Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
“FIN DA SUBITO AVEVO AVVERTITO DI MAIO CHE AVREI CONTINUATO LA MIA ATTIVITA’ DI VELISTA PROFESSIONISTA, MI HANNO CANDIDATO PER QUESTO, ORA MI SCARICANO”
Andrea Mura, il velista italiano tra i più famosi al mondo approdato in Parlamento alle ultime
elezioni, ma da allora recordman di assenze passa al contrattacco: “La notizia secondo cui avrei il 97% di assenteismo è totalmente falsa e infondata”, si difende intervistato dall’Ansa. “La mia presenza fino al 19 luglio è pari al 59%, basta vedere i dati ufficiali della Camera dei Deputati. Poi non è vero che sto veleggiando perchè la mia barca è ferma dal 30 settembre 2017”.
Il caso Mura comincia con un attacco nei suoi confronti del deputato forzista Ugo Cappellacci che lo aveva accusato appunto di disertare Montecitorio preferendo vivere in barca.
In un’intervista a La Nuova Sardegna Mura si era difeso sostenendo di fare politica navigando in difesa degli oceani e di aver concordato questa scelta con il M5s.
Ma dopo essere stato criticato sui social, oggetto di una denuncia in procura del Codacons, e al centro di una bufera politica, i 5 Stelle ne avevano preso le distanze. I capigruppo di Camera e Senato e il vicepremier Luigi Di Maio ne avevano chiesto le dimissioni.
Il deputato-skipper precisa: “La stampa mi ha attribuito delle affermazioni false da me mai pronunciate. Ho grande rispetto per l’attività del Parlamento e delle Istituzioni e non mi sognerei mai di dire cose del genere”.
“Sulla vicenda ci sono state varie fake news. A fronte di questa tempesta mediatica violentissima il Movimento mi ha ingiustamente abbandonato in mezzo al mare. Sono un navigatore solitario degli oceani, abituato ad affrontare con pazienza le burrasche più dure. Ho chiesto un confronto con i vertici del Movimento per chiarire presto l’intera vicenda”.
“Sono un uomo di sport, velista professionista, per questo mi è stato chiesto di candidarmi con il Movimento. Ho sempre detto che avrei continuato questa attività una volta eletto perchè credo sia un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della tutela del mare”.
“In Sardegna – aggiunge lo skipper cagliaritano – il movimento ha vinto una campagna elettorale durissima anche grazie al mio contributo con circa 60 mila voti”.
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
LA SPAGNA E’ AL 2,2%, LA FRANCIA AL 2,6%… L’ITALIA HA POI UN DEBITO/PIL DEL 131,8% MENTRE LA FRANCIA APPENA DEL 97%, LA SPAGNA DEL 98,3%, LA GERMANIA DEL 64,1%
Salvini, dalle pagine del Corriere, ha sostenuto: “Cercheremo di cambiare anche alcuni numeri scelti a tavolino a Bruxelles, che molti Paesi Ue ignorano bellamente”. Quali? “Francia, Spagna, Germania“.
Ma in realtà nessuno dei tre attualmente sfora il parametro di Maastricht sul deficit — quello che impone di tenerlo sotto il 3% del pil — nè ha annunciato di volerlo fare.
E tutti e tre gli Stati hanno un debito di gran lunga inferiore a quello italiano rispetto al pil prodotto dalle loro economie.
Un fattore cruciale per gli investitori che quel debito lo finanziano acquistando i titoli di Stato della Repubblica italiana.
Peraltro la Spagna cresce intorno al 3% l’anno, e la Francia e la Germania sono intorno al 2%, contro lo striminzito 1,3% previsto nel 2018 per l’Italia, ancora una volta fanalino di coda tra i Paesi Ue.
La Francia è rientrata nei ranghi. Berlino viola solo una “soglia raccomandata”
Parigi lo scorso anno, dopo un decennio di sforamenti, è tornata a rispettare il parametro di Maastricht che prevede di tenere il rapporto deficit/pil sotto il 3%: la Commissione europea ha chiuso la procedura per deficit eccessivo nei confronti del Paese e nelle “pagelle” della scorsa primavera ha attestato che nel 2017 la Francia di Macron l’ha portato al 2,6% e per il 2018 prevede un 2,3%.
Berlino è più che ligia alle regole sul bilancio dello Stato mentre supera solo la “soglia raccomandata” prevista per il surplus commerciale (differenza tra export e import), che dovrebbe restare sotto il 6% del pil mentre nel caso della Germania è da anni intorno al 9 per cento. Si tratta però, appunto, solo di una raccomandazione, non di un parametro imposto dai trattati.
In Spagna deficit/pil su dello 0,5% rispetto alle previsioni, ma su le tasse per le imprese
Quanto alla Spagna, in realtà il governo socialista di Pedro Sanchez ha sì annunciato un aumento della spesa pubblica, ma non ha intenzione di violare di nuovo Maastricht dopo che le manovre del predecessore Mariano Rajoy hanno riportato in carreggiata i conti (nel 2014 il deficit aveva toccato il 6% del pil).
Il nuovo primo ministro si accontenterà di portare il deficit/pil 2019 al 2,7%, rispetto al 2,2% previsto dal predecessore Rajoy, un livello che ha definito “non realistico” perchè obbligherebbe “ad adottare manovre di aggiustamento di notevole portata”. In parallelo al minor sforzo strutturale che verrà messo in campo dalla ministra dell’Economia Nadia Calvià±o, poi, Sanchez ha promesso di aumentare le tasse per le imprese “in modo che l’aliquota effettiva per le grandi corporation sia vicina al 25% e in nessun caso inferiore al 15%”. In Italia l’Ires sulle imprese è scesa nel 2017 dal 27,5% al 24 per cento e come è noto il contratto di governo tra Lega e M5s prevede una dual tax con due aliquote, al 15 e al 20%.
La zavorra del debito riduce i margini di manovra
Va aggiunto che sia la Francia sia la Spagna hanno un debito/pil inferiore al 100%, rispettivamente al 97% e al 98,3%. Mentre la Germania nel 2017 ha ridotto il rapporto al 64,1% contro il 74,7% del 2014.
Contro il 131,8% dell’Italia, che è seconda dietro alla Grecia per ammontare della zavorra che pesa sulla crescita e che ogni anno va rifinanziata.
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, quest’anno e il prossimo l’Italia dovrà vendere titoli per circa 380 miliardi annui su un totale di oltre 2.300 miliardi di euro. Numeri che richiedono disciplina di bilancio non perchè “lo chiede Bruxelles” ma perchè se si sfora è di fatto inevitabile un ulteriore aumento dello spread, il differenziale tra il tasso che la Penisola deve pagare agli investitori e quello offerto dai Bund tedeschi, ritenuti più sicuri.
E pagare più interessi (complice anche la fine del quantitative easing di Mario Draghi) riduce gli spazi per interventi in favore dell’economia reale, quelli giustamente invocati dagli esponenti del nuovo esecutivo.
Lo sa bene il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che domenica a margine dei lavori del G20 ha ribadito la “volontà di applicare il programma del governo mantenendosi ovviamente quei limiti di bilancio necessari per conservare la fiducia dei mercati ed evitare l’instabilità ”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
TENSIONE SU PRESIDENTE E TG1
Sullo schema della “grande spartizione” esplode l’ufficio di presidenza della Vigilanza, alla sua
prima convocazione.
Col presidente Alberto Barachini che chiede il “rispetto della regole” sulla Rai e chiama in audizione i ministri Tria e Di Maio.
Perchè, in base alla legge, spetta all’amministratore delegato nominare i direttori delle testate, mentre al consiglio di amministrazione spetta un parere vincolante a maggioranza di due terzi.
E, questo il sottotesto, non si era mai vista una trattativa a palazzo Chigi sull’intero pacchettone, con la scelta del nuovo amministratore contestualmente ai direttori dei Tg.
Un metodo che vincola il nuovo ad essere, di fatto, l’esecutore delle scelte dei partiti.
La ricaduta di questo inasprimento con le opposizioni è un problema “a monte”, sulla presidenza perchè il presidente deve essere votato dai due terzi della vigilanza (26 voti), e dunque serve una condivisione con le opposizioni: “Il punto— spiegano fonti vicine al dossier — è che Lega e Cinque stelle non hanno trovato, al vertice di palazzo Chigi, una quadra tra di loro sulle nomine e non hanno proposto agli altri una trattativa ordinata su un nome condiviso”.
Il problema irrisolto resta il nome di Giovanna Bianchi Clerici, ex parlamentare della Lega diversi lustri fa, già in un cda Rai dell’era Berlusconi, complicato da digerire per un pezzo dei Cinque stelle che, nel segreto dell’urna, potrebbero farla saltare.
Sul nome poi, e non è un dettaglio, non è stata intavolata una trattativa seria con Forza Italia.
Per non parlare del Pd che non la vede come presidente di garanzia.
Per uscire dall’impasse, dopo il nome di Giancarlo Mazzi è circolato per quella carica, in uno di quei giorni confusi in cui tutti parlano con tutti, anche quello di Giovanni Minoli, che certo potrebbe essere gradito da Forza Italia e Pd (che lo voleva come componente del cda).
Ma la soluzione è impraticabile: “Serve una donna — proseguono le stesse fonti — perchè la normativa dice che due terzi del cda devono essere femminili. Ce ne sono due, serve almeno la terza. E dunque va cercata, e al momento sembra non esserci, una donna alternativa alla Bianchi Clerici”.
C’è tempo fino a venerdì, giorno in cui è convocata l’assemblea dei soci, per comporre il pacchettone, che “a valle” al momento contiene un altro ostacolo che pare insormontabile.
È il Tg1 il terreno della battaglia sotterranea all’interno della maggioranza. Salvini, abile negoziatore, ha vincolato alla guida dell’ammiraglia il via libera a tutto il resto, assieme, ovviamente, al Tgr.
Il “dream name” del populismo di governo è Mario Giordano, l’ex direttore del Tg4, tolto dagli schermi Mediaset perchè troppo sovranista.
Complicato, per i Cinque stelle, mollare la casella non rinunciando a rivendicare il peso proprio del primo partito di governo. A cascata resta aperta la questione delle altre reti, degli altri Tg e anche delle “fasce” di maggior ascolto, in un frullatore dei nomi e di ipotesi che trapelano dai palazzi della politica.
Milena Gabanelli che resta un nome forte per il Tg1, ma anche per un programma, subito dopo il Tg, nella fascia che fu di Enzo Biagi.
In mezzo c’è la questione del direttore generale. L’unica certezza è che ormai la rosa si è ristretta a tre nomi.
E che sono in atto colloqui approfonditi con i diretti interessati. Secondo i ben informati la tensione con Salvini avrebbe fatto scendere le quotazioni di Fabrizio Salini, che pur gode della stima di Di Maio e anche dell’apprezzamento di Tria. Mentre salgono quelle di Andrea Castellari (Viacom International Media Networks Italia) e resta stabile Marcello Ciannamea, il direttore dei palinsesti.
Ma gli stessi ben informati, avvezzi alle trattative, alle loro tattiche e ai loro stop and go suggeriscono, per orientarsi nella nebbia, di tenere come bussola il Tg1.
Una volta che c’è la quadra, se non sul nome comunque sul partito a cui spetta, il resto si chiude in un minuto.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
SENTIRE SALVINI PARLARE DI CROCIFISSO OBBLIGATORIO NELLE SCUOLE E NEI PORTI INDIGNA CHI CRISTIANO LO E’ VERAMENTE
La Lega rilancia la battaglia sul crocefisso da esporre in scuole, università , aule di giustizia, porti, aeroporti e stazioni, prevedendo multe fino a mille euro per i trasgressori.
L’hashtag #crocifisso è rimasto fisso in cima ai trend topic di Twitter per un’intera giornata.
A cinguettare dal suo account, anche Laura Boldrini. “Un governo che si rispetti dovrebbe innanzitutto dotare le scuole di insegnanti qualificati e adeguatamente retribuiti, di palestre agibili e, soprattutto, di edifici sicuri”, ha scritto l’ex presidente della Camera, vittima poi di una fake news a opera del deputato leghista Alessandro Pagano e da lei prontamente smentita, sempre a mezzo social: “‘Boldrini vuole il Corano nelle scuole’. Questa bufala non l’ha scritta un troll qualunque ma un deputato della repubblica. Vorrei ricordare a questi signori che la diffamazione è un reato”.
Sempre su Twitter dice la sua anche padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica e gesuita vicino a papa Francesco: “Usare il crocifisso come un Big jim qualunque è blasfemo. La croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte. Non è MAI un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È abbraccio di Dio senza difese. Giù le mani!”.
La maggior parte degli utenti di Twitter si schiera contro la proposta, qualcuno utilizza l’ironia, altri affrontano il tema con serietà .
Tra i commenti dei detrattori il leitmotiv è sempre lo stesso: viste le strutture scolastiche fatiscenti, preoccuparsi che ci sia il crocifisso non dovrebbe esser prioritario per il governo.
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
VADE RETRO SALVINI: “NON POSSIAMO RIMANERE INDIFFERENTI QUANDO DI ALIMENTANO RABBIA E RIFIUTO”
Una mano che si leva verso il volto di uno sconcertato ministro degli Interni; sotto, il titolo:
‘Vade retro Salvini’. È la copertina del prossimo numero di Famiglia Cristiana, domani in edicola. “Niente di personale o ideologico – precisa il settimanale dei Paolini – si tratta di Vangelo”
Dopo l’ennesima tragedia di migranti morti in mare (le vittime sono già 1.490 dal primo gennaio al 18 luglio), Famiglia Cristiana fa il punto sull’impegno della Chiesa italiana.
Il giornale apre l’inchiesta con le riflessioni della presidenza della Conferenza episcopale italiana: “Come pastori non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, nè volgere lo sguardo altrove, nè far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto”.
Famiglia Cristiana riprende poi le frasi più significative di numerosi vescovi.
Tra loro, Mario Delpini (Milano, “Vorremmo che nessuno rimanga indifferente, che nessuno dorma tranquillo, che nessuno si sottragga a una preghiera”), Matteo Zuppi (Bologna, “Le Ong non sono complici degli scafisti, se stanno lì vuol dire che c’è un problema”), Corrado Lorefice (Palermo, “Siamo noi i predoni dell’Africa! Siamo noi i ladri che, affamando e distruggendo la vita di milioni di poveri, li costringiamo a partire per non morire: bambini senza genitori, padri e madri senza figli”), Cesare Nosiglia (Torino, “Fa parte del problema anche l’esplodere di polemiche, l’aver trasformato certo dibattito pubblico in un’arena in cui chi vince non è questo o quel gladiatore, ma sempre il ‘padrone del circo’, il controllore dei canali mediatici, il manipolatore delle opinioni e dei sentimenti”), Antonio Staglianò (Noto, delegato per le migrazioni della Conferenza episcopale siciliana, “Salvini sbaglia a dire: ‘Prima i poveri italiani e poi quelli africani’. Noi non dovremmo neppure averne. Gli stranieri hanno sempre il diritto umano di essere accolti”).
(da agenzie)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
L’EX SENATORE KRIVITSKY, COSTRETTO A FUGGIRE DALLA RUSSIA PERCHE’ AVEVA CRITICATO L’INVASIONE DELLA CRIMEA, ARRESTATO IN ITALIA NONOSTANTE LA RICHIESTA DI ASILO FATTA IN FRANCIA … IL SUO AVVOCATO: “ARRESTO ILLEGALE”… QUALCUNO HA PILOTATO L’ARRESTO?
In Francia aspetta risposte sulla sua domanda di asilo come perseguitato politico. In Italia invece viene arrestato.
Lo strano caso di Dmitry Krivitsky, ex senatore russo in disaccordo con Putin sulla guerra in Crimea, arrestato oggi a Cortina dove si trovava in vacanza, evidenzia come l’Ue non sia unita sul riconoscimento dell’asilo politico ai cittadini extraeuropei. Eppure dovrebbe esserlo “sulla base dell’articolo 78 del Trattato di Lisbona”, ci dice Mauro Anetrini, il legale che domani assisterà Krivitsky in udienza a Venezia.
