Destra di Popolo.net

MAMMA, MI SI E’ RISTRETTA LA PENSIONE DI CITTADINANZA: ARRIVERA’ SOLO AL 15% DEI PENSIONATI AL MINIMO

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

STANZIATI SOLO 900 MILIONI: APPENA 500.000 SU 3.200.000 RICEVERANNO 138 EURO IN PIU’

Sembrava ieri ma era soltanto il 14 settembre scorso quando la viceministra Laura Castelli, rimangiandosi la promessa del reddito di cittadinanza pronto a gennaio 2019, annunciava con l’aria di chi ha finito il set di pentole ma ha ancora la Mountain Bike con il cambio Shimano: «Come promesso. Partiremo il primo gennaio con le pensioni di cittadinanza, portando le minime a 780 euro. Intanto ci occuperemo della riforma dei centri per l’impiego. Abbiamo calcolato che ci vogliono 3-4 mesi. Successivamente partirà  il reddito di cittadinanza».
E invece no. La pensione di cittadinanza a 780 euro, «un segno di civiltà » come diceva Luigi Di Maio, finirà  nelle tasche di soli 500 mila pensionati, un 15% appena dei 3 milioni e 200 mila che vivono grazie all’integrazione al minimo e che oggi ricevono 507 euro e 42 centesimi al mese.
Spiega oggi Valentina Conte su Repubblica che lo stanziamento sarà  di 900 milioni sui nove miliardi a disposizione, ovvero il 10%.
Il resto verrà  così suddiviso: 7,1 miliardi al reddito di cittadinanza (di cui 2,2 miliardi già  messi dal governo Gentiloni per il Rei) e 1 miliardo ai centri per l’impiego.
A conti fatti dunque, i più fortunati tra i pensionati poveri riceveranno 138 euro al mese.
Passando così a 645 euro e 42 centesimi. Non proprio la soglia “di cittadinanza”. «L’Europa ci dice che il minimo per riuscire a sopravvivere è 780 euro al mese», insisteva Di Maio in tv poco più di un mese fa.
Una promessa che non manterrà . «Per la prima volta vogliamo dare qualcosa ai pensionati e non trattarli come vacche da mungere».
Cos’è successo invece? Le risorse a disposizione, come già  sembrava chiaro a molti osservatori, sono insufficienti per arrivare a tutti.
E la riuscita del reddito di cittadinanza viene considerata prioritaria, sebbene ci siano «difficoltà  potenziali» nella sua attuazione, ammette ora Stefano Buffagni, sottosegretario a Palazzo Chigi.
Quindi non tutte le pensioni da 500 euro saliranno e non tutte arriveranno alla soglia di 780 euro, quella “di civiltà ”.
Un limite sarà  la soglia ISEE a 9630, un altro sarà  la casa di proprietà , anche se il 60% delle famiglie sotto la soglia di povertà  vive in affitto. E ci saranno altri paletti per restringere la platea, altrimenti i soldi non bastano.
Senza pensare che i pensionati poveri non sono solo quelli al minimo. Ci sono gli invalidi (Salvini prometteva di intervenire: «Un milione di invalidi civili vivono con 278 euro al mese», diceva). E i pensionati sociali: 2,9 milioni di persone.
In tutto, quasi 7 milioni. Beneficiarne solo 500 mila significa arrivare al 7%. Avendo però creato una fortissima aspettativa nel Paese.
È già  successo con la quattordicesima di Renzi. File ai Caf e proteste di quanti scoprirono che non spettava a tutti, ma solo alle pensioni fino a due volte il minimo. La questione è delicata. I pensionati sono una fetta importante dell’elettorato.
E chissà  cosa succederà  quando i numeri del reddito di cittadinanza non piaceranno agli elettori.

(da “NextQuotidiano”)

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L’ATTRICE SMUTNIAK E LA BRUTTA FIGURA DI SALVINI

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

“IL RAZZISMO NON FA PARTE DI QUESTO PAESE”… LUI SI COMPIACE MA LEI PRECISA: “SALVINI VUOLE CONVINCERCI DEL CONTRARIO PER PROPAGANDA POLITICA”

Ha scatenato una grande polemica la dichiarazione dell’attrice di origine polacche Kasia Smutniak, che in un’intervista al settimanale Grazia aveva dichiarato che secondo lei “l’Italia non è un paese razzista”.
“Ho vissuto in tanti Paesi, mi considero un po’ zingara – ha detto l’attrice – ma di un fatto sono certa: in Italia non c’è odio razziale, anche se qualcuno vorrebbe convincerci del contrario. I problemi semmai sono altri. Qui sono stata accolta a braccia aperte quando la Polonia non faceva ancora parte dell’Unione europea e io, per rinnovare il permesso di soggiorno, dovevo mettermi in fila alle cinque del mattino”.
Le parole dell’attrice si erano fermate qui, ma Salvini non ha perso tempo e ha ritwittato immediatamente l’intervista, scrivendo: “Fa piacere vedere che anche nel mondo del cinema c’è chi usa il buonsenso”.
Ma la Smutniak non c’è stata e ha risposto, abbastanza piccata, stavolta via Instagram: “Ah beh, qua tocca precisare. Nonostante i miei 20 anni in Italia evidentemente ancora non mi si capisce. Nella mia recente intervista su Grazia intendevo dire: non credo che l’odio razziale faccia parte del dna di questo Paese, non definirei Italia un Paese razzista. Questo è quello che ci vuole far credere qualcuno che per pura propaganda politica, lavorando sull’intolleranza, la non accettazione, la chiusura, ci sta convincendo del contrario, ci sta portando all’idea che questo sia davvero diventato un Paese razzista”.

(da agenzie)

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LE DUE CONDANNE PER DIFFAMAZIONE DEL BRACCIO DESTRO DI DI MAIO

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

DARIO DE FALCO DA POMIGLIANO E’ ARRIVATO NELLO STAFF DEL VICEPREMIER A ROMA CON UNO STIPENDIO DI 100.000 EURO

Nelle more della guerra tra la realtà  pennivendola e puttana e il MoVimento 5 Stelle c’è anche una bella storia che riguarda Dario De Falco, punta di diamante del sontuoso staff made in Pomigliano di Luigi Di Maio nei ministeri ma anche, racconta oggi Conchita Sannino su Repubblica, pluricondannato per diffamazione:
Chi si vanta nel curriculum di avere un tesserino da pubblicista è pronto a diffamare i “colleghi” chiamandoli «infimi sciacalli»: è il caso del vicepremier Luigi Di Maio, che ora rischia una sanzione da parte dell’Ordine della Campania. Il consiglio di disciplina dell’organismo regionale si riunirà  nel corso della settimana per esaminare il caso del deferimento di Di Maio.
Di contro, c’è il primo dei fedelissimi del ministro Di Maio chiamato da Pomigliano a Roma, che non ha mai conquistato un tesserino da cronista, eppure ha evidentemente licenza di infangare senza temere censure: Dario De Falco, infatti, 34enne amico per la pelle dai tempi dei liceo, ha collezionato due condanne — per diffamazione e oltraggio — da parte del Tribunale di Nola, su cui il capo del Movimento ha brillantemente evitato di pronunciarsi nel corso dell’ultimo anno.
Nel primo caso, il giudice Sebastiano Napolitano lo ha condannato a 6.750 euro di multa per aver «offeso la reputazione» di una società  che lavorava con il Comune, e nell’altra il giudice Daniela Critelli lo ha condannato a pagare mille euro per «aver offeso l’onore e il prestigio del consiglio comunale di Pomigliano».
Uno «sciacallo», per Di Maio?
No, anzi. De Falco è stato “promosso” dal vecchio compagno Luigi a capo della sua segreteria a Palazzo Chigi, a 100mila euro l’anno, mentre ancora oggi trattiene il posto di consigliere comunale nel loro comune paese natìo.
E svolge incessantemente attività  politica, ormai non più nell’aula consiliare ma a distanza, da Roma.

(da “NextQuotidiano”)

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MUTUI, TASSI IN CRESCITA PER LO SPREAD

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

I RITOCCHI AI TASSI DELLE PRINCIPALI BANCHE ITALIANE

L’annosa querelle su mutui e spread, di recente rinfocolata dal MoVimento 5 Stelle con l’utilizzo distorto di un articolo del Sole 24 Ore, oggi arriva a un punto fermo: il quotidiano di Confindustria pubblica i ritocchi ai tassi delle principali banche italiane dopo i mesi di crescita dello spread tra BtP e Bund.
A rompere gli indugi era stata Intesa Sanpaolo che da luglio ha aggiornato di 5 punti base (0,05%) il tasso finito offerto sui mutui a tasso fisso. Per poi intervenire con altri ritocchi a ottobre e novembre.
A parte qualche eccezione — fra cui Bper Banca che ad ottobre ha tagliato il costo dei mutui di surroga di 25 punti base — la linea intrapresa dagli istituti di credito è di aumentare i tassi sui nuovi prestiti. L’articolo è firmato da Vito Lops, ovvero lo stesso autore del pezzo usato dal M5S.
I fattori che stanno spingendo a riprezzare i tassi dei nuovi mutui sono numerosi. E vertono intorno a un unico punto: il tendenziale aumento del costo della raccolta del denaro all’ingrosso. Il balzo dello spread sul mercato obbligazionario (BTp-Bund) — che a maggio quotava 120 punti base e da diverse settimane orbita in area 300 — ha indebolito il patrimonio delle banche italiane (che in portafoglio hanno circa 400 miliardi di titoli di Stato).
Questo a cascata potrebbe impattare sui tassi che gli istituti pagherebbero per emettere nuovi bond bancari, uno dei canali di raccolta del denaro. Senza dimenticare che da inizio 2019 la Bce chiuderà  i rubinetti del quantitative easing, ovvero non comprerà  più nuovi BTp sul mercato secondario, e questo potrebbe indebolirebbe ulteriormente i valori in patrimonio
Inoltre, sui futuri mutui a tasso fisso ci sono altre due ragioni. Dallo scorsa estate i tassi Irs (una delle due gambe, insieme allo spread deciso dalla banca, che compongono il tasso fisso) sono saliti di 10-15 punti base. Quindi una buona parte dell’aumento in corso dei tassi è dovuto proprio a questo adeguamento tecnico.
Va poi detto che nel 2018 gli spread sui fissi hanno toccato il minimo storico intorno a quota “0”, trasformando il mutuo in un prodotto ponte per attirare clienti a cui vendere in un secondo momento altri strumenti finanziari più profittevoli. Una strategia commerciale difficilmente praticabile a lungo.
Il quotidiano segnala anche che molti istituti stanno facendo melina sulle erogazioni. Dato che il tasso del preventivo in molti casi viene congelato per 60-90 giorni, c’è tutto l’interesse a far decadere questa finestra temporale in modo tale da applicare ai nuovi clienti i tassi aggiornati e certamente più cari rispetto a quelli offerti in fase di richiesta.

