Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
LA DIRETTRICE MANTIENE LA PROMESSA DI ASSUNZIONE FATTA AL RAGAZZO CHE FINO AD ALLORA CHIEDEVA L’ELEMOSINA DAVANTI ALL’INGRESSO
Da ieri mattina Osahon Ewansiha è un dipendente del Prestofresco.
Il 30 giugno scorso era diventato l’eroe della catena di supermercati con sede a Moretta, nel Cuneese, dopo aver sventato una rapina, l’ennesima nel punto vendita di via Mercadante, a Torino.
Per questo la procuratrice dell’azienda, Domenica Lauro, ha deciso di offrirgli un’occasione: un contratto di apprendistato di tre anni.
Iniziato ieri mattina, alle 8,15, nel supermercato di via Clementi, a due passi da dove, fino alla scorsa settimana, chiedeva l’elemosina con un cappellino in mano.
“Sono felicissimo – dice – Con questo lavoro inizia il mio futuro”.
Il giovane, arrivato tre anni fa dalla Nigeria, indossa la maglietta rossa con il logo del supermercato e per qualche giorno sarà l’ombra del più giovane dei dipendenti, che ha il compito di insegnargli il mestiere.
“Devo caricare gli scaffali, controllare le scadenze e lavorare in magazzino – racconta con un certo orgoglio – È il mio primo lavoro vero qui in Italia: non pensavo che il mio gesto, quel sabato mattina, avrebbe portato a tutto questo. Mi ha rivoluzionato la vita”.
Osahon, che ha 27 anni, si era lanciato dentro al supermercato per bloccare un rapinatore che, armato di coltello, aveva minacciato la cassiera.
I due avevano lottato: il ragazzo aveva schivato diversi fendenti e, alla fine, il bandito era stato costretto a a fuggire.
I carabinieri però lo hanno identificato e arrestato due settimane fa: italiano, 28 anni, si era costituito quando aveva capito di essere ormai braccato e aveva confessato quella e altre rapine.
Racconta Osahon: “Io chiedevo l’elemosina perchè, anche se non avevo niente, non volevo rubare. Per questo ho cercato di fermare quell’uomo. Ho guardato quella cassiera in pericolo e ho pensato alla mia famiglia in Nigeria”.
E anche adesso, mentre impara dove caricare pasta e pelati, pensa a chi è rimasto al suo paese d’origine: “Ora potrò mandare soldi a casa: anche i miei fratelli contano su di me”.
Per sè, invece, immagina una vita qui a Torino, nel quartiere popolare di Barriera di Milano: “L’Italia mi piace perchè ci sono leggi certe – sostiene – Se quel rapinatore fosse stato arrestato al mio paese, probabilmente, sarebbe tornato libero con una telefonata fatta alla persona giusta”.
Ora che non è più costretto a vivere con 150 euro al mese, Osahon ha iniziato a fare progetti: “Vorrei trovare un piccolo appartamento da affittare tutto per me. Oggi vivo con alcuni miei connazionali. E poi tra qualche anno vorrei prendere la patente”.
Il ragazzo venuto dalla Nigeria con un permesso per motivi umanitari, oggi, può immaginarsi un futuro diverso anche perchè la dirigente del supermercato ha fatto di tutto per mantenere la promessa di un mese fa, nonostante le polemiche che – immancabili – hanno preceduto la sua assunzione.
“Ho ricevuto delle mail, mi hanno accusato di falso buonismo – racconta la direttrice – ma non ci voglio dar peso. Ho 70 dipendenti e sono tutti italiani. Questo odio razziale non porta da nessuna parte”.
Così Domenica Lauro è andata dritta per la sua strada e ha fatto in modo che tutto il percorso di Osahon fosse trasparente. Ha aspettato che il ragazzo rinnovasse il suo permesso di soggiorno in questura a Caserta e lo ha fatto iscrivere al centro per l’impiego perchè i suoi documenti venissero certificati.
Quando Osahon avrà finito il periodo di affiancamento, la sua giornata lavorativa comincerà alle 7,30 con l’arrivo dei prodotti in magazzino.
Ma a un patto. “Oggi ha un contratto di 25 ore alla settimana perchè abbiamo un accordo, io e lui: oltre a lavorare deve imparare bene l’italiano”, spiega Lauro.