Già : perchè l’ex senatore russo può avere un legale domicilio a Parigi, dove vive da un anno e mezzo, e finire in carcere in Italia su un mandato di arresto dei russi che lo accusano di corruzione?
Krivitsky, imprenditore e membro del Consiglio della Federazione russa da dicembre 2011 a settembre 2016, è finito in disaccordo con Putin sull’annessione della Crimea da parte di Mosca dopo la guerra in Ucraina nel 2014.
La magistratura russa lo accusa di corruzione per fatti risalenti al 2012: avrebbe ricevuto una tangente di 15 milioni di rubli attraverso un mediatore.
Stranamente il tipico reato che viene contestato a tutti i dissidenti russi per screditarli.
L’ex senatore arriva in Francia un anno e mezzo fa.
All’inizio dell’anno scorso finisce in un elenco federale di ricercati a livello internazionale.
La scorsa primavera fa domanda di asilo politico in Francia, dove vive non da irregolare o latitante ma con un legale domicilio a Parigi.
La domanda è ancora in fase di elaborazione da parte delle autorità francesi. Tanto che Krivitsky pensa bene di farsi una vacanza estiva a Cortina d’Ampezzo. Dove invece finisce in manette.
Ci dice l’avvocato Anetrini che “il giudice ha disposto l’arresto, senza nemmeno menzionare il fatto di Krivitsky sta aspettando la risposta dei francesi sulla sua domanda di asilo: una cosa che dovrebbe garantirlo in tutti gli Stati europei, non solo in Francia. E invece non è andata così: in Francia può vivere legalmente, in Italia no”.
“Il punto qui non è stabilire se l’accusa di corruzione da parte della magistratura russa sia fondata o meno — puntualizza Anetrini — Il punto è il ‘fumus persecutionis’: se lui ha fatto domanda di asilo in Francia, fino a quando questa domanda è sotto esame, non può essere arrestato in un paese europeo. No, se la domanda ancora non è stata formalmente respinta e non lo è”.
E ora? “Innanzitutto, domani in udienza ci opporremo alla richiesta di estradizione in Russia, basandoci sulla recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sui ‘trattamenti inumani e degradanti’ nelle carceri russe”. La sentenza si riferisce al trattamento del gruppo antagonista ‘Pussy riot’, protagonista di un blitz di protesta nella cattedrale di Mosca nel 2012.
E poi? Poi potrebbe arrivare la parte politica della storia, dati i rapporti ravvicinati del ministro dell’Interno Matteo Salvini con Mosca.
Solo dieci giorni fa, il leader leghista è stato in visita a Mosca dove ha incontrato diversi interlocutori istituzionali cui ha promesso collaborazione nella lotta alla criminalità .
Se Krivitsky restasse in carcere si stabilirebbe una lesione dell’articolo 78 del Trattato di Lisbona e un ennesimo graffio all’unità della comunità europea, nonchè ai rapporti tra Italia e Francia, già sotto stress per le questioni legate all’immigrazione e alla ‘conquista’ della Libia.
A seconda di come andrà a finire, potrebbe aggiungersi un tassello importante su uno dei due piatti della bilancia: unità dell’Ue oppure disgregazione con pericolosi avvicinamenti di alcuni Stati (l’Italia) alla Russia.
Dal Viminale per ora no comment.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
IL GENIAL ACCOUNT DERIDE I BUFALARI RAZZISTI DELLE UNGHIE SMALTATE DI JOSEFA E “SVELA” IL RETROSCENA DEL TITANIC
Una risata li seppellirà , si diceva. ![](https://s8.postimg.cc/jzo3jv13p/titanic.jpg)
E a volte la fogna complottista che diffonde fake news per alimentare razzismo e xenofobia è anche bene ridicolizzarla.
Così come il geniale account Le frasi di Oshภche ha mostrato la foto che smentisce la balla dell’affondamento del Titanic:
Dedicato a chi crede ancora alla storia del naufragio del Titanic si legge
Un Di Caprio aggrappato alla sua bella con le unghie smaltate che dimostrano il ‘complotto’
Meglio riderci su.
Del resto cos’altro replicare non ai complottasti, ma al cinismo razzista attraverso le quali veicolare una puzzolente disinformazione per denigrare chi soffre e chi aiuta i migranti invece di sparare piombino contro di loro.
Applausi per Oshภe ripugnanza per la feccia razzista ipocrita e bugiarda.
(da Globalist)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
ERANO QUATTRO PADRI DI FAMIGLIA, PER LORO NEPPURE UN POST DA CHI NE FA DIECI AL GIORNO PER DIFFAMARE GLI IMMIGRATI E LE ONG
Quattro morti in un giorno. Abbiamo messo solo le notizie flash.
Quattro: Cuneo, Genova, Catanzaro, Pavia. Perchè le morti sul lavoro non hanno geografia, non hanno età . E una strage quotidiana.
Quando il governo parla di emergenze e dimentica questa, la più grave, dimostra solo la pochezza di un esecutivo, caricato a pallettoni su propaganda e false urgenze. Parlerete voi di Palazzo Chigi con le vedove , i figli di questi operai?
O non avranno neppure un piccolo aiuto? Neanche un necrologio di Stato?
Segue la feroce cronaca
Cuneo: E’ morto travolto dal crollo di un mucchio di terra mentre controllava uno scavo appena eseguito nel centro di Busca, e non a causa di una caduta, Aldo Taricco. L’uomo, originario di Tarantasca, è stato subito soccorso, ma per lui non c’è stato nulla da fare. Sull’esatta dinamica dell’incidente sono in corso gli accertamenti dello Spresal e delle forze dell’ordine. L’incidente sul lavoro è avvenuto in un cantiere del centrale corso Romita.
Genova: Il dipendente di una azienda florovivaistica è morto stamani nel giardino di Villa Banfi, a Genova Pegli, schiacciato da un mezzo agricolo. L’uomo, operaio manutentore del verde, è morto sul colpo. Sul posto Vigili del fuoco, 118, carabinieri e ispettorato del lavoro. La vittima è un genovese di 46 anni, Matteo Marrè Brunenghi. Lavorava per la ditta Vivai Carbone, una piccola azienda che da anni si occupa della potatura del verde in subappalto per Aster, l’azienda comunale di manutenzioni. L’incidente è avvenuto questa mattina: il 46enne è rimasto schiacciato da un trattore che si è ribaltato. Il magistrato di turno, il sostituto procuratore Chiara Maria Paolucci, è stata informata dell’ accaduto e nelle prossime ore aprirà un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti e darà l’incarico per eseguire l’autopsia.
Catanzaro: Un operaio di 50 anni, O.D., è morto in un incidente su lavoro a Borgia, un centro a pochi chilometri da Catanzaro. L’operaio, secondo quanto si è appreso, è caduto, per cause in corso d’accertamento, da un’impalcatura sulla quale stava lavorando per la realizzazione di un muro. O.D. è deceduto sul colpo anche perchè un pezzo di ferro, nella caduta, gli si è conficcato nello sterno. Sul posto sono intervenuti i carabinieri, che hanno avviato le indagini per ricostruire la dinamica dell’incidente ed accertare eventuali responsabilità
Pavia: Un operaio di 54 anni è morto la scorsa notte, stroncato da un infarto, in un’azienda di Parona, un comune della Lomellina a pochi chilometri da Vigevano nel Pavese. L’uomo, che abitava a Cilavegna (Pavia), stava svolgendo un turno notturno nella ditta (specializzata nella realizzazione di lamine di metallo) quando si è improvvisamente accasciato. I suoi colleghi hanno cercato subito di rianimarlo, utilizzando anche il defibrillatore. Sul posto è arrivato, nel giro di pochi minuti, il 118. Il lavoratore è stato trasportato al Pronto Soccorso dell’ospedale di Vigevano, ma ogni tentativo di salvarlo purtroppo è risultato vano. Al momento non si sa se, quando è stato colto da malore, l’operaio stesse svolgendo mansioni particolari. Sul fatto è stata aperta un’inchiesta.
(da Globalist)
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Luglio 25th, 2018 Riccardo Fucile
IL 29 GIUGNO IL MINISTRO NON FIRMO’ ALCUN DECRETO… UN GOVERNO CHE AGISCE SOLO VIA TWITTER SENZA ALCUN ATTO FORMALE… TONINELLI SMENTITO ANCHE DALLA GUARDIA COSTIERA ITALIANA. ORA L’ITALIA RISCHIA CON LA MAGISTRATURA SPAGNOLA PER OMISSIONE DI SOCCORSO
Giacca scura. Sguardo tenebroso. Non è più tempo di slogan, ma di azione. ![](https://s8.postimg.cc/3llqhnred/TONIN.jpg)
È il 10 giugno, una foto di Matteo Salvini sta per fare il giro del mondo. “#Chiudiamoiporti” è l’hashtag.
Ma in uno stato democratico non basta un tweet per un’azione così dura, la prima in tutta Europa pensata per fermare i migranti e chi li salva dal mare.
Serve un decreto, come recita il codice della navigazione.
Per il neoministro dell’Interno Salvini è fondamentale l’appoggio del collega del M5s, Danilo Toninelli, titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ha la competenza sui porti.
E in una prima fase i due ministri sembrano parlare con una voce sola: diramano note congiunte, intimano a Malta di aprire i suoi porti e “non voltarsi dall’altra parte”, minacciano il sequestro delle imbarcazioni delle Ong che si avvicinano ai porti italiani.
In realtà non c’è un solo atto formale, un solo decreto.
La strategia del governo gialloverde viaggia su canali esclusivamente orali fino al 29 giugno, quando ad avvicinarsi alle acque italiane sono le imbarcazioni Open Arms e Astral della Ong spagnola Proactiva. Salvini insiste: quelle navi devono vedere l’Italia soltanto “in cartolina”, e annuncia la chiusura dei porti anche per gli scali tecnici e i rifornimenti.
Ma è il ministro pentastellato a imprimere un salto di qualità all’esecutivo: Toninelli rende noto con un comunicato di aver disposto, “in ragione della nota formale che giunge dal Ministero dell’Interno e adduce motivi di ordine pubblico, il divieto di attracco nei porti italiani per la nave Ong Open Arms, in piena ottemperanza dell’articolo 83 del Codice della navigazione”.
Il primo provvedimento formale del governo sui porti, così lo descrivono i giornali. Ma in quelle ore, e nei giorni successivi, il decreto non si trova.
Non l’hanno visto i marinai e i legali di Open Arms, a cui quell’atto dovrebbe essere notificato.
Non riescono a recuperarlo i giornalisti, nonostante le rassicurazioni continue del portavoce del ministro Toninelli.
Quel documento non c’è.
L’Espresso è in grado di rivelare che in quelle ore concitate, in cui le uniche imbarcazioni di Ong nel Mediterraneo in grado di raggiungere la zona di ricerca e soccorso libica erano quelle di Proactiva Open Arms, il ministro Toninelli ha mentito. Il decreto non è mai stato firmato.
La conferma arriva il 23 luglio scorso dal Comando generale delle Capitanerie di porto, in risposta a una richiesta di accesso agli atti di Open Arms: “Non risulta che sia stato adottato, nel caso indicato, alcun provvedimento ministeriale ai sensi dell’articolo 83 del Codice della navigazione” precisa il capo del terzo reparto, contrammiraglio Sergio Liardo.
Nessun problema di ordine pubblico. Nessun decreto del ministro.
La Guardia costiera italiana esclude anche che sia stato firmato qualsiasi altro provvedimento di interdizione “del mare o degli ambiti portuali” nei confronti di navi della Ong Proactiva.
Contattato dall’Espresso, il ministro Toninelli non ha voluto commentare. Fonti del Mit sostengono che “il provvedimento è decaduto immediatamente, dato che poco dopo la Open Arms prese a bordo una sessantina di migranti, e l’atto non poteva più reggere essendo valido per l’assetto della nave con a bordo il solo equipaggio. Il decreto in realtà era in formazione, perchè era appena arrivata la nota del Viminale”.
Non si tratta solo di una questione formale.
Il 28 giugno le due imbarcazioni Astral e Open Arms sono rimaste le uniche navi di Ong attrezzate per la ricerca e il soccorso in mare in grado di operare davanti alla Libia.