(da “NextQuotidiano”)

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CHE STRANO, PAOLA TAVERNA NON HA CAPITO COSA HA DETTO L’ISTAT

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

IL RISULTATO SUL PIL SARA’ NEGATIVO, NON POSITIVO COME VORREBBE FAR CREDERE LA GRILLINA

La senatrice e vicepresidente di Palazzo Madama Paola Taverna ieri ha esultato per un’altra grande vittoria del MoVimento 5 Stelle nei confronti della realtà  pennivendola e puttana che vuole fregare i grillini a cui però non la si fa tanto facilmente.
Con lo spirito di osservazione di chi la sa lunga e non si vergogna certo di dimostrarlo, la Taverna ci ha fatto sapere che per l’Istat “il reddito di cittadinanza potrà  portare all’aumento del Pil fino allo 0,3% e a una ripresa dei consumi. Ancora una volta i dati ci danno ragione. Il reddito di cittadinanza è necessario per la nostra crescita, si deve fare e lo faremo. Il vento è in poppa!”.
C’è però un piccolo problema.
La Taverna non sembra aver colto pienamente il senso di quanto affermato dall’ISTAT.
Oppure la Taverna, avendo capito benissimo cosa ha detto l’ISTAT, ha deciso volutamente di cancellare una parte di quanto affermato per distorcere il senso del messaggio dell’istituto di statistica, che a ben guardare ha detto tutt’altro.
Cosa ha detto l’ISTAT? “Sotto l’ipotesi che il Reddito di cittadinanza corrisponda a un aumento dei trasferimenti pubblici pari a circa 9 miliardi (ovvero lo 0,5% del PIL, ndr), secondo le simulazioni effettuate il Pil registrerebbe un aumento dello 0,2% rispetto allo scenario base. Questa reattività  potrebbe essere più elevata, e pari allo 0,3%, nel caso in cui si consideri l’impatto del Reddito di cittadinanza come uno shock diretto sui consumi delle famiglie”, ha detto Franzini.
“Il modello dell’ISTAT stima un incremento del Pil pari allo 0,7% in corrispondenza di un aumento della spesa pubblica pari all’1% del Prodotto interno lordo. L’effetto del beneficio sul Pil terminerebbe dopo 5 anni, quando la riduzione dell’output gap e il conseguente aumento dei prezzi annullerebbero gli effetti positivi della spesa pubblica. Gli effetti positivi di questo scenario sono raggiunti sotto l’ipotesi che nello stesso periodo non si verifichino peggioramenti delle condizioni di politica monetaria, ovvero che non ci siano aumenti dei tassi di interesse di breve termine”.
L’ISTAT ha spiegato con parole tutto sommato comprensibili a una senatrice della Repubblica che se si investe una somma pari allo 0,5% del PIL nel reddito di cittadinanza, il beneficio sul PIL sarà  dello 0,2-0,3%.
In parole povere, ogni euro messo nel reddito di cittadinanza darà  un contributo di 40-60 centesimi al PIL. Ovvero ci si perde.
Povera Paola.

(da “NextQuotidiano”)

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GENOVA HA IL DIRITTO DI NON ESSERE PRESA IN GIRO SUL PONTE MORANDI

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

TRE MESI DOPO LA TRAGEDIA SIAMO ANCORA ALLE CHIACCHIERE

Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera ripercorre oggi le peripezie del Decreto Genova e della ricostruzione del Ponte Morandi, ancora in alto mare nonostante i tanti condoni edilizi infilati e il gioco del nascondino per Autostrade oltre al mancato stanziamento dei soldi per l’infrastruttura:
In tutta sincerità : se lo meritano, i genovesi, questo stucchevole rimpallo fra date senza che ci sