Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
NON CI SONO NEANCHE I 180 MILIONI CHIESTI DALLA RAGGI PER LE BUCHE DI ROMA
Il tanto agognato taglio alle pensioni d’oro – cavallo di battaglia dei 5 Stelle – nella manovra non c’è.
Fonti di governo spiegano a Huffpost che sarà probabilmente un emendamento durante l’iter parlamentare a risolvere la questione. Ragionamento politico a parte, il dato di oggi è che il taglio è saltato.
Tra i motivi del rinvio, secondo quanto riferiscono le stesse fonti, ci sono ancora i rischi di incostituzionalità delle norme.
Ma il taglio alle pensioni d’oro non è il solo grande assente tra le ultime novità del testo definitivo, quello inviato al Quirinale con tanto di bollinatura della Ragioneria generale dello Stato. Saltano anche i soldi per coprire le buche di Roma e risorse imponenti sono sottratte all’apprendistato.
Pensioni d’oro, il taglio non c’è.
Non compare alcun accenno alla decurtazione degli assegni pensionistici “d’oro”. Le ultime indiscrezioni parlavano di un taglio a tre livelli: 6% tra 90 e 120mila euro, 12% tra 120 e 160mila euro, 18% oltre i 160mila euro.
La flat tax si assottiglia ancora: per il 2019 solo 330 milioni.
In principio erano 2 miliardi, ora la tassa piatta al 15% per i lavoratori autonomi (con giro d’affari fino 65mila euro) si riduce a briciole.
Nel 2019, infatti, si prevede una spesa di appena 330 milioni. Poi salirà a 1,9 miliardi nel 2020, ma a regime – cioè in misura stabile – riscenderà a 1,4 miliardi. Solo nel 2020 arriverà l’aliquota al 20% per chi incassa tra i 65mila e i 100mila euro.
I risparmi da quota 100 e reddito di cittadinanza anche per contenere il deficit.
La versione definitiva conferma la creazione di due Fondi per dare vita alle misure più care a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Confermato l’impianto delle ultime bozze con la compensazione tra i due Fondi che permetterà di destinare risorse risparmiate in un ambito nell’altro.
Gli eventuali risparmi, però, potranno anche essere utilizzati per altri scopi: un riferimento alla possibilità di rendere meno pesante il deficit, collocato al 2,4% nel 2019.
Vitalizi, la scure sulle Regioni si fa più pesante.
Passa dal 30% all’80% la percentuale del taglio dei trasferimenti alle Regioni e alle province autonome che lo Stato metterà in campo se gli enti locali non procederanno ad adeguare le normative regionali in materia di vitalizi alle previsioni stabilite a livello nazionale.
Si procederà al taglio dei trasferimenti se i vitalizi non saranno ridotti entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio o “sei mesi qualora occorra procedere a modifiche statutarie”. I vitalizi da tagliare sono quelli di presidenti, assessori e consiglieri regionali.
Niente risorse per riparare le buche di Roma.
Lo stanziamento, pari a 180 milioni in tre anni (dal 2019 al 2021) era stato richiesto al Tesoro dal ministro dell’Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, su sollecitazione dell’amministrazione capitolina guidata da Virginia Raggi.
Nella versione definitiva della manovra scompaiono le risorse. Nello specifico, i tecnici del ministero avevano chiesto “l’erogazione diretta a Roma Capitale di 60 milioni per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021” in considerazione “della particolare autonomia e del ruolo di Roma Capitale” a fronte di “una situazione manutentiva della viabilità della città che soffre di decenni di mancati interventi” e di una “situazione così grave da mettere a serio rischio la sicurezza della mobilità “. Nulla da fare.
Apprendistato depotenziato, tagli ai fondi per i contratti.
La legge di bilancio dello scorso anno aveva previsto fondi per gli incentivi al contratto di apprendistato pari a 5 milioni per il 2018, 15,8 milioni per il 2019 e 22 milioni per l’anno successivo. La manovra, ora, conferma lo stanziamento per l’anno scorso, ma riduce drasticamente a 5 milioni il contributo a partire dal 2019.
Stop al tavolo sul caporalato e alla tassa per la pesca sportiva.
Il tavolo per il contrasto del caporalato, che compariva nelle bozze precedenti, scompare dalla versione definitiva. Cancellata anche la tassa (da 10 a 100 euro) prevista inizialmente per la pesca sportiva.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
DA VALUTARE ANCHE I PROFILI DI COSTITUZIONALITA’ DELL’ALIQUOTA DEL 20% SUL CONDONO
“Vanno valutati i profili di costituzionalità ” per l’aliquota del 20% che sarà applicata a chi aderisce al condono. Lo ha affermato il presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema, a margine dell’audizione in commissione Finanze sul dl Fiscale al Senato.
“C’è questo aspetto – ha spiegato Buscema – di una imposta che è ontologicamente inferiore a quella che il contribuente avrebbe pagato alle scadenze ordinarie”.
Durante l’audizione il presidente ha rilevato che l’aliquota “si colloca al di sotto di quella applicata sui redditi originariamente dichiarati sia ai fini dell’Irpef che dell’Ires, così potendosi verificare l’ipotesi di versamento tardivo del tributo senza aggravio alcuno, con l’applicazione di un’imposta sostitutiva inferiore a quella che avrebbero dovuto corrispondere alle scadenze ordinarie, istituendo.
In parole povere, secondo la Corte dei Conti, così com’è il provvedimento permetterebbe di pagare le tasse in ritardo senza conseguenze per l’evasore.
Buscema aggiunge anche che “in merito alle implicazioni di ordine penale, la formulazione del comma 9” sulla dichiarazione integrativa speciale “fa ritenere non punibili, nei limiti dell’integrazione degli imponibili concretamente effettuata e in assenza di ulteriori profili di responsabilità penale, gli eventuali reati commessi riconducibili a dichiarazione fraudolenta” con fatture false o altri artifici.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
ANCHE MINNITI E MARTINA SCENDERANNO IN CAMPO… IL RISCHIO E’ CHE IL PD TORNERA’ AD ESSERE IL PARTITO DELLE CORRENTI, MA COMUNQUE NON SARA’ PIU’ IL PARTITO DEL LEADER
In un angolo del Transatlantico Francesco Boccia gesticola animatamente, mentre parla al telefono: “Sì, sì… Torno a Torino a metà mese, nel frattempo aprite una pagina facebook, perchè con Martina in campo dobbiamo lavorare di più sul Nord”. Auricolari nelle orecchie, di quelli col filo, tono di voce che tradisce la riservatezza della conversazione, Boccia per cinque minuti percorre su e giù gli stessi dieci metri: “Parliamoci chiaro, qua dobbiamo fargli capire che, se vogliono un congresso a tavolino, se lo scordano. Vogliono una cosa a tavolino? E noi la facciamo vera, senza pietà . Il discrimine è tra chi era connivente con Renzi e chi diceva che si andava a sbattere”.
È iniziato il grande gioco del congresso del Pd, avvolto in una nube di tatticismo. Quasi un rito per iniziati, otto mesi dopo la sconfitta epocale del 4 marzo. Eccolo, Maurizio Martina, appena fissata la data dell’assemblea in cui saranno formalizzate le sue dimissioni e si procederà ad avviare il famoso “percorso congressuale”, il 17 novembre.
A chi gli chiede lumi sulla sua candidatura, risponde prudente: “Sto riflettendo”. Stessa risposta che, a domande analoghe, da giorni ripete anche Marco Minniti. In verità , manca solo l’ufficializzazione, ma la manovra è in atto.
Per l’ex ministro dell’Interno è questione di giorni. Già la prossima settimana, in cui presenterà il suo libro a Roma, potrebbe esserci l’annuncio, preceduto da un altro appello di sindaci e amministratori.
Anche per Martina la decisione sembra essere presa. Uno dei kingmaker della sua operazione, Matteo Orfini lo ha assicurato a più di un parlamentare: “Vedrete che Maurizio si candida. Lo sosteniamo noi e un pezzo di mondo renziano”.
Il tassello che manca — come si dice in questi casi: l’interlocuzione è in corso — è Graziano Delrio che nel suo recente manifesto contro il turbocapitalismo, ha evidentemente preso le distanze rispetto all’ortodossia renziana e sull’immigrzione è da sempre critico con l’approccio di Minniti.
Torniamo all’ira di Boccia. E non solo lui. Anche Zingaretti è piuttosto infastidito dalla dinamica in atto. Anzi, il paradosso è che scontenti sembrano essere davvero tutti, chi per un motivo, chi per un altro: “Abbiamo creato l’attesa messianica del congresso — sospira Giacomelli — pensando potesse arrivare una soluzione profonda. E invece chiedono lo scontro congressuale quelli che chiedevano l’unità …”. La verità è che è complicato che, con questa pletora di candidati, qualcuno possa raggiungere il 51 per cento alle primarie, in modo da essere eletto segretario.
E dunque il segretario sarà eletto dopo, dai delegati dell’assemblea, con un accordo tra le correnti. P
er intenderci: se Minniti arriva primo, ma non supera il 50 per cento, Zingaretti arriva secondo e Martina arriva terzo, per eleggere il segretario occorre, ad esempio, che Minniti e Martina si mettano d’accordo dopo le primarie.
È questo il gioco tattico, secondo l’antica formula del “contarsi per contare”.
È anche possibile, sulla carta, che il candidato possa uscire da un accordo tra Martina e Zingaretti, perchè è vero che è complicato escludere chi arriva prima, ma l’assemblea è pur sempre sovrana.
Parentesi, per i non addetti ai lavori.
Il congresso del Pd si svolge in due fasi. La prima, in cui la consultazione è tra gli iscritti, dove potranno presentarsi tutti i candidati. La seconda — ovvero le primarie aperte — dove correranno solo i primi tre o anche il quarto, qualora raggiunga il 15 per cento dei voti nella prima consultazione.
A questo punto i tempi, che saranno fissati quando l’assemblea formalizzerà le dimissioni.
Con questo numero di candidati, inevitabilmente, non sarà breve la prima fase, perchè tutti chiederanno tempi congrui per spiegare la propria proposta. I professionisti della politica del Nazareno prevedono che, su questi presupposti, una data possibile per le primarie sia il prossimo 3 marzo.
Ovvero un anno dopo la rovinosa sconfitta alle elezioni. E con un anno passato a definire il peso delle correnti e dei candidati.
Parliamoci chiaro: al momento si delinea un congresso di riposizionamento dei gruppi dirigenti più che un grande confronto su visioni radicalmente alternative, segnato una ustionante analisi di errori, smacchi e sconfitte di questi anni, anche perchè i protagonisti di quegli errori, smacchi e sconfitte sono equamente distribuiti tra i candidati.
E, finora, nessuno si è segnalato per capacità autocritiche. Si farà comunque il congresso, dato non scontato fino a qualche tempo fa, quando era appeso — ricordate Renzi alla Leopoda? — anche alle oscillazioni dello spread.
Ciò che resta del Pd è comunque contendibile. E comunque si apre una dinamica nuova, sia pur confusa, poco appassionante e poco comprensibile per il famoso elettore medio. Il partito delle correnti non è più il partito del Capo.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
ECCO DI COSA PARLA RED LAND, IL FILM SULLE FOIBE CHE VERRA’ PRESENTATO IL 6 NOVEMBRE IN SENATO
Tra le verità storiche per decenni affrontate non a partire dai dati di fatto, ma dalle ideologie ci sono state le Foibe.
Eccidi commessi contro italiani istriani, giuliani e dalmati dai partigiani di Tito, rimossi da altri italiani.
Dopo più di cinquant’anni è arrivato il riconoscimento quasi universale, di destra e di sinistra, di quanto accaduto, essendo restate per decenni le foibe solo nella narrazione della cultura di destra, come se potessero offuscare il quadro eroico dell’Italia partigiana.
E’ stato istituito il giorno del ricordo il 10 febbraio con una legge del 2004.
Ma non tutto è cambiato, ancora, nel panorama politico e culturale.
Molto hanno fatto i presidenti Ciampi e Napolitano per rimettere a posto i conti della storia italiana riguardo alle Foibe.
Ma un film come Red Land (Rosso Istria) di Maximiliano Hernando Bruno, alla sua opera prima, che una piccola storia dentro a questa immane tragedia racconta, è stato proiettato sì a Venezia, ma vissuto con poco calore dagli addetti ai lavori.
Si parla della storia di Norma Cossetto, giovane studentessa istriana, laurenda all’università di Padova, violentata e uccisa dai partigiani titini.
Norma Cossetto ha avuto la medaglia d’oro al valor civile dal presidente Ciampi. Una targa in suo ricordo è presente all’interno del palazzo Bo’ dell’università di Padova.
Il film è l’intreccio di vincitori e vinti nella fase di passaggio dall’8 settembre 1943 in poi, con i fascisti in fuga, i tedeschi, i titini e le popolazioni italiane dell’Istria e della Dalmazia vittime, in ogni caso.
Il film ha per scenario Trieste che conserva ancora nel Porto Vecchio le masserizie e gli oggetti degli esuli. Si parte da oggi e si ritorna indietro nella storia.
Il film verrà presentato in Senato il 6 novembre alle 12 e sarà proiettato in anteprima mondiale a Roma lo stesso giorno alle 20 al Cinema “The Space — Moderno.
L’uscita nelle sale italiane il 15 novembre.
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
E’ IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO O NO?
Tutta una questione di definizioni.
La preoccupazione di studenti e professori, soprattutto dei primi, è che nella sostanza non cambierà nulla. Le modifiche all’alternanza scuola lavoro contenute nella bozza della Legge di Bilancio farà sì che le attività si chiameranno “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”.
I percorsi avranno questa durata, secondo quanto riporta Orizzonte scuola: non inferiore a 180 ore negli istituti professionali; non inferiore a 150 ore negli istituti tecnici; non inferiore a 90 ore nei licei.
La bozza dice infatti “Le risorse del fondo di cui all’articolo 1, comma 39, della legge 13 luglio 2015, n. 107, sono assegnate alle scuole nei limiti necessari allo svolgimento del numero minimo di ore”.
I risparmi serviranno per non ridurre gli stipendi agli insegnanti e agli Ata, la parte perequativa.
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
L’ASSEGNO SARA’ PESANTEMENTE RIDOTTO, NON HA ABOLITO AFFATTO LA FORNERO E SLITTERA’ A META’ ANNO
Uno dei più assillanti cavalli di battaglia delle forze rossobrune è stato per mesi “il superamento della Fornero”.
Ovvero quella riforma delle pensioni, varata sotto la pressione della crisi dei debiti sovrani, che ha tentato di mettere in sicurezza le malamente bucate casse dell’INPS.
Cosa faceva la Fornero? Principalmente completava un processo lento di riforma del sistema iniziato nel 1995 (contributivo) innalzando i requisiti per l’accesso alla pensione e calibrando i coefficienti di trasformazione dei contributi alla aspettativa di vita.
Tutto ciò in previsione di una curva demografica particolarmente sfavorevole fra il 2030 e il 2050.
Ma obbedendo a misteriose teorie economiche secondo le quali per ogni pensionato c’è un nuovo assunto e altrettanto misteriosi modelli econometrici che dicono che avere più pensionati crea un forte stimolo alla domanda, il governo pentastellato ha messo nell’alveo delle condizioni non negoziabili la Quota 100; ovvero pensione anticipata con 62 anni di età e 38 anni di contributi.
Diciamo prima di tutto a chi si aspetta ricchi premi e cotillons per i pensionandi che la Quota 100 non equivale affatto alla cancellazione della legge Fornero.
L’impianto della legge resta con l’estensione a tutti del calcolo contributivo; e diciamo anche che la dizione “quota 100” è impropria perchè, ad esempio, se l’aspirante pensionato ha 61 anni di età e 39 anni di contributi non potrà fare domanda di pensionamento.
Si tratta in realtà di una banale reintroduzione della pensione di anzianità .
L’amara sorpresa è che per gli effetti del calcolo contributivo, moltiplicato per i coefficienti di trasformazione legati all’aspettativa di vita, il nostro aspirante sessantaduenne vedrà il suo assegno pesantemente ridotto rispetto alla media degli ultimi redditi.
Le anticipazioni di stampa sul testo definitivo approvato in CDM dicono che alla fine la misura è stata stralciata e sarà oggetto di un Disegno di Legge collegato.
Insomma una manina ha tolto dalla manovra una delle voci del deficit.
Qui si apre uno scenario interessante. È perfettamente comprensibile che lo slittamento rispetto ai tempi di entrata in vigore della legge di Bilancio possa essere dovuto alla necessità tecnica di individuare le finestre di uscita per il 2019 (2, 4, 10, chi lo sa).
Ma questa ipotesi mal si interfaccia con la pressante esigenza dei due vicepremier di dare in pasto ai loro elettori una promessa mantenuta.
Più probabile che nel braccio di ferro col Ministro Tria (e con la commissione europea che continua a chiedere chiarimenti sui numeri della manovra e sui fattori rilevanti mai svelati) si sia deciso di far scivolare di qualche trimestre il maggior deficit atteso per effetto dei nuovi requisiti di uscita dal mondo del lavoro.
Posticipare, ad esempio a Giugno 2019, l’entrata in vigore della norma significherebbe ridurre sensibilmente quella spesa di qualche miliardo e magari evitare la procedura di infrazione, traslando i maggiori effetti nel 2020 quando ci sarà l’aumento dell’Iva a coprirne i costi.
È chiaramente un gioco delle 3 carte di chi è alla disperata ricerca di una pezza per coprire i buchi di promesse sciagurate.
Ma Conte, Di Maio e Salvini non avevano detto che la staffetta generazionale sarebbe stata un potente stimolo alla crescita?
Mentivano prima, mentono adesso o mentono sempre?
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
IMITAZIONE, REALE O PRODOTTO ARTIGIANALE?
La settimana scorsa Virginia Raggi ha scritto un duro post contro i cittadini romani che sono scesi in piazza per manifestare contro l’Amministrazione comunale a 5 Stelle che da due anni è mezzo è alla guida della Capitale.
In un passaggio la sindaca (o chi per lei scrive i post sui social) se l’è presa con quelli del PD, riconoscibilissimi a suo dire per alcuni tratti caratteristici: «signore con borse firmate da mille euro indossate come fossero magliette di Che Guevara e — accessorio immancabile — i barboncini a guinzaglio (ovviamente con pedigree)». Il classico stereotipo dell’elettore piddino.
La sindaca con stipendio da novemila euro al mese che prima di entrare in politica apparteneva alla categoria notoriamente proletaria degli avvocati se la prende con i radical chic che hanno il cuore a sinistra e il portafoglio a destra.
Naturalmente non ci sono prove che quelle signore fossero del PD, che quelle borse fossero da mille euro e nemmeno che i cani avessero il pedigree (che per la cronaca è un pezzo di carta che in sè e per sè costa 30 euro).
Poco male, la Raggi ha dimostrato una volta di più che invece che entrare nel merito della questione preferisce gettare fango su avversari ed oppositori politici.
Per tutta risposta qualcuno ha poi tirato fuori una foto della Raggi a passeggio con quella che sembra essere una borsa di Hermes, precisamente una Hermes Kelly il cui prezzo secondo gli esperti della moda si aggira intorno ai cinquemila euro.
Subito sui social è scoppiata la rivolta contro quella radical chic della Raggi. Anche se c’è chi ha fatto notare che alla fine la sindaca è riuscita perfettamente nel suo intento: buttarla in caciara e non rispondere nel merito.
A difendere la sindaca ci pensa invece il marito Andrea Severini — che da sempre si occupa di questioni di un certo spessore — che in un video su Facebook sbugiarda le fake news sulla moglie. Severini prima mostra tutte le fake news sulla moglie (anche se per la verità Repubblica ha scritto che non è detto che la borsa sia originale) e poi procede a rivelare la vera verità sulla borsa da novemila euro della Sindaca.
Il marito della Raggi infatti racconta di essere «andato a spulciare nell’armadio di Virginia che ancora deve rientrare visto che non fa nulla dalla mattina alla sera e sono le nove e mezza del 30 ottobre» e di aver trovato proprio la borsa incriminata. Ora bisogna ricordare a Severini che nessuno rimprovera alla Raggi di lavorare poco ma di non aver fatto nulla di quello che ha promesso in campagna elettorale.
Che la sindaca di Roma stia in ufficio fino alle nove e mezza di sera non dimostra la sua completa abnegazione alla causa (ci sono migliaia di liberi professionisti che non si limitano alle otto canoniche ore di lavoro).
Quello che i romani “con la borsetta da mille euro” contestavano era la mancanza di risultati tangibili laddove la sindaca si vanta invece dei suoi numerosi successi. Severini però ci tiene molto alla verità (infatti è andato dalle signore con i barboncini a chiedere se hanno il pedigree) e con un colpo di teatro rivela che la “borsa di Hermes” della Raggi non è di Hermes ma è una borsa con lo stesso design realizzata da «Maurizio Righini, un grandissimo artigiano di Piazza di Spagna, Roma. Questa borsa costa sui 100 euro, euro più euro meno».
Grandissimo artigiano del quale però sui social o su Internet non si trova traccia e che non risulta avere un negozio in Piazza di Spagna.
Qualcuno nei commenti solleva il dubbio sul fatto che si tratti di un “tarocco” e che il fatto di copiare un modello famoso non sia proprio un’operazione limpidissima (ma chissà , magari non è un’imitazione).
Ma nemmeno questo è un problema che riguarda la sindaca che — chiosa Severini — «se vuole comprarsi la borsa di Hermes è libera di farlo».
Il fatto è che la borsa di Hermes non è un problema, come non lo è stato in passato il maglione di Agnese Landini, oggetto di vibranti polemiche da parte dei pentastellati. La Raggi può benissimo comprare tutte le borse che vuole, firmate o no, ma la contestazione in piazza non era per le borse.
È stata la sindaca a tirare fuori la storia delle presunte borse da mille euro e il fatto che il marito la difenda sulla borsetta e non sui grandi successi dell’Amministrazione a 5 Stelle lascia intendere che l’unica cosa che rimane è proprio la borsa di Righini. Una borsa che assomiglia tremendamente a quelle delle radical chic, solo che costa infinitamente meno.
Venduta da un grandissimo artigiano che però è così honesto che si fa pagare — dice Severini — appena 100 euro.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI GREENPEACE: IMPUNITO IL PIU’ GRANDE CASO DI INQUINAMENTO DELL’ACQUA POTABILE IN EUROPA
Ora possiamo dirlo con certezza: nessuno pagherà per il più grande caso d’inquinamento dell’acqua potabile in Europa.
Ci riferiamo ai Pfas, le sostanze perfluoralchiliche che hanno contaminato una vasta area del Veneto occidentale e il sangue di migliaia di ignari cittadini.
La principale fonte dell’inquinamento era nota alle autorità almeno dal 2013: la Miteni di Trissino, azienda chimica specializzata proprio nella produzione di Pfas. Parliamo al passato, perchè i vertici di Miteni, la scorsa settimana, hanno deliberato la presentazione dell’istanza di fallimento presso il Tribunale di Vicenza.
Questa istanza è l’ovvia conseguenza del fermo produttivo iniziato alcune settimane fa ed è figlia anche della grave crisi che l’azienda vive da anni.
Già nel settembre 2017, col report “Emergenza Pfas in Veneto. Chi paga?”, Greenpeace aveva denunciato la precaria situazione a livello finanziario di Miteni, segnalando le scarse riserve presenti nelle casse aziendali.
Insufficienti per poter far fronte a qualsiasi costo di risanamento e bonifica ambientale, figuriamoci alle migliaia di richieste di risarcimento da parte della popolazione inquinata che potrebbero arrivare ad indagini concluse.
Ma ormai parrebbe essere troppo tardi, visto che l’istanza di fallimento è stata presentata prima che sul fronte giudiziario la Procura di Vicenza abbia scritto la parola fine.
E tutto ciò nonostante siano stati presentati numerosi esposti da associazioni e comitati, inclusi quelli di Greenpeace che fornivano agli inquirenti anche una traccia per individuare i proprietari della holding lussemburghese che controlla Miteni, in modo da poter in qualche modo recuperare parte dei soldi da destinare ai risarcimenti.
Nel determinare questo grave caso di ingiustizia e impunità , gli enti preposti ai controlli (Regione, Provincia e Comune) hanno sì svolto un ruolo chiave, ma in senso negativo.
Sin dal 2005 le autorità sapevano dell’esistenza di una barriera idraulica nello stabilimento di Miteni, ovvero di una misura per contenere l’inquinamento e, dal 2013, erano a conoscenza dello sforamento dei valori di numerosi inquinanti, già normati, nelle acque di falda sotto l’azienda.
A queste evidenze lampanti avrebbe dovuto far seguito almeno l’immediata bonifica del sito industriale che però, ad oggi, non è ancora iniziata.
Al contrario, le stesse autorità hanno autorizzato la lavorazione di rifiuti chimici pericolosi provenienti dall’Olanda — poi ritrovati nelle acque di falda — e, incuranti del perpetuarsi del crimine ambientale dovuto all’inquinamento da Pfas, lo scorso 14 ottobre festeggiavano l’inaugurazione di un monumento a poche decine di metri dall’azienda Miteni.
Per evitare che il fallimento politico istituzionale sia completo, è necessario che le operazioni di bonifica, sotto il coordinamento della Regione Veneto, partano al più presto.
Soprattutto deve essere assolutamente garantito il funzionamento della barriera idraulica, per impedire che la contaminazione si aggravi ulteriormente. Inoltre, invitiamo tutte le autorità , coinvolgendo sindacati e industriali, a farsi promotori della riconversione di Miteni in un centro di bonifica e ricerca sugli inquinanti emergenti. Forse questo è l’unico modo per evitare che la contaminazione da Pfas venga, per l’appunto, tristemente ricordata come il più grave caso d’inquinamento di massa impunito d’Europa.
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2018 Riccardo Fucile
IL TRUCCO PER I GONZI: I GRILLINI POSTANO L’ART 25 SENZA IL COMMA 1… IL CONDONO C’E’, MA BASTA NON MOSTRARLO, EVVIVA L’HONESTA’
«Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità », questo famoso aforisma attribuito a Joseph Goebbels viene spesso utilizzato per spiegare il funzionamento della propaganda politica.
Qualche anno fa Beppe Grillo e il MoVimento 5 Stelle usavano la frase del gerarca nazista per attaccare i mentitori professionisti della casta della politica e far capire ai cittadini onesti come mai continuavano a mentire al popolo.
Ora questo problema non si pone perchè al governo c’è l’Avvocato del Popolo (non eletto), che vara la Manovra del Popolo e il decreto Genova, scritto non dal Popolo ma col cuore. Il problema ora è raccontare “la verità ” sul condono per Ischia.
Il condono per Ischia c’è, ma il M5S non lo mostra
Tra le pieghe di quel decreto, scritto non solo con amore ma anche con una «tecnica giuridica cosi elevata» che si è scoperto che all’articolo 25 conteneva una bellissima sanatoria per le case abusive danneggiate dal terremoto di Ischia.
Il MoVimento 5 Stelle ha sempre negato l’esistenza di quel condono edilizio.
Del resto Luigi Di Maio in campagna elettorale aveva promesso che non ci sarebbe mai stato nessun condono per Ischia. C’è poi chi come la ministra del Sud Barbara Lezzi addirittura ha candidamente ammesso di non sapere cosa c’era scritto
Succede poi che dopo le proteste della Lega (che è l’alleato di governo), gli articoli di giornale (ma la stampa, si sa, è tutta contro di loro), i relatori di maggioranza in Commissione abbiano presentato un emendamento leggermente migliorativo perchè andava ad introdurre il riferimento alla necessità di parere favorevole rispetto al vincolo paesaggistico che — secondo il M5S — non era previsto per il condono del 1985, mantenendo invece la possibilità di usufruire di quello del 2003, varato dal governo Berlusconi.
Il trucco è da azzeccagarbugli: il M5S non ha varato nessun nuovo condono ma ha fatto sì — come spiegava Stefano Montanari sul Fatto Quotidiano — che ad Ischia sia possibile sanare edifici abusivi costruiti in zone a rischio soggette a rischio sismico oppure a rischio idrogeologico oppure costruite in zone sottoposte a vincoli di tutela paesaggistici.
In tutti questi casi chi avesse presentato richiesta di sanatoria in base al condono del 2003 avrebbe visto respinta la domanda per il semplice motivo che quelle abitazioni lì non potevano essere costruite.
Che fine ha fatto il comma 1 dell’Art 25?
In questi giorni il MoVimento 5 Stelle ha iniziato una campagna per spiegare “la verità ” sul condono ad Ischia.
Secondo il MoVimento 5 Stelle non c’è nessun condono. Strano, perchè anche la senatrice M5S Elena Fattori due giorni fa parlava proprio del condono edilizio come uno di quegli argomenti che se ne avessero parlato con gli elettori prima delle elezioni «mi avrebbero preso per folle o per lo meno mi avrebbero rincorso con torce e forconi». All’operazione verità del MoVimento 5 Stelle però manca una parte: il comma dove effettivamente si parla del condono.
Eppure il condono c’è davvero perchè se da un lato è vero che il condono del 2003 non è stato varato dall’attuale governo e quindi non c’è nessun nuovo condono è anche vero che è proprio l’articolo 25 del Decreto Emergenze consente a chi ha presentato in precedenza una domanda di sanatoria pur sapendo di non poterla presentare (perchè appunto sussiste il rischio sismico, quello idreogeologico o il vincolo paesaggistico) perchè sarebbe stata respinta di poter accedere alla sanatoria. Curiosamente infatti il M5S posta il testo dell’articolo 25 senza il comma 1, che però non è stato è stato soppresso dal’emendamento dei relatori.
Cosa succede quindi ora?
Che i comuni di Ischia (Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno) colpiti dal terremoto del 2017 che non hanno ancora preso una decisione sulle istanze di condono presentate ai sensi dei condoni del 1985, del 1994 e del 2003, non ancora risolte (e presentate nella maggior parte dei casi unicamente per consentire il rogito delle abitazioni) abbiano sei mesi di tempo per prendere una decisione.
Secondo la responsabile Politiche abitative e dello sviluppo urbano della Cgil nazionale Laura Mariani «gli articoli 23 e 25 del provvedimento aprono una ‘finestra’ per tutti gli interventi non ‘totalmente abusivi’ nell’isola, e introducono il solo riferimento del condono del 1985 per la valutazione delle istanze pendenti, bypassando limiti e vincoli introdotti da successive leggi. Un emendamento ha aggiunto il solo nulla osta paesaggistico, in realtà già previsto nella normativa del 1985».
Al primo comma infatti, quello che il M5S ha dimenticato di pubblicare, c’è infatti scritto che la definizione di tali istanze di condono «trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985 n. 47».
Il che significa che per definire le pratiche di condono si deve ancora usare la legge del 1985. E il condono voluto da Craxi consente di poter fare la sanatoria anche edifici costruiti in aree demaniali o protette, proprio il caso di Ischia.
Il tutto ovviamente ammesso e non concesso che in sei mesi gli uffici comunali riescano davvero a smaltire le 28mila richieste di condono rimaste inevase.
Inoltre — sottolinea la CGIL — l’art. 39 ter per le quattro regioni del Centro Italia interessate dal sisma del 2016, «estende la possibilità di sanare anche gli abusi successivi al 2003, data dell’ultimo condono, e, utilizzando le norme del Piano Casa, aumenta la volumetria sanabile fino al 20%».
Ovvero questo bel condono qui.
(da “NextQuotidiano”)
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