Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
E’ IL FRUTTO DEL LASSISMO VERSO I FOMENTATORI DI ODIO CHE IMPAZZANO IN POLITICA E SUI SOCIAL
E’ stato arrestato l’uomo che ha aperto il fuoco all’interno della sinagoga “The Tree Life” di Pittsburgh, causando sei feriti e diversi morti: otto le vittime secondo il bilancio della tv Cbs.
Il fatto è accaduto intorno alle dieci del mattino e la dinamica non è ancora chiara. Secondo le prime ricostruzioni quando la polizia è intervenuta nella sinagoga erano ancora barricate diverse persone, che sono state fatte uscire con l’aiuto degli agenti. Anche contro di loro ha sparato l’assalitore: quattro poliziotti sono stati feriti.
Nella conferenza stampa seguita all’evento, il capo della polizia di Pittsburgh ha parlato di sei feriti ma non ha voluto rilasciare cifre ufficiali sui morti: otto, secondo Cbs, almeno quattro per la CNN.
Il poliziotto si è limitato a dire che all’interno della sinagoga ha visto “una delle peggiori scene a cui io abbia assistito nella mia vita”.
Secondo l’inviata dell’emittente radio Kdka, al momento dell’arresto l’uomo che ha sparato ha urlato insulti e ingiurie. Agli agenti delle forze speciali avrebbe urlato, “Tutti questi ebrei devono morire”.
Si tratta di Robert Bowers, 46 anni, un fanatico dell’estrema destra.
L’assalitore, 46enne, portava un AR-15, il fucile semiautomatico usato molto spesso nelle stragi che insanguinano gli Stati Uniti, una pistola Glock e altre due armi alla caviglia e al fianco.
Bowers, era attivo su Gab, social media popolare fra l’ultradestra, la sua pagina è stata cancellata ma – riportano i media americani – gli archivi dei suoi post hanno rivelato commenti anti-semiti, fra i quali la scritta «gli ebrei sono figli di satana». In uno dei suoi ultimi post prima della sparatoria scriveva che alla no profit Hebrew Immigrant Aid Society «piace portare invasori per uccidere la nostra gente».
La zona dove è avvenuta la sparatoria, il quartiere di Squirrel Hill, è storicamente abitata dalla comunità ebraica. La sinagoga colpita appartiene all’Albero della vita, storica congregazione ebraica del movimento conservatore, fondata in questa città nel 1846.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
A MELENDUGNO STRAPPANO LE SCHEDE ELETTORALI… CAMPAGNA SOCIAL PER CHIEDERE LE DIMISSIONI DEGLI ELETTI M5S
“Anche Conte sbaglia. Non ci possono essere penali, semplicemente perchè non esiste alcun contratto tra Stato e TAP”, questo il commento dei senatori Lello Ciampolillo e Saverio De Bonis e della deputata Sara Cunial, del M5s dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio, che ha spiegato perchè non si può tornare indietro sulla costruzione del gasdotto in Salento.
“Non ci possono nemmeno essere costi a carico dello Stato, semplicemente perchè, non essendovi ad oggi il rispetto delle prescrizioni da parte di TAP, non vi può essere responsabilità dello Stato. Continuiamo ad avere fiducia nella magistratura”, hanno continuato i parlamentari.
*I No Tap, intanto, dopo l’ufficialità del via libera ai lavori, hanno lanciato una campagna social per chiedere le dimissioni degli esponenti del M5s eletti in Salento proprio con la promessa che l’infrastruttura non sarebbe mai stata portata a termine.
I volti dei destinatari della campagna, tra cui figura anche il premier Conte, vengono raffigurati al centro di due loghi, il primo recante la scritta “No Tap, nè qui nè altrove”, il secondo “Sì Tap, sia qui che altrove”.
Gli attivisti accusano di tradimenti gli eletti grillini che, affermano, dopo aver fatto della battaglia contro il gasdotto il tema “madre” delle rispettive campagne elettorali, ora hanno cambiato idea.
Gli attivisti hanno diffuso un video si vede una donna strappare la propria scheda elettorale, in segno di protesta.
Per domani, 28 ottobre, è stata indetta una manifestazione davanti alla Torre di San Foca di Melendugno, dove approderà il terminale del gasdotto. I No Tap hanno invitato a partecipare alla manifestazione anche il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, chiamata a portare la documentazione che attesta l’esistenza delle penali da pagare nel caso in cui il gasdotto venisse bloccato dal Governo.
“Chiederemo davanti ad un luogo simbolo della nostra lotta – dice Gianluca Maggiore leader No Tap – le dimissioni di chi, davanti a quella Torre, ha speculato per un pugno di voti, gridando falsità “.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
“IMPARI A PARLARE DA STATISTA INVECE CHE DA ASILO MARIUCCIA O DA OSTERIA, LA SMETTA DI FARE LO STRUZZO PER NASCONDERE LA REALTA’ DEI NUMERI”
Marco Travaglio sul Fatto di oggi se la prende con Luigi Di Maio per l’attacco del vicepremier a Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, mentre la faccenda della Manovra del Popolo prende una piega ancora più complicata:
“Draghi avvelena il clima invece di tifare per l’Italia”. Questa replica di Luigi Di Maio alle dichiarazioni del presidente della Bce denota una buona dose di infantilismo e di inadeguatezza. E non è degna di un vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo. Ma neppure di un leader politico che dovrebbe essere sintonizzato con i cittadini o, quantomeno, con i suoi elettori.
Chiunque abbia qualche euro da parte, incluso chi vota 5Stelle e Lega, è allarmato dallo spread che non accenna a calare e per le turbolenze e le speculazioni sui mercati che portano con sè i guai delle banche imbottite di titoli di Stato e i declassamenti del nostro mostruoso debito pubblico. Cioè danneggiano le tasche non degli speculatori, che anzi ci campano, ma dei risparmiatori, che ci rimettono. E anche il più gialloverde dei risparmiatori sa benissimo che cosa merita di essere ascoltato fra le analisi argomentate di Draghi e le repliche sgangherate dei ministri italiani.
La requisitoria del direttore del Fatto è piuttosto netta:
Se non vogliono stare nè con chi ha rovinato l’Europa nè con chi vorrebbe distruggerla definitivamente, ma con chi vuole cambiarla seriamente, i 5 Stelle dovrebbero cambiare linguaggio e uscire dall’infantilismo che ieri ha portato Di Maio a mandare a quel paese Draghi, cioè l’unica autorità europea che non fa campagna elettorale contro l’Italia e tenta, per quel che può, di aiutarla. Dargliene atto e comportarsi di conseguenza, magari iniziando a pensare a una patrimoniale, non significa ritirare o stravolgere la manovra, cedere ai diktat dell’Ue, dei mercati e dello spread. Significa guardarsi dai veri nemici, distinguerli dagli amici insospettabili, parlare un linguaggio da statisti e non da asilo Mariuccia o da osteria, smetterla di fare gli struzzi per esorcizzare la dura realtà dei numeri. Cioè fare gli interessi del tanto strombazzato “popolo”.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
IN PIAZZA SI URLANO SLOGAN E SI DISCUTE DEI PROGETTI INIZIATI E MAI PORTATI A TERMINE : “RAGGI DIMETTITI”
Sono migliaia in piazza del Campidoglio. Hanno portato con loro striscioni, musica e la voglia di fare qualcosa per la loro città , Roma.
La manifestazione “Roma dice basta” è cominciata: i toni sono quelli di una protesta, ma anche di una festa, con la banda che suona e i cittadini che battono le mani a tempo.
“Vogliamo la Raggi”, urlano alcuni cittadini. Ad un certo punto parte un coro contro la sindaca con una sola, chiara, parola: “Dimissioni”. In piazza si gridano slogan ma si discute anche dei progetti cominciati e mai portati a termine, del traffico impazzito, dell’immondizia che riempe le strade, del degrado che sta prendendo piede sempre di più nella Capitale d’Italia.
“Siamo di fronte anche a un progressivo imbarbarimento psicologico perchè vivere ogni giorno la lotta contro le cose che non funzionano come dovrebbero ti abbrutisce, ti frustra”, ha scritto Francesca Barzini, giornalista, una delle sei organizzatrici dell’evento. E i cittadini, per il momento, stanno rispondendo in maniera positiva al loro appello ad essere in piazza per fare qualcosa per Roma.
“Vogliamo che Roma torni a essere una Capitale: inclusiva, vivibile, accogliente, con un’idea di futuro”, spiega il comitato promotore del sit-in.
L’iniziativa è nata da un appello su Facebook partito dal gruppo ‘Tutti per Roma. Roma per tutti’ che – come spiega una delle promotrici, Martina Cardelli – conta 22mila iscritti.
Si tratta di un gruppo civico “formato da sei donne romane, ognuna con il suo lavoro e con la propria famiglia” che promuove “l’idea della partecipazione civica come elemento di pressione nei confronti delle istituzioni per migliorare la città “.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
BOCCIA BASTONA LE PAROLE DI DI MAIO: “IMPARI AD ACCETTARE LE CRITICHE”
Gli attacchi rivolti dal vicepremier Luigi Di Maio contro Mario Draghi “non hanno alcun senso”.
Con queste parole il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, a margine della Festa del Foglio, ha commentato la frase che il ministro dello Sviluppo economico aveva rivolto contro il governatore della Bce .
“Non mi sembra che Draghi sia contro l’Italia. La questione del quantitative easing è nell’interesse dell’Italia – ha continuato il vertice di Confindustria – Abbiamo un presidente di una Banca centrale che ha salvato l’Italia, non mi sembra affatto che sia contro il nostro Paese. Il problema è accettare le critiche e capire cosa c’è dietro e cercare di costruire e migliorare”.
Luigi Di Maio aveva accusato Draghi di avvelenare il clima politico tra Italia e Unione europea: “Secondo me siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente”, aveva detto nella registrazione della puntata della trasmissione Nemo, su Rai2.
Il presidente di Confindustria ha poi commentato la manovra messa a punto dal governo, che è stata bocciata dalla Commissione europea: “Occorre un dialogo e un confronto serrato con l’Europa, occorre far capire all’Europa che sulla crescita ci si gioca una grande sfida, ma non si può dire che si accetta il dialogo ma non ci si muove su nulla, perchè che dialogo è, se parti già con questo pregiudizio”, ha sostenuto, sottolineando poi il rischio dell’aumento del debito pubblico che la misura pensata dal governo porterà con sè.
L’esecutivo ha più volte ripetuto che questa manovra è stata voluta per spingere sulla crescita, ma se la crescita non dovesse arrivare?
Per Boccia, a quel punto, al governo non resterà che assumersi la responsabilità della propria scelta: “Se tra qualche mese la crescita non arriva e ci sarà anche meno occupazione, il Governo si giocherà una sua credibilità . Non vorrei che si usasse sempre l’alibi delle colpe degli altri”.
Nei mesi scorsi il presidente di Confindustria aveva più volte paventato l’ipotesi di una mobilitazione degli imprenditori. Una possibilità , questa, che non è stata ancora scartata: “Sono tutte ipotesi possibili – ha affermato – il problema è l’alternativa. Se serve a far cambiare idea, se ne può parlare. I risultati di questa manovra sono oggetto di responsabilità di questo governo, non vorremmo che tra qualche mese non ci siano e la colpa è dell’Europa o di altri. Questo governo deve cominciare a fare i conti con le proprie responsabilità , dopodichè i corpi intermedi dello Stato possono fare molto in termini di proposte, di protesta, di denuncia di criticità , in toni più accesi o meno. Ma i contenuti sono questi. Non è nei toni che si fa la differenza ma nella capacità di capire che ci sono alcune criticità e nel caso cambiare”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
LE NUVOLE ALL’ORIZZONTE PEGGIORANO SE LA MANOVRA RESTA QUESTA… L’AGENZIA DI RATING NON CREDE AL TASSO DI CRESCITA ANNUNCIATO DAL GOVERNO
Italia, i grandi problemi si avvicinano. Per ora nessun declassamento, ma le nuvole nere sono all’orizzonte e dense. Quello emesso da Standard&Poor’s sull’affidabilità del debito è un verdetto mite se si guarda all’oggi, ma allarmante se lo sguardo si volge al futuro imminente, a quello cioè che diventerà presente quando e se la manovra entrerà in vigore così come è stata disegnata dal governo gialloverde.
Cosa ha deciso S&P? Il rating è stato confermato a BBB, mentre l’outlook è stato rivisto al ribasso, da stabile a negativo.
L’Italia resta a due gradini dal livello “spazzatura” e le prospettive negative possono portare a un potenziale declassamento tra qualche mese.
Se il presente, infatti, è più o meno salvo, il futuro dell’Italia per S&P è pieno di incognite.
E nel mirino dell’agenzia di rating c’è il piano economico del governo che “rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia”. Altro colpo diretto a uno dei pilastri dell’impianto definito da Lega e 5 Stelle con la Nota di aggiornamento al Def e la manovra: la super crescita stimata già a partire dal prossimo anno, fissata all’1,5 per cento.
Per Standard&Poor’s le previsioni sono “ottimistiche”. Quelle dell’agenzia di rating sono riviste al ribasso: 1,1% quest’anno e anche il prossimo. In precedenza erano molto più alte, con un Pil stimato a 1,4% per tutti e due gli anni.
Sterilizzata la teoria della crescita ipertrofica cade anche l’altro punto fermo dei piani del governo, cioè che il super Pil porterà all’abbassamento del debito proprio in relazione al Pil.
A cascata anche il rapporto deficit-Pil – il pomo della discordia tra il governo e la Commissione europea – sarà più elevato: non 2,4%, ma 2,7 per cento.
Oltre alla cornice descritta, quindi, come precaria e debole, il giudizio dell’agenzia di rating impatta anche nel merito della manovra.
La quota 100 per il superamento della legge Fornero in materia di pensioni, “se attuata in pieno invertirà i guadagni della precedente riforma e minaccia la sostenibilità di lungo termine dei conti pubblici”, si legge nella nota dell’agenzia di rating.
C’è – guardando a una prospettiva più larga – la messa in discussione di quelle “misure politiche che annullano o compromettono le precedenti riforme economiche strutturali o che ampliano ulteriormente il deficit di bilancio”.
Un accento negativo sostanziale perchè — spiega l’agenzia di rating — queste scelte “hanno indebolito la fiducia degli investitori”. Lunedì è già tempo di un nuovo esame da parte dei mercati.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
GLI ATTIVISTI NO TAP: “MEGLIO SE LEZZI E CONTE QUI NON SI PRESENTINO”
Ogni provvedimento ha la sua fronda. Ogni ministro ha i suoi ministri ombra. Ogni detto ha il suo contraddetto.
E tutto si gioca dentro il Movimento 5 Stelle: governo e opposizione.
Il malcontento nei confronti dello stato maggiore grillino, che siede nel consiglio dei ministri, è trasversale. È sì riconducibile a quell’area vicina a Roberto Fico ma restringere tutto al presidente della Camera sarebbe riduttivo se si pensa che tale dissenso sul merito dei provvedimenti, dal decreto fiscale a quello sicurezza, non si era mai visto prima.
Per non parlare del caso Tap che dentro il Movimento ha aperto una spaccatura tra attivisti e parlamentari pugliesi, tra questi ultimi e il governo che ha appena dato il via libera al gasdotto.
Il decreto fiscale è solo l’ultimo caso divampato quest’oggi. Carla Ruocco si è vista poco a Italia 5 Stelle. Sabato sera ha fatto un breve passaggio al Circo Massimo, domenica invece totalmente assente. Erano le ore più calde sul condono fiscale, quelle del consiglio dei ministri e l’ingresso trionfante di Luigi Di Maio, che ha evitato un condono di due milioni e mezzo per chiudere l’accordo sul mezzo milione, non ha convinto diversi grillini.
A distanza di qualche giorno la presidente della commissione Finanze della Camera Carla Ruocco e il senatore dell’omologa commissione Elio Lannutti dicono che “il decreto dovrà essere modificato rispettando i principi ispiratori del Movimento 5 Stelle. Molte delle disposizioni del provvedimento all’esame del Senato sono contrarie ai nostri valori” che sono invece “duri ed intransigenti nel contrasto dei soggetti che frodano l’erario”.
Davanti all’ennesima critica e presa di distanza, Di Maio si infuria.
Di fronte alle telecamere prova però a mantenere il sangue freddo cercando di smorzare la polemica. Le critiche di Ruocco e Lannutti? “Chiaramente significa che non ci provi nessuno a buttarci dentro nessuna schifezza”, dice il vicepremier.
Il problema però per Ruocco non è ciò che eventualmente sarà inserito dal Parlamento, piuttosto la deputata M5s, da sempre vicina a Roberto Fico, vede come fumo negli ciò che è stato licenziato dal consiglio dei ministri.
Le parole del capo politico non sembrano sufficienti a circoscrivere la fronda, anche perchè oggi è intervenuto lo stesso presidente della Camera sul tema sicurezza: “Anche nei momenti difficili – ha detto in una replica indiretta a Matteo Salvini sul caso dell’omicidio di Desirèe – non ci vogliono ruspe ma più amore e fatica nelle idee e nella partecipazione. Essere costantemente nei quartieri difficili senza lasciare mai nessuno solo”.
Nei giorni scorsi era stato il senatore Gregorio De Falco, insieme a Paola Nugnes e a Elena Fattori, a dire “no” ad alcune delle norme contenute nel decreto sicurezza rifiutandosi di ritirare i suoi emendamenti che stravolgono il provvedimento voluto da Matteo Salvini e approvato dal consiglio dei ministri.
Oggi la battaglia continua.
Come se non bastasse è stata depositata un’altra proposta di modifica che rende obbligatorio e vincolante il parere dell’Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati, Unhcr, sulla lista dei paesi sicuri mettendo così un’altra mina sulla strada del del provvedimento Salvni.
La sinistra grillina, sensibile al tema dell’immigrazione, potrebbe farsi sentire nel voto parlamentare.
Già De Falco giorni fa ha annunciato il suo voto contrario se il testo rimarrà così com’è e, di fronte al pericolo di vedere al Senato un vero e proprio gruppo organizzato con l’intento di mandare sotto il governo, Di Maio ha mandato i suoi emissari per parlare con i più critici.
Da una parte del tavolo di un bar nei pressi di palazzo Madama si sono seduti Cristina Belotti – portavoce di Luigi Di Maio – e Dario De Falco, caposegreteria di palazzo Chigi e braccio destro del leader del Movimento 5 Stelle.
Dall’altra parte i senatori De Falco, Nugnes e Morra. La discussione è stata piuttosto animata e non risolutiva, tanto che De Falco ieri sera ha incontrato anche il premier Giuseppe Conte.
Mentre divampa ancora la polemica sul decreto sicurezza è scoppiata una nuova guerra interna sul gasdotto Trans-Adriatico.
Il ministro Costa e il premier Conte annunciano che il Tap si farà perchè non ci sono profili di irregolarità . I parlamentari pugliesi M5s Lello Ciampolillo, Saverio De Bonis e Sara Cunial scoppiano di rabbia: “Sulla Tap il ministro Costa sbaglia ancora. La mancata ottemperanza di varie prescrizioni risulta evidente. Confidiamo quindi nel lavoro della magistratura”.
Il ministro leccese Barbara Lezzi, da sempre No-Tap, che su questo territorio ha vinto una campagna elettorale anche grazie al no al gasdotto, aveva garantito che insieme a Conte sarebbe andata in Puglia per annunciare quanto deciso.
Oggi Loredana Fasano del Meet up di Bari dice: “È meglio se da queste parti non si fanno più vedere”. E tutti gli attivisti chiedono le dimissioni dei parlamentari pugliesi, a loro volta in piena polemica con il governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
IN SEI MESI 44 DONNE ITALIANE MASSACRATE E UCCISE DA ITALIANI… QUANDO LA SEDICENNE NOEMI FU SEPOLTA VIVA DAL SUO FIDANZATO, DOV’ERANO SALVINI E I SUOI COMPAGNI DI MERENDA?
“Che un italiano violenti una donna lo posso sopportare, che lo faccia uno straniero no”, diceva una settimana fa un vecchio razzista di Cascina a Piazza Pulita, paese della Toscana dove governa la sindaca leghista Ceccardi.
Dirò una cosa forse un po’ forte, ma io penso che ci sia un pezzo d’Italia, rappresentato da chi sta oggi al governo, che il significato mostruoso di questa frase lo abbia metabolizzato. Che lo pensi, ma non abbia, al contrario di quel signore, il coraggio di dirlo.
Perchè se posti, twitti, manifesti e strepiti solo quando una violenza viene commessa da uno straniero, implicitamente fai passare il messaggio che le violenze commesse dagli italiani sono fisiologiche. Perchè io, cittadino semplice, vedo il vice primo ministro che condanna sempre e solo le violenze degli stranieri.
Dietro la punta – Salvini – c’è poi l’iceberg, cioè il suo seguito. Perdonate, ma io – che in questi giorni sto scrivendo, parlando, manifestando affinchè Desirèe abbia verità e giustizia – l’ipocrisia non la sopporto.
Poco più di un anno fa, Noemi, sedici anni, di Specchia, in provincia di Lecce, fu brutalmente uccisa a pietrate e sepolta tra i sassi dal suo fidanzato. Sepolta viva. Sì, avete capito bene, fu sepolta viva – dopo essere stata picchiata e trascinata – dal suo fidanzato mentre lei le gridava di fermarsi. Il suo cadavere fu occultato per dieci giorni, prima di essere ritrovato.
Sapete poi quante sono le donne uccise da ex mariti o compagni solo nei primi sei mesi del 2018? 44.
In quanti ricordano il nome di queste donne? In quanti ricordano le prese di posizione di quelli che ora fanno la morale?
Dov’era Salvini e dov’erano tutti quelli che ora strepitano?
Perchè, sinceramente, non ricordo di averli visti al nostro fianco mentre denunciavamo i femminicidi e chiedevamo una riflessione sulla società maschilista in cui viviamo, sui dati Istat che parlano di oltre sei milioni di donne che hanno subito molestie nella loro vita, sulla proposta di introdurre l’educazione sentimentale a scuola, sui finanziamenti ai centri antiviolenza.
Non c’erano, al nostro fianco e di quelle famiglie.
Non c’erano nemmeno quelli del “prima gli italiani” e “dell’Italia agli italiani”. Nessuna manifestazione di Casapound, nessuna presa di posizione contro la violenza maschile, nessuna proposta di legge.
Niente di niente. Solo una maledetta ipocrisia che li fa scendere in piazza a giorni alterni, quando gli conviene a fini elettorali.
Si manifesti per Desirèe, si lotti perchè non accada più, si tenga ferma la complessità e non ci si arrenda agli slogan, come stiamo facendo in questi giorni.
Ma si continui a farlo anche alla prossima violenza.
Quando il ministro dell’Interno farà finta di non vedere che un uomo italiano ha ammazzato una donna italiana, quando i giornali daranno la notizia con due righe in cronaca locale, quando i razzisti si volteranno altrove.
Facciamo in modo che la prossima volta (sperando che non ci sia mai) accanto a quelle famiglie, accanto a quelle donne, non si sia ancora una volta pochi, ma tanti, tantissimi. A dimostrare che alla loro maledetta ipocrisia noi rispondiamo con la credibilità di un’Italia che alle donne vuole bene davvero, non solo quando a commettere i reati è uno straniero.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 27th, 2018 Riccardo Fucile
LO SPOT DELLA MINISTRA BONGIORNO NON IMPEDIRA’ CHE UNO SI FACCIA RICONOSCERE DALLE IMPRONTE E POI ESCA PER ANDARE A PESCA… CHISSA’ COME MAI NEL SETTORE PRIVATO SI VERIFICA CHI E’ ASSENTE SENZA TANTE ELUCUBRAZIONI MENTALI
In questi giorni si sente parlare dell’intenzione del ministro Bongiorno di voler introdurre in tutti i comuni d’Italia sistemi biometrici per registrare la presenza degli impiegati a lavoro.
Prima di fare una riflessione è necessario capire cos’è un processo di riconoscimento. Nel mondo dell’informatica, l’autenticazione è quel processo con il quale riconosciamo chi effettua un accesso, ad esempio ad un sistema o ad un programma ma anche per aprire una porta altrimenti chiusa o dimostare la presenza sul luogo di lavoro.
Riconoscere la persona che sta dall’altra parte del terminale si può fare di base in tre modi: in base a ciò che sa, in base a ciò che ha, in base a ciò che è.
Per capirci meglio, in base a ciò che sa è la vecchia e cara password: solo la persona che detiene un certo nome utente conosce la password associata, e quindi confidiamo che se la inserisce correttamente ci sia lei seduta alla tastiera.
In base a ciò che si ha invece, l’individuo si riconosce perchè possiede qualcosa che le è stato precedentemente assegnato, ad esempio un badge, il classico cartellino con il quale molti dipendenti, pubblici e non, si presentano al lavoro utilizzandolo in entrata ed in uscita e che è l’argomento che sta a cuore al ministro.
L’ultimo sistema, ciò che si è, non è niental’altro che il riconoscimento fisico della persona che si implementa con la biometria, cioè il riconoscimento di una parte unica, caratteristica e indivisibile del nostro corpo (e come tale non si può cambiare come una password o sostituire come un badge, in caso di furto del dato biometrico son dolori!).
I sistemi di accesso biometrico più diffusi utilizzano l’impronta digitale, la lettura della retina, o il riconoscimento facciale per capire chi sta di fronte all’apparato.
Detto questo è interessante notare come tali sistemi siano diffusi nei sistemi informatici in modo proporzionalmente inverso dalla vita di noi umani: ci capita in ogni momento della nostra giornata di essere riconosciuti dagli altri per ciò che siamo, chi ci conosce ci vede, vede la nostra faccia, riconosce il nostro corpo, anche al telefono viene riconosciuta la nostra voce o al videocitofono il nostro viso.
Noi umani siamo delle macchine di riconoscimento biometrico viventi ed esercitiamo questa capacità ogniqualvolta incontriamo qualcuno.
Più raramente ci viene richiesto di autenticarci in base a ciò che abbiamo, ad esempio questi sistemi di home-banking dove ci viene fornito un “token”, un dispositivo che genera numeri in pratica, oppure tramite smart-card da inserire in appositi lettori. Rarissimi poi i casi dove qualcuno ci chiede una parola chiave per essere riconosciuti, forse qualche buontempone o amante delle atmosfere delle spy-story anni ’60 usa una parola d’ordine o una frase segreta per farci entrare ad un festa o accedere ad un club privato.
Concludendo, la vita “reale” è esattamente opposta alle pratiche della vita “digitale”. Detto questo, tralasciando il fatto che ci possono essere processi di autenticazione più complessi realizzati con un misto di queste tecniche (ad esempio richiedo un badge ma devo anche inserire un pin, cioè una password) e senza addentrarci sul fatto che i vari processi hanno pecche e criticità differenti, torniamo al caso della volontà della ministra di volere implementare sistemi biometrici, riconoscere quindi “ciò che si è”.
Non entriamo nel discorso se sia giusto considerare i dipendenti pubblici tutti assenteisti, non entriamo neppure nell’analisi se i comuni italiani abbiano fondi per cambiare diverse migliaia di timbratori (ogni ente ne ha spesso più di uno già nei piccoli comuni, figuriamoci in quelli di grandi dimensioni) con tutto quello che ci va dietro per trattare con la dovuta cura dati sensibili come quelli biometrici… ma alla luce di quanto sovraesposto sui sistemi di autenticazione e riconosciuto l’uomo come la “macchina” che più si avvicina alla perfezione per il riconoscimento degli individui, non si può semplicemente imporre ai vari capiufficio, dirigenti e varie figure apicali (e perchè no agli stessi colleghi?) di verificare o meno la presenza a lavoro dei sottoposti?
Perchè demandare alla macchina quello che l’uomo sa fare benissimo?
Si potrebbe obiettare che in un ente grande non ci si conosce tutti anche se si appartiene allo stesso ufficio, o che l’elevato numero di persone rende impraticabile l’idea, tuttavia mi si consenta di replicare che stranamente nel mondo privato ci riescono benissimo a verificare se qualcuno è assente, o, alla peggio, che si proponga di inserire dispositivi biometrici solo in enti di grandi dimensioni, perchè estendere a tutti i comuni ed enti d’Italia?
Infine, signor Ministro, si lasci dire che spendere milioni di euro e introdurre criticità non risolve il piccolo particolare che al lavoro ci si può andare benissimo, farsi riconoscere dalla macchina, e poi andare a pesca o a fare la spesa esattamente come qualcuno faceva prima.
A quando il chip sottopelle con la geolocalizzazione?
(da “NextQuotidiano”)
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