Quattro ore al supermercato e altrettante dietro ai banchi di scuola, con gli insegnanti del consorzio Abele.
“Quando avrà finito la scuola potremo anche valutare di aumentare le sue ore di lavoro”, spiega la dirigente, e Osahon sembra non avere alcuna intenzione di deluderla: “Parlo ancora troppo poco l’italiano per poter essere utile ai clienti – ammette lui – ma imparerò tutto quel che serve. Voglio memorizzare prodotti, marchi, prezzi e promozioni”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
MEZZO GOVERNO IN CAMPO PER DISDIRE L’AEREO NEL DELIRIO DI OFFRIRE LO SCALPO DEL DITTATORE CADUTO… MA NESSUNO SI VERGOGNA DEI MILIONI PER LE MOTOVEDETTE REGALATE AI CRIMINALI LIBICI
Nell’hangar più grande di tutta Fiumicino si bolle dal caldo, ma Luigi Di Maio e Danilo Toninelli non sudano.
Preparano una grande operazione di propaganda studiata per mascherare le difficoltà e le critiche su piovono su nomine e provvedimenti del Governo.
Hanno la freschezza di chi sa di aver appena colto la rosa più bella del giardino dell’ex dittatore: a trenta metri c’è l’Air Force Renzi, il famigerato aereo che nella scorsa legislatura il Governo ha preso in leasing da Etihad.
I due ministri arrivano nei pressi dei giornalisti che li attendono, girano i tacchi e imboccano la scaletta che li porta a bordo. C’è un rumore assordante che si spande per il gigantesco capannone, proviene da una macchina refrigeratrice. “A bordo stamattina facevano 46 gradi, dovevamo rinfresca’”, spiega un addetto ai lavori.
Di Maio e Toninelli salgono, fanno una diretta Facebook ad uso e consumo del popolo della rete e delle redazioni che riprenderanno le parti salienti del monologo.
Nella carlinga la temperatura supera ancora abbondantemente i 30 gradi, ma ne escono immacolati e finalmente si sottopongono a qualche domanda dei giornalisti convocati al banchetto.
Non prima di aver riassunto in tre parole il senso di un’operazione di marketing politico-comunicativo messa in piedi quasi a sorpresa.
Sentite Di Maio: “Questo aereo è il simbolo dell’ancien regime, il simbolo di un regime che è caduto”. Forse un po’ troppo anche per lui, che stempera appena in tempo: “Non un regime dittatoriale, ma quello dell’arroganza di un potere mandato a casa dai cittadini”.
Vale la pena un attimo fermarsi, e capire il perchè di un’operazione che iperbolicamente sembra il disvelamento degli arazzi e degli ori dopo la presa del Palazzo d’Inverno, o l’esibizione catodica delle stanze del potere dopo la caduta di Saddam.
Il governo gialloverde ha “desecretato i documenti” (Toninelli dixit) relativi al leasing dell’apparecchio voluto da Matteo Renzi. E ha deciso di rescindere il contratto che lega lo Stato italiano con la compagnia degli Emirati Arabi.
Per questo il ministro delle Infrastrutture ha inviato una lettera ai commissari di Alitalia, mediatori dell’operazione, per procedere in tal senso (si parte venerdì con il primo incontro al Ministero, delegato al dossier il sottosegretario Armando Siri).
“Faremo risparmiare ai cittadini 108 milioni di euro”, ripetono all’unisono i due ministri pentastellati, esibendo lo scalpo dell’aereo.
Un messaggio facilmente veicolabile, perchè colpisce uno degli aspetti percettivamente più tracotanti di un’epoca, quella renziana, da una buona fetta della società ritenuta di per sè tale.
Così ecco la conferenza stampa convocata in fretta e furia. Appuntamento al terminal Voli di Stato di Fiumicino, pannelloni di legno alle pareti, scarsi o nulli segnali di tecnologia, una strana full immersion di qualche minuto in quello che potrebbe essere uno scalo internazionale del nord Africa a inizio anni Novanta.
Poi tutti su un pulmino, in direzione del guscio di plastica e acciaio che custodisce l’Airbus A340-500, all’estremità dell’aeroporto.
Talmente lontano che a un certo punto l’autista è costretto a fermare un collega e a chiedere indicazioni. All’arrivo c’è Paola Taverna che esibisce un sorriso infinito, lei che è stata la fustigatrice per eccellenza del fu premier per la vicenda, accompagnata dal capogruppo al Senato Stefano Patuanelli.
È un’operazione in pieno stile 5 stelle, ma si capisce da subito che è una mossa che vede coinvolto tutto il governo per cercare di spostare l’agenda dalle discussioni infinite sulla spartizione della Rai e delle Fs (e ancor prima di Cassa depositi e prestiti), sui dissidi tra i ministri, sulla lentezza del decreto Dignità , che procede pachidermicamente in Parlamento.
Si capisce perchè sul posto c’è Rocco Casalino, portavoce del premier Giuseppe Conte, e almeno quattro o cinque fra i giornalisti chiamati a recentemente a comporre il nutrito staff che gestisce la comunicazione di Palazzo Chigi.
Il Governo è deciso a spremere lo spremibile dalla vicenda, e ha aperto alcune linee di studio.
Quelle che condurrebbero dritti verso il tribunale. Da un lato per indebiti aiuti di Stato a una compagnia agonizzante come Alitalia. Dall’altro per danno erariale di chi ha firmato il contratto di leasing. È presto per definire i margini di procedibilità . Gli uffici competenti si sono posti come settembre la deadline per valutare il da farsi.
La questione è complessa. L’Air Force Renzi è stato affittato per 8 anni. 96 rate per un ammontare totale di 167 milioni di euro. 75 sono stati già versati (50 di rate più 25 per un’una tantum al momento della firma).
Gli uomini del premier forniscono dati che effettivamente raccontano di un’operazione senza molto senso: “Si deve considerare che è un tipo di apparecchio fuori produzione dal 2011, e che nel momento dell’acquisto valeva 27 milioni di euro. In più, al di là del costo totale, erano previsti i lavori di adattamento, visto che la configurazione interna è quella di un aereo di linea, per un massimale di 20 milioni di euro”.
I conti sono presto fatti. Basta sottrarre i 75 milioni già pagati ai 187 (167 + 20), ed ecco maturare un risparmio addirittura superiore a quello indicato dai due ministri, pari a 112 milioni di euro. Anche se a Palazzo Chigi non escludono di dover versare la penale per la rescissione anticipata del contratto (42 milioni di euro) per l’Airbus a340-500, mentre Toninelli è sicuro: “Non dovremmo farlo, l’articolo 24 del contratto di fornitura parla chiaro”.
I ministri accettano un paio di domande, strettamente relative alla vicenda, poi se ne vanno. Viene concesso un giro a bordo. Il mastodonte apre la sua pancia claustrofobica, fatta di corridoi non più larghi di un metro, una prima classe che più che dal 2011 sembra provenire dagli anni ’80, un’alternanza di ocra e marrone che intristisce il colpo d’occhio generale, stelle marine serigrafate alle paratie che nemmeno nel più sciatto dei due stelle della riviera romagnola.
“Finchè non ci installava dentro una Jacuzzi Renzi non lo voleva usare”, ironizza Di Maio andandosene. Ci fosse stata, forse lo scalpo da esibire avrebbe fatto più effetto. E giustificato il gran circo messo su per esibirlo.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
E ANCHE LO SGOMBERO E’ FALLITO PERCHE’ IN SERATA I ROM SONO RIENTRATI NEL CAMPO VISTO CHE IL COMUNE NON HA GARANTITO LORO ALCUN ALLOGGIO IN ALTERNATIVA
Ricostruiamo la vicenda.
Attraverso il ricorso alla Corte Europea per i diritti dell’Uomo, la stessa, ravvisando presunte gravi violazioni dei diritti umani, ha ordinato la sospensione dello sgombero di Camping River fino alla sera del 27 luglio.
Tale tempo era necessario alla Corte di ricevere la memoria da parte del Governo italiano (inviata ieri entro le 12,00) e la contro memoria di Associazione 21 luglio (inviata oggi alle ore 8,00).
Ricevuta la documentazione, la Corte si sarebbe riunita nella giornata di domani per pronunciarsi sullo sgombero di Camping River, decidendo eventuale ulteriore sospensione.
E’ evidente che il governo italiano e il Comune di Roma abbiamo deciso di rompere gli indugi, infischiandosene della sospensione, al fine di evitare il giudizio della Corte che già sapevano sarebbe stato negativo nei loro confronti.
“Prima di perdere la partita – si saranno detti ieri Salvini e Raggi – portiamo via il pallone”.
Questo il valore e il senso della parola “legalità ” oggi, a Roma.
Oggi è toccato a Camping River, domani toccherà a qualcun altro.
Nel frattempo la Raggi manda un comunicato (pubblicato dal Fatto Quotidiano) secondo cui ” la Corte Europea diritti dell’Uomo ha sancito che l’Italia può sgomberare i tre abitanti del Camping River che si erano rivolti a Strasburgo chiedendo di fermare l’evacuazione, perchè gli è stato offerto un alloggio alternativo nelle strutture della Croce Rossa. La Cedu ci dà ragione. Lo sgombero al Camping River è corretto”, esulta la sindaca Virginia Raggi.
Ma le cose non stanno così: il ricorso alla Corte Europea relativo a Camping River non è affatto chiuso.
Si è solo sospesa la misura “ad interim” relativa allo sgombero visto che lo stesso è stato già effettuato.
Il ricorso è ancora pendente e si apre invece la violazione ad altri articoli ben più gravi.
In serata il colpo di scena: diverse famiglie Rom sono rientrate nel River e hanno trovato ospitalità all’interno della pizzeria.
Il portavoce dell’ANR Zuinisi ha dichiarato che di fatto la chiusura del Camping River è nuovamente fallita.
(da agenzie)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
FINIRANNO PER STRADA PERCHE’ NON E’ STATA CERCATA ALCUNA SOLUZIONE ALTERNATIVA, NONOSTANTE LA LEGGE LO IMPONGA … CAMPING RIVER ERA UNO DEI POCHI CAMPI NOMADI CHE FUNZIONAVA, OGNI MODULO ABITATIVO ERA COSTATO 20.000 EURO AL COMUNE, ORA I ROM SI ACCAMPERANNO SOTTO CASA VOSTRA
Non c’è da stare allegri, anche per quelli che i rom “sono ladri, rubano” e tutto il corollario ben noto.
Non c’è da stare allegri neanche per quelli che denunciavano la precarietà dei campi nomadi di Roma, lager dove confinare centinaia di persone.
Non c’è da stare allegri in questa città che oltre ad essere una fogna a cielo aperto sta diventando la fogna della logica.
Raggi, caricata a molla come un pupazzetto da Salvini sgombera i nomadi: oggi il Camping River, 350 persone compresi il bambini, ieri il piccolo insediamento della ex Fiera di Roma (35 persone compresi un disabile e alcune ragazze incinte). Poi arrriverà il resto, è ovvio.
Dove andrà questa gente? Da nessuna parte.
Le soluzioni alternative non sono state reperite. Non esistono proprio.
Ovvero Raggi-Salvini, questa nuova coppia di intolleranti per recuperare voti degli intolleranti come loro, vorrebbero la deportazione.
Tutti in Romania, all’Est, tutti via. Su 350 residenti del Camping River hanno accettato il trasloco-deportazione in 14, meno del 4%.
Gli altri sono rimasti a Roma e cercheranno, troveranno spazi di fortuna: lungo il Tevere, sulla Salaria, lungo la via del Mare.
Spazi non attrezzati: senza acqua, cessi, fognature, senza nulla. Questa bella pensata, a disprezzo anche del parere della Corte Europea, avviene a luglio, con temperature che oscillano sui 35 gradi.
Vuol dire, in semplicità , mandare al macello questa gente. Farli morire di caldo, di stenti, di sporcizia e umiliazione.
E’ forse il gioco della Rupe Tarpea e chi sopravvive si salva? Può darsi, tutto c’è da aspettarsi da chi ha ricominciato la campagna elettorale per paura di perdere la poltrona del Campidoglio e alza la voce solo con i deboli mentre i forti si spartiscono Roma come nel caso di Mafia Capitale e del sistema Parnasi.
Il Camping River, lo abbiamo già scritto ma lo ricordiamo, era uno dei pochi campi nomadi a funzionare, tra i migliori d’Europa: non dilagava il degrado, i bambini andavano a scuola, e convivevano più etnie pacificamente.
Se non bastasse c’è il costo del luddismo forsennato dei pentastellati guidati da Virginia Raggi: ogni modulo abitativo distrutto è costato la bellezza di 20mila euro. Cinquanta container tutti pagati dal Comune, un autogol nei conti in rosso della Capitale. Complimenti.
Neppure l’idea di inviarli nelle zone terremotate. Ma no. Qui nell’Urbe devastata da scandali, dove nulla funziona, si distrugge tutto a colpi di ruspa. Si sgombera.
Si chiude un giorno prima rispetto la data fissata per evitare che le associazioni, i volontari, i giornalisti, le telecamere documentassero scene di scarsissima civiltà .
D’altra parte viviamo nella città dove una bimba rom viene sparata “per celia”. Da un italiano che si apposta su un balcone e prende la mira con una pistola ad aria compressa (modificata e potenziata) in attesa di quella vera che gli consegnerà Salvini per la legittima difesa.
Non c’è proprio da stare allegri. Questa è una brutta storia ed è una pessima pagina di Roma. Eravamo una città caotica ma che sapeva accogliere.
Oggi abbiamo una giunta che mette in strada rifugiati politici, donne e nomadi. Oggi ci rimane solo il caos e la miseria morale.
(da Globalist)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL PD HA MOSTRATO IL SUO VOLTO DI COMPLICE DEL GOVERNO… SOLO BONINO E LEU CONTRARI
Quel voto ha rafforzato la convinzione, amara, di essere soli contro (pressochè) tutti. Contro il “ministro della deportazione” e dei porti sbarrati, al secolo Matteo Salvini, certo, ma questo ormai era chiaro da tempo.
Ma ciò che nel mondo delle Ong ha creato sconcerto, delusione, rabbia, è il voto, “silenziato” dalla quasi totalità dei media nazionali, con il quale ieri il Senato ha approvato il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 84, relativo alla cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera libica.
Un voto “bulgaro”, si sarebbe detto in altri tempi: 266 favorevoli, 4 contrari (tre senatori di LeU ed Emma Bonino di +Europa) e un astenuto.
Un voto plebiscitario, nonostante le denunce sul comportamento della Guardia costiera libica in mare nelle operazioni di salvataggio dei migranti che si avventurano sulla rotta mediterranea.
Testimonianze dirette, comprensive di filmati, che raccontano comportamenti che si configurano come atti criminali: rapporti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr, il cui direttore è un italiano, Filippo Grandi), dossier di Amnesty International e di Human Rights Watch che inchiodano la Guardia costiera libica e le autorità di Tripoli a pesantissime responsabilità nel trattamento dei migranti sia in mare che nei centri di detenzione. Fermatevi, era l’appello al Parlamento che proveniva dal mondo del volontariato, laico, cattolico, comunque umano.
Fermatevi e prima di sostenere con mezzi e denaro quella Guardia costiera, vincolate almeno questo sostegno ad un codice di comportamento che risponda ai dettami del Diritto del mare e al rispetto dei diritti della persona.
Quel voto ha inferto un colpo pesantissimo a queste aspettative. E allora, davvero soli contro tutti.
Nel denunciare che tutto sono meno che sicuri i porti libici.
Nel riaffermare che prima di ogni altra cosa c’è il diritto-dovere a salvare vite umane in un Mediterraneo sempre più “Mare mortum”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
INFATTI E’ QUELLO SU CUI VIVE SALVINI, INCREMENTARE I CONFLITTI: SE NON PRENDE I VOTI RAZZISTI, CHI LO VOTA?
“Il taglio dei costi peggiorerà la situazione per tutti: migranti e italiani, aumenterà isolamento, tensioni e conflitti”. Mario Morcone, direttore del Cir-Consiglio italiano per i rifugiati – e fino a pochi mesi fa a capo di gabinetto del ministero dell’Interno, pesa le parole.
Lui conosce bene la macchina delle politiche migratorie ed è preoccupato per il nuovo piano di razionalizzazione delle spese di accoglienza contenuto nella direttiva firmata dal neo ministro Salvini.
Come preoccupate sono le associazioni, dall’Arci a Medici senza frontiere, dalla Caritas al Centro Astalli, branca italiana del servizio internazionale dei gesuiti per i rifugiati.
La direttiva di Salvini diramata nei giorni scorsi con l’obiettivo dichiarato di tagliare la spesa e razionalizzare i servizi, individua due livelli ben distinti di prestazioni: a tutti i richiedenti asilo, si legge, verranno forniti d’ora in poi solo i servizi di prima assistenza (vitto, alloggio e assistenza sanitaria).
Mentre gli interventi che mirano a favorire l’inclusione, dall’insegnamento della lingua italiana alla tutela psicologica alla formazione professionale, verranno dati solo a chi avrà ottenuto lo status di rifugiato o comunque una forma di protezione: il che, dati i tempi di attesa per l’esame delle domande, accade in media dopo due anni dall’arrivo in Italia.
Ma chi lavora sul campo non è dello stesso avviso
Morcone: il rischio di una bomba sociale
“Questo – sottolinea Morcone – significa che il migrante rischia di restare per due anni nei centri isolato, senza fare nulla, con un effetto negativo, un senso di frustrazione, rabbia, emarginazione. Mentre dall’altro canto tutto questo farà crescere l’insicurezza negli italiani che li vedono starsene inattivi. Tutto questo alla fine ben lungi dal produrre un risparmio costerà molto di più alla collettività “.
I gesuiti: lavorare per l’integrazione dal primo giorno
A dare ragione a Morcone anche il Centro Astalli: “La nostra esperienza ci dice l’opposto: bisogna lavorare per l’integrazione sin dal primo giorno. Corsi d’italiano, accompagnamento socio-legale, formazione lavoro sono misure indispensabili per garantire un’inclusione sociale che porti i rifugiati a godere di una reale autonomia, e a uscire nel minor tempo possibile dal sistema pubblico di accoglienza”.
Arci: Salvini punta a creare nuovi ghetti
Ancora più dura la posizione dell’Arci che critica la scelta, contenuta nella direttiva, di prediligere – sempre allo scopo di tagliare i costi – un modello basato sui grandi centri piuttosto che sull’accoglienza diffusa: “Salvini sceglie di voltare le spalle agli impegni presi precedentemente dal ministero che rappresenta, mettendo in campo provvedimenti a favore dei centri collettivi. Ghetti che, per le somme ingenti delle gare d’appalto, fanno gola a tanti soggetti che nulla hanno a che vedere con l’accoglienza e la tutela dei richiedenti asilo, nè tantomeno con gli interessi delle comunità locali”
Asgi: per cambiare il sistema serve una legge
Ma le parole definitive arrivano da Gianfranco Schiavone dell’Asgi-Associazione studi giuridici sull’Immigrazione. “Quella di Salvini non è una direttiva, sono opinioni politiche. Anche perchè la legge, la norma 142 del 2015 che accoglie la direttiva europea del 2013 in materia di accoglienza, dice cose ben diverse. E quindi se vogliono portino la norma in Parlamento e la cambino, altrimenti sono solo parole”.
Il punto focale, sottolinea Schiavone, è che la legge prevede un unico sistema di accoglienza, al massimo parla di un secondo livello.
“Secondo la norma attuale, i richiedenti asilo dovrebbero essere trasferiti nel più breve tempo possibile nei centri che fanno capo allo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che si articola in piccole strutture ben integrate sul territorio e prevede una serie di servizi per gli ospiti, dai corsi di lingua alla formazione professionale”.
Sistema cofinanziato dallo Stato e affidato alla gestione dei Comuni che però, al momento, ha solo il 20% dei posti rispetto alle reali necessità .
Così, spiega il giurista, “le persone restano nei Cas (centri di accoglienza straordinaria), che dovrebbero essere luoghi per l’emergenza e basta, per mesi e mesi. Secondo la legge – vista la situazione – è il sistema dei Cas che dovrebbe cambiare, aumentando lo standard dei servizi con corsi e formazione. L’opposto di quello che scrive Salvini, che evidentemente non bada alla legge attuale”.
(da “La Repubblica“)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
CHE STRANA PRASSI SOSPETTA: IL NOME DEL PISTOLERO NON VIENE DIVULGATO… FOSSE STATO UN IMMIGRATO AVREBBERO SBATTUTO LA FOTO IN PRIMA PAGINA
Ha ammesso di aver modificato “la pistola per renderla più potente”, l’ex dipendente del Senato di 59 anni indagato dalla Procura di Roma per il reato di lesioni gravissime in relazione al ferimento della bimba rom di 15 mesi raggiunta alla schiena da un proiettile una settimana fa mentre era in braccio alla mamma in via Palmiro Togliatti.
Sarà un accertamento balistico, disposto dal procuratore aggiunto Nunzia D’Elia e dal pm Roberta Capponi, a stabilire se quanto raccontato dall’indagato ai carabinieri del nucleo investigativo corrisponde al vero.
La pistola, assieme a una carabina ad aria compressa, sarebbe stata comprata circa un anno fa a San Marino. *
Di quest’uomo non sappiamo null’altro, meno che mai l’identità , quasi che a sparare a una bambina rom scattino i meccanismi più seri della privacy e del garantismo.
Di certo si sa invece che è un baby pensionato (ha 59 anni) e che spesso si “annoia”, tanto da provare pistola e carabina dal balcone
(da Globalist)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
INCREDIBILE MA VERO: VOGLIONO CHE SIA IL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA A NOMINARE CINQUE MEMBRI DEL CONSIGLIO DIRETTIVO, COME NELLA PRIMA REPUBBLICA
Alla Lega e al Movimento 5 stelle, sempre in nome del cambiamento, ma verso la ricostruzione della Prima Repubblica, non basta spartirsi tutti i posti che ci sono in Rai, alle Fs e in Cdp.
Non ancora sazi, quelli dell’Italia agli italiani e quelli dell’uno vale uno ora hanno bisogno di altri spazi per soddisfare i propri appetiti, mettendo anche in discussione l’autonomia di altri enti e organizzazioni che, negli anni, hanno costruito una loro, sana e importante, autonomia dalla politica.
È il caso del CAI (Club Alpino Italiano).
Nel decreto di riordino dei ministeri, trasferendo le competenze per questo ente dal Mibact al Ministero dell’Agricoltura, il governo ha pensato bene di inserire una norma che ci riporta nientepopodimeno al 1963 ( la Prima Repubblica è con noi…), quando appunto era il Ministero competente a designare i 5 membri dell’organismo direttivo del Cai.
Oggi al ministero competente spetta solo la nomina di un revisore per assolvere al ruolo di vigilanza sui bilanci.
Che fine ha fatto la battaglia grillina contro la occupazione della società da parte della politica?
Quando si interviene così, cercando di imporre 5 nominati a gestire un ente come il Cai, in cui le cariche direttive sono tutte elettive e scelte dai soci, dove si va a finire?
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL “POSTO SICURO” AMBITO DA GRILLINI E LEGHISTI… NON A CASO AMANO LE POLTRONE
Tutti vogliono un posto pubblico.
Dario Di Vico sul Corriere della Sera racconta oggi i risultati di un sondaggio dell’istituto SWG riguardo i lavori più sognati dagli italiani.
L’istituto ha chiesto a un campione di italiani maggiorenni «partendo da quelle che sono le sue reali competenze quale dei seguenti lavori vorrebbe fare maggiormente?». Era possibile dare tre risposte e il sondaggio ha visto trionfare con il 28% l’impiegato pubblico, seguito con il 12% dall’insegnante.
E’ interessante poi sottolineare la tendenza: rispetto ad un analogo sondaggio dell’ottobre ’16 le preferenze per un lavoro nella P.A. sono salite di 13 punti percentuali.
In calo di 3 punti la prospettiva di fare l’imprenditore e stessa discesa per un lavoro da commerciante/artigiano.
Le professioni liberali ovvero medico, avvocato, commercialista, notaio rimangono in basso nella graduatoria con variazioni poco apprezzabili.
Infine, c’è il collegamento tra tempo indeterminato e appartenenza politica:
Chi «pensa che sia fondamentale riuscire ad ottenere un impiego a tempo indeterminato», da una parte, e chi lo reputa «non prioritario», «poco importante» o «non interessante», dall’altra.
Ebbene il 58,5% degli elettori dei 5 Stelle crede che sia fondamentale, la percentuale scende al 50% per gli elettori leghisti, cala di un altro gradino al 45% per chi vota Pd e crolla al 29% per gli elettori di Forza Italia.
Con questi spunti le riflessioni che si possono fare sono molteplici. La prima, forse scontata, vede una certa sintonia tra l’avanzata grillina e un ritorno verso lo statalismo protettivo.
(da “NextQuotidiano”)
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