Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
I LEGALI DEL CARROCCIO STANNO DEFINENDO CON LA PROCURA UN ACCORDO CHE PREVEDE IL VERSAMENTO OGNI SEI MESI DI DUE MILIONI DI EURO PER 12 ANNI… FINO A IERI SALVINI PIANGEVA MISERIA E NEGAVA DI AVER UN EURO PER LA SOLUZIONE A RATE
La Lega è a un passo dall’intesa sul pagamento rateizzato di ciò che resta del sequestro da 49 milioni di euro.
La bozza del documento è pronta. Le cifre, i tempi e i dettagli tecnici dell’intesa, sono stati concordati in una serie di incontri, l’ultimo venerdì fra gli avvocati del partito e i pm.
La Procura di Genova ha indicato un margine entro cui muoversi, le modalità di esecuzione del provvedimento e una cifra minima che il Carroccio sarà tenuto a pagare.
Il passaggio fondamentale sarà la ratifica politica dell’accordo, che verrà discusso e votato nel corso di un vertice federale.
Manca solo il suggello politico, insomma. Ma, alla luce delle trattative sotterranee degli ultimi giorni e dell’ampio mandato fornito ai legali Giovanni Ponti e Roberto Zingari, l’esito sembra quasi scontato: domani i legali ritorneranno a Genova, per presentare formalmente l’istanza di esecuzione del sequestro.
E, anche se tecnicamente non si può parlare propriamente di “rateizzazione”, la soluzione trovata non vi si allontana troppo: il partito di Salvini proporrà ai magistrati un piano di rientro graduale del debito, un sequestro legato al processo per i rimborsi-truffa maturati durante la gestione di Umberto Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito; così gli inquirenti consentiranno al partito di mantenere un’operatività finanziaria, senza congelare in definitiva ogni somma depositata sui vari conti che il partito controlla.
I tempi dello scontro e dell’attacco alla Costituzione, insomma, sono stati soppiantati da una fase più pragmatica.
L’ipotesi è di versamenti semestrali di 2 milioni per 12 anni, in pratica 4 milioni l’anno. Evidentemente Salvini che fino a ieri negava di avere un euro, respingendo ogni forma di rateazione, ha trovato i soldi sotto il cavolo.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
I PALETTI DI SALVINI AL REDDITO DI CITTADINANZA E QUELLI DI DI MAIO ALLA FLAT TAX… DISTANZE PROFONDO SUL CONDONO AGLI EVASORI E SULLE PENSIONI DI CITTADINANZA
Se si trasformeranno in veti incrociati o meno dipenderà dal punto limite che si deciderà di non oltrepassare per non rischiare di arrivare a un risultato deludente e cioè l’annacquamento delle rispettive ambizioni.
Evoluzione a parte, però, il dato è un altro: è questo interrogativo, aperto, a essere il convitato di pietra che lunedì siederà al tavolo del supervertice sulla manovra a palazzo Chigi.
Di fatto ci sono tre manovre: una delle spese obbligate – prima fra tutte la sterilizzazione dell’Iva – una con la lista della spesa dei 5 Stelle e una con la lista della spesa della Lega.
Tre manovre e un clima teso, ancor più perchè le risorse sono molto limitate. Equilibrio fra gli azionisti del Governo nella ripartizione delle risorse e partenza delle riforme chiave, sono le precondizioni poste al lavoro di Tria.
La vigilia è caratterizzata da un’invasione di campo reciproca forte, tra Lega e 5 Stelle, sui desiderata che Matteo Salvini e Luigi Di Maio consegneranno al ministro dell’Economia Giovanni Tria.
I punti di frizione, che nascono da dichiarazioni in chiaro e malumori silenziosi, sono di primo livello e vanno dalla flat tax al reddito di cittadinanza, dalla pace fiscale all’adeguamento delle pensioni minime.
Dopo settimane di lavoro portato avanti in modo separato, con la Lega concentrata sul pacchetto fiscale e su quello delle pensioni e il Movimento 5 Stelle focalizzato sul reddito di cittadinanza, il metodo di lavoro registra un cortocircuito, frutto di una consapevolezza che sta prendendo piede tra i due azionisti di governo e cioè che le risorse, alla fine, non saranno troppe e che anche gli 8 miliardi a testa prefissati – ancora senza il via libera di Tria – potrebbero non bastare per finanziare i cavalli di battaglia già ampiamente ridimensionati rispetto a quanto scritto nel Contratto di governo.
È a partire da questo ragionamento che si rafforzano i dubbi reciproci.
Entrare nell’agenda altrui diventa, quindi, una necessità per non restringere al lumicino le promesse fatte ai rispettivi elettorati.
Abbastanza naturale che avvenga alla vigilia di quello che è atteso come il vertice dirimente per la legge di bilancio, quando i conti devono essere fatti in via definitiva ed è il momento, quindi, di giocare tutte le carte.
Scendendo dentro l’invasione di campo si trovano le parole con cui Salvini ricorda a Di Maio che il reddito di cittadinanza va bene ma non per i fannulloni, “non per stare a casa e guardare la televisione”. Il vicepremier pentastellato, dal canto suo, replica con un messaggio chiaro sulla flat tax, cavallo di battaglia della Lega: “La condizione che abbiamo posto alla Lega – incalza – è che non aiuti i ricchi, ma la classe media e le persone più disagiate che pagano le tasse da una vita”. Scaramucce, preludio di una trattativa fra concessioni e rinunce.
Ma gli attriti non si fermano qui. Il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla – l’uomo che per Salvini ha confezionato la quota 100 – stronca la volontà dei 5 Stelle di portare le pensioni minime a 780 euro dal primo gennaio del 2019: “Sono totalmente contrario. Se io fossi un artigiano, un commerciante, un imprenditore, non verserei più, tanto se poi devo prendere 780 euro, così spacchiamo il sistema”.
Solo tre giorni fa, in un’intervista a La Stampa, il viceministro all’Economia in quota 5 Stelle, Laura Castelli, aveva invece posto proprio l’adeguamento degli assegni minimi come il punto di partenza di un disegno che si svilupperà con la riforma dei centri per l’impiego e l’avvio, da maggio, del reddito di cittadinanza.
In questo schema che assume i contorni della battaglia navale, i 5 Stelle hanno pronto un altro attacco, quello contro la pace fiscale leghista.
Il tetto, secondo quanto annunciato ieri dal sottosegretario leghista all’Economia Massimo Bitonci, è stato posto a 1 milione di euro.
Una cifra elevatissima, che apre la strada a un maxi-condono attraverso il quale i contribuenti che non sono in regola con il Fisco potranno sanare la propria posizione pagando percentuali bassissime.
I pentastellati sono sempre stati contrari a misure di questo genere ed è probabile che Di Maio chiederà a Salvini di cambiare radicalmente la rotta. “Per noi una cifra accettabile potrebbe essere 200mila euro”, rivela una fonte pentastellata a Huffpost.
Depurati dai tanti punti di fibrillazione interni agli equilibri di governo, le liste di Lega e 5 Stelle arrivano al tavolo del supervertice con poche certezze anche sul fronte della portata perchè a quel tavolo siederà Tria, pronto a ricordare a tutti che le risorse sono poche.
Qui si innesta un’altra partita, quella che ha al centro un numero portante per la manovra: il rapporto deficit/Pil. Il ministro dell’Economia vuole tenerlo il più possibile vicino all’1,6% dato che deve già convincere Bruxelles a dare il via libera a una flessibilità considerevole, passando dallo 0,9% appunto all’1,6%, che tradotto in risorse significa 12,6 miliardi.
Soldi, tra l’altro, imprescindibili perchè servono a fermare l’aumento dell’Iva. Salvini e Di Maio vogliono alzare la posta per avere risorse da far confluire nelle rispettive liste anche perchè sul fronte delle coperture le certezze sono ancora esigue.
Scavando nelle liste, quella della Lega conterrà la flat tax per 1,5 milioni di partite Iva, la pace fiscale e l’intervento sulla quota 100, oltre alla volontà di rendere stabili le misure relative alle cedolari secche sugli affitti e un intervento per ridurre le accise sulla benzina.
A margine delle Giornate del lavoro della Cgil a Lecce, Brambilla ha spiegato a Huffpost spiegato come Salvini sia intenzionato a spingere per l’opzione massimalista, cioè 62 anni di età e 38 anni di contributi.
I costi, così, potrebbero lievitare, ma lo stesso Brambilla ha aperto alla possibilità che le imprese possano contribuire al pensionamento anticipato attraverso i fondi di solidarietà e i fondi esubero.
Nel disegno leghista c’è la quota 100 ed è previsto un intervento aggiuntivo, a carico delle imprese. “In questo caso – spiega – con cinque anni di anticipo, da 67 a 62, la decisione viene spostata dall’Inps al livello di ogni singolo azienda. Le parti sociali decidono in funzione della gravosità del lavoro, dello stato di salute psicofisico e dei carichi familiari, chi potrà accedere a questo fondo esuberi” e andare in pensione anticipatamente.
La lista dei 5 Stelle, invece, punta a riproporre lo schema illustrato dalla Castelli sul reddito di cittadinanza, ma sul punto delle pensioni minime la contrarietà leghista è già esplosa.
Si va al tavolo, con una manovra che assume tre forme, rispettivamente quella auspicata da Lega, 5 Stelle e Tria, e con il premier Giuseppe Conte nel delicato e complesso compito di trovare una mediazione che alla vigilia si preannuncia ancora lontana.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: governo | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
COLLA SFIDA LANDINI, DUE IDEE DIVERSE DI SINDACATO
Sono le 14. Sotto il sole e fra le bellissime chiese barocche, la festa della Cgil si avvia alla conclusione.
La maggior parte dei dirigenti del primo sindacato italiano sono a pranzo nei ristoranti e bistrot con affaccio sulla centralissima piazza S. Oronzo. Sembra tutto tranquillo, c’è soddisfazione per una kermesse riuscita bene, con una certa partecipazione ai dibattiti e alle lectio magistralis, e si aspetta solamente l’evento che tradizionalmente chiude le Giornate del lavoro e cioè l’intervento del segretario generale, Susanna Camusso. All’improvviso ecco che sugli smartphone dei dirigenti inizia a comparire una selva di messaggini.