Sono partite da Valencia e, dopo giorni di navigazione, avanzano la richiesta di uno scalo tecnico: la nave più grande ha bisogno di un cambio di equipaggio, di viveri, di fare rifornimento.
Dopo aver incassato il diniego di Malta, il capitano della Open Arms, Marco Martànez Esteban, gira la richiesta di attracco alla Capitaneria di porto di Pozzallo, in Sicilia. Comincia uno scambio di email tra la nave spagnola e la capitaneria italiana, con richiesta di una serie di informazioni da parte dell’autorità portuale sul motivo della scelta di Pozzallo in luogo di La Valletta, sulla quantità di carburante necessario e l’autonomia residua dell’unità navale.
Intanto dal Viminale parte una nota urgentissima a firma del capo di Gabinetto, Matteo Piantedosi, indirizzata al ministro dei Trasporti Toninelli: “Non si possono escludere riflessi sull’ordine pubblico derivanti dall’accoglimento dell’istanza” di accesso al porto presentata dalla Ong, scrive il dicastero di Salvini.
Non solo: per gli Interni non c’è “alcuna situazione emergenziale” nelle richieste avanzate da Open Arms, che nel frattempo rinuncia ad attraccare nel porto di Pozzallo e con il carburante al minimo continua a muoversi in acque internazionali, dirigendosi verso la zona search and rescue antistante la Libia. Il resto è cronaca.
Quel giorno, in un naufragio, secondo l’Unhcr muoiono più di cento persone nelle acque libiche, tra cui tre bambini.
Gran parte dei corpi rimangono in mare. Verso le 9 del mattino del 29 giugno l’equipaggio della Open Arms aveva intercettato una comunicazione sul canale 16 relativa a un barcone in pericolo nella zona di Al-Khums, vicino alla costa di Tripoli, a 80 miglia nautiche dalla nave.
Ma la Open Arms non poteva raggiungerlo facilmente: “È molto lontano e hanno avvisato i libici. Noi siamo con il diesel al minimo – ha raccontato il comandante di Open Arms al quotidiano spagnolo El Diario – non siamo in grado di accelerare per arrivare in tempo”.
Roma non lancia l’allarme tanto che, alla fine, l’allerta ufficiale sul natante da soccorrere la diramerà La Valletta.
Ma nonostante l’offerta di supporto da parte della Ong, quel giorno “l’intervento della nave Open Arms non viene accordato dalle autorità italiane – ricorda la Ong Proactiva – che non rispondono positivamente alle nostre chiamate”.
In serata, mentre comincia a circolare la notizia di un naufragio con cento dispersi, arriva la nota di Toninelli che nega ufficialmente l’approdo in porto alla Open Arms. In un primo momento il ministro sbaglia persino imbarcazione, sostenendo di aver “disposto il divieto per la nave Ong Astral”.
Due ore dopo la rettifica: “La nave a cui si riferisce il provvedimento è la Open Arms e non la Astral. Entrambe fanno capo alla Ong Proactiva Open Arms”. Ma non esiste nessun provvedimento.
“È stato un tentativo di far desistere le Ong e le strutture che avrebbero potuto fare i salvataggi in mare, una sorta di messaggio all’Europa e al mondo – illustra l’avvocato di Open Arms, Rosa Emanuela Lo Faro – perpetrato via social network, senza ricorrere ad atti formali. Si è trattato quindi sicuramente un modus operandi anomalo, perchè l’azione di un governo deve esplicarsi attraverso la formazione di atti amministrativi e non via Twitter. Una cosa comunque la possiamo dire con certezza: se la nave di una Ong volesse entrare in un porto italiano oggi potrebbe farlo, perchè non è mai stato chiuso nessun porto: i porti italiani sono aperti. Sono stati chiusi solo a parole”.
Come nel caso della Aquarius e della Lifeline, la linea dura del governo ha funzionato ancora una volta senza far ricorso a troppe carte bollate: a Salvini sono bastati dei tweet, qualche post su Facebook e un intervento alla radio; a Toninelli l’annuncio di un decreto mai firmato.
Per riuscire a mettere in discussione princìpi scolpiti, prima che nelle leggi, in più di duemila anni di storia del Mediterraneo.
(da “L’Espresso“)
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