Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile LA SCELTA DI CIRO, UN PICCOLO UOMO CHE HA SCELTO LA LEGALITA’
Tre casse di pomodori ai piedi e un ombrellone per ripararsi dal sole. 
È un caldo pomeriggio d’agosto e Ciro è assorto nei suoi pensieri: paziente attende che qualcuno lo raggiunga lì, in quell’angolino di Scampia dove racimola qualche soldo aiutando la zia a vendere pomodori.
Sguardo basso, non si accorge che un passante lo fotografa: è suo cugino Francesco che, incredulo, decide di postare lo scatto su Facebook e raccontare la sua storia. Qualche ora più tardi la foto diventa virale: oltre 10mila condivisioni e altrettanti commenti, senza contare gli utenti che hanno copiato e incollato il racconto nel proprio profilo.
Per tutti Ciro è diventato “l’altro volto di Scampia”, un piccolo uomo che ha scelto di non mollare, anche se abita in un luogo spesso associato solo alla criminalità .
“Non mi aspettavo tutto questo clamore, ma ne sono davvero felice – dice Francesco a Repubblica -. Ho condiviso quella foto per far sapere a chi non è di Scampia che anche qui c’è gente per bene, che riga dritto anche se nella vita va tutto storto”.
E Ciro è l’esempio perfetto, con un passato doloroso e un presente complicato.
“A 12 anni un tumore gli ha portato via il papà nel giro di due mesi – continua il cugino – A casa lui è l’ultimo di sei fratelli e i soldi non sono molti”.
Così da bravo ometto ha deciso di guadagnarsi da solo il gelato, aiutando la zia a vendere gli ortaggi mentre i suoi coetanei vanno in spiaggia.
“E poi mi diverto”, spiega Ciro emozionato, un po’ incredulo per l’attenzione che sta ricevendo.
La storia ha davvero fatto breccia nel cuore di tanti e i racconti di vita lasciati sotto il post di Francesco fanno intendere il perchè: c’è chi rivede in Ciro le difficoltà vissute e anche superate, e chi lo eleva a simbolo del riscatto sociale di un’area che, benchè non sia più tra le principali piazze di spaccio della Camorra, rimane comunque un luogo dove la battaglia tra bene e male è sempre accesa.
Battaglia che, forse, oggi si complica un po’ di più dopo l’annuncio dei tagli alle periferie contenuti nel decreto Milleproroghe: una mossa con cui la provincia di Napoli ha perso 40 milioni, parte dei quali sarebbero serviti a riqualificare anche Scampia.
“COSàŒ RIMANE LONTANO DAI GUAI”
“La vita qui non è semplice — spiega la sorella maggiore di Ciro, Antonia -. Per i ragazzi non c’è molto e finire sulla cattiva strada è facile. Sapere che passa in questo modo i pomeriggi ci fa stare tranquilli. Qui le famiglie che non se la passano bene come noi sono tante, alcune non hanno nemmeno il piatto da mettere in tavola, ma per fortuna non tutti finiscono nella criminalità . È che di noi parlano solo quando accadono fatti brutti di cronaca”.
“La delinquenza c’è, non la possiamo nascondere — ribadisce Francesco – ma dobbiamo smetterla di etichettare le persone. Essere di Scampia, o venire dalle vele, è come un marchio, ma è un automatismo errato. Io abito alla vela celeste, ho frequentato persone di ogni tipo eppure sono sempre rimasto sui binari della legalità . Il punto è che non siamo tutti uguali: se uno vuole lavorare, lavora, poi ci sono persone più deboli che si lasciano andare”.
“PER FORTUNA CI SONO LE ASSOCIAZIONI
“Quella di Ciro è una storia molto bella, ma anche esemplificativa: rivela a tutti che a Scampia c’è ancora molto, molto da fare”, dice Rosario Esposito la Rossa, scrittore e attivista nominato Cavaliere della Repubblica proprio per il suo impegno sul territorio.
“Oggi viviamo in un quartiere totalmente cambiato rispetto al passato – continua lo scrittore – grazie alle forze dell’ordine la criminalità organizzata sta perdendo, ma se non si creano posti di lavoro molte persone diranno che si stava meglio prima. C’è una cosa che ripeto sempre: Scampia ha il più alto numero di giovani disoccupati d’Europa. E i giovani si arrangiano come possono per aiutare le famiglie”.
È la rossa a spiegare che Scampia si regge in gran parte sull’associazionismo, lo stesso da cui è nata la “scugnizzeria”, la prima libreria del quartiere, che è soprattutto un luogo di incontro per i giovani.
“Le associazioni qui sono molto attive, organizzano attività di svago e tanti gruppi per lo sport – spiega la Rossa – tuttavia non portano lavoro: a quello ci deve pensare lo Stato. Se per assurdo le associazione un giorno dovessero decidere di scioperare, Scampia ritornerebbe in un attimo un quartiere dormitario”.
“Sono orgoglioso di lui – conclude il cugino Francesco – alla sua età non lo avrei mai fatto. Ho scoperto che è un esempio anche per me che ho 26 anni e lavoro da dieci. A 18 anni cercherò di farlo assumere nella tavola calda che gestisco, ma fino ad allora non bisognerà staccargli gli occhi di dosso: basta un attimo per fare la conoscenza sbagliata”.
Intanto una cosa è certa: Francesco venderà molti, ma molti pomodori, data tutta la gente che ha promesso di passare a salutarlo. Sempre con il suo sguardo schivo e quel sorriso di adolescente un po’ imbarazzato.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile L’ITALIA CELEBRA L’IMPRESA DEL POETA-SOLDATO, DA 800 METRI SGANCIO’ 400.000 VOLANTINI
Ricorrono oggi cent’anni esatti dal Volo su Vienna di Gabriele D’Annunzio, la più grande prodezza dello scrittore e bon vivant pescarese dopo “la beffa di Buccari” e prima di quella di Fiume.
