in mare.”
(da agenzie)
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