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SONDAGGIO SWG: IN UN MESE LA FIDUCIA NEL GOVERNO E’ SCESA DAL 48% AL 42%

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

CALANO ANCORA LEGA E M5S, RISALGONO PD, FORZA ITALIA E FDI

Il sondaggio settimanale di Swg per La7 mette in evidenza, al di là  dei consensi ai partiti, un dato significativo: il consenso degli Italiani nei confronti del governo che in origine era al 56%, poi sceso al 48% un mese esatto fa, ora naviga al 42%.
E’ il punto più basso mai raggiunto da quando si è insediato, segno che la luna di miele sta ormai finendo.
Se la somma Lega-M5S è ancora intorno al 58%, secondo Swg, vuol dire che un 16% dei due elettorati è scontento delle misure preannunciate, dato foriero di ulteriori cali di fiducia anche nei partiti.
In una settimana Salvini e Di Maio perdono complessivamente l’1% , a vantaggio di Pd, Forza Italia e Fdi, mentre sono fermi Leu, +Europa e Potere al Popolo.
Cresce anche l’astensione, segnale di sfiducia verso i partiti.
Un trend confermato da altri sondaggisti che danno ormai la Lega sulla soglia del 30%, il M5s al 27-28%, con il Pd al 17-18% e Forza Italia all’8-9%.
Ora si è aggiunta anche la litigiosità  tra i due partiti di governo, elemento non apprezzato dagli elettori.

(da agenzie)

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DI MAIO COLPISCE ANCHE IN CINA: IL PRESIDENTE XI JINPING DIVENTA “PING”

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

ENNESIMA GAFFE DEL FUORICORSO: AL GRANDE EXPO DI SHANGHAI PER DUE VOLTE STORPIA IL NOME DEL SEGRETARIO DEL PCC

Per chi non è pratico di Cina i nomi possono ingannare. Il cognome qui viene prima: Xi. E poi arriva il nome: Jinping.
Il presidente cinese si chiama Xi Jinping, abbreviabile in “presidente Xi”. Avrebbe dovuto saperlo bene Luigi Di Maio, visto che al grande Expo delle importazioni di Shanghai il segretario del Partito comunista è il padrone di casa a cui rendere omaggio.
E invece per due volte, durante la sua visita, al leader dei 5Stelle è scappato un “presidente Ping”. Il nome di battesimo, ma neppure per intero.
Come se Xi si fosse rivolto a lui chiamandolo “ministro Gigi” o “ministro Di”.
La prima volta Di Maio lo ha fatto dal palco del Forum su Commercio e innovazione, di fronte a una platea di capi di Stato e imprenditori come Bill Gates e Jack Ma che invitava ad “investire sul futuro, sull’Italia”.
E più che a una (comprensibile) emozione l’errore sembra da attribuire a un vero difetto di preparazione, visto che anche nel testo ufficiale del discorso che il vicepremier ha letto in italiano, riportato sul suo profilo Facebook, compare quel “presidente Ping”.
Così tanto interiorizzato che pure a tarda sera in conferenza stampa, a una domanda di un giornalista locale, Di Maio ha replicato la gaffe: “L’impressione sul discorso del presidente Ping… è sicuramente un discorso di apertura ai mercati”.
Sbagliare è umano, ci mancherebbe. Per evitare strafalcioni durante i meeting internazionali, per esempio, lo staff della Casa Bianca preparava a George Bush degli appunti con la pronuncia dei nomi più ostici, come quello dell’allora presidente francese sar-Ko-zee.
In questo caso però l’errore dà  l’impressione che il vicepremier e il suo staff fossero con la testa da un’altra parte, non in Cina ma magari alle beghe della maggioranza in Italia, verso cui non a caso Di Maio ripartirà  in tutta fretta già  martedì mattina.
Impressione che in tanti avevano avuto anche durante la visita del mese scorso tra Chengdu e Pechino, dove pure a un incontro con la comunità  italiana il ministro era incappato in una gaffe, ringraziando per l’ospitalità  la Repubblica di Cina, cioè Taiwan, anzichè la Repubblica Popolare Cinese.
Certo, la sostanza racconta che Di Maio è venuto qui due volte in due mesi, segno di una grande (e interessata) attenzione che il governo gialloverde sta dedicando al Dragone.
Per rafforzare i rapporti, ha spiegato, l’Italia intende chiudere entro l’anno il memorandum sulla Nuova Via della Seta, il grande piano globale di investimenti in infrastrutture voluto da Xi Jinping. “Abbiamo proposto di firmarlo in Sicilia”, ha detto Di Maio.
Sperando che almeno sull’invito il nome sia quello giusto.

(da agenzie)

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LITIGIO SULLA PRESCRIZIONE, LEGA CONTRARIA, M5S: “E’ NEL CONTRATTO”

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

RESTANO DISTANTI LE POSIZIONI, SI ATTENDE IL RITORNO DEI DUE VICEPREMIER DALLE GITE ALL’ESTERO

Dopo lo stallo, iI M5S tira avanti e non arretra sulla questione prescrizione.
Nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera è stato presentato un nuovo emendamento dei relatori M5s, Francesco Forciniti e Francesca Businarolo, che ribadisce che la prescrizione viene sospesa dopo il primo grado di giustizia con sentenza.
La novità  sta nel fatto che i 5 stelle propongono di cambiare il titolo del ddl Anticorruzione aggiungendo anche “in materia di prescrizione del reato”. Il cambio del titolo è stato fatto nel tentativo di superare le critiche della Lega, contraria a intervenire sulla prescrizione attraverso un emendamento e non con una legge ad hoc.
Ma Igor Iezzi, deputato del Carroccio, taglia corto: “È un modo per aggirare la questione della estraneità  per materia”.
Iezzi parla chiaro: “Il nuovo emendamento è uguale a quello di prima. Per noi bisogna fare un’altra legge sulla prescrizione”. “Spero che si trovi un accordo – aggiunge Iezzi – ne devono discutere i leader. A livello parlamentare non abbiamo raggiunto” un’intesa. “Non è possibile modificare la prescrizione con sole due righe: il testo è identico, hanno solo cambiato il titolo…”.
Le posizioni restano distanti e quindi è necessaria – rivelano fonti 5Stelle – un chiarimento a livello politico superiore: una riunione sul ddl Anticorruzione, prima dell’inizio dei lavori della Commissione, tra il Guardasigilli Alfonso Bonafede e i parlamentari M5S-Lega.
I relatori al ddl Anticorruzione hanno intanto presentato altri tre emendamenti oltre a quello sulla prescrizione. Uno dei nuovi testi riguarda una riformulazione dell’articolo della possibilità  dell’agente sotto copertura. Gli altri due riguardano l’articolo sulle misure introduttive contro le imprese condannate per reati di corruzione e concussione.
Pd: “Siamo al ridicolo”. Fi: “Bonafede plani sulla terra”
“Per i relatori e per il ministro della Giustizia – afferma il deputato Alfredo Bazoli, capogruppo dem in commissione Giustizia – si può cambiare il contenuto di una legge, e modificare un istituto fondamentale come la prescrizione, con un emendamento depositato all’ultimo minuto. Basta solo cambiare nome alla legge”. “Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Quanto si può tollerare questa presa in giro del Parlamento e delle istituzioni? E la Lega si fa ridicolizzare e umiliare così dal suo alleato di governo?”.
“Suggerisco a Bonafede – twitta Mariastella Gelmini, capogruppo dei deputati forzisti – che ‘accusa’ la Lega di proporre emendamenti nel solco Forza Italia, di planare sul pianeta terra e di leggere il giudizio che le Camere Penali danno sugli emendamenti M5S: ‘espressione di una concezione autoritaria del diritto penale e del processo'”.
Lo scontro M5S-Lega sulla prescrizione
È scontro sulla prescrizione, con da un lato Luigi Di Maio che vuol tenerla nel ddl anticorruzione e dall’altro la minaccia della Lega di non votare il disegno di legge, al vaglio delle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, se non sarà  modificata la norma.
“Saranno Salvini e Di Maio a sciogliere i nodi, ma noi – aggiunge il deputato del partito di via Bellerio, autore di alcuni emendamenti che se approvati modificherebbero nella sostanza il testo del ddl – non possiamo permettere che una riforma così importante venga fatta in due righe. Sui principi siamo concordi, ma non sullo strumento che si è deciso di scegliere”. Ovvero un emendamento. “Ma – conclude Iezzi – il tema della prescrizione deve essere risolto, altrimenti per noi è un problema votare in Commissione il testo sull’Anticorruzione”.
Iezzi riferisce che il ministro della Giustizia Bonafede ha ribadito la posizione del Movimento 5 stelle e l’intenzione di non arretrare sulla prescrizione. Concetto sottolineato questa mattina anche dal leader pentastellato Di Maio che, a Radio Radicale, ha assicurato che la prescrizione non verrà  stralciata dal disegno di legge “Spazzacorrotti”. E ha aggiunto: “Basta con l’impunità  dei furbetti del quartierino che si salvavano grazie alla prescrizione”.
Di rincalzo anche il premier Giuseppe Conte ha ribadito dall’Algeria: “La prescrizione è nel contratto di governo, manterremo il punto. Lasciatemi chiamare a raccolta Bonafede e gli altri partner per un ultimo vertice per portare a casa un punto di incontro che tutti si sono dichiarati disponibili a raggiungere”.
A criticare invece il disegno di legge anticorruzione è Forza Italia. “Nelle commissioni che stanno affrontando il ddl anticorruzione tutti i gruppi parlamentari, esclusi i 5 Stelle, hanno chiesto al governo di ritirare l’emendamento che blocca la prescrizione alla sentenza di primo grado, istituendo l’ ‘ergastolo processuale’. Si tratta di un colpo di maglio chiaramente inammissibile, sia perchè fuori materia rispetto al ddl, sia e soprattutto perchè clamorosamente incostituzionale”, ha dichiarato a Telenorba Francesco Paolo Sisto, deputato e dirigente nazionale del Dipartimento Affari costituzionali di Forza Italia.

(da agenzie)

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LA LEGA IN LOMBARDIA NON VUOLE CHE I MIGRANTI PULISCANO PARCHI E GIARDINI

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

MA NON ERANO I RAZZISTI CHE SI LAMENTAVANO PERCHE’ NON VENIVANO IMPEGNATI IN LAVORI SOCIALMENTE UTILI?… LA CONFERMA DEL NOSTRO PENSIERO: CON I RAZZISTI NON SI DISCUTE

Un sistema di premi destinati ai Comuni lombardi che scelgono di non impiegare i migranti nella manutenzione del verde pubblico.
Perchè prima ci sono gli italiani e, nello specifico, i lombardi.
La proposta è contenuta in una mozione firmata da sette consiglieri regionali della Lega e che sarà  discussa domani, martedì, al Pirellone.
Un documento che va in controtendenza rispetto a diversi progetti messi in campo negli ultimi mesi da Nord a Sud e che riguardano proprio l’impiego di richiedenti asilo nella cura di giardini e parchi.
Si va dalla Capitale a Ragusa, da Padova ad Asti.
Il consiglio regionale della Lombardia, invece, è chiamato a votare una mozione che, qualora passasse, impegna la giunta guidata dal leghista Attilio Fontana a “concedere premialità  nei bandi agli enti locali lombardi che non fanno ricorso a richiedenti asilo — si legge nel testo (prima firmataria Federica Epis) — bensì a manutentori del verde pubblico professionisti”.
Nel testo i consiglieri manifestano la loro contrarietà  rispetto all’impiego da parte degli enti locali lombardi “di richiedenti asilo e presunti profughi per i lavori di manutenzione del verde pubblico”.
“La valorizzazione del verde pubblico — si legge nel testo — necessita di professionalità  e competenze che non possono essere garantite con l’impiego di persone che non hanno nè esperienza nè formazione”.
Secondo i firmatari “è opportuno garantire un equo trattamento a tutti i soggetti che si occupano della manutenzione del verde pubblico”, per evitare che immigrazione e accoglienza siano “utilizzate a discapito del tessuto produttivo lombardo”.
Si sollecita, inoltre, la previsione nei bandi di premi “agli enti locali lombardi che non fanno ricorso a richiedenti asilo”.
Un passaggio, quest’ultimo, che potrebbe però trovare intoppi negli eventuali ricorsi al Tar.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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FIDUCIA SUL DECRETO SICUREZZA PER EVITARE IL VOTO A FAVORE DI TUTTO IL CENTRODESTRA

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

IL M5S SCEGLIE DI CONTENERE IL DANNO E DIVENTA COMPLICE DI UNA LEGGE INFAME … VIETATO DISCUTERE IN PARLAMENTO, ORMAI SVUOTATO DI CONFRONTO DIALETTICO

Anticipiamo la fine della storia: il governo, dopo lungo travaglio, metterà  la fiducia sul decreto sicurezza. Almeno così assicurano fonti degne di questo nome.
Una forzatura che riduce, e non poco, la libera dialettica del Parlamento, in una delle rare volte in cui è chiamato ad operare, nella legislatura in cui, come qualcuno ha teorizzato, “il Parlamento non serve più a nulla”.
E infatti, dati alla mano, fa poco o niente, con settimane intere in cui si fa fatica anche a scrivere gli ordini del giorno.
Dicevamo della fiducia sul decreto sicurezza, uno dei pochi provvedimenti che rompe l’inoperosità  dell’Aula nell’era sovranista, segnata dal progressivo svuotamento della democrazia che c’è, sempre in “nome del popolo”.
Per capire i termini della contesa odierna, immaginate questa scena: il provvedimento cruciale, simbolo della svolta securitaria targata Salvini, passa a voto segreto, anche con i voti di Forza Italia, Fratelli d’Italia, praticamente il 70 per cento del Parlamento. Magari con qualche defezione che sarebbe attribuita alla “fronda dei Cinque Stelle”. Praticamente un trionfo per Matteo Salvini e la consacrazione del suo protagonismo politico e del ruolo da gregari dei Cinque Stelle.
È più annacquato rispetto ai desiderata originari, ma di questi tempi conta il titolo.
Adesso immaginate quest’altra scena.
Il decreto sicurezza passa col voto di fiducia, con i soli voti della maggioranza, perchè a quel punto – visto che con la fiducia si vota sul governo più che sul provvedimento – le opposizioni sono “costrette” a votare contro.
Ed evidentemente, proprio perchè si vota sul governo, si riduce – o quantomeno non si allarga – la fronda dei Cinque stelle.
Che riguarda il decreto sicurezza, ma non solo. Perchè il provvedimento è diventato il detonatore di un malcontento più vasto, sedimentato in questi mesi di subalternità  a Salvini.
Ecco i termini del più classico dei tira e molla che dura tutto il giorno. Fiducia sì, fiducia no, Di Maio la vuole, Salvini non la vuole, Conte aggiorna tutto a domani, in attesa che gli comunichino la decisione i due dominus della maggioranza che sono all’estero.
È una questione tutta politica, non un dettaglio tecnico. Che rivela anche una certa tensione all’interno della maggioranza. Lo ammette, sia pur indirettamente proprio Luigi Di Maio: “Se ci sono opinioni contrastanti nella maggioranza è giusto che il governo faccia una ricognizione della fiducia”.
Alle cinque di pomeriggio, a Palazzo Madama, la scena è surreale. Il governo chiede una “sospensione” dei lavori, per “approfondimenti”.
Dopo che, nei giorni scorsi, in nome dell’urgenza (e dell’importanza) del decreto erano state ipotizzate anche sedute notturne, senza soste. Aula aggiornata a martedì mattina. Nel frattempo gli uffici del Senato sono stati allertati sulla fiducia perchè è lì che si andrà  a parare.
Altrimenti, spiegano nel Movimento, “i Cinque stelle non la reggono”. Già  c’è una fronda all’interno, votare lo stesso provvedimento con Berlusconi sarebbe un terremoto.
In una nota, Forza Italia fa sapere che “noi voteremmo sì, ma il governo non ponga la questione di fiducia”. Stessa posizione espressa da Fratelli d’Italia.
Non ci vuole Cassandra per prevedere ciò che accadrebbe il minuto dopo il voto. Il centrodestra rivendicherebbe che è passato un punto qualificante del suo programma, l’immagine complessiva sarebbe quasi di un cambio di maggioranza con i Cinque Stelle che appoggiano un provvedimento di Salvini, Berlusconi e Meloni.
Con Salvini, dominus assoluto, che ha una maggioranza ufficiale e una di riserva: “È chiaro – spiegano nel Movimento – che tutte le defezioni rispetto ai numeri sulla carta verrebbero conteggiare come nostri dissidenti, amplificando l’immagine delle nostre divisioni”.
Alla fine, anticipavamo, Di Maio riuscirà  a ridurre i danni, perchè si voterà  la fiducia. In ogni caso, passerà  il provvedimento bandiera di Salvini, senza avere un accordo in tasca sulla prescrizione (provvedimento simbolo per i Cinque Stelle), con un pattuglia di dissidenti nel Movimento.
Che non saranno nemmeno espulsi perchè i numeri al Senato non consentono neanche il lusso delle epurazioni di un tempo. Più che una manovra politica è un contenimento del danno.

(da “Huffingtonpost”)

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SONO INSICURI SUL DECRETO SICUREZZA: AVANTI CON IL VOTO DI FIDUCIA, SI EVITANO SETTANTA VOTI SEGRETI

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

NUGNES, FATTORI E MANTERO SI ASTERRANNO… CONTRO DI FALCO: “SUPERFICIALITA’ CRIMINALE”… LA MELONI HA OFFERTO I VOTI PER NULLA

È mattina in un Palazzo Madama che fatica a carburare quando arriva la notizia: il governo con tutta probabilità  metterà  la fiducia sul decreto sicurezza.
Una mossa che ha tre ricadute immediate: annulla con un colpo di spugna il rischio dei numeri negli oltre settanta voti segreti; sterilizza il soccorso nero da parte di Fratelli d’Italia; mette in un angolo i senatori pentastellati con i mal di pancia, impedendo che il dissenso si allarghi.
E infatti un’insofferentissima Paola Nugnes dice subito che non parteciperà  al voto, ma non si esprimerà  contro l’esecutivo scandendo il suo no sotto i banchi della presidenza.
Stessa linea seguita da Elena Fattori. La senatrice solca la galleria antistante l’aula del Senato e spiega: “Se non ci saranno le modifiche minime richieste non voterò il provvedimento. Ma non posso votare contro la fiducia”.
Si avvia verso una soluzione simile anche Matteo Mantero, che al momento si trincera ancora dietro un “sto valutando”.
Sulla ridotta rimane solamente Gregorio De Falco. Anche se molti suoi colleghi dicono che difficilmente rimarrà  l’unico a impugnare la bandiera dell’intransigenza. L’ex comandante si è reso protagonista di un violentissimo scontro a distanza con Stefano Buffagni.
Il sottosegretario si è detto certo che il collega si sarebbe dimesso in caso di non voto alla fiducia. “Parla con superficialità  criminale”, la replica dai toni ipersaturi.
Il voto di fiducia, che viene espresso pubblicamente pronunciando un sì o un no davanti l’emiciclo intero, riduce la possibilità  che la fronda si allarghi.
Perchè gli stessi vertici del M5s, parlando con Huffpost, illustravano la convinzione che “non sarebbero stati più di dieci”. Confermando implicitamente di non avere il pieno controllo del gruppo parlamentare.
Ma soprattutto gli eterodossi sanno quello che una fonte vicinissima a Luigi Di Maio spiega anche a noi: “Non ci saranno espulsioni, non conviene a nessuno. Se qualcuno vota contro è un tipo di storia. Se invece gli viene un improvviso mal di testa e non può essere in aula…”.
La convinzione è che privarsi di truppe con una maggioranza così risicata avrebbe sicuramente una sua valenza tattica, ma strategicamente sarebbe come infilarsi un chiodo in un piede.
E che, visto il warning ricevuto, i riottosi possano in futuro ricompattarsi in funzione dello scampato pericolo.
Ma questo è un altro film, un’altra bolla pronta a gonfiarsi nel gazometro del dissenso grillesco che sembrava essere ormai fuori uso. E che invece si è rivelato ancora essere pienamente in funzione.

(da “Huffingtonpost”)

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BASTEREBBERO 120 EURO L’ANNO A TESTA PER ASSICURARE L’ITALIA DAI DISASTRI

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

OGNI ANNO SI SPENDONO 7 MILIARDI PER RIPARARE I DANNI AMBIENTALI, ALL’ESTERO CI SI ASSICURA

Centoventi euro a testa per assicurare l’Italia dal rischio dei disastri: è la proposta rilanciata dal capo della Protezione civile Angelo Borrelli, che ha preso spunto dall’ultima distruttiva ed estesissima ondata di maltempo .
La somma è tarata sulla media di spesa che sostenuta ogni anno per riparare i danni, cioè 7 miliardi.
Con un cambio di prospettiva notevole: i fondi non dovrebbero essere reperiti di volta in volta, con tempi più lunghi e il rischio che non bastino mai.
«Purtroppo l’Italia da questo punto di vista è molto indietro – spiega Enzo Sivori, presidente degli agenti Unipolsai – Negli Stati Uniti ad esempio le società  potenzialmente coinvolte nei processi di ricostruzione alimentano i fondi di copertura assicurativa. Ma i modelli sono molti».
Un sistema di assicurazione diretta – gestita dal settore pubblico – esiste in Spagna (dal 1954), negli Stati Uniti (contro le inondazioni, in particolare, dal 1968), in Turchia per il rischio terremoto (1999). In Francia (1982) e in Giappone per i terremoti (1966), in California (1996) e Florida (1993) c’è un sistema di riassicurazione, che si “aggancia” al regime privato e alle polizze per altre tipologie di rischio.
L’Italia, pur esposta a terremoti, dissesti, alluvioni e vulcani, non è mai riuscita a introdurre un sistema simile.

(da agenzie)

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PRECARI, PART-TIME E PARTITE IVA: ECCO CHI NON ARRIVERA’ MAI ALLA PENSIONE, ALTRO CHE PENSARE A QUOTA 100

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

UNA BOMBA CHE ESPLODERA’ NEI PROSSIMI ANNI… NON HANNO ACCUMULATO ABBASTANZA MESI DI CONTRIBUZIONE NEL CORSO DELLA VITA

Pulire i pavimenti, apparecchiare i tavoli della mensa, servire i pasti.
Una volta che gli alunni sono tornati in classe, sparecchiare, lavare, portare fuori la pattumiera. In tre ore. Certo, è un lavoro che lascia molto tempo libero, ma se a farlo è una signora di 72 anni con la schiena a pezzi rischia di essere alquanto pesante.
Questa signora, che abita a Novate Milanese, profondo e ricco Nord, ha avviato una battaglia legale contro l’Inps per difendere il suo diritto alla pensione: «Ha iniziato a lavorare nel 1961, nel 1971 si è dedicata alla famiglia, si è rimessa all’opera sette anni dopo. Dal 2000 lavora con un contratto part time ciclico nelle mense scolastiche. L’Inps per via di un’errata e discriminatoria interpretazione della legge, ritiene non abbia maturato l’anzianità  di servizio, cioè i 20 anni di contributi, per accedere alla pensione. Nel frattempo la signora ha avuto problemi di salute ed essendo in malattia da parecchio tempo, rischia il licenziamento», racconta all’Espresso l’avvocato Daniela Manassero.
Com’è possibile che a 72 anni suonati non ci si possa concedere una serena pensione dopo aver sgobbato decenni?
«Nel solo settore scolastico ci sono 100 mila persone in questa situazione. È il personale che si occupa delle pulizie, della ristorazione, della manutenzione degli edifici, dell’assistenza agli alunni disabili. Dovranno continuare a lavorare ben oltre i settant’anni per avere una pensione misera. Ed è solo la punta di un gigantesco iceberg che si infrangerà  sull’Inps non appena i lavoratori flessibili e quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il ’95, cioè con l’introduzione del sistema contributivo e l’avvento dei contratti precari, avranno i capelli bianchi», spiega il sindacalista della Cgil Giorgio Raoul Ortolani.
Il ticchettio di una bomba sociale che esploderà  fra un decennio.
E mentre l’Italia si guarda l’ombelico, presa fra reddito di cittadinanza e quota 100, il tempo per disinnescare l’ordigno si riduce.
In base all’indagine condotta dal ricercatore della Sapienza Michele Raitano e pubblicata nel Rapporto sullo Stato Sociale, il 44 per cento delle persone entrate nel mondo del lavoro dopo il ’95 ha avuto un salario inferiore ai 12 mila euro lordi per tre anni su dieci, un altro 20 per cento ha trascorso sei anni su dieci in questa stessa condizione. Solo il 36 per cento di chi è entrato nel mondo del lavoro da vent’anni ha una storia contributiva piena.
Rispetto al lavoratore medio, che percepisce circa 21 mila euro annui, solo il 22,7 per cento ha una contribuzione maggiore, mentre il 44,5 per cento ha accumulato meno di 12 mila euro.
Se questo 44,5 per cento della popolazione non comincerà  subito (e per i successivi 15/20 anni) a guadagnare, si ritroverà  con una pensione al di sotto del reddito di povertà : «Sotto questa soglia c’è il 51 per cento delle donne, il 35 per cento dei laureati, il 42 per cento dei diplomati e il 58 per cento di chi si è fermato alla scuola dell’obbligo», dice Raitano.
Il caso dei centomila addetti delle scuole è emblematico per capire quello che sta per succedere a metà  della popolazione lavorativa italiana. Nonostante abbiano lavorato 20 anni, per l’Inps non hanno accumulato sufficienti mesi di contribuzione.
È il caso della signora settantaduenne di Milano, difesa dall’avvocato Manassero contro l’Inps: «L’ente di previdenza ritiene che questa signora debba continuare a lavorare ancora per tre anni e sette mesi per raggiungere il minimo di vent’anni contributivi». Questo perchè l’Inps non considera i mesi estivi (quelli in cui le mense scolastiche sono chiuse) nel conto degli anni di lavoro, nonostante avesse un contratto a tempo indeterminato di tipo part time “ciclico verticale” (cioè si sta a casa per un determinato periodo dell’anno).
Il sindacalista Ortolani racconta che nella sola Lombardia ci sono 2.500 lavoratori pronti a passare alle vie legali: «L’Inps sta perdendo tutte le cause e viene regolarmente condannato a pagare 9.200 euro per i tre gradi di giudizio. Per le sole spese di lite l’Inps dovrebbe sborsare 23 milioni».
Oltre al settore scolastico, si trova nella stessa situazione l’intero sistema di cura e assistenza sanitaria, l’ambito delle pulizie, i lavori stagionali e la ristorazione, gli assistenti di volo e gli addetti al turismo, dipendenti di imprese private con contratti a tempo parziale o a singhiozzo, persino qualche dipendente part-time dello stesso Inps ha fatto causa e ci sono sempre più spesso i metalmeccanici stagionali in questa condizione: tutti con voragini contributive. «Persino gli stagionali della Piaggio di Pontedera sono in questa stessa situazione», dice il sindacalista, confermando un fenomeno generalizzato.
A sollevare il problema erano stati nel 2010 gli assistenti di volo di Alitalia che avevano lavorato oltre vent’anni con un contratto part time “ciclico verticale”, quindi alcuni mesi sì e altri no.
Dopo che l’Inps aveva negato il loro diritto alla pensione, si erano rivolti alla Corte di Giustizia Europea, che aveva dato loro ragione, per un principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale.
«Del resto, chi ha questi contratti non ha diritto ad alcuna indennità  di disoccupazione, perchè si tratta di un tempo indeterminato», fa notare l’avvocato Manassero, che sta seguendo decine di pratiche nei settori più svariati. L’Inps non sana la questione perchè è compito del governo prendere provvedimenti. Nella scorsa legislatura erano stati presentati in Finanziaria 2018 due emendamenti, uno da parte del Pd, l’altro del Movimento 5 Stelle, ma il governo Gentiloni non aveva consentito il voto. Stavolta Lega e 5 Stelle si sono impegnati a trovare le risorse per risolvere il problema, ma nella manovra di quest’anno non se ne fa cenno.
«Se per questi lavoratori è possibile trovare una soluzione legale, facendo leva sul contratto a tempo indeterminato, per tutti gli altri precari, segnati da carriere discontinue, non sarà  così facile», continua il sindacalista Ortolani.
Infatti ogni lavoratore deve guadagnare almeno 200 euro a settimana, per un totale di 10.440 euro l’anno per vedersi accreditare l’annualità  ai fini della pensione: «È una soglia che neppure i lavoratori part-time che lavorano 12 mesi l’anno raggiungono se non superano le 24 ore lavorative settimanali».
Nel caso in cui il lavoratore non la raggiunga, il numero di settimane considerate al fine pensionistico si riduce. «I minimi contributivi sono stati definiti nel 1992, quando il lavoro era una certezza.
Oggi oltre il 25 per cento dei lavoratori dipendenti è part time e quei minimi sono per molti inavvicinabili». Tutti i precari, i lavoratori a singhiozzo, quelli a termine e intermittenti, le partite Iva da fame dovranno fare i conti con quella che si può definire una bomba sociale.
Racconta Giuliano Benetti, direttore del patronato Inca della Cgil di Brescia che: «C’è molto malcontento. Arrivano molte donne, sessantenni, che continuano a fare lavori duri per raggiungere la soglia dei 20 anni di contributi che da diritto alla pensione di anzianità  di 750 euro. Mi chiedono se vale la pena continuare a lavorare, se tanto avranno il reddito di cittadinanza».
Il collega di Milano, Francesco Castellotti, racconta di ultrasessantenni scioccati per l’entità  misera delle pensioni che riceveranno: «Si mangiano le mani per non aver fatto un fondo complementare, una pensione secondaria, e spesso decidono di continuare a lavorare, pur avendo diritto alla pensione. Ci sono persone di 70 anni che, per via di buchi contributivi, non raggiungono i 20 anni di contributi e domandano quanto dovrebbero versare, volontariamente, perchè sanno bene che nessuno sarà  disposto a offrire un lavoro a un anziano».
Mauro Paris, segretario regionale dei patronati Inca della Cgil, racconta di muratori di 65 anni che chiedono se potranno sfruttare la quota 100 caldeggiata dal ministro dell’Interno: «Ma sarà  necessario avere entrambi i requisiti di età  (almeno 62 anni) e di anni contributivi (devono essere 38) con non più di due anni di contributi figurativi. Si capisce che gli aventi diritto non saranno molti». E poi ci sono i 75 mila giovani che sempre all’Inca lombardo non chiedono la pensione, ma l’assegno di disoccupazione: «Sta crescendo il numero degli under 35 che non riesce a entrare stabilmente nel mondo del lavoro e in loro c’è molta disillusione».
Siamo sicuri che il reddito di cittadinanza e la quota 100 siano gli strumenti adatti per sostenere una gioventù scoraggiata?

(da “L’Espresso”)

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AMBIENTALISMO DA SALOTTO? NO, POLITICO DA BAR

Novembre 5th, 2018 Riccardo Fucile

UN PAESE FONDATO SULL’ECONOMIA DEL CEMENTO CON POLITICI XENOFOBI LEGATI AI POTERI FORTI

In Italia si muore di maltempo e Matteo Salvini dichiara che è colpa di un “Malinteso ambientalismo da salotto che non ti fanno toccare l’alberello. E poi l’alberello e il torrentello ti presentano il conto”.
Poteva prendersela con l’abusivismo, i condoni, l’assenza di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, le speculazioni edilizie, con un Paese fondato sull’”economia del cemento”, con l’assenza di serie politiche di abbandono delle fonti fossili, e invece no, se l’è presa con gli ambientalisti, usando morti e disastri che hanno stravolto il paesaggio per attaccare quelle comunità  che, in piena desertificazione politica, ancora riescono a portare avanti ragionamenti e idee spesso in opposizione non solo con il governo che Salvini rappresenta ma con tutto l’arco costituzionale, da destra a sinistra.
Piuttosto la realtà  è che le tematiche che bisognerebbe affrontare non hanno rappresentanza nella politica dei partiti perchè invise ai colossi dell’energia, ai costruttori, alle aziende che vogliono investire su inceneritori e discariche, ai gruppi di potere che sulle grandi opere gestiscono affarismo e carriere politiche, a chi ragiona di adattamento ai cambiamenti climatici esclusivamente come opportunità  di business e in ottica di profitto piuttosto che come emergenza da cui dipende la vita delle persone.
E poi perchè abbiamo una classe politica che continua a scaricare sulle generazioni future il costo ambientale di un consenso politico costruito anche su condoni, grandi opere inutili, colate di cemento, lottizzazioni, autorizzazioni scriteriate.
Ecco, ne aveva di persone e fenomeni con cui prendersela, e invece Salvini ha deciso di scagliarsi proprio contro chi si oppone a tutto questo, come se poi gli “ambientalisti”, nel concreto, avessero mai avuto negli anni il potere di bloccare qualcosa, come se, in fin dei conti, l’unica risposta data alle istanze degli “ambientalisti” non fosse stata, a lungo andare, sempre la stessa: repressione.
Come se in Italia gli “ambientalisti” avessero governato e amministrato i territori. Come se l’unico potere riconosciuto agli “ambientalisti”, ed entro limiti molto stringenti, non fosse stato solo quello di manifestare il proprio dissenso politico rispetto a decisioni impattanti sul territorio e sulla loro salute.
Come se non fosse vero piuttosto che sulle istanze portate avanti dagli “ambientalisti” non fosse spesso intervenuta la magistratura a confermare quanto i rappresentanti di governo sminuivano: Ilva e Terra dei Fuochi, giusto per citare capolavori emblematici delle politiche ambientali e delle speculazioni degli ultimi 30 anni.
Ma per Salvini non conta il potere reale degli “ambientalisti”, il vero obiettivo è neutralizzare chiunque possa costruire opposizione sociale, conta screditare chi su Tav, Tap, grandi opere e disastri ambientali è in grado di alimentare il dissenso contro un governo che su questi temi continua a contraddire promesse elettorali.
Screditare in qualsiasi modo, anche disinformando, calunniando, superando quelli che sarebbero i confini di una dialettica politica costruttiva e democratica, prendendo in giro le vittime di un disastro e l’intero Paese.
L’approccio del ministro dell’odio interno è sempre lo stesso, sull’ambiente come sui migranti, attaccare l’opposizione sociale manipolando la verità  e alimentando la guerra tra i più svantaggiati, a tutela di chi avrebbe il potere di cambiare strada ma, per interessi di casta, continua a non far nulla.
Politica da bar, altro che ambientalismo da salotto

(da “il Fatto Quotidiano”)

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