E l’Italia lo celebra, da Padova a Roma, passando per Casale Monferrato. A Gardone Riviera, in quel “Vittoriale degli Italiani” dove il Vate trascorse l’ultima parte della sua vita, l’alzabandiera alla presenza di militari in alta uniforme e divise storiche, per proseguire poi con il sorvolo di tre aerei d’epoca che lanceranno volantini.
A Pescara invece l’associazione Fly Story ha deciso di rispettare filologicamente l’anniversario: partiranno undici velivoli verso la capitale austriaca, tutti conformi alla tecnologia di un secolo fa.
“Viennesi! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà . Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne” aggiunse l’aviatore-poeta.
Il personaggio era e resta controverso
Un fatto però è certo: al “poeta soldato” non mancava il coraggio e un senso innato dello show. Anzi, possiamo dire che la politica moderna dello spettacolo l’ha inventata lui.
È stato il primo divo della società letteraria e della civiltà nascente dell’immagine.
Il brevetto da aviatore l’aveva preso lui stesso, gli era già costato la perdita di un occhio eppure quel mattino si mise al comando delle operazioni di volo in prima persona, su un periglioso biplano del tempo, accompagnato dal fido copilota Nante Palli.
Al “Folle Volo” aveva cominciato a pensare già prima della disfatta di Caporetto.
E quel progetto diventò realtà a pochi mesi dalla fine delle ostilità .
Alle cinque e mezzo di quel mattino del 9 agosto del 1918, dal campo base di San Pelagio (Padova) decollarono diversi Ansaldo S.V.A. 5 dell’87esima Squadriglia Aeroplani (la “Serenissima”).
Dopo quasi quattro ore, sette aerei raggiunsero l’allora capitale asburgica sganciando da 800 metri di altezza ben 400mila volantini, 20 chili di manifestini, di cui 50mila scritti di pugno dall’ex amante di Eleonora Duse e chissà quante altre.
Gli altri li aveva redatti Ugo Ojetti, un celeberrimo giornalista e aforista dell’epoca.
All’ora di pranzo la squadriglia era tornata in Italia: in tutto sette ore di volo e più di mille chilometri percorsi, di cui ottocento e rotti in territorio nemico a prima guerra mondiale ancora in corso.
“Non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremmo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo” c’era scritto inoltre nei volantini.
Il gesto, puramente dimostrativo, lasciò il segno e c’è chi sostenne che avesse rialzato il morale dei nostri soldati.
In tanti proposero di incoronare D’Annunzio in Campidoglio. Ma lui rifiutò.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile PER GLI IMBECILLI CHE PARLANO DI “OFFESA” NEL PARAGONARE GLI ATTUALI MIGRANTI AGLI ITALIANI DI ALLORA… 50.000 GLI ITALIANI UFFICIALI, 130.000 QUELLI “CLANDESTINI” POI REGOLARIZZATI… CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO IGNOBILI, CARCERE E RAZZISMO DA PARTE DEI BELGI
L’8 agosto di sessantadue anni fa accadeva in Belgio una delle più grandi tragedie della storia
dell’emigrazione e del lavoro italiana: in una miniera a Marcinelle, nei pressi di Charleroi, in Vallonia, in un incidente persero la vita 262 minatori di cui 136 italiani.
In questi tristi tempi dominati da parole d’odio, di razzismo, di disprezzo del lavoro, ricordare quella tragedia che accomunò nel dolore un intero paese, dal Veneto alla Sicilia, è utile e ancor più doveroso, non solo per il rispetto che si deve a quelle persone e alle loro famiglie, ma soprattutto perchè la memoria è lo specchio più solenne nel quale può riflettersi una civiltà per capire se il tempo ha contribuito a migliorarla o a imbruttirla e incattivirla, come pare dimostrino le cronache di questi mesi all’insegna del sovranismo.
Non era assai diversa dall’odierna immigrazione quella degli italiani che immediatamente dopo la fine della Seconda guerra mondiale lasciarono i propri paesini poveri, distrutti dalla guerra e afflitti dalla fame e dalla disoccupazione, per inseguire il sogno di un lavoro sicuro e ben retribuito, come avevano letto in accattivanti manifesti rosa affissi in ogni angolo d’Italia.
Era stato proprio il governo dell’epoca a invitare i nostri connazionali a emigrare. L’Italia aveva molti disoccupati e scarse risorse nel sottosuolo; il Belgio, viceversa, aveva un’industria rimasta intatta dopo il conflitto, grandi riserve di carbone ma penuria di manodopera.
L’esito appariva scontato: uomini da spedire in miniera in cambio di carbone a prezzo di favore.
Così, subito dopo il 1946, cominciarono a partire per il Belgio pastori, braccianti, braccia che neanche sapevano o capivano che lavoro avrebbero dovuto fare. Dovevano affrontare un viaggio lungo, specialmente quelli che venivano dal Sud.
La prima meta di tutti era Milano dove, dopo accurati controlli medici, venivano caricati su treni speciali in vagoni merci. Il viaggio che durava diversi giorni era estenuante.
E non ci furono solo regolari, ma anche molti clandestini che, attraverso vari stratagemmi, venivano poi regolarizzati.
Ne ha ricostruito i particolari di questo aspetto e più in generale della tragedia Toni Ricciardi nel volume Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone, edito da Donzelli.
L’accordo con il Belgio prevedeva l’invio di 2.000 minatori a settimana per raggiungere la cifra di 50.000.
Alla fine del 1955, i minatori italiani in Belgio erano 180.000.
In buona parte, i nostri connazionali vennero alloggiati in baracche di un ex campo di concentramento nazista, fino al 1953 sprovviste di luce, acqua e gas. Ma non era questo l’aspetto peggiore.
Ben più terribile era il lavoro che li attendeva e del quale non erano stati per niente preparati: fino oltre i mille metri di profondità per spalare carbone.
In molti, dopo il primo giorno di lavoro volevano smettere, ma ciò comportava, da contratto, l’arresto e la reclusione e in cella il vitto era così scarso che la fame li costringeva a scendere nuovamente nel sottosuolo.
A ciò si aggiunga il disprezzo e l’ostilità di una parte consistente della popolazione belga che accusava gli italiani di rubare loro il lavoro e li aveva apostrofati in modo denigratorio con il termine “macaronì”.
Sfruttamento oltre i limiti, condizioni di lavoro terribili, alloggi inospitali, clima di ostilità . Non era bello essere un minatore italiano in Belgio negli anni cinquanta.
Alle dure condizioni di lavoro era abbinata la scarsa attenzione per la sicurezza dei lavoratori.
Secondo le cifre ufficiali, dal 1947 al dicembre del 1955, per vari incidenti, c’erano stati 1.164 morti di cui 435 italiani.
A ciò si aggiungano i morti non per incedenti ma per malattie dovute al lavoro come la silicosi. Insomma, l’operaio era davvero l’ultimo anello della catena e la sua vita valeva meno di niente.
La pretesa di estrarre carbone fino all’inverosimile e la scarsa attenzione per la sicurezza furono all’origine della tragedia che si consumò l’8 agosto del 1956, poco dopo le 8 del mattino, nella miniera di Le Bois du Cazier, nei pressi di Marcinelle, dove i primi pozzi di carbone vennero scavati oltre un secolo prima.
Con ogni probabilità , un errore di comunicazione causò un cortocircuito da cui scaturì immediatamente un incendio alimentato dai ventilatori che spinsero il fumo fino ai 975 metri sottoterra dov’erano rimasti 275 minatori.
Immediatamente colleghi e soccorritori si attivarono per cercare di salvare qualcuno, ma la situazione era disperata. I soccorsi durarono diversi giorni, mentre donne, bambini e amici si erano portati in dignitoso silenzio intorno ai cancelli della miniera, certo per sperare di rivedere un proprio caro, ma anche per manifestare la propria rabbia nei confronti di un sistema che li aveva sfruttati e, con l’illusione di una vita migliore, condotti alla morte.
Meritano, a tal proposito, di essere menzionate le toccanti testimonianze raccolte da Paolo Di Stefano nel volume La catastròfa: Marcinelle 8 agosto 1956, pubblicato da Sellerio.
La macchina dei soccorsi si interruppe il 22 agosto quando un soccorritore risalendo spense ogni residua speranza esclamando un agghiacciante “Tutti cadaveri”.
Ci sono tante cose che accomunano la tragedia di Marcinelle al dramma attuale dell’immigrazione, dalle condizioni di lavoro difficili all’odio nutrito verso di loro, dalla scarsa attenzione per la sicurezza al disprezzo della loro stessa vita.
Entrambe, soprattutto, ci dicono che il lavoro e l’immigrazione stanno dalla stessa parte nel conflitto contro lo sfruttamento.
L’esercizo della memoria valga come un doveroso avvicinamento verso la civiltà , dopo la barbarie di queste ultime settimane.
(da Globalist)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile NATO IN ETIOPIA E ADOTTATO IN ITALIA CON SETTE FRATELLI, TUTTI SALVATI DALLA GUERRA
Ha ottenuto il bronzo nei 10mila agli Europei di atletica a Berlino.
Yemaneberhan Crippa, o Yeman Crippa, 22 anni, nato in Etiopia, è stato adottato in Italia da genitori speciali insieme a sette fratelli e cugini rimasti orfani.
A Quotidiano.net, il padre Roberto ha espresso il suo orgoglio per il traguardo raggiunto dal figlio e ha raccontato la scelta sua e della ex moglie di adottare otto bambini, salvandoli dalla guerra.
I piccoli sono stati riuniti tutti tra il 2003 e il 2008: “Come li ho cresciuti? Puntando sulla qualità del cibo e riciclando gli abiti”, ha spiegato Crippa.
I ragazzi, ormai diventati grandi, vivono ognuno per conto proprio: hanno trovato la propria strada o la stanno cercando. In ogni caso hanno abbandonato il nido familiare, di comune accordo con i genitori, e pagano l’affitto o il mutuo.
“Il mio orgoglio per loro è immenso. E il loro orgoglio per quello che stanno realizzando è ancora più grande”, ha raccontato il padre.
È proprio lui a ricapitolare i loro lavori:
“Mekdes, femmina, ha 19 anni, fa la commessa e abita a Trento; Mulu, femmina, 20 anni, è cameriera e anche lei abita in provincia di Trento; Gadissa, 21 anni, maschio, fa il cameriere stagionale in provincia di Trento; Yeman, 21 anni — quasi 22 — è poliziotto nelle Fiamme Oro e con la medaglia al collo adesso se lo coccolano tutti; Asna, 23 anni, femmina, è parrucchiera a Milano; Neka, 24 anni, maschio, fa il cameriere a Trieste ed è l’altro atleta di casa: nel 2013 ha vinto il Mondiale juniores di corsa in montagna, poi si è infortunato e ora sta cercando di risalire con due sessioni di allenamento quotidiane; Elsabet, 27 anni, femmina, è rientrata in Etiopia e lavora nella cooperazioone; Kelemu, 28 anni, maschio, fa l’operaio a Tione, in provincia di Trento”.
Di certo, vivere con otto figli non è una scelta facile. Ma Roberto non si è mai pentito della sua decisione. La quale non sembra essergli pesata più di tanto.
“Un buon stipendio aiuta, ma più importante è guardare alla sostanza. Si investe sulla qualità del cibo, si riciclano i vestiti e per il resto si fa economia. La motivazione è tutto. I ragazzi si responsabilizzano e i genitori ringiovaniscono. Ho 51 anni e me ne sento 31”.
Il padre è soddisfatto anche dell’educazione che gli è stata data: “Sono stati educati al rispetto. E se rispetti gli altri, il rispetto ti torna indietro”.
Per questo, dice, non hanno subito episodi di razzismo. In ogni caso, Roberto non si sente un santo nè un pazzo:
“Sono solo entusiasta. Del resto senza entusiasmo non vai in Etiopia ad adottare tre figli in orfanotrofio e poi torni indietro a prendere i fratellini che erano dagli zii, e poi i cugini”.
(da “La Repubblica“)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile “ALLORA TROVATE ALTRE RISORSE O RIDIMENSIONATE LE PROMESSE ELETTORALI”
L’abolizione del bonus renziano degli 80 euro manda in subbuglio i gialloverdi e fa emergere
ancora una volta il braccio di ferro che da settimane si è innescato tra i leader di M5s e Lega da un lato e il guardiano dei conti Giovanni Tria dall’altro, definito il “cerbero” dal premier Conte, più o meno scherzosamente.
Ma il Tesoro non vuole scatenare una guerra di principio sugli ottanta euro, viene spiegato.
L’abolizione del bonus non lo considera un mantra nè tantomeno il ministro si vuole fossilizzare su questa misura che servirebbe a finanziare in parte le promesse della campagna elettorale dal reddito di cittadinanza alla Flat tax, passando per l’abolizione della legge Fornero fino al blocco dell’aumento dell’Iva che da solo vale 12,5 miliardi.
“Noi facciamo un discorso aperto”, dicono a Via XX settembre: “Gli interventi possibili per liberare risorse possono essere svariati, ma bisogna prendere delle decisioni”.
In sostanza rinunciare qualcosa o scegliere un’altra soluzione. Tra quelle possibili c’era l’abolizione degli 80 euro, come annunciato dal ministro in un’intervista al Sole 24 Ore durante la quale ha messo appunto tra le possibilità anche la cancellazione del bonus. Mentre il viceministro leghista all’Economia Massimo Garavaglia ipotizza “una riduzione strutturale delle tasse” al posto del bonus.
Sta di fatto che Matteo Salvini e Luigi Di Maio, come succede sempre nella sessione di bilancio nei rapporti tra politici e tecnici, hanno alzato un muro. Non vogliono praticare questa strada per ovvi interessi di rapporto con l’opinione pubblica e per non dare l’impressione di voler mettere le mani nelle tasche degli italiani.
Quindi ecco la corsa alla smentita.
A questo punto però per realizzare i cavalli di battaglia di M5s e Lega, cavalli di battaglia costosi, con i politici che vogliono spendere, bisognerà trovare un equilibrio, viene spiegato da fonti che hanno in mano il dossier economico.
Di certo l’Italia non potrà permettersi di sforare i vincoli di bilancio se non di poco. Un margine di flessibilità , concordandolo con l’Europa, ci sarà – viene garantito da fonti economiche del governo – ma non ci saranno grandi spazi e i mercati restano attenti anche perchè sforare il deficit significa aumentare il debito pubblico.
Sarà possibile rivedere il deficit strutturale leggermente al rialzo e già quello tendenziale supera l’1% del Pil per il 2019.
L’equilibrio dentro il governo resta dunque complicato, con i politici che vorrebbero portare avanti le promesse da campagna elettorale e il ministro Tria che mette un freno.
E nel mese di agosto, quando basta poco per provocare violente oscillazioni dei mercati, le parole vanno misurate ancora di più.
Classico esempio il comportamento che ha avuto lo spread ieri. Le parole del titolare del Tesoro prima e quelle di Conte dopo, mercoledì mattina, lo avevano fatto scendere ma poi le dichiarazioni di Di Maio all’agenzia Bloomberg sulla necessità di “una tattica dura” da usare “nella battaglia con l’Europa” lo hanno fatto salire di nuovo a 252. Mercati ed Europa restano dunque i convitati di pietra ai tavoli della manovra.
E tornando agli 80 euro, se non sarà abolito il bonus bisognerà trovare altrove i soldi, e non basterà certo il cosiddetto taglio dei privilegi della “casta”.
Quindi, è il ragionamento che si fa ai piani alti del Tesoro, i leader politici dovranno rinunciare a qualcosa. Ed è per questo che sempre più, nella realtà , si fa strada l’idea di piccoli assaggi dei vari provvedimenti da inserire nella manovra. Più di questo diventa oggettivamente difficile anche per un paziente equilibrista come Tria.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile LO HA AFFERMATO IL MINISTRO TRIA IN UN’INTERVISTA AL SOLE24ORE, SALVINI SI LEGGA ALMENO I GIORNALI
Sulla questione degli ottanta euro il governo, come sempre, sarebbe vittima di fake news altrui. Ma chi ha detto che si taglia il bonus del governo Renzi?
Oggi il Corriere e la Repubblica hanno aperto con la stessa notizia ma nessuno è andato a vedere quale fosse la fonte. Eppure era facile.
A dire che c’è bisogno di un riordino profondo delle tax espeditures (ovvero di detrazioni e deduzioni) e di mettere in discussione il bonus Renzi da 80 euro è stato infatti un certo Giovanni Tria, che da notizie non confermate risulterebbe essere il ministro dell’Economia del governo di cui Salvini e Di Maio fanno parte e che Di Stefano appoggia:
“Le coperture devono arrivare da un riordino profondo delle tax expenditures, che finora non si è fatto perchè è realizzabile solo se accompagnato da una riduzione delle aliquote generali. In un certo senso bisogna applicare una versione adattata dell’«ottimo paretiano», in cui nessuno perde e qualcuno guadagna in un’ottica pluriennale.
In discussione entra anche il bonus Renzi da 80 euro?
Non c’è dubbio, anche per ragioni di riordino tecnico. Per com’è stato costruito, il bonus da 80 euro crea complicazioni infinite, a partire dai molti contribuenti che l’anno dopo scoprono di aver perso o acquisito il diritto per cambi anche modesti di reddito. Ma proprio per la delicatezza del tema, è importante ribadire che tutto il sistema va rivisto con la garanzia che nessuno perda nel passaggio dal vecchio al nuovo. L’obiettivo è di definire la distribuzione dei benefici e di modulare di conseguenza l’intervento sulle tax expenditures.”
Insomma, Tria ha chiaramente spiegato che il governo opererà su detrazioni e deduzioni — come era stato già annunciato — e sul bonus per un’operazione che dovrebbe portare al taglio delle tasse.
Che ci riesca è un altro paio di maniche, come si suol dire, ma è certo che le presunte fake news le ha messe in circolazione il ministro Tria.
O forse a via XX Settembre sono gli unici a dire la verità o a rendersi conto che è inutile coglionare l’opinione pubblica inventando fake news dove non ci sono.
Cos’è il bonus 80 euro
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 aprile 2014, il ‘decreto Irpef’ prevede che i lavoratori dipendenti con un reddito tra gli 8 e i 24.000 euro all’anno hanno in busta paga (da maggio 2014) un bonus di 80 euro al mese, 640 euro annui. Il bonus Irpef nel 2014 è stato di 640 euro per i redditi fino a 24.000 euro per decrescere fino a zero da 24.000 a 26.000 euro. Restano esclusi gli incapienti.
Il bonus è diventato strutturale con la legge di stabilità 2015. L’Inps potrà recuperare i contributi non versati dai sostituti di imposta alle gestioni previdenziali rivalendosi sulle ritenute da versare mensilmente all’Erario nella sua qualita’ di sostituto d’imposta.
Nel 2017 il governo ha deciso di ampliare la platea dei beneficiari del bonus alzando il tetto di reddito da 24.000 a 24.600 euro e da 26.000 a 26.600 euro, garantendo cosi’ il beneficio degli statali che, per effetto degli aumenti del rinnovo contrattuale di 85 euro mensili, supera la soglia prevista di 26mila euro.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile NON SIA MAI CHE SI INCAZZINO I MILIONI DI ITALIANI GRATIFICATI DALL’EX PREMIER… MA ERA STATO PROPRIO TRIA A DIRE DI VOLER RIVEDERE IL BONUS
A paventare l’ipotesi dell’abolizione del bonus istituito dal governo Renzi era stato lo stesso
ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
Ma Matteo Salvini teme ripercussioni sul suon elettorato e smentisce: “Il governo non pensa di togliere gli 80 euro e non vuole aumentare l’Iva. Lavoriamo per attuare il programma. Spiace dover rincorrere alcune indiscrezioni dei giornali, palesemente false e che servono solo per riempire le pagine dei quotidiani in agosto”.
Prima di Salvini anche fonti di Palazzo Chigi avevano smentito “i titoli di alcuni giornali che parlano di ‘abolizione degli 80 euro per finanziare la flat tax’ o ‘via gli 80 euro per gli sgravi fiscali'”
Il governo smentisce qualsiasi intervento ma il ministro dell’Economia ha aperto a un “riordino” per entrambe le misure.
Da lì potrebbero arrivare risorse preziose per finanziare flat tax e reddito di cittadinanza. E anche se i 5 Stelle frenano l’addio al bonus di Renzi anche se era previsto nel loro programma
Parole a parte e numeri alla manola questione è più complessa. Bonus 80 euro e aumento dell’Iva possono assicurare oltre 21 miliardi di euro. Risorse più che mai preziose in vista della prossima legge di Bilancio.
Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, intervistato ieri dal Sole 24 Ore, non ha usato troppi giri di parole. “Non c’è dubbio”, ha detto Tria, che in discussione ci sia anche un “riordino” del bonus 80 euro. Stessa apertura sul fronte dell’Iva. Anche se il governo prevdede di non fare scattare le clausole di salvaguardia, ha spiegato il ministro, “sull’Iva possiamo al massimo effettuare qualche riordino per semplificare alcune aliquote”.
Timide aperture che riflettono un problema sostanziale. Flat tax e reddito di cittadinanza costano diversi miliardi. Fino a 70 miliardi nelle simulazioni del professor Roberto Perotti, che ha preso in considerazione però l’ipotesi di spesa massima mentre il governo si è rassegnato da tempo ad un intervento molto più graduale, proprio per l’impossibilità di reperire adeguate coperture.
Da qui la necessità di rompere il tabù dell’aumento dell’Iva e del bonus 80 euro.
Il primo è il capitolo più delicato. Lo stop integrale all’aumento vale 12,5 miliardi di euro. Significa che se il governo non vuole far aumentare l’Iva come previsto dalle clausole, con l’aliquota principale che salirebbe al 24,2% dal 22% attuale, deve trovare queste risorse.
Il Bonus 80 euro vale invece circa 9 miliardi. Qui non si tratta di risorse da trovare visto che la misura è strutturale, quindi prevista a legislazione vigente, ma di risorse che potrebbero essere dirottate altrove.
D’altra parte, smentite di rito a parte, la cancellazione degli 80 euro era tra i punti del programma elettorale del Movimento 5 Stelle, che nell’ambito del riordino dell’Irpef, con un abbassamento complessivo delle aliquote, prevedeva proprio l’assorbimento del bonus 80 euro.
“La riforma – scriveva il Movimento nel Blog 5 Stelle – costerebbe oltre 13 miliardi (un intervento di rilievo), ma in essa inglobiamo gli 80 euro e ne utilizziamo le coperture”.
(da agenzie)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile NOMINE VIA FACEBOOK, CACCIA ALL’IMMIGRATO, AUTARCHIA, FAME DI POLTRONE: DAI SELFIE DI SALVINI ALLE EX FIDANZATE DI DI MAIO
L ‘estate gialloverde cominciò dieci giorni prima del solstizio e non somigliava a nessuna delle precedenti.
Solo un anno prima, giusto per fare un confronto, sui giornali campeggiava Matteo Renzi che sognava di arrivare «al 40 per cento con Pisapia». Dieci anni prima, estate 2008, il capo dello Stato Giorgio Napolitano iniziava a frenare una riforma berlusconiana delle intercettazioni che non si sarebbe fatta mai. Vent’anni prima, Massimo D’Alema abbassava la saracinesca sulla Bicamerale. Cartoline scolorite
L’estate 2018 ci sarebbe voluto Dino Risi a raccontarla. Ancora meglio: Ettore Scola. Il regista della Giornata particolare, la visita di Hitler a Roma alla vigilia delle Leggi Razziali, giusto ottant’anni fa, l’autore soprattutto, in questo caso, di quella sinfonia del grottesco che è “Brutti, sporchi e cattivi”, film corale urtante, dove tutto è brutale esasperazione, anche i cani non hanno tutte le gambe, si disfa persino il paesaggio.
A proposito di ricorsi: un mucchio di anniversari da passare, nel 2018.
Il Quarantotto, il Sessantotto, il Settantotto, destinati a cadere proprio nell’anno del «cambiamento» (to-to), anniversari di cui quindi i politici appena assurti al potere non sapevano letteralmente che cosa farsene.
L’estate giallo-verde, la prima del governo Lega-stellato, e che però non ha nulla di allegro. Giallo e verde, sì, ma virati in acido. Freddi, fosforescenti: da astratti furori. Un’estate sovranista fatta di occupazione del potere, e tuffo, nel potere.
Tra cadaveri, magliette, uova lanciate, tutine rosse, flipper. Calura di feste e di nomine, categoria nella quale – a sentire i mandarini di Palazzo, che c’erano prima e ci saranno poi – questa infornata governativa eccelle quanto a voracità . Rai, Anas, Ferrovie, Cdp: un vero idillio, una scorpacciata.
Sedute in Parlamento poche, sostanza pochissima: stavolta persino il solito (pleonastico) grido per tenere aperte le Camere ad agosto si è fatto flebile.
«Il vero cambiamento è che di decreti Milleproroghe ne farete il doppio», sibila sarcastica la senatrice Loredana De Petris in Aula, esprimendo il massimo della forza dell’opposizione.
Ci sono fake news che sembrano vere, e frasi vere che sembrano barzellette, come quella («l’unico allarme sono i reati degli immigrati”) così simile al già sentito. Razzista io? Sono loro che sono negri.
L’estate sovranista, si diceva, giunge in anticipo di dieci giorni. Ed è una brutale eclissi. Dopo l’ingresso al Viminale, dopo che “Internazionale” aveva spiegato perchè «il programma sull’immigrazione è impraticabile»; dopo i primi sbarchi e la litania «il Carroccio promette ma non mantiene», ecco la svolta. Chiuderli, i porti.
Prologo di quel che accadrà cinquanta giorni dopo, a fine luglio, con 101 persone riportate in Libia su una nave italiana, nonostante l’assenza di porti sicuri. Il primo bersaglio del ministro dell’Interno, a giugno, è la nave Acquarius, 629 naufraghi a bordo, tra cui sei donne incinte, 11 bambini e 123 minori non accompagnati. Il governo nega l’autorizzazione: finiranno a Valencia, settecento miglia più in là . «Vittoria! Alzare la voce paga», twitta Matteo Salvini.
Quello stesso giorno il premier Conte va tra i terremotati: è la sua prima uscita pubblica, non la ricorda nessuno. Il presidente della Camera Roberto Fico, un curriculum di fiero e tormentato leader dell’ala movimentista M5S, si reca in missione in Calabria, per incontrare i colleghi braccianti di Soumayla Sacko, barbaramente assassinato: sui migranti e gli sbarchi precisa un sacco di cose, si guarda bene dal dissentire davvero.
Si barcamena pure il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli. Bravissimo a gestire ingestibili imbarazzi , nell’estate sovranista tra un complimento a chi lotta contro supposti migranti «facinorosi» e gaffe su immaginari «incrociatori», che dicono soprattutto l’orizzonte guerresco del ministro, si appresta a inaugurare un’altra novità : nomine e licenziamenti via Facebook.
Lo fa con i vertici di Ferrovie, ad esempio:« Ho appena firmato la decadenza dell’intero Cda di FS per chiudere con il passato». Zac. Facile, veloce, indolore, estivo. Tra un selfie e l’altro con moglie e figli piccoli, in mini vacanze relax, tutti completi di localizzazione – alla faccia della privacy, dei piccoli soprattutto.
« Il governo si riunisce anche per discutere della cessione di 10 motovedette della Guardia costiera alla Libia. Un altro contributo importante con lo scopo di salvare i migranti in mare e scoraggiare le partenze dei barconi della morte», è un altro post. «Ma siete seri?», gli chiede una utente: nessuna risposta. Tutti al mare.
Cerimoniale di gomma
Nel mare che comincia a pullulare di materassini di ogni forma, e ormai sempre più svariata: da quelli a forma di blatta, a quelli fenicottero rosa, cigno, mini pony con la criniera arcobaleno. Adesso persino quelli a forma di bara, adattissimi per il Mediterraneo in effetti.
In giro, prossima al porto di Catania con 923 migranti a bordo, c’è a la nave Diciotti, che un mese dopo provocherà uno dei più atipici interventi che la storia repubblicana ricordi. Quando il capo dello Stato, Sergio Mattarella, telefona al premier, che dà poi ordine di far sbarcare le 67 persone ancora a bordo della nave ancorata al porto di Trapani. Risuona come una specie di «risalga a bordo» al contrario, il chiodo di dignità di un’altra tragedia, quella della Concordia.
Quel giorno però non è ancora arrivato: è giugno, Salvini è definito «un eroe» su Libero, il Foglio riconosce asciutto che «ha vinto». Gli sbarchi sono già ridotti dell’83 per cento rispetto al 2017, quindi a farli calare è stata l’azione del governo precedente, Minniti e non Salvini, ma non importa.
La scalata è in pieno svolgimento, il flipper del voto locale segnala che Salvini conquista sempre più anche al sud. Luigi Di Maio incontra come un pazzo rider su rider, fa foto coi precari, si affretta a presentare il decreto dignità , peraltro l’unico vero provvedimento prodotto sinora dal governo, oltre a una valanga di tweet.
Ma gli handicap della scalata son visibili da subito. Al cospetto coi poteri di sempre, anche al ricevimento del Quirinale per la festa della Repubblica, il gap si mostra largo per quel che è. Salvini scherza con chiunque, addirittura rivendica il “me ne frego” rispetto al cerimoniale, quando gli rimproverano non essersi tolto il braccialetto in gomma del Milan nemmeno per il giuramento.
Luigi Di Maio, come del resto quasi tutti i grillini, è impettito e impeccabile e si rivela privo della seconda battuta, quella che fa decollare e, volendo, rende inoffensiva qualsiasi conversazione: «Non ho mai visto un leader politico che non avesse almeno un paio di cose da dire», decreta Ciriaco De Mita subito dopo averlo incrociato per un saluto ghiacciato.
Tutti alle Coppelle, come vent’anni fa
Nell’estate sovranista, molto nel modo di muoversi dei Cinque stelle somiglia alla Lega di vent’anni fa. Un’occupazione cauta, e da stranieri, della Roma dei palazzi. Cauta ma precisa.
Loro, che nel 2013 inorridivano all’onorevole, adesso stampano manifesti con lunghissime sfilze di on. puntati. Si producono in cene nel ristorante “Maccheroni” e serate a piazza delle Coppelle, pieno perimetro tra Camera e Senato: ancor meglio le mense di Palazzo, o gli acquisti via Deliveroo per non farsi vedere in giro (sarà cominciata così, l’attenzione di Di Maio per i rider?).
Appartamenti affittati in pieno centro, per raggiungere a piedi le sedi parlamentari. Casi come la cena con Casaleggio e Lanzalone organizzata al lussuoso ristorante Pipero, primo piano di fronte al Borromini di piazza della Chiesa nuova, sono eccezioni.
La media è più consolidata. Giuseppe Conte, che il suo portavoce Rocco Casalino non perde d’occhio un secondo, riceve il presidente francese Emmanuel Macron alla Casina Valadier, il massimo della tradizione, una roba da anni Sessanta.
E spedisce il suo ospite a cenare da “Pierluigi”, ristorante di pesce a via Monserrato (pieno centro, di nuovo), meta classica da anni Novanta. Ed è al Circolo Canottieri Roma che incontra per caso il suo idolo, Antonello Venditti
Ruocco accalappiata da Casini
C’è in effetti una disinvoltura assai limitata, scarso uso di mondo che però, invece d’esser esibito con orgoglio, si vorrebbe colmare in fretta. È quasi un ripiegamento indietro. Un abbraccio in fondo, tra i vecchi poteri e i nuovi.
Dal lato grillino, soprattutto: perchè M5S nello scegliere i nomi da piazzare qua e là si fa consigliare, più di quanto non facciano i leghisti, già abituati a gestire potere, titolari di più solide liste di aspiranti.
La festa d’estate della Link Campus university, l’ateneo più grillino del momento è, come nota il Foglio è la festa barocca di un potere medio un po’ smarrito, più che la rampante zampata del nuovo: i nomi più forti convenuti alla serata – Tria e Savona – insegnano in altre università , la ministra Elisabetta Trenta che pure invece è di casa si circonda di un mucchio di divise e telefona alla mamma (piace infatti più alla base che ai vertici, dicono), Marianna Madia o Giulio Napolitano c’erano anche prima, Barbara Palombelli va via anzitempo rivendicando con gli organizzatori: «Avevo detto che restavo solo per l’aperitivo».
Così, alla festa per l’Indipendence day all’ambasciata americana di Villa Taverna, il plenipotenziario Giancarlo Giorgetti sembra uno di casa, mentre Carla Ruocco, presidente grillina della commissione Finanze, è accalappiata da Pier Ferdinando Casini, tra i pochi sopravvissuti della seconda Repubblica, mentre la capa della commissione Esteri della Camera Marta Grande si fa immortalare con Paolo Messa. Tutti, sia qui che là , nell’obiettivo Cafonal di Umberto Pizzi.
Le foto dei bambini in tutina rossa ripescati in mare rimbalzano intanto sui social. Salvini pesca a piene mani hamburger e salsa barbecue, Ignazio La Russa che si serve prima di lui al banchetto lo consiglia.
«Non vogliamo un’altra tragedia nel Mediterraneo, non vogliamo avere un altro Alan», aveva detto il sindaco di Valencia, Joan Ribò, a spiegare perchè avesse accolto i profughi: stavolta, invece che il dibattito sul pubblicare o meno la foto di Alan, sul web la polemica infuria sul grado di verità delle immagini delle tutine. Evoluzioni inclassificabili.
Tutti in fuga
Poi comincia la fuga. Dai partiti e dalle città . Da Fratelli d’Italia, solo a Roma, dove se ne vanno in dieci: costruiranno in venti giorni il primo gruppo leghista in Campidoglio e un reticolo di altri sette nei municipi romani.
«Non abbiamo mai fatto una fuitina, noi», le ultime parole famose della leader Giorgia Meloni.
Al mare invece, compare finalmente anche il premier Conte. Nessuna traccia di Capalbi, Maremme, o Sardegne, anche perchè quanto a geografie i gialloverdi sono prevalentemente adriatiche: la vacanza a Milano Marittima dove ha ripiegato Salvini (andava comunque in Romagna da quattro anni) dopo essere stato definito “persona non gradita” dagli spagnoli di Maiorca, e le isole Tremiti, ma anche Ostuni.
Conte, intanto si fa fotografare in compagna della fidanziata Olivia Poladino in una villa di Sabaudia, blasonata spiaggia del litorale laziale dove si incrociano altrimenti Totti e Claudio Amendola: lei quindici anni in meno e lunghissimo stacco di coscia, bionda sempre invisibile, mai prima una foto con il premier e, comunque, talmente diversa che – sussurrano maligni nei Palazzi – non potrà mica esserne davvero la fidanzata.
Nel governo sovranista c’è in effetti una particolare ossessione per la presenza-assenza delle rispettive. Come mai prima, chissà perchè.
Grandi attenzioni a Matteo Salvini, il cui supposto sex appeal i rotocalchi esaltano in ogni modo (consacrazione nazional popolare: servizio di “Di Più”. Titolo: «È lui il sex simbol dell’estate». Sottotitolo: «Abbiamo chiesto perchè piace tanto alle donne». Risposta di Crepet: «Affascina come Mussolini». Consacrazione radical-chic, il Foglio che scrive: «In stile Amarcord le donne non si spostano: come la Gradisca al passaggio di Mussolini»).
Estrema attenzione ad eventuali crisi con la fidanzata Elisa Isoardi, 35 enne, anche lei un utilizzo assai scaltro dei social: Instagram soprattutto, dove ha messo addirittura una preghiera alla Madonna dei nodi (e tutti a chiedersi, sarà in crisi con lui?).
Loro, almeno vanno in vacanza. L’ultima di Luigi Di Maio risale a marzo, quando fece un weekend ad Alcamo con l’accreditata fidanzata Giovanna Melodia. Adesso si vocifera di un ritorno della ex, Silvia Virgulti.
Melodia già da un mese aveva smesso di pubblicare sul suo Facebook qualsiasi riferimento ai Cinque stelle, e invece il video della canzone di Annalisa “Bye bye”. Con la postilla «ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale».
Come in un film, appunto.
(da “L’Espresso”)
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Agosto 9th, 2018 Riccardo Fucile IL VICE-PREMIER HA CONFUSO LA SUA SCORTA CON I MOSCHETTIERI DEL RE … SALVINI, CON 42 COMIZI DELLA LEGA E LE SERATE IN DISCOTECA, FA SALIRE ALLE STELLE IL COSTO DELLA SCORTA
Carlo Bonini su Repubblica racconta oggi che il vicepremier nonchè ministro del Lavoro e
dello Sviluppo Luigi Di Maio ha confuso la sua scorta con i moschettieri del Re.
Di Maio ha ritenuto infatti questione dirimente che degli uomini assegnati dall’Ufficio Centrale Interforze per la sicurezza personale (è la struttura del Dipartimento della Pubblica Sicurezza che coordina le scorte di tutti i soggetti, con incarichi istituzionali o meno, ritenuti a rischio) a protezione della sua incolumità e privacy di ministro della Repubblica e vicepresidente del Consiglio dovessero far parte due carabinieri la cui caratteristica professionale, oltre a quella di essere già stati impiegati in servizi di scorta, è quella di provenire dal collegio elettorale di Pomigliano d’Arco:
Due “compaesani” a chiamata diretta, insomma.
Questione che si è rivelata di soluzione meno agevole del previsto. A Di Maio sarebbe infatti toccata una tutela della Polizia e la regola che prevede che i nuclei di scorta siano formati da appartenenti a uno stesso corpo, avrebbe impedito di aggregare i due carabinieri campani di fiducia. La soluzione è stata trovata con un po’ di furbizia.
Essendo Di Maio formalmente titolare di due dicasteri (lavoro e sviluppo economico) e facendo capo ai due ministri due scorte diverse (polizia di stato e carabinieri), il vicepremier ha provveduto a farsene assegnare una sola.
Con personale dell’Arma, cui appunto aggregare i due angeli custodi da Pomigliano D’Arco. Come da richiesta.
E poi c’è Matteo Salvini, per il quale il problema non è tanto il chi quanto il quanto:
Resta il fatto che dal 2 giugno, suo primo giorno da ministro, si contano almeno 42 apparizioni pubbliche in altrettanti eventi politici della Lega, da nord a sud. Da Modica, a Terni, a Caravaggio.
Che hanno e continuano a impegnare non solo la sua tutela personale ma anche i dispositivi che, regolarmente, ogni questore predispone quando nella sua provincia arriva, quale che sia il motivo, il ministro dell’Interno.
In altri tempi, chi era all’opposizione e oggi al Governo avrebbe fatto le bucce al Viminale per chiedere conto dei “soldi dei contribuenti” spesi per “scarrozzare” un ministro da un’iniziativa non istituzionale a un’altra.
E magari delle ore di straordinario pagate agli agenti di scorta in attesa che il ministro chiuda una serata in discoteca (a Salvini succede).
Del resto, così era accaduto ad Angelino Alfano che da ministro dell’Interno e leader dell’allora Ncd si era abbandonato a un uso assai disinvolto dei mezzi della Polizia per i suoi spostamenti politici e non istituzionali.
Ma, appunto, i tempi cambiano e gli “uomini nuovi” si aggiustano.
(da “NextQuotidiano”)
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