“Hai visto il post su Fb di Enzo? Ci è andato giù durissimo”. Enzo sta per Vincenzo Colla, segretario confederale e soprattutto uno dei due dirigenti che si giocherà la poltrona più pesante in casa Cgil, visto che a gennaio ci sarà il cambio di guardia a Corso d’Italia dopo otto anni di regno di Susanna Camusso.
Il post dell’ex segretario dell’Emilia Romagna apre ufficialmente lo scontro con l’altro peso massimo in corsa e cioè Maurizio Landini, ex Fiom e segretario confederale. Piazzando subito un colpo basso, andando a toccare uno dei punti più sensibili nelle stanze cigielline: il rapporto con il governo.
Colla infatti critica la scelta della segreteria in carica di invitare il ministro Paolo Savona in uno dei dibattiti serali. Un messaggio che ha un preciso sottotesto: i dirigenti attuali, che in larga parte sostengono l’avversario Landini, avrebbero deciso di far partire un dialogo col governo gialloverde, con l’ex Fiom a fare da testa di ponte soprattutto con la parte pentastellata.
“Non nascondo che mi ha fatto un certo effetto vedere ieri il Ministro Paolo Savona sul palco delle Giornate del Lavoro che la Cgil sta tenendo a Lecce. Il suo piano B per l’uscita dell’Italia dall’Europa è quanto di più distante dalle nostre posizioni e convinzioni. È soprattutto quanto di più distante da quello che serve al paese. Il dialogo è nella natura del sindacato e secondo me va ricercato sempre e con tutti. Lo stesso vale però anche per l’autonomia dalla politica. L’abbiamo avuta con il precedente governo, dobbiamo continuare ad averla anche con quello in carica”, scrive su Fb.
Insomma, un duro atto d’accusa che cerca di indirizzare la campagna elettorale interna al sindacato su un preciso binario. Per Colla infatti chi vota Landini si schiererà con chi vuole iniziare a interloquire col governo.
Un messaggio “politico” che poi va letto anche al rovescio: chi non vuole sposare questa linea ma anzi ha voglia di opposizione pura, allora può benissimo votare me. C’è da dire però che lo storytelling di Colla non è completo. Perchè anche lui non è certo un dirigente di primo pelo scevro dai rapporti con la politica.
Emiliano e 56enne, può contare su rapporti molto buoni con la parte non renziana del Pd.
La sua uscita in ogni caso ha come primo effetto quello di mandare di traverso il caffè – o meglio il pasticciotto, tipico dolce leccese di pastafrolla ripieno di crema – all’intera segreteria.
Non solo per la tempistica, visto che arriva a poche ore dall’intervento della Camusso, ma per il fatto che in questo modo si corre il rischio di incentrare tutto il dibattito congressuale sui rapporti fra Cgil e partiti.
“Mi sembra una scelta folle – ci confida off the record chi frequenta da anni le stanze di Corso d’Italia -. Siamo sempre attenti a rivendicare in ogni dove l’autonomia dalla politica, l’ultima cosa che ci serve è invece fare un congresso su questo. E poi Colla sbaglia anche nel merito. Sabato sera l’intervento di Savona è stato tutt’altro che estremista”.
Anche la stessa Camusso, durante l’intervento finale, non ha risparmiato una stoccata indiretta: “Spero che la partita sul nuovo segretario non si giochi sui social o cavalcando l’onda delle tifoserie. La Cgil non è un luogo che si scala”.
Sta di fatto che le danze si sono aperte. E il borsino vede in rialzo le quotazioni di Landini, ben visto da una buona fetta della dirigenza attuale. Non è passato inosservato che la Camusso si è fatta vedere spesso fra le strade del centro storico leccese accompagnata dall’ex Fiom, mai invece con Colla.
Ma il segnale politico più forte che fa ben sperare Landini è arrivato sabato pomeriggio quando Serena Sorrentino, la segretaria della Funzione Pubblica che per mesi è stata considerata la candidata naturale all’eredità della Camusso, ha ufficializzato la sua non candidatura.
‘Leggo ancora di possibili scenari che mi vedrebbero coinvolta nel congresso confederale in ruoli diversi da quello di segretaria della Funzione Pubblica Cgil. Dal momento che non mi sono mai candidata e non mi risulta che un’eventuale tale ipotesi sia stata sottoposta a consultazione, non esiste alcun fondamento di ciò che si legge sulle cronache dei giornali se non un uso strumentale di fake news per condizionare e inquinare quello che si vuole far apparire più come uno scontro di potere che la costruzione di un progetto di rigenerazione del sindacato”, si legge in una nota.
Segnale questo che si vuole puntare forte sull’ex leader dei metalmeccanici. “Sorrentino ha valutato che sarebbe stato controproducente dividere i voti fra lei e Landini, si sarebbe solo fatto il gioco di Colla, che è un candidato da non sottovalutare perchè ha il sostegno dei pensionati dello Spi e di altre categorie”, ci racconta una fonte cigiellina passeggiando fra i vicoli bianchi che portano al Duomo.
“Del resto lei è ancora giovane, può ancora aspettare il prossimo giro, non le conviene bruciarsi”.
Dalla capitale del Salento, quindi, parte la corsa a quella che sarà la futura Cgil, ormai costretta a destreggiarsi in un ambiente politico sempre più ostile, visto che il governo populista punta forte sulla disintermediazione e delegittimazione delle parti sociali. Qualche segnale di speranza però arriva proprio da qui, dove i dibattiti e gli interventi hanno visto una buona partecipazione popolare, non ultimo l’intervento finale della Camusso con la piazza gremita.
In ogni caso, quella lasciata dalla Camusso, è senza dubbio un’eredità pesante per i due sfidanti in campo, che interpretano due idee diverse di sindacato: una più sociale e di lotta, sfidante verso la politica (Landini), l’altra più tradizionale e d’apparato, ancorata alle classiche alleanze (Colla).
Saranno decisive le prossime settimane, che vedranno l’apertura dei congressi locali. Da lì si capirà la Cgil come vede se stessa nei prossimi 4 anni.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: sindacati | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
ENTRANO NELLA COMPAGNIA DI BANDIERA POSTE ITALIANE E FERROVIE DELLO STATO, ALTRO SPRECO DI DENARO PUBBLICO… LA VERITA’ E’ CHE ALITALIA NON STA SUL MERCATO PER INEFFICIENZE PROPRIE E CONTINUERA’ A FAR PAGARE LE PERDITE AGLI ITALIANI
L’accordo tra Lega e MoVimento 5 Stelle c’è: Alitalia tornerà in mano pubblica. Una newco di cui faranno parte Poste Italiane e Ferrovie dello Stato acquisirà la compagnia di bandiera funestata da incredibili scelte manageriali che hanno portato per l’ennesima volta il vettore sull’orlo del collasso.
E così, nonostante i numeri che dicono che non è il caso, l ‘avvocato Francesco Fortuna, coordinatore dell’ufficio di segreteria tecnica del capo di gabinetto Vito Cozzoli, lavorerà alla costruzione di una cordata pubblica che sarà una precondizione per arrivare a un accordo con un eventuale socio industriale, secondo uno schema ormai collaudato (nel senso che è fallito una decina di volta) e che anche stavolta con il tempo darà gli stessi risultati.
Con l’enorme differenza che a mettere i soldi oggi saranno aziende di proprietà dello Stato le quali così pagheranno meno dividendi; per l’impresa sono state sondate anche ENI e Cassa Depositi e Prestiti ma il Cane a sei zampe ha detto no perchè i suoi investitori esteri non comprenderebbero una scelta del genere, mentre CDP non può investire in aziende fallite ma può farsi garante di linee di credito.
Lo schema di rilancio, scrive oggi il Corriere della Sera, avrebbe ricevuto un informale via libera a Bruxelles: la Commissione Europea non avrebbe obiezioni perchè Poste e FS sono società per azioni.
Enrico Laghi, il commissario che ha studiato anche il prestito-ponte per ILVA, dovrebbe avere in mano le leve del dossier in Europa per ottenere l’autorizzazione. Invece potrebbe essere Luigi Gubitosi a guidare la newco che avrà in pancia gli aerei di proprietà e i contratti di leasing, oltre al 25%del programma MilleMiglia, di cui socio rilevante è Etihad che potrebbe valutare una compensazione debiti/crediti cedendo la partecipazione del 75%.
Come ha spiegato Andrea Giuricin su neXt qualche tempo fa, il tutto rischia di costituire un ulteriore spreco di denaro pubblico perchè Alitalia non riesce a reggere la concorrenza.
Se infatti facciamo un’analisi veloce del primo semestre del 2018, secondo i cui dati i Ministri Toninelli e Luigi Di Maio pensano che la compagnia sia risanata, forse dobbiamo davvero preoccuparci.
Il margine EBIT (Earnings before Interest and Tax) di Alitalia è negativo per oltre 16 punti percentuali.
Tra i grandi competitor c’è qualcun’altra compagnia ad avere un EBIT negativo? Assolutamente no. L’unica compagnia che non se la passa troppo bene, ma che comunque vede un EBIT superiore di quasi 20 punti percentuali superiori ad Alitalia è AirFrance — KLM, dove la forza dei sindacati e l’interessamento pubblico (lo Stato ha una quota di minoranza nel vettore) fanno volare molto basso la compagnia.
I casi migliori sono indubbiamente Ryanair e il gruppo IAG (che comprende British Airways, Iberia, Vueling e Aer Lingus) con un margine EBIT superiore al 10 per cento.
Da notare che proprio Aer Lingus (vettore irlandese), che vede la concorrenza in casa di Ryanair, è stata in grado di focalizzarsi sul mercato nord-americano, trovarsi la sua nicchia di mercato e di essere ormai il gioiellino del gruppo IAG.
La stessa Iberia vede forte concorrenza dei vettori low cost in casa, ma nonostante questo ha dei margini 25 punti superiori ad Alitalia.
È colpa delle low cost se Alitalia va così male?
La scusa delle low cost non regge perchè altrimenti IAG dovrebbe essere il gruppo con i margini inferiori (maggiore è la concorrenza delle low cost) e AirFrance e Alitalia quelle con i margini superiori.
Alitalia è una compagnia che non sta sul mercato per inefficienze proprie, anni e anni di pubblico intervento diretto e indiretto.
E il piano del governo appesantirà i conti di Cassa Depositi e Prestiti, di FS e in definitiva, del contribuente italiano.
“Paga Pantalone” e le nostre tasche sono sempre più vuote per salvare per l’ennesima volta Alitalia.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Alitalia | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
MARS DI BARTOLOMEO E’ IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO DEL GRANDUCATO: “SALVINI DICE CHE SIAMO UN PARADISO FISCALE? GLI DIMOSTREREMO CHE SEGUIAMO LE REGOLE DELLA TRASPARENZA, A COMINCIARE DALL’INCHIESTA SUI FONDI CHE LA LEGA AVREBBE NASCOSTO IN LUSSEMBURGO”
Il presidente del Parlamento del Lussemburgo si chiama Mars Di Bartolomeo e ha sangue al 100 per cento abruzzese.
Fa parte del Partito Socialista Operaio, come il ministro degli Esteri Joan Asselborn, che ha ricordato a Salvini venerdì: “In Lussemburgo, caro signore, migliaia di italiani sono venuti a lavorare come migranti affinchè in Italia poteste avere i soldi per i vostri figli”. Per poi concludere “merde, alors”.
Il Fatto ha chiesto a Di Bartolomeo un parere sulla lite e lui ha colto l’occasione per bacchettare Salvini (“la sua politica semplifica, divide e semina odio”) ma anche per dirgli: “Se davvero la Lega ha nascosto la sua cassa nel mio Paese, presto scoprirà che non siamo un paradiso fiscale ma seguiamo le regole della trasparenza”.
Presidente Di Bartolomeo, cosa ha pensato quando ha visto il video di Salvini con il suo compagno di partito?
Ho pensato che per colpa di movimenti nazionalisti, come quello di Salvini, tutto quel che abbiamo fatto per unire i nostri popoli è ora in pericolo. Questo modo di dividere e semplificare mi ricorda quel che abbiamo vissuto prima della Seconda guerra mondiale. E mi fa paura.
Anche Asselborn è andato sopra le righe …
Lui aveva citato il premier francese Macron dicendo solo che i migranti possono essere un’opportunità in un continente che invecchia. Salvini gli ha replicato dicendo che forse voleva soppiantare i nostri figli con ‘schiavi’. Questa immagine non è innocente. I migranti sono spesso scuri e lui, usando la parola schiavi, ha voluto richiamare concetti noti. Questo modo di dividere tra nero e bianco è usato dai Trump, gli Orbà¡n… Semplifica, divide e peggiora il mondo. La mia politica e la mia storia è diversa. Io sono nato lussemburghese, ma i miei nonni sono partiti dall’Italia perchè erano trattati, loro sì, come schiavi.
Schiavi in Italia?
Mio nonno materno era di una località vicino a Teramo, Ponte Vomano. Lui mi ha raccontato che c’erano i latifondisti che li trattavano come schiavi. Mio nonno paterno era di San Demetrio Ne’ Vestini, in provincia de L’Aquila. Non fuggivano dalla guerra, ma da quella situazione di estrema povertà . Nessuna ditta li aveva chiamati in Lussemburgo. Sono venuti da soli, senza le famiglie: giovani maschi come i migranti di oggi. Erano schiavi in Italia e sono diventati più liberi grazie al Lussemburgo. Non c’è più memoria. Allora l’Europa era Mussolini e Hitler. Ora ci sembra scontato che esista la pace, ma non è così.
Era più facile integrare i suoi nonni nel Lussemburgo di allora, che i migranti africani di oggi in Italia.
Oggi i lussemburghesi mangiano italiano, vestono italiano, fanno le vacanze in Italia ma è un amore recente. Allora l’Italia era un Paese sconosciuto, abitato da gente diversa per lingua e cultura. Quando ero piccolo, negli anni 60, ci chiamavano con disprezzo ‘spaghetto’, ‘orso’, o ‘boccia’, per irridere le origini italiane. Poi sono diventato sindaco della mia città , Dudelange, poi ministro e ora sono il presidente del Parlamento lussemburghese.
Lei è il corrispondente di Roberto Fico, che ne pensa?
Fico mi piace per quello che ha detto sui migranti. Ho cercato di contattarlo tramite la sua segreteria, senza successo, per invitarlo in Lussemburgo. Mi piacerebbe mostrargli il CDMH, Centro di documentazione sull’immigrazione, da me voluto nella stazione di Usines a Dudelange, nel quartiere ‘Piccola Italia’, un luogo importante perchè dimostra che l’immigrazione all’inizio è un problema ma può diventare una grande opportunità .
I leghisti le direbbero che non c’erano problemi così forti per le differenze di cultura e religione in quella immigrazione italiana.
Non è vero. Dopo le guerre nella ex Jugoslavia, venti anni fa, c’è stata una forte immigrazione anche islamica. E gli italiani all’inizio non erano ben visti. I miei nonni non erano avvocati ma lavoravano in una miniera e in una fabbrica di ferro. I loro colleghi erano quasi tutti italiani. Mezzo milione di italiani sono venuti in Lussemburgo. Molti sono andati via, ma per capire quanti siano rimasti basta consultare l’elenco telefonico. Io mi chiamo Di Bartolomeo e sono il presidente del Parlamento.
Il suo ‘compagno’ Asselborn pensava a lei quando rispondeva a Salvini?
Lui viene da un ambiente operaio, conosce bene la storia degli italiani emigrati in Lussemburgo. Quando ha sentito chiamare, da un ministro italiano, i migranti ‘schiavi’, ha reagito.
Sì, ma quel ‘Merde alors’ se lo poteva risparmiare.
Non equivale a un insulto come ‘stronzo’ (scusi il termine) è un modo forte e un po’ volgare di dire: ‘Ora basta!’.
Però l’Europa del suo concittadino, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, sembra costruita per le banche più che per i popoli.
L’Italia ha ragione quando dice che è stata lasciata sola di fronte all’immigrazione. Juncker ha provato a cambiare le cose ma troppo tardi.
Salvini ha detto che il Lussemburgo è un paradiso fiscale e non può darci lezioni.
Presto si accorgerà che non è così. Se veramente la Lega ha lasciato il suo tesoro in Lussemburgo, non è al sicuro. Perchè il Lussemburgo è cambiato molto negli ultimi 15 anni e noi seguiamo le regole della trasparenza.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
UN POLITICO COERENTE CHE HA AVUTO IL CORAGGIO DI INVOCARE L’ESPULSIONE DELL’UNGHERIA DALLA UE E DI MANDARE A QUEL PAESE SALVINI
Nessuno in Europa è in carica da più tempo come ministro degli Esteri. Jean Asselborn, protagonista della lite con Matteo Salvini sui migranti, è il titolare degli Esteri del Lussemburgo dal 2004.
E, nel 2016, prima dell’eurodeputata Judith Sargentini, fu lui ad invocare la sospensione o, addirittura, l’espulsione dell’Ungheria dall’Unione europea a causa del suo trattamento verso i richiedenti asilo.
Membro del Partito socialista dei lavoratori, 69 anni, Asselborn fu uno dei primi politici europei a esprimersi sul venire meno dello Stato di diritto nell’Ungheria di Viktor Orban, in un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt nel 2016.
Forte della sua lunga storia politica, prima come amministratore locale e poi come vicepremier e ministro, nel pieno dell’emergenza migranti, il ministro aveva condannato la decisione di Budapest di aprire il fuoco contro i rifugiati che cercavano di entrare nel Paese e si era scagliato contro le violazioni del governo ungherese dei valori fondamentali dell’Ue come l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa.
Oggi, si è nuovamente lanciato in difesa delle politiche di accoglienza dei migranti non riuscendo a trattenere una frase poco ortodossa (Merde alors) dopo alcune dichiarazioni del ministro dell’Interno italiano secondo cui l’Italia non ha “l’esigenza di avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non facciamo più”.
Asselborn non è comunque nuovo a decisioni forti: nel marzo scorso aveva deciso di richiamare l’ambasciatore lussemburghese in Russia, esprimendo pieno sostegno al Regno Unito dopo l’attacco a Salisbury in cui l’ex spia russa Sergey Skripal, e la figlia, sono stati avvelenati.
Dopo aver conseguito un master in diritto giudiziario privato presso l’Università Nancy II, Asselborn ha iniziato la carriera in un ufficio della Uniroyal nel 1967: qui fu molto attivo nel movimento sindacale fino a venire eletto rappresentante della gioventù della Federazione dei lavoratori lussemburghesi, il precursore dell’attuale sindacato Ogbl.
Nel 1976 divenne amministratore dell’ospedale intercomunale di Steinfort, città di cui nel 1982 fu eletto sindaco.
Restò in carica fino al 2004 quando nel nuovo governo venne nominato vicepremier e ministro degli Affari esteri.
Nell’ottobre 2012, anche grazie al suo impulso, il Lussemburgo fu eletto per la prima volta membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il 2013 e 2014. Dopo le elezioni del 2013 Asselborn abbandonò la carica di vicepremier mantenendo quella, attuale, di ministro degli Esteri e dell’Immigrazione nel governo di coalizione tra Partito operaio socialista, Partito Democratico e Verdi.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Europa | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
ANAS SI CANDIDA PER IL DOPO-AUTOSTRADE MA L’AD AMMETTE PROBLEMI CON TONINELLI
Le indiscrezioni sulle tensioni interne al Governo per il decreto Genova che la decisione di Giuseppe Conte di fare da solo e non condividere i contenuti del testo sono state smentite da più parti.
L’irritazione dei vice premier, che non hanno visionato il decreto prima del Cdm e non hanno partecipato alla conferenza stampa che si è tenuta al termine della riunione, è stata smentita da fonti leghiste e pentastellate, mentre il Ministero delle Infrastrutture ha parlato di “massima condivisione”.
Eppure sui contenuti principali del decreto Genova, la nomina del commissario e il ruolo di Autostrade nella ricostruzione, permangono evidenti e pubbliche le divisioni interne all’esecutivo.
Mentre i 5 Stelle, Luigi di Maio e Danilo Toninelli in testa, insistono per l’esclusione di Autostrade dalla ricostruzione, mentre gli enti locali, il sindaco Marco Bucci e il governatore Giovanni Toti, chiedono un ruolo centrale nel processo decisionale, sul fronte leghista Matteo Salvini ed Edoardo Rixi, vice di Toninelli ai Trasporti, insistono perchè il nome del Commissario straordinario per la ricostruzione del ponte Morandi sia scelto insieme agli enti locali e sia poi lui a decidere se la ricostruzione sarà affidata alla sola Fincantieri o anche ad Autostrade.
Sul Messaggero Edoardo Rixi ammette “sensibilità diverse” fra Lega e M5S sul tema, ma chiede di “pensare al risultato”, ovvero “demolire subito” il Ponte e rifarlo “in tempi brevi”, altrimenti “non si salva nè la Regione, nè il Comune, nè il Governo. Si vince e si perde tutti insieme. Il ponte vale 250 milioni di euro, se non facciamo bene sarà l’Italia a fare brutta figura”.
Il leghista critica Danilo Toninelli dopo le polemiche per le foto sorridente con il plastico del Ponte a Porta a Porta o per le ironie su Instagram, ma lo fa con una battuta. “A tutti suggerisco di stare lontano dai plastici”.
Su Repubblica, intanto, arriva la disponibilità di Anas di subentrare ad Autostrade, ma il numero uno Gianni Vittorio Armani non nega i problemi con il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli.
“Ho messo a disposizione di Toninelli il mio mandato. È impossibile lavorare in un’azienda pubblica senza la fiducia dell’esecutivo. Al momento non ho avuto riscontri, dunque vado avanti, siamo prontissimi a gestire altre tratte autostradali visto che già abbiamo una rete dieci volte quella di qualunque gestore”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Genova | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
ORA VINCEREBBERO GLI EUROPEISTI: “I CITTADINI NON HANNO VOTATO PER DIVENTARE PIU’ POVERI”
Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, lancia un drammatico appello per un secondo referendum sulla Brexit, sottolineando che la premier Theresa May non ha «il mandato per giocare d’azzardo così palesemente con l’economia britannica e la vita della gente».
Ormai c’è così poco tempo per negoziare con Bruxelles che ci sono solo due risultati possibili, scrive Khan in un articolo pubblicato sul domenicale Observer: un cattivo accordo per il Regno Unito o nessun accordo. Ed entrambi, avverte, sono «incredibilmente rischiosi».
I cittadini, commenta, «non hanno votato per uscire dall’Ue e diventare più poveri, vedere le loro aziende soffrire, avere i reparti dell’Nhs (il servizio sanitario nazionale, ndr) a corto di personale…».
Per questo, conclude, qualsiasi accordo con Bruxelles dovrà essere sottoposto a un «voto pubblico», così come i cittadini hanno il diritto di scegliere, in caso di mancato accordo, tra un piano che non c’è e «l’opzione di restare nell’Ue».
(da agenzie)
argomento: Europa | Commenta »
Settembre 16th, 2018 Riccardo Fucile
IL LUSSEMBURGHESE ASSELBORN DENUNCIA LA PRASSI DELLO STAFF DEL LEGHISTA DI FILMARE DI NASCOSTO LE RIUNIONI PER POI DIFFONDERLE PRO DOMO SUA… “DANNEGGIA LE RELAZIONI INTERNAZIONALI”
Il problema sarà portato al tavolo del presidente della Commissione europea, quel Jean Claude Juncker che, vedi caso, è lussemburghese e di quel Paese è stato primo ministro.
Come contrastare il diffondersi di un virus mediatico che potrebbe rendere irrespirabile il già arroventato clima che domina, specie negli ultimi tempi, i vertici europei: il virus dei “video-killer”, quelli filmati “a tradimento” nel corso di riunioni ministeriali.
A sollevare pubblicamente il tema è stato Jean Asselborn, di recente agli onori delle cronache europee per l’acceso diverbio con Matteo Salvini a Vienna.
Il ministro degli Esteri lussemburghese ha lamentato di non essere stato messo al corrento che il dibattito fosse trasmesso in diretta.
Se si trasmettono questo tipo di riunioni “non ci potrà mai più essere un dibattito franco” sostiene l’esponente socialista, protagonista di quel “merde alors” che ha fatto il giro d’Europa.
Per Asselborn è stata una “provocazione calcolata”, nel senso che l’attacco è stato cercato dal titolare del Viminale per ottenere visibilità mediatica: i suoi assistenti, ha raccontato, “si piazzano nelle sale in posizioni strategiche e riprendono sistematicamente tutto quello che dice Salvini”.
Fonti di Bruxelles confermano ad HuffPost l’esistenza del problema, ma che fino ad oggi vigeva una prassi condivisa per la quale gli assistenti dei ministri non danno conto, in tempo reale, delle riunioni in corso, tanto meno attraverso video “pirati”, utilizzati contro partecipanti alla riunione.
“Siamo ormai abituati a tweet che danno conto in tempo reale delle posizioni di un ministro o capo di governo — dice a HuffPost la fonte diplomatica di Bruxelles — ma i video sono altra cosa, soprattutto perchè coinvolgono altre persone a loro insaputa”.
C’è chi parla di “voyerismo politico” e invoca un codice di comportamento con sanzioni nel caso in cui venisse disatteso.
“Nei vertici si discute spesso animatamente — rimarca ancora la fonte — qualcosa esce fuori nelle conferenze stampa o in ‘bisbigli’ regalati ai giornalisti, ma ora il rischio è che scatti una sorta di autocensura, e questo non aiuta il confronto”.
Un problema “protocollare” che acquista una valenza politica dopo lo scontro Asselborn-Salvini.
Un tema delicato che HuffPost affronta con una personalità che di diplomazia ha esperienza da vendere: Giancarlo Aragona. Consigliere diplomatico del Ministro della Difesa (1992-1994, capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri(1994-1996), Segretario generale OSCE (1996-1999); Ambasciatore a Mosca (1999-2001); Direttore Generale per gli affari politici multilaterali e i diritti umani (2001- 2004); Ambasciatore a Londra (2004-2008).
Insomma, quella che si dice una voce autorevole: “La riservatezza non è mai stata assoluta — dice l’ambasciatore Aragona – In passato, succedeva che un portavoce uscisse dalla sala della riunione, per ‘consegnare’ a qualche giornalista amico una indiscrezione, una frase del suo ministro, chiedendo di non essere citato. Adesso, però, che si mostri in diretta il dibattito è una cosa senza precedenti”.
Le riunioni, spiega l’ambasciatore Aragona, “hanno vari gradi di riservatezza. Ci sono quelle a cui partecipano solo i ministri ed eventualmente un loro assistente, proprio per rimarcarne la confidenzialità e dare la possibilità di esprimersi con meno vincoli. Poi vi sono altri livelli più partecipati, ma resta il fatto che si tratta comunque di riunioni che non sono pubbliche”.
Non è solo una questione di bon ton diplomatico, ma di qualità della discussione. “Fare di queste riunioni internazionali una sorta di palcoscenico mediatico — rimarca Aragona — è micidiale per le relazioni internazionali. Il rischio è che la forbice tra i pronuncianti politici buoni ad uso interno e la realtà legata al negoziato concreto e ai risultati effettivamente raggiunti, si allarghi sempre più”.
Dure sono le considerazioni di Giuseppe Cassini, già ambasciatore a Beirut. “Ciò che è avvenuto a Vienna — dice ad HuffPost — è completamente fuori dalla norma diplomatica, fuori dalle regole di lealtà reciproca su cose che non possono essere messe su un video. Questa è una modalità di comunicazione praticata in particolare dai Cinque Stelle, ma in diplomazia, o per quanto riguarda riunioni internazionali, è qualcosa di inconcepibile, mai visto prima. Nella mia lunga esperienza in diplomazia, non mi ricordo un precedente del genere”.
Una domanda è d’obbligo: ma ai tempi dei social e ora dei “video-pirati”, cosa rischiano di diventare i summit internazionali?
“È un’ottima domanda — risponde Cassini -. Bisogna prendere atto che essendo cambiata completamente la tecnologia delle comunicazioni, per ciò che concerne il caso in questione, quello della comunicazione diplomatica, bisognerebbe rivedere completamente le modalità di dialogo tra esponenti politici di Paesi diversi”.
Il rischio è che di fronte al timore di vedersi immortalato, inconsapevolmente, in un video, ministro o diplomatico finisca per autocensurarsi.
Quanto al diplomatico, l’ambasciatore Cassini pone l’accento su una diversità che è sostanziale e non semantica: “Più di autocensura — afferma – io parlerei della necessaria riservatezza. Vale qui un famoso detto sul diplomatico: ‘se un diplomatico dice un sì, vuol dire forse, se dice forse, vuol dire no, e se dice no, vuol dire che non è un diplomatico’”.
Tra i suoi tanti e prestigiosi incarichi in diplomazia, Antonio Armellini può vantare quelli di ambasciatore a Vienna, Mosca, Helsinki, Algeri, New Dehli, oltre all’Ocse a Parigi:”Stiamo assistendo da tempo ormai alla disintermediazione nella politica, e ora stiamo assistendo anche alla sua estensione al mondo della diplomazia e delle relazioni internazionali — dice l’ambasciatore Armellini ad HuffPost – Nell’era del digitale, il consenso si fa in pubblico con un clic. E questo, a mio avviso, non aiuta nè la politica nè la diplomazia”.
Quanto al video contestato, l’ambasciatore Armellini afferma che “non doveva essere girato e mostrato. Tanto più che trattandosi di un consiglio informale, è più naturale che ci si lasci andare ad affermazioni più libere e forti”.
Ma i tempi sono cambiati, e non è detto sempre in meglio.
“Quando ero un giovane diplomatico alla Nato — dice Armellini — ricordo che prima di entrare nella sala della riunione dovevamo lasciare fuori cartelline e documenti…”. Ma il problema di una autoregolamentazione “mediatica” è all’ordine del giorno. E c’è chi lo impone con un consiglio-ordine: “Donald Trump — annota l’ambasciatore Armellini — è arrivato a chiedere ai suoi consiglieri di chiudere in cassaforte i loro cellulari una volta entrati alla Casa Bianca”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »