Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
CONTE: “LE FIBRILLAZIONE DEI MERCATI POSSONO METTERCI IN DIFFICOLTA'”… E L’APPRODO IN AULA DELLA LEGGE DI BILANCIO SLITTA ANCORA
Il governo saebbe pronto a rimodulare la manovra, in modo da risparmiare fino a 5 miliardi e da spingere il rapporto tra il deficit e il Pil addirittura verso il 2,1%. L’agenzia d’informazione Adnkronos – che cita “autorevoli fonti di governo” – sostiene che l’Italia è pronta a fare un passo molto forte incontro alle richieste dell’Unione europea.
E secondo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, “non è affatto auspicabile” una procedura di infrazione Ue contro l’italia.
Parlando a Buenos Aires dove è per il G20, Conte ha detto che una procedura “ci pone in difficoltà anche per le fibrillazioni nei mercati” che verrebbero a crearsi. “Lo dico – precisa il premier – fermo restante che crediamo di essere nel giusto”.
Il fatto che l’economia italiana stia rallentando “è la conferma che dobbiamo assolutamente fare una manovra con il segno diverso – continua il presidente del Consiglio – Non possiamo andare in recessione. Dobbiamo crescere, rafforzando il piano per gli investimenti”.
Intanto i lavori parlamentari sono fermi in attesa di novità : Oggi è stato deciso un primo slittamento da lunedì a martedì. Ma gli emendamenti del governo, che non arriveranno prima di domani sera, generano un ulteriore rinvio a mercoledì.
Il governo ha comunicato che presenterà il suo pacchetto di modifiche non più domani mattina alle 9, ma domani alle 19.
(da agenzie)
argomento: finanziaria | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
RISCHIO EFFETTO TRASCINAMENTO E CRISI DI FIDUCIA PER IL 2019, ECCO PERCHE’ IL GOVERNO RISCHIA GROSSO (E STAVOLTA NON PER L’EUROPA MALVAGIA)
Immaginate una macchina che prova a prendere velocità su una salita e all’improvviso scivola indietro senza controllo. Il conducente è l’Italia, intesa come economia, forza produttiva, lavoro.
Il freno a mano è saltato e a certificarlo è l’Istat: dopo 14 trimestri consecutivi di crescita ritorna il segno negativo.
Accanto al conducente siede il copilota, cioè chi ha la responsabilità di guidare il Paese: il governo gialloverde. Il volante, ora, è estremamente scivoloso, difficile da raddrizzare perchè quel -0,1% registrato dal Pil nel terzo trimestre inverte un trend positivo che durava dal 2014.
È un blocco psicologico pesante nei numeri come nelle prospettive politiche. Più che la trattativa con l’Europa, sterilizzata seppure ancora fragile, è la caduta del Pil l’elemento di disturbo che può fare saltare in aria la strategia disegnata con la manovra.
Per capire il peso specifico elevato che ha questo elemento di disturbo sul governo occorre guardare ai numeri.
Cosa dicono? Una cosa essenzialmente e cioè che la retromarcia del Pil è dovuta principalmente a quanto sta accadendo dentro i confini nazionali.
La domanda interna si è incrinata e la crepa ha assunto una fisionomia trasversale, andando a intaccare sia i consumi che gli investimenti. Basta guardare alla spesa delle famiglie, in calo dello 0,1%, ma anche alla discesa degli investimenti, dove le spese per impianti e macchinari si sono ristrette del 2,8 per cento.
Tutte queste voci, insieme ad altre, rimandano alla spesa produttiva, quella cioè su cui si innesta la crescita del futuro. È qui che risiede il rischio per Lega e 5 Stelle.
Perchè se è vero che il freno a mano ha iniziato a cedere nel periodo compreso tra luglio e settembre – cioè quando il governo era in carica da pochi mesi – è altrettanto evidente che questo dato può innestare un effetto trascinamento duraturo come apprende Huffpost da fonti vicine a chi ha elaborato questi dati.
Quanto lungo questo effetto valanga? Nella prospettiva più breve, cioè fine anno – e anche meno problematica per l’attuale governo dato che la strategia della manovra parte dal 2019 – la crescita acquisita si fermerà allo 0,9%, lontana dall’1,2% previsto dall’esecutivo.
Guardando però al calendario che conta, cioè quello del prossimo anno, gli effetti potrebbero essere devastanti.
Perchè il disegno economico di Luigi Di Maio e Matteo Salvini poggia sulla crescita ipertrofica, fissata a +1,5 per cento. Raggiungere questa soglia è ora un obiettivo ancora più ambizioso. L’hanno detto e ripetuto le organizzazioni nazionali e internazionali, da Confindustria al Fondo monetario internazionale, lo ribadisce oggi l’Istat.
Fin qui l’argine del governo, secondo i due vicepremier, può reggere nel senso che la replica è “noi ce la faremo”. Lo ha sottolineato anche oggi il premier Giuseppe Conte proprio dopo la pubblicazione dei dati da parte dell’Istat: “Lo faremo crescere”. A ruota Salvini: “Nel 2019, con la nostra manovra fondata su più lavoro e meno tasse, l’Italia tornerà a crescere”.
Oltre la diatriba sul Pil c’è pero un effetto concatenato che si può sviluppare e a determinarlo è lo stesso schema messo a punto dal governo.
Nei numeri e nelle considerazioni politiche ribadite alla luce delle critiche alla manovra, infatti, Lega e 5 Stelle hanno sempre sottolineato il fatto che il deficit e soprattutto il debito caleranno proprio grazie al super Pil.
È la matematica perchè il rapporto debito-Pil e deficit-Pil è un rapporto tra numeratore e denominatore: se il denominatore cresce, impatta sul numeratore e il risultato finale è un calo del valore numerico. Quindi più il Pil cresce, più scendono debito e deficit. Se il Pil, però, si inceppa ecco che a saltare è l’intero schema.
Oltre ai numeri c’è anche un altro rischio.
I malumori delle forze produttive emersi nei territori, soprattutto al Nord, potrebbero deflagrare ulteriormente.
I dati del Centro studi di Confindustria parlano di un calo della produzione, a novembre, dello 0,5% su ottobre e dello 0,7% sull’anno. Il cuore del problema si evince dalle considerazioni che accompagnano i numeri: “Il calo dell’attività è coerente con l’andamento negativo del clima di fiducia degli imprenditori manifatturieri”. È un quadro che non può lasciare indifferente soprattutto la Lega, che al Nord ha il suo bacino elettorale più ricco.
In questo clima di pericoli e numeri negativi, il governo non intende smuoversi dalla sua strategia. Avanti con la considerazione che il reddito di cittadinanza e la quota 100 per le pensioni, insieme agli investimenti, spingeranno il Pil in su. Basterà aspettare insomma.
Per ora – e questa linea accomuna tanto Salvini quanto Di Maio – occorre sgomberare il campo dalle responsabilità del crollo del Pil nel terzo trimestre: la colpa è del governo Gentiloni, del Pd.
La ricetta alternativa è appunto la manovra ultraespansiva, ma i dubbi espressi nelle scorse settimane dall’Ufficio parlamentare di bilancio, come dalla Banca d’Italia piuttosto che dalla Commissione europea, restano.
Il prezzo economico che il governo ha messo nel conto per difendere la sua strategia è l’extra deficit che vuole strappare a Bruxelles.
Quello politico è ancora più largo nel senso di un disegno economico tutto puntato sulle due misure care a Salvini e Di Maio.
In questo clima si inserisce la trattativa con Bruxelles e le modifiche che si vuole concedere per provare ad evitare la procedura d’infrazione.
I lavori in corso sono limitati a un cantiere ristretto, dove la massima concessione può arrivare a uno 0,2% in meno di deficit. Salvini ha di fatto già portato a termine il suo lavoro con lo sgonfiamento imminente della quota 100, che costerà circa 5 miliardi invece di 6,7: non un grosso problema slittare di qualche mese le norme che permetteranno di andare in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi.
Di Maio, dal canto suo, annaspa.
Perchè depotenziare il reddito di cittadinanza significa arrivare forzatamente a una riduzione della platea dei beneficiari o a uno slittamento tardivo, troppo per i tempi imposti dalle elezioni europee di maggio, una dead line che i pentastellati non vogliono e non possono permettersi di superare.
Salvini è tentato di accelerare, inglobando quota 100 nella manovra con un emendamento al Senato. Così, però, lascerebbe Di Maio con il cerino in mano perchè il reddito di cittadinanza è ancora da confezionare.
Tentazioni, trattative nelle trattative, punzecchiature sibilline. Tutto dentro una strategia che però già scricchiola sotto i colpi di un Pil in caduta libera.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: denuncia | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
REGIONALI: ALLA LEGA LA SARDEGNA, A FORZA ITALIA IL PIEMONTE, A FDI L’ABRUZZO, D’ACCORDO E’ SOLO SULLE POLTRONE…LA MELONI FA INTESE CON FITTO, BERLUSCONI PUNTA SU MARA CARFAGNA COME COORDINATRICE DEL PARTITO
Per la serie: così è, se vi pare. Il grande teatro del centrodestra di governo e di opposizione. Sentite qua: Matteo Salvini fa trapelare che è “irritato”, anzi “molto irritato”, perchè il vertice ad Arcore doveva rimanere segreto. All’ordine del giorno c’erano le candidature alle prossime regionali, ma un vertice è un vertice e Arcore è Arcore, un simbolo, non un luogo geografico.
La casa di quel che fu il padre padrone del centrodestra, luogo poco adatto a chi si sente il nuovo. Apparsa la notizia, una mezz’oretta prima dell’incontro, l’irritato ha dato forfait: “Me ne sto con i miei figli”.
Il segreto violato avrebbe alimentato ricostruzioni maliziose, mettendo in difficoltà Di Maio, in un momento in cui è già in difficoltà di suo. Immaginate i titoloni sul “centrodestra” (come se esistesse ancora), gli articoli su una alleanza risuscitata per le regionali, dove i tre — intesi come Berlusconi, Salvini e la Meloni — rischiano di vincere ovunque, sondaggi alla mano. Proprio nella settimana nera di Di Maio: la settimana del decreto sicurezza approvato senza applausi, col dissenso di un pezzo di suoi, dell’umiliazione di Conte sul global compact, dei guai sull’azienda di papà .
Peccato che ad Arcore, spedito da Salvini, a trattate con Berlusconi e gli altri, c’era Giancarlo Giorgetti, il potente sottosegretario a palazzo Chigi, uomo forte del governo e della Lega. Non proprio una presa di distanza.
E c’era un sacco di gente, da Tajani a La Russa, per un incontro che non aveva nulla di segreto. Quante volte su regionali o altro si sono svolti incontri di questo tipo. Quelli segreti, segreti per davvero, si sono sempre fatti a quattr’occhi, e magari non a pranzo. Dunque, quel che pare — “irritazione” — non è. Quel che invece c’è è un accordo pressochè fatto.
Salvini non vuole più parlare del centrodestra, perchè vanno di moda tutte queste chiacchiere che destra e sinistra non esistono, “categorie vecchie” dicono, ora esiste il sovranismo, però si appresta a piazzare una caterva di governatori e assessori assieme a Berlusconi e alla Meloni, nelle regioni in cui vincerà .
La prima scrematura di nomi tra le varie terne è avvenuta. Ora gli “alleati” — chissà se si può dire o no — stanno valutando i nomi di Marco Marsilio in Abruzzo (dove la candidatura tocca a Fratelli d’Italia), del leader del partito sardo d’azione Christian Solinas in Sardegna (dove tocca alla Lega) e di Alberto Cirio in Piemonte, il parlamentare di Forza Italia col problemino del coinvolgimento nella Rimborsopoli piemontese.
C’è, in questo gioco delle parti di Salvini (e non solo), che prima non va perchè “irritato” e poi fa sapere c’è stata una telefonata cordiale con Berlusconi (più clandestina di un incontro) tutta l’ambiguità e la difficoltà di questo equilibrio gialloverde: governare con Di Maio e fare i comizi, di qui a qualche settimana, in giro per l’Italia contro i Cinque stelle assieme a Forza Italia e Fratelli d’Italia, che sono all’opposizione dei Cinque Stelle.
E ancora: stare al governo con Di Maio, che diventa sempre più fragile e gestire una potente spinta di centrodestra, nel paese e anche in Parlamento.
Parliamoci chiaro, l’altro giorno sul decreto sicurezza sembrava di stare di fronte a un governo di centrodestra con l’appoggio esterno dei Cinque stelle. E lo stesso accadrà sulla legittima difesa. Insomma, se Salvini spinge troppo gli altri non la reggono. Ma, al tempo stesso, non può liberarsi dei vecchi alleati, perchè sennò — semplicemente — non vince.
A proposito di alleati, e del loro stato di salute.
Giorgia Meloni prova a coinvolgere pezzi di centrodestra di governo. Dell’operazione fa parte Raffaele Fitto, che ha un suo radicamento territoriale, il sindaco di Ascoli Piceno Guido Castelli, in attesa di capire cosa voglia fare da grande Giovanni Toti.
Le cronache di Arcore raccontano che Berlusconi è di nuovo tentato dall’idea di cambiare nome per le europee perchè Forza Italia non funziona più.
E non gli dispiace affatto l’idea di affidare il partito a Mara Carfagna, nel ruolo di coordinatore. Coccolata come ospite unico nelle trasmissioni Mediaset, proprio come i leader, si prepara alle europee dove, così pare al momento, sarà candidata.
Il successo è annunciato. una volta che sarà la più votata d’Italia di quel partito, è difficile anche per Antonio Tajani resistere alla nomina, come accaduto finora. Immaginate che inferno si è scatenato a corte su questa vicenda, tra gelosie, veleni, tensioni di Eva contro Eva, spifferi che è meglio non riportare.
Voi capite, sì, perchè Salvini può anche permettersi scene pirandelliane, rifiutando la foto con questa allegra compagnia.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Costume | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
LA RICHESTA DEL CARCERE A VITA NEL PROCESSO CON RITO ABBREVIATO A CARICO DEL TRAMVIERE MILANESE
La Procura di Milano ha chiesto l’ergastolo con l’isolamento diurno per Alessandro Garlaschi, il tranviere imputato di omicidio per aver ucciso con 85 coltellate Jessica Valentina Faoro, la ragazza di 19 anni che aveva ospitato a casa sua, in via Broschi, in cambio di piccoli lavori domestici.
La richiesta del carcere a vita è stata avanzata da pm Cristiana Roveda nel processo con rito abbreviato.
La storia.
E poi ci sono i femminicidi di serie B perchè l’assassino è bianco e italiano. Nel febbraio del 2018 due giovanissime donne sono state massacrate e uccise a distanza di pochi giorni, una si chiamava Pamela Mastropietro l’altra Jessica Valentina Faoro.
La prima è stata secondo le indagini uccisa da un ragazzo nigeriano, la seconda da un tranviere italiano. La narrazione è stata molto differente
All’inizio si era detto che furono 40 le coltellate sul corpo di Jessica Valentina Faoro ma poi si è scoperto che sono state più del doppio: 85. Non cambia le cose, forse fa più male a noi, vivi, che restiamo qui con l’ennesimo femminicidio da spiegare ai nostri figli.
Perchè Alessandro Garlaschi ha colpito a morte una ragazzina di 19 anni proprio perchè non voleva essere sua, il femminicidio è questo: è un uomo che uccide una donna che conosce perchè lo rifiuta.
Dopo aver massacrato la ragazza aveva pure bruciato il corpo della giovane, ormai senza vita. Perchè si vuole cancellare completamente la donna come individuo, incenerire la sua persona.
Jessica però ha subito un altro grande torto in una Italia intrisa di razzismo. E’ morta nel momento sbagliato, è morta nei giorni di Pamela, altra ragazza massacrata in quanto donna ma in quel caso i sospettati hanno la pelle scura quindi l’odio politico e dei social si è riversato tutto sul suo femminicidio.
Come se morire per mano di un nero sia peggiore, più doloroso e insopportabile. Ricordiamo che lo stesso femminicidio portò Luca Traini a sparare a Macerata a degli innocenti, colpevoli di essere neri con la scusa di vendicare Pamela.
Nella ricostruzione di inquirenti Jessica, che viveva in casa dell’uomo come ragazza alla pari, la sera prima di essere uccisa era uscita per un appuntamento con un ragazzo ed era rincasata intorno alle 21.
Mezz’ora dopo l’assassino aveva accompagnato la moglie dalla suocera a Novegro, nel Milanese, dove la donna aveva trascorso la notte. Aveva anche lasciato un biglietto sul comodino della camera da letto alla giovane, con scritto:
Ciao bimba, sai che tvb. E ci tengo un casino a te! Stasera spero che mi starai facendo `qualcosina’ oltre al dvd, ma devi fare tutto tu e dirmi quando iniziare. Mi raccomando con il tipo stasera…”.
Garlaschi ha messo a verbale che Jessica gli avrebbe detto: “tu mi stai troppo addosso”
Poi lo avrebbe ferito probabilmente per minacciarlo di non avvicinarsi a lei, con lievi coltellate alle mani. Da lì sarebbe scattata la furia omicida dell’uomo, che nel corso degli interrogatori ha però affermato di non rammentare quanto accaduto e di ricordare solo di aver colpito Jessica con tre coltellate leggere e poi il buio.
Il tranviere, che ha negato qualsiasi approccio di tipo sessuale, ha ammesso però che Jessica gli piaceva e ha raccontato che in cambio dei lavori domestici, oltre a ospitarla, le avrebbe pagato i vestiti, il parrucchiere, e le avrebbe trovato anche un lavoro, aggiungendo che il giorno dopo il brutale assassinio, lei avrebbe dovuto sostenere un colloquio.
Il difensore di Garlaschi, l’avvocato Francesca Santini, ha nominato un consulente, uno psichiatra, affinchè accerti il suo stato di salute mentale e la sua capacità di intendere e volere.
Noi preferiamo ricordare Jessica e Pamela allo stesso modo.
Perchè non conta chi le ha massacrate, conta che due ragazzine abbiano perso la vita per mano di uomini e che ci si batta affinchè questa cultura di sopraffazione venga sconfitta.
(da Globalist)
argomento: Giustizia | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
L’AUTOPSIA DEL GIOVANE MOLDAVO CONFERMA CHE E’ STATO COLPITO MENTRE TENTAVA DI FUGGIRE
“Chiuso per lutto” recita un cartello affisso sul cancello dell’azienda di Fredy Pacini, il gommista toscano che la notte del 28 novembre ha sparato contro Vitalie Tonjoc, 29 anni, di origine moldava e in Italia dallo scorso settembre.
L’uomo si era intrufolato nell’officina per rubare e ha perso la vita durante una breve fuga, dopo essersi accasciato sul piazzale davanti al capannone.
Dall’autopsia sul corpo della vittima, iniziata fin dalle prime ore della mattina e conclusasi nel pomeriggio, è emerso che Tonjoc è morto per uno shock emorragico proprio mentre tentava di scappare.
Secondo quanto si apprende, l’uomo è stato raggiunto da due proiettili: uno l’ha colpito vicino a un ginocchio, mentre l’altro è andato più in alto, colpendolo al fianco (in questo caso non è presente il foro di uscita).
Il secondo sparo potrebbe aver leso un’arteria, probabilmente la femorale, che ha causato un dissanguamento interno. I carabinieri, nel piazzale, avevano ritrovato soltanto quattro proiettili, mentre Pacini aveva dichiarato di aver esploso cinque colpi con la sua Glock semiautomatica.
In serata il commerciante toscano, 57 anni, è comparso in procura per essere interrogato dal pm Andrea Claudiani, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. A riferirlo i suoi legali all’uscita dal Palazzo di giustizia di Arezzo, i quali hanno spiegato che aspetteranno la relazione sul’autopsia, attesa tra 60 giorni.
nel buio.
Fino a oggi Pacini non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione e ha rifiutato anche di parlare con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che l’aveva chiamato per rappresentargli “la vicinanza delle istituzioni”.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
ORMAI AL MIRAGGIO DELL’UNITA’ DELLA SINISTRA NON CREDE PIU’ NESSUNO
Continua l’appassionante saga di Potere al Popolo!, il movimento che vuole farsi partito ma non ci riesce.
Qualche tempo fa PaP ha avviato un percorso di trasformazione in partito politico in modo da portare a compimento un’armonizzazione tra le due anime che lo costituiscono: quella dei partiti politici come Rifondazione Comunista e quella dei movimenti.
Tutto avrebbe dovuto trovare la tanto sospirata sintesi nel voto sullo statuto tra quello proposto da “Je’ So’ Pazzo” e quello di RC.
Però, dopo uno scambio di accuse reciproche a proposito di alcuni “pizzini” per influenzare l’esito del voto, Rifondazione Comunista ha annunciato di voler ritirare lo statuto e di non voler partecipare al voto.
Ciononostante il coordinamento nazionale ha ratificato l’adozione dello Statuto 1 (quello di Je’ So’ Pazzo) che era stato votato sulla piattaforma online provocando ulteriori proteste da parte di Rifondazione che invece chiedeva di azzerare tutto e ricominciare dall’inizio la discussione sullo statuto del partito.
La questione non si è chiusa lì e il rischio di una scissione, a pochi mesi dalle elezioni europee, rimane sullo sfondo.
Nei giorni scorsi infatti il Segretario di Rifondazione Maurizio Acerbo ha inviato una lettera in cui diffida Viola Carofalo e Giorgio Cremaschi dall’utilizzo del nome e del simbolo di Potere al Popolo.
Acerbo, Carofalo e Cremasco sono i tre “soci” di Potere al Popolo! avendo firmato davanti ad un notaio l’accordo elettorale prima delle politiche di marzo.
Allo stato attuale — dopo le dimissioni di le dimissioni di Mauro Alboresi a luglio — l’assemblea (la Presidenza, secondo lo statuto) è composta da:Viola Carofalo, Giorgio Cremaschi, Francesco Antonini, Maurizio Acerbo.
Carofalo ha risposto su Facebook dicendo che la diffida è dovuta al fatto che Rifondazione «non riusciva a determinare la linea e portare verso il quarto polo Potere al Popolo!». Non essendoci riuscita — è la tesi di Carofalo — Rifondazione ora starebbe tentando di far scomparire PaP minacciando ritorsioni legali.
Anche Potere al Popolo ha voluto socializzare con l’intera comunità la notizia della diffida e una nota — dal titolo Questo Potere al Popolo non s’ha da fare — con la quale Cremaschi e Carofalo ribattono al compagno Acerbo.
Il segretario di Rifondazione Comunista sostiene che dal momento che non è stato nominato un nuovo (quinto) membro dell’Assemblea non sarebbe valida la modifica statutaria approvata a ottobre perchè «l’approvazione delle modifiche statutarie, poi, doveva essere approvata tanto dall’assemblea che dalla presidenza» con la maggioranza qualificata dei 4/5. Cosa che dal momento che ora l’Assemblea è composta da quattro persone non è possibile.
Acerbo quindi ha deciso di procedere a convocare l’assemblea dell’associazione Potere al Popolo per il giorno lunedì 10 dicembre alle ore 15.
All’ordine del giorno ci sarà il futuro associativo l’uso del nome e simbolo dell’Associazione per decidere se dichiarare conclusa l’esperienza di Potere al Popolo oppure se trovare un accordo sulle modifiche allo statuto (che però è già stato approvato online dagli attivisti).
Secondo Carofalo e Cremaschi invece «Potere al Popolo va avanti e cresce e non saranno quattro persone e un tesoriere, seppure autorevoli, che potranno metterlo in discussione».
I due soci ricordano che Rifondazione la decisione di abbandonare l’esperienza di PaP e di separarsene e che quindi è davvero singolare che chi ha deciso di separarsi da una forza politica «pretenda che quella forza da cui ci si separa non esista più».
Più duro invece è il sito Contropiano (legato alla parte di PaP che fa rifermento all’ex Opg Je’ So’ Pazzo) che scrive che dietro la decisione di Acerbo di voler chiudere in tribunale l’esperienza di PaP (dopo esserne uscito) ci sia il sogno di un nuovo listone elettorale per il quale Potere al Popolo rappresenterebbe un problema da eliminare visti consensi che i sondaggi accreditano a PaP.
Al di là delle possibili interpretazione quello che attivisti e simpatizzanti non capiscono è come mai Potere al Popolo e Rifondazione Comunista non possano intraprendere strade separate.
Ormai al miraggio dell’unità della sinistra non ci crede più nessuno.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Politica | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
SU TWITTER NE COMPARE UN ALTRO CONTRO LA VICEMINISTRA CHE NON AMA LA SATIRA
Avevamo lasciato ieri la viceministra dell’Economia — senza deleghe — Laura Castelli a battersi con coraggio e sprezzo del ridicolo contro un innocuo account parodia su Twitter.
Purtroppo poco dopo l’annuncio di voler presentare denuncia per il terribile reato di lesa maestà l’account fake della Castelli è stato cancellato dal social network, probabilmente a causa di una massiccia ondata di segnalazioni.
Niente paura però. Perchè come segnala su Twitter Riccardo Puglisi ne è già comparso un altro.
Questa volta il nome è meno ambiguo: il profilo si chiama Laura Castelli in Aria (@castelli_in) ed è dichiaratamente un account parodia della viceministra più amata dagli italiani (almeno quando va in televisione).
Al momento il nuovo fake della Castelli vanta un modesto numero di follower, appena una cinquantina, ma siamo sicuri che saranno sufficienti per far produrre un’altra smentita alla Castelli originale.
Sappiamo infatti che la sottosegretaria è molto attenta ad evitare che non ci siano impostori pronti a spacciare fake news per il suo unico, originale e inimitabile pensiero.
Prepariamoci quindi ad una nuova puntata della strategia della distrazione: quella che invece che affrontare i non pochi problemi del Paese (o anche solo rispondere alle domande dei giornalisti senza raccontare balle) mira a distrarre l’attenzione degli elettori su questioni di importanza più che marginale.
Ma nel MoVimento 5 Stelle sono fatti così: non apprezzano la comicità ma sono involontariamente comici; predicano la trasparenza ma non riescono a dire una parola chiara sul Reddito di Cittadinanza senza smentirsi da soli dopo poche ore.
Il nuovo fake della Castelli su Twitter è già partito con il piede giusto attaccando i soliti professoroni che pensano di saperne di più di chi è al governo grazie al voto di miliardi di italiani.
In effetti a leggere queste cose il dubbio che non sia un fake viene anche a noi.
Magari invece alla Sottosegretaria verrà il dubbio che combattere contro gli account parodia è come cercare di abolire la povertà con un annuncio da un balcone.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
E’ L’ATTO DI DONAZIONE DELL’AZIENDA A SUO FAVORE IN CUI VENGONO ESPRESSAMENTE CITATI GLI ACCANTONAMENTI PER LE VERTENZE CON I DIPENDENTI, PARI A 5.000 EURO
L’unico aspetto davvero politicamente rilevante della vicenda che vede coinvolta la famiglia di Luigi Di Maio è se il ministro del Lavoro sapesse o meno di quello che succedeva all’interno della Ardima Costruzioni di Paolina Esposito (la madre del vicepremier).
Fino ad ora la linea di difesa del Capo Politico del M5S è stata quella di non aver mai saputo nulla.
Se le cose stessero così non ci sarebbe molto da dire se non quello di far notare come la macchina del fango del MoVimento e il metodo di far pagare ai figli le colpe dei padri sia diventato purtroppo un modo di fare politica.
Diverso sarebbe ovviamente se Di Maio, in qualità di socio al 50% della Ardima Srl (società nata nel 2012), fosse stato a conoscenza di quanto accadeva nell’azienda del padre gestita dalla madre.
Sappiamo, perchè lo ha scritto lui stesso, che la Ardima Srl è nata in seguito al conferimento — Di Maio la definì banalmente “fusione aziendale” — della vecchia società di famiglia nell’Ardima Srl.
All’epoca Di Maio doveva difendersi da un articolo del giornale dove lo si accusava di aver utilizzato il suo reddito da parlamentare per “rimpolpare” l’azienda.
Ma le cose stavano diversamente perchè il capitale sociale della ditta di Di Maio è appunto il “conferimento” di quella della madre. In parole povere «siccome la vecchia azienda che è confluita in Ardima Srl aveva mezzi, macchinari e un fatturato costante nei tre anni precedenti, il valore che le è stato riconosciuto è di 80.200 euro».
Di Maio ha anche spiegato che nella documentazione patrimoniale relativa al 2013 (il suo primo anno da deputato) non era indicata la sua partecipazione nella Ardima Srl perchè l’azienda non era operante.
A partire dal 2014 — come è possibile vedere sul sito della Camera — Di Maio indicherà sempre la sua partecipazione al 50% nella ditta in società con la sorella Rosalba.
Ora, qualcuno potrebbe sollevare il dubbio che è impossibile che Di Maio non sapesse di quanto accadeva nella ditta di famiglia dal momento che questa è confluita — con mezzi, materiali e macchinari — nella sua.
Sappiamo dalle testimonianze raccolte dalle Iene che i lavoratori assunti in nero hanno intentato causa contro la Ardima Costruzioni e che queste cause sono passate in capo alla Ardima Srl.
A questo punto Di Maio era già entrato in politica e quindi assume notevole interesse il fatto che fosse o meno a conoscenza dell’accaduto.
Oggi è stato reso pubblico un documento allegato all’atto notarile con il quale è stata costituita la Ardima Srl che dimostrebbe come l’allora vicepresidente della Camera non potesse essere all’oscuro dell’esistenza di alcune vertenze.
Il documento è un atto di donazione d’azienda che attesta la situazione patrimoniale della Ardima Costruzioni di Paolina Esposito al 31 dicembre 2013 (Di Maio venne eletto nel marzo 2013 e assunse l’incarico di vicepresidente di Montecitorio il 21 marzo dello stesso anno).
In quel documento vengono elencati i mezzi e i macchinari di proprietà dell’azienda, il nome del cantiere a quel momento in corso, i fornitori e anche l’esistenza di un fondo rischi ed oneri per le vertenze lavoratori dipendenti.
Si tratta di accantonamenti, soldi messi da parte per far fronte alle vertenze con i dipendenti.
Una di queste cause risultava essere ancora pentente nel 2014, quando iniziò ufficialmente la gestione dei fratelli Di Maio.
Secondo il deputato Carmelo Miceli quindi «è evidente ed è documentale che Luigi Di Maio quando costituisce la società sapeva: sapeva della vertenza e ha continuato a resistere nella vertenza contro quei lavoratori che gli chiedevano semplicemente di essere regolarizzati».
A questo punto quindi la responsabilità non è più solo del padre e Di Maio non può dire che non ne sapeva nulla. _
Se sapeva dei macchinari e dei mezzi — come ha detto di sapere — sapeva anche dell’esistenza delle vertenze.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
IL VERTICE CON BERLUSCONI E MELONI SALTA PER LA FUGA DI NOTIZIE
Matteo Salvini aveva chiesto espressamente agli altri leader di centrodestra, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, di mantenere segreto il vertice in programma oggi a Milano per perfezionare l’intesa in vista delle prossime Regionali.
E così, quando il suo staff gli ha comunicato che la notizia dell’incontro, fissato tra ieri sera e stamattina, era stata fatta trapelare alla stampa, il segretario leghista si è molto “irritato”, viene riferito dai suoi, e ha deciso di dare forfait.
Il ministro dell’Interno ha chiesto ai collaboratori di motivare ufficialmente la sua assenza, dicendo che ne approfitterà per stare coi figli, Mirta e Federico (che risiedono a Milano con le rispettive madri).
Ma, al Viminale e in via Bellerio, non si nasconde l’irritazione. In questo momento, si spiega, Salvini è concentrato nell’azione di governo e voleva tenere riservato l’incontro con gli ex alleati di centrodestra, con i quali comunque continua l’unione a livello locale, per “non alimentare ricostruzioni maliziose che interpretassero l’incontro come una mossa contro il partito alleato di governo, M5s, e il suo capo politico, Luigi Di Maio” in un momento delicato come questo, nel bel mezzo della trattativa con l’Ue sulla manovra e alla vigilia dell’approdo in aula alla Camera delle legge di bilancio. L’incontro con Forza Italia e Fratelli d’Italia aveva come scopo chiudere la partita delle Regionali (l’accordo di massima prevede la seguente divisione: la candidatura alla presidenza della Sardegna spetterebbe alla Lega, l’Abruzzo a FdI, Basilicata e Piemonte a FI).
La Meloni già si trovava a Milano per partecipare alla riunione quando Salvini ha annullato la sua partecipazione e non avrebbe particolarmente gradito il forfait all’ultimo minuto.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Costume | Commenta »