Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IL RITOCCO DEL DEFICIT NON BASTERA’ A BRUXELLES, SERVE SOLO PER ARRIVARE ALLE EUROPEE E SALVARSI IL CULO
Più che un segnale per rasserenare i mercati, la mossa, ovvero il ritocco del deficit per il 2020 e 2021, pare un modo per precostituirsi l’alibi del “grande conflitto” con l’Europa matrigna.
E tenerlo alto, mettendo in conto che possa bocciare la “manovra del popolo”.
Ecco, sembra una rassicurazione, ma resta l’azzardo giocato fin qui attraverso una manovra omerica, che si trasmette per tradizione orale, in una conferenza stampa senza domande, negli spin dei partiti e nelle dirette facebook.
A una settimana dagli annunci trionfanti dal “balconcino” di palazzo Chigi, non c’è ancora una tabella compiuta, fatta di numeri certi e indicazione di coperture, anche se viene dato come imminente l’approdo in Parlamento.
È l’azzardo di un calcolo politico che tiene come orizzonte le europee, più che la legislatura.
Un anno e via, poi si vede, rinviando tutto all’Europa sovranista della prossima primavera, con un’altra Commissione, altri equilibri di forza, altro clima.
È la conferenza stampa di due partiti in campagna elettorale, più che di un governo, quella che è andata in scena a palazzo Chigi, con un ministro del Tesoro evidentemente provato e a disagio.
E quella che è proseguita nelle dichiarazioni successive e nei numeri forniti dalle “fonti di governo” dei due partiti.
La bocca di Salvini non pronuncia mai la parola “reddito di cittadinanza”, la bocca di Di Maio non pronuncia la revisione della Fornero o la flat tax, non si capisce quanti miliardi siano destinati all’una e all’altra misura.
I numeri che si comprendono raccontano di una tensione destinata a rimanere.
Primo tra tutti il rapporto deficit-Pil, al 2,4 per il 2019, vero oggetto di valutazione della Commissione europea che si discosta di parecchio dallo 0,9 fissato nel Def di aprile.
E si discosta dal criterio ricordato dal commissario europeo per gli affari economici Pierre Moscovici, secondo cui il deficit strutturale deve comunque migliorare anche se quello nominale resta contenuto sotto la soglia del 3 per cento. col 2,4 c’è invece il rischio che il deficit strutturale non sia nella traiettoria fissata dal patto di stabilità e di crescita.
Soprattutto se vengono fatte stime di crescita troppo ottimistiche, come l’1,6, cifra che giustificherebbe l’obiettivo del 2,4.
Non c’è un economista o esperto di finanza persuaso dalla possibilità di raddoppiare il tasso di crescita, in un paese in pieno rallentamento economico, facendo leva su misure che, come il reddito di cittadinanza, aumentano la spesa corrente.
A conti fatti, in questa lotteria di numeri in libertà mancano almeno 15 miliardi di coperture.
Le promesse del “contratto” di governo sono debito, inteso come debito pubblico, su cui svolazza il famoso Cigno nero, l’evento imprevisto che ci avrebbe spinto al punto di non ritorno nel conflitto con l’Europa.
Quel cigno è nella logica politica della manovra del governo gialloverde, primo esperimento sovranista e, per molti, anticipazione dell’Europa che verrà . Al netto dei ritocco del deficit per il 2020 e 2021.
Si sarebbe potuto inserire il reddito di cittadinanza come misura “sperimentale” e “temporanea”, da oprire col condono, il che avrebbe consentito di ridurre la spesa pluriennale. Se ne è discusso ma è stata un’ipotesi scartata, perchè “Di Maio non se lo può permettere politicamente”.
Così come la Lega fa sapere che 10 miliardi sono per le misure rivendicate dalla Lega, a partire dalla revisione della Fornero, perchè “per Salvini è irrinunciabile”.
È chiaro che siamo di fronte alla “guerra vera” di cui ha parlato Paolo Savona qualche giorno fa. Che non è indolore e a costo zero.
Qualunque cosa farà l’Europa, e non è fantasioso prevedere che possa bocciare la manovra, e qualunque cosa faranno le agenzie di rating (e non è fantasioso pensare e un declassamento) Matteo Salvini e Luigi Di Maio potranno tenere viva la narrazione delle “promesse mantenute”, della “povertà abolita”, dei X milioni di cittadini che hanno avuto il reddito di cittadinanza (che le loro famiglie sono almeno X al quadrato di votanti), “dei poteri forti” che non ci hanno fermato.
Per un anno. E poi si vede.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
UNA CORNICE FRAGILE CHE SCOMMETTE SU UNA CRESCITA IRREALIZZABILE CON LITE FINALE SULLA SPARTIZIONE DELLA TORTINA
La cornice c’è, ma è fragilissima perchè i quattro angoli ancora non si sono chiusi.
E anche la tela al suo interno è incompleta, anzi appena abbozzata.
A una settimana dalla scadenza prevista e dai festeggiamenti anticipati sul balcone di palazzo Chigi, il Governo gialloverde rivela i dettagli della Nota di aggiornamento al Def, il recinto dentro cui si muoverà la manovra: i numeri poggiano su basi precarie perchè legati a previsioni di crescita più che ottimistiche.
Così superlative che le stime sul Pil non vengono rivelate durante la conferenza stampa a palazzo Chigi.
E ancora più ballerine sono le misure care a Matteo Salvini e Luigi Di Maio, cioè il superamento della Legge Fornero e il reddito di cittadinanza: non c’è l’intesa numerica sulla spartizione della torta e, ancora peggio, gli ingredienti per metterla nel forno, cioè le coperture, sono pochissimi.
Appoggiando la lente d’ingrandimento sulle fragilità della Nota di aggiornamento al Def, il primo elemento che viene fuori è l’impegno, annunciato dal premier Giuseppe Conte e confermato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, di ridurre il debito di oltre quattro punti percentuali nei prossimi tre anni, passando dal 130,9% di quest’anno al 130% nel 2020, per poi arrivare al 126,5% nel 2021.
Un chiaro segnale a Bruxelles, insieme allo scardinamento dell’impianto per il deficit al 2,4% per tre anni (ora ridotto a 2,4% per il 2019, 2,1% nel 2020 e 1,8% nel 2021), ma il punto interrogativo è legato all’elemento su cui poggia questo impegno, cioè la crescita.
Conte, Di Maio, Salvini e Tria non hanno dettagliato le stime del Pil, ma hanno spiegato che l’abbattimento del debito passa per una crescita sostenuta.
Negli scorsi giorni Tria ha parlato di un Pil a +1,6% nel 2016 e fonti di governo hanno fatto trapelare ieri che la stima per il 2019 potrebbe essere a +1,9 per cento.
Stime che si discostano tantissimo rispetto alle previsioni dei principali osservatori nazionali e internazionali, ultimo dei quali il Centro studi di Confindustria, che proprio oggi ha rivisto la previsione del Pil per il 2019 a +0,9 per cento.
Tria ha sottolineato che negli ultimi tre anni la riduzione totale del debito è stata dello 0,6 per cento. In pratica negli ultimi tre anni i governi Renzi e Gentiloni sono riusciti a tagliare il debito di meno di un quarto rispetto a quanto ora ambisce a fare il Governo gialloverde, che motiva il possibile cambio di passo appunto con una super crescita in arrivo.
Dentro la cornice della Nota di aggiornamento, la tela della manovra non aderisce ancora.
Non è un caso che al termine della conferenza stampa, Lega e 5 Stelle si siano affrettate a rilasciare spin ai giornalisti per quantificare la parte delle risorse che spetterà per le misure gradite ai due partiti.
E le due liste non combaciano. È ancora contesa.
Il Carroccio dice di avere portato a casa 10 miliardi per finanziare il superamento della Fornero con quota 100 (7 miliardi), la flat tax per le partite Iva (2 miliardi) e un maxi piano di assunzioni per le forze dell’ordine (1 miliardo).
Di Maio, invece, in diretta Facebook, annuncia che ai 5 Stelle andranno 10 miliardi per il reddito di cittadinanza e fonti M5S completano il quadro sostenendo che per le pensioni ci sarebbero solo 5 miliardi per il primo anno.
Un balletto di cifre tanto imbarazzante che in tarda serata arriva una comunicazione congiunta M5S-Lega per tirare le somme: 20 miliardi totali con 10 miliardi al reddito di cittadinanza, 7 miliardi per la Legge Fornero, 2 miliardi sulla Flat Tax, 1 miliardo per le assunzioni straordinarie nelle forze dell’ordine.
La bilancia non segna ancora l’equilibrio e – aspetto ancora più preoccupante per le ambizioni dei due vicepremier e dei rispettivi partiti – è che le coperture stentano a venire fuori.
Se la torta delle misure si aggira intorno a un totale di 20 miliardi, le risorse disponibili per finanziarle a ora sono i 3,5 miliardi che derivano dal deficit al 2,4% e quelle che arriveranno dai tagli che si stanno provando ad approntare al Tesoro, che però potrebbero valere al massimo circa 2-3 miliardi.
Mancano all’appello quasi 15 miliardi.
Le risorse aggiuntive che si possono ricavare dal deficit portato al 2,4%, 12,5 miliardi, sono già impegnate per impedire l’aumento dell’Iva dal prossimo anno.
Coperti, ad ora, sono il taglio dell’Ires e i rimborsi per i risparmiatori delle banche fallite (quest’ultimi attraverso un taglio delle agevolazioni agli istituti di credito).
Ci sono ancora da coprire, inoltre, le spese indifferibili e da recuperare circa 4 miliardi persi con l’aumento dello spread.
La coperta è ancora troppo corta. Di Maio e Salvini festeggiano, ma il rischio è quello che siano festeggiamenti ancora una volta anticipati, come quelli del balcone di palazzo Chigi, quando Di Maio e i suoi annunciarono il deficit al 2,4% per tre anni. Schema che oggi non esiste più.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
SENATORI NON RICONFERMATI CHE DIVENTANO SEGRETARI PARTICOLARI, EX ONOREVOLI TRASFORMATI IN VICECAPO DI GABINETTO O SOTTOSEGRETARI… CON STIPENDI A SEI CIFRE
È un classico della prima e della seconda Repubblica: quando le elezioni vanno male e l’aspirante onorevole rischia di dover tornare a casa, il partito gli trova un’altra sistemazione a Roma. Un classico che, a quanto pare, anche il Movimento 5 Stelle intende rispettare.
Niente di illecito sia chiaro: ma di certo si tratta di una consuetudine curiosa per un partito che sulle critiche alla Casta ha costruito le sue fortune.
Infatti, adesso che la composizione del governo Conte e degli staff dei ministeri è quasi completata, si scoprono diversi ex onorevoli e senatori bocciati alle urne ma che hanno trovato un posto nei palazzi romani. Ecco chi sono.
In ritardo rispetto a quanto prescritto dalla legge sulla trasparenza (e dopo varie richieste dell’Espresso), il governo pubblica finalmente i nomi e gli emolumenti dei collaboratori della Presidenza del Consiglio. I più fortunati? Il capo della comunicazione 5 Stelle e tutti i Casaleggio boys
C’è Bruno Marton, senatore del Movimento nella scorsa legislatura: arrivato terzo nelle ultime elezioni nel seggio di Sesto San Giovanni alle porte di Milano, ha trovato a salvarlo una poltrona di segretario particolare del sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi.
Stipendio annuale lordo: 73.400 euro, fino alla fine dell’attuale governo.
Restando sempre agli ex che non hanno ottenuto la riconferma troviamo Giorgio Sorial, già deputato e arrivato terzo all’uninominale di Brescia lo scorso 4 marzo.
Per lui è spuntato un posto da Vice capo di Gabinetto del Ministero dello Sviluppo economico retto dal suo capo di partito Luigi Di Maio.
Stipendio di 110mila euro, ma con contratto annuale. Spesa curiosa considerando che nello staff di Di Maio ci sono già altri due vice capo di gabinetto.
Ancora meglio è andata a Michele Dell’Orco: deputato della precedente legislatura, non ha ottenuto la riconferma nel plurinominale di Modena e Ferrara. Poco male, perchè oggi è sottosegretario alle infrastrutture.
Non ha neanche provato a candidarsi invece Luigi Gaetti, ex senatore del Movimento 5 Stelle e ora sottosegretario agli interni con delega all’antimafia.
Gaetti ha infatti già “usato” i due mandati permessi dal codice di comportamento dei 5 Stelle: uno appunto a Palazzo Madama e l’altro quando era consigliere comunale per la Lega nord.
Alle obiezioni sul suo incarico di governo ha risposto che, trattandosi di un incarico non elettivo, questo non viola codici e statuti pentastellati.
C’è infine un terzo sottosegretario 5 Stelle che le urne non hanno premiato: si tratta della “new entry” Vincenzo Zoccano, arrivato terzo nel collegio di Trieste e oggi sottosegretario con deleghe a famiglia e disabilità .
Sul capitolo sottosegretari è necessario fare un un ulteriore appunto.
Secondo le legge, ognuno dovrebbe percepire un compenso di 114mila euro lordi annui, esattamente come il presidente del Consiglio.
Un emolumento a cui hanno diritto solo perchè non eletti: quando infatti quell’incarico viene ricoperto da un deputato o un senatore, questo compenso non è dovuto perchè la norma ne vieta il cumulo.
Scegliere un sottosegretario non eletto ha quindi dei costi per la casse statali rispetto al nominare qualcuno che è già deputato o senatore.
A chiudere la rassegna dei bocciati e salvati tra i 5 Stelle c’è forse il caso più noto alle cronache, quello della ex inviato del programma televisivo le Iene Dino Giarrusso. Arrivato terzo al collegio di Roma 10 nelle elezioni del 4 marzo, Giarrusso è oggi segretario particolare del sottosegretario all’Istruzione Lorenzo Fioramonti.
Incaricato dallo stesso Fioramonti via Facebook di presiedere un misterioso osservatorio sulla regolarità dei concorsi universitari, in seguito alle polemiche è stato “retrocesso” a semplice segretario particolare.
Il suo compenso non è noto: nonostante le richieste di accesso generalizzato avanzate dall’Espresso, il Miur non ha aggiornato la documentazione che per legge dovrebbe essere pubblicata entro tre mesi dall’insediamento dell’amministrazione (i mesi adesso sono quattro). I suoi predecessori in quel ruolo avevano un compenso compreso tra i 18 e i 45mila euro annui.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
PERSINO A MEDIASET GLI HANNO TOLTO IL PROGRAMMA PERCHE’ FOMENTAVA ODIO VERSO GLI IMMIGRATI… ORA I SOVRANISTI LO RICICLANO IN RAI, A SPESE DEI CONTRIBUENTI
Tutto ancora in alto mare: manovra e def hanno fatto finire in secondo piano la trattativa sulle nomine in Rai e, nonostante i contatti siano in corso, l’accordo nella maggioranza sembra lontano.
A partire dalla poltrona più ambita, quella del Tg1, che non è chiaro se finirà in orbita Lega o Movimento 5 Stelle.
In ogni caso il rebus non si scioglierà questa settimana: il cda non è stato convocato e venerdì si terrà solo l’assemblea dei soci per la ratifica delle deleghe conferite al nuovo presidente Marcello Foa nell’ultimo consiglio.
La Lega è comunque al lavoro per tentare di definire quanto prima il quadro.
Il dossier è in mano a Matteo Salvini e ai suoi stretti collaboratori che mantengono i contatti con i candidati e stanno sondando anche giornalisti esterni.
Un ostacolo per alcuni degli interpellati si starebbe rivelando il tetto di 240mila euro agli stipendi nella tv pubblica.
Senza considerare che, secondo il piano anticorruzione, è necessario seguire un percorso definito e trasparente per le assunzioni a tempo indeterminato.
Al di fuori di questa procedura, l’ad può assumere, ma solo a tempo determinato, un numero pari al 5% dei dirigenti in forza all’azienda (che sono circa 250) con contratto a tempo determinato. Il possibile arrivo di un esterno fa già infuriare l’Usigrai, che già si dice pronto alla battagli.
Da Mediaset potrebbe arrivare Paolo Del Debbio: avrebbe dato la sua disponibilità e che i leghisti vedrebbero bene alla testata della rete ammiraglia ma, in caso di rifiuto dei Cinque stelle, potrebbe anche essere destinato a un altro ruolo.
Lo schema prevede una divisione equa tra le due forze di governo, anche se dal Movimento 5 Stelle fanno sapere – come sottolinea il capogruppo in Vigilanza Gianluigi Paragone – che “sarà l’ad Fabrizio Salini a decidere e intromissioni non ci saranno”.
La Lega vedrebbe bene al Tg1 anche Gennaro Sangiuliano, ma è disposta a cedere la casella agli alleati se ci sarà la conferma del direttore ad interim Alessandro Casarin alla TgR e se potrà indicare un nome anche per Rainews, considerata sempre più strategica. Il candidato è Luciano Ghelfi, che potrebbe però finire alla guida del Tg2. I Cinque Stelle puntano su Franco Di Mare al Tg1, Alberto Matano appare destinato alla vicedirezione della testata o a Rainews, mentre Giuseppe Carboni potrebbe, invece, finire alla guida di Radio Rai.
A Rai Sport in pole sono Jacopo Volpi e Maurizio Losa, mentre Rai Parlamento (ma anche il Giornale Radio) dovrebbe essere appannaggio di Forza Italia: il candidato più gettonato è Antonio Preziosi. In quota opposizione invece dovrebbe restare al Tg3 Luca Mazzà .
Per quanto riguarda le reti, a Rai1 la Lega sarebbe orientata verso Marcello Ciannamea, ma non è esclusa una conferma di Angelo Teodoli, mentre per la seconda rete, oltre a Maria Pia Ammirati, l’ipotesi è Carlo Freccero, cui potrebbe essere affidata un’altra direzione editoriale.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
DA QUANDO GOVERNANO LEGA E M5S SONO RADDOPPIATI I TASSI DI INTERESSE SUI TITOLI PUBBLICI A DIECI ANNI
La corsa sfrenata verso il baratro della bancarotta prosegue senza incontrare ostacoli dopo che Tria è stato piallato e levigato come una tavola di noce.
§E in un tripudio di grugniti entusiastici il governo continua imperterrito a pigiare sull’acceleratore: dalle elezioni del 4 marzo sono raddoppiati gli interessi che il contribuente italiano paga sui titoli pubblici a dieci anni.
In sostanza per i risparmiatori di tutto il globo l’Italia è un debitore appestato peggiore della Grecia levantina fallita.
Ragli e grugniti ministeriali veicolano ossessivamente e istericamente ai telelobotomizzati la fandonia che l’Unione Europea e l’Unione Monetaria non possano fare a meno dell’Italia.
Ma la frusta della realtà si abbatte impietosamente sulle terga dei quadrupedi coperte di setole e peli.
Nel 2011-2012 lo spread, cioè il divario tra i rendimenti dei Bund tedeschi e quello dei BTP italiani era parte di un fenomeno che investiva tutti i PIGS. Quindi minacciava davvero la tenuta dell’euro, mentre oggi tra i PIGS a patire è rimasto solo uno: il governo italiano.
Gli effetti dei vaneggiamenti giallo-verdi si ripercuotono brutalmente solo sull’Italia e sul suo settore bancario che ormai balla sull’orlo di un’altra crisi ancora più virulenta di quella che ha travolto Banca Etruria le popolari venete.
Senza dimenticare una decina di altre banche “del territorio”, cioè gestite da mediocri truffatori di provincia collusi con politici corrotti e canaglie spacciatesi per imprenditori.
Insomma, per spiegare a chi ha fatto tre anni di militare nelle sale giochi a Pomigliano o nei centri sociali dei punkabestia milanesi, possiamo dire che il governo italiano cuoce nel suo brodo mefitico da solo, tra le crasse risate del mondo civile.
E le minacce dei salvicoli, che strillano al complotto, non spaventano nemmeno le mosche coprofaghe.
Per il momento la gente è semplicemente confusa e inebetita da un’informazione televisiva vergognosa, gestita dalle solite amebe in spasmodica gara per sdraiarsi di fronte ai potenti di turno.
Ma come in tutti i drammi epocali, dopo la fase improntata a negare l’evidenza, a chiudere gli occhi di fronte alla catastrofe che avanza, a un certo punto scatta il panico.
Nel caso specifico la gente più avveduta ha già provveduto a ritirare i soldi dalle banche italiane e a metterli in salvo.
Quando la piena della corsa agli sportelli diventerà inarrestabile non basteranno osceni discorsi patriottici dai balconi a ristabilire la calma.
Appena la crisi di fiducia attaccherà il cuore del sistema bancario l’intera economia collasserà perchè senza credito non esiste economia, soprattutto in Italia dove le imprese (incluse quelle dei geni che votano Lega) non hanno capitali e molte sono indebitate fino al collo.
Che la crescita possa essere rilanciata dagli investimenti pubblici è una pia illusione: basta guardare il grafico compilato da Italia Dati Alla Mano per accertarsi che la produttività non risponde certo alle ubbie di qualche burocrate che butta fondi pubblici nella toilette (di foggia turco-venezuelana) per favorire gli amici degli amici. In un paese dove l’Amministrazone Pubblica non riesce a ricoprire le buche nelle strade della Capitale dovremmo credere che gli investimenti pubblici produrranno sortilegi come Mandrake?
Sotto la guida di un governo che in un mese e mezzo non è riuscito a scrivere il decreto per iniziare a ricostruire un ponte crollato a Genova?
Di ministri che una settimana dopo averla annunciata e averla festeggiata in piazza, non sono riusciti ancora a scrivere la Nota Aggiuntiva al DEF, perchè non sono in grado di fare calcoli aritmetici elementari?
Il moltiplicatore della spesa pubblica finanziata con cambiali (lasciate in eredità ai figli) è una favola per bamboccioni con deficit cognitivi, un Campo dei Miracoli a cui abboccano solo i disadattati sociali fuoricorso.
Se non fosse una favola non ci sarebbero MAI crisi economiche, MAI recessioni e soprattutto MAI povertà .
Infatti solo la macchietta tragica di un politicante da marciapiede poteva dichiararne l’abolizione a reti ed edicole unificate.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
IL GRILLINO ORA STILA PURE LA LISTA DELLA SPESA, DIVIDENDO LE SPESE MORALI DA QUELLE IMMORALI… SE SPIEGASSE COME CREARE LAVORO SAREBBE MEGLIO
Tutti avvertiti gli indivanados (ma non solo loro) che prima hanno votato e adesso stanno aspettando con ardore l’arrivo del reddito di cittadinanza. Il tutor Di Maio ha parlato chiaro: con quei soldi non si potranno fare “spese immorali”.
Un’affermazione che potrebbe aprire una tavola calda filosofica a non finire (perchè, volendo affondare, già spendere può essere definito immorale di per sè).
Ma restiamo a terra, che è meglio. Il vicepremier, elencando, ha detto: nè gratta e vinci, nè sigarette, solo beni di prima necessità .
Già è discutibile dire, in punto di diritto, come è stato fatto, che quei soldi si possano spendere solo in Italia.
Ora il Grande fratello del reddito di cittadinanza dà la lista della spesa.
Chiediamo: un cinema, un giornale, un libro, una gita fuori porta, non la vogliamo dare ai beneficiati da cotanta magnanimità del governo del cambiamento?
Una cravatta, un bel vestito, un jeans, un paio di scarpe perchè magari per vivere meglio ci si vuole anche vestire meglio, abbellire, moralmente, ci mancherebbe.
Ecco, per andare dove? Se invece di regali, regalie, liste, spese immorali e non il vicepremier spiegasse come si crea, davvero, lavoro, sarebbe meglio.
Ma questo, è troppo.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
CI CASCA ANCHE LUCA BIZZARRI, ORMAI DA TONINELLI C’E’ DA ASPETTARSI DI TUTTO
«Anche oggi al lavoro per migliorare la rete ferrotranviaria in Italia, ancorata a vecchi sistemi di logica urbanistica di collegamento tra città e non tra modi di vivere».
A scrivere non è il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ma un suo riuscitissimo fake: Danilo Toninellli (con tre elle).
Il concentratissimo Toninelli è uno dei ministri con il più alto numero di fake sui social, sia su Facebook che su Twitter, proprio a causa delle sue dichiarazioni spesso talmente assurde da non poter essere vere.
In molti hanno dovuto controllare di aver sentito bene quando il vero Toninelli dichiarò che il nuovo ponte Morandi sarebbe stato «un luogo di incontri, in cui le persone si ritrovano, in cui le persone possono vivere possono giocare, possono mangiare».
L’aveva detto davvero? Davvero il ministro delle Infrastrutture pensava che un viadotto autostradale sospeso a 40 metri d’altezza con vista su un’area industriale potesse diventare un grazioso centro commerciale?
Sì, l’aveva detto davvero, e il giorno dopo ci ha tenuto anche a spiegare che gli ignoranti erano quelli che non avevano capito il suo genio.
In fondo Ponte Vecchio, il Ponte di Rialto e il Ponte di Galata sono tutti ponti dove si transita, certo, ma si vive. E perchè non dovrebbe esserlo il viadotto sul Polcevera?
Il post pubblicato ieri da Toninellli (quello con tre elle) fa proprio il verso a quell’uscita involontariamente comica del ministro.
Ne imita lo stile letterario — un verbale dei Carabinieri redatto in maniera entusiastica e letto con tono affettato — e il ricorso a contrapposizioni inventate solo per far notare la differenza con quelli di prima che costituiscono la cifra della propaganda a 5 Stelle. C’è poi la neolingua governativa figlia del marketing più becero: quella che parla di decreto dignità , di manovra del popolo o di pace fiscale. Ecco quindi che i treni devono essere, per il clone, collegamenti tra modi di vivere.
C’è poi la commovente (e inventata) storia di “Nando”, il signore che in stazione ha voluto salutare il ministro poggiando la mano sul finestrino del treno.
Uno scatto commovente (e vero) postato su Facebook dal vero Toninelli.
Per il clone “Nando” «era paralizzato su una sedia a rotelle, poi ha ripreso a camminare grazie alla speranza». La stessa speranza che il governo del cambiamento ha ridato agli italiani.
Non mancano altre parole d’ordine del cambiamento: ecosostenibilità e vicinanza alle famiglie italiane.
Non era difficile capire che era un fake, gli elementi c’erano tutti a partire dal nome storpiato. Ma l’autore è riuscito a creare la suspension of disbelief e trarre in inganno anche i solutori più abili.
Ad esempio Luca Bizzarri che prima ha twittato il post del finto Toninelli e poi lo ha cancellato sostituendolo con una riflessione sulla difficoltà di distinguere un profilo fake da uno reale perchè i falsi sono così vicini a quelli veri che è facile confonderli.
Non è proprio poi così facile ma il ragionamento di fondo è che da uno come Toninelli ormai il pubblico dei social è pronto ad aspettarsi di tutto.
Del resto è stato il vero Toninelli, non il suo Doppelgà¤nger, a giustificare la condanna per bancarotta di Gaetano Intrieri, consulente del MIT spiegando che «La condanna è per un fatto che ha salvato una società . E quindi potrebbe essere equiparabile ad un atto di coraggio fatto per non far andare in mezzo a una strada dipendenti e familiari di questi dipendenti». Peccato che la società sia fallita nel 2004.
Ed è sempre Toninelli che scherza su una cosa serissima che riguarda la tragedia di Genova come la revoca della concessione ad Autostrade con un tweet in cui annuncia la revoca della concessione al suo barbiere.
Il ministro poi ha parlato di pressioni subite da parte dei concessionari, ma quelle erano semplicemente diffide inviate per altro al suo predecessore.
Per tacere di tutta la pantomima sui porti chiusi senza alcun decreto e sulle richieste all’Olanda di far rientrare le imbarcazioni di alcune Organizzazioni non governative olandesi.
Insomma su Toninelli non ci sarebbe nemmeno bisogno di fare satira. E a dimostrazione di questo il vero Toninelli chiudeva il post di ieri spiegando che il suo «è il ministero del viaggio».
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
I GRILLINI NON VOGLIONO GEMME, I LEGHISTI DICONO NO A CINGOLANI, I GENOVESI VIVONO SULLA LORO PELLE L’INDECENZA… D’ALTRONDE LI HANNO VOTATI, ORA SE LI GODANO
I Cinque Stelle puntano sul direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia Roberto Cingolani per la nomina a commissario per la ricostruzione del ponte Morandi.
La scelta sembrava fatta, ma all’ultimo si è messa di traverso la Lega e ora la situazione è quanto mai incerta.
In mattinata pareva salito nuovamente il gradimento nei confronti di Claudio Gemme, il manager genovese indicato per primo dal governo, ma su cui si erano però immediatamente sollevati i dubbi circa i suoi conflitti d’interesse.
Gemme, infatti, è presidente di Fincantieri Sistemi Integrati, società del gruppo Fincantieri che avrà un ruolo di primo piano nella ricostruzione del ponte.
La sua famiglia è inoltre proprietaria di una casa nella “zona rossa” e questi elementi avrebbero sollevato riserve sul suo nome.
Il vicepremier Luigi Di Maio aveva però spiegato di avere soltanto il suo nome in agenda.
In serata però è tornato nuovamente a circolare con insistenza il nome di Cingolani, che piace al Movimento 5 Stelle, ma ha un gradimento trasversale a Genova per il suo lavoro di guida dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Scienziato e manager, Cingolani ha un incarico che da anni lo porta al confronto quotidiano con le istituzioni locali.
Per sbloccare una situazione che rischiava nuovamente di impantanarsi, mentre sembravano riprendere quote nomi istituzionali come il sindaco di Genova Marco Bucci e il presidente della Liguria Giovanni Toti, sarebbero però stati direttamente il premier Giuseppe Conte e il vice Luigi Di Maio a optare sulla soluzione-Cingolani. Fino all’intervento della Lega.
E Genova assiste all’indecoroso spettacolo
(da agenzie)
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Ottobre 3rd, 2018 Riccardo Fucile
“TORNATENE AL TUO PAESE” E GLI RUBANO IL PORTAFOGLIO IN NOME DEL “PRIMA GLI ITALIANI”
Un uomo di 31 anni, originario della Costa D’Avorio, è stato aggredito per rapina a Dinegro da quattro giovani.
Secondo quanto ricostruito dalla polizia i quattro dopo averlo accerchiato lo hanno aggredito e derubato di tutto quanto aveva in tasca.
Trovandolo in possesso solo di un documento d’identità lo hanno insultato intimandogli di tornare al suo paese.
Sull’accaduto indaga la squadra mobile che sta cercando di risalire agli autori dell’aggressione. Potrebbe essere contestata l’aggravante dell’odio razziale.
(da “il Secolo XIX”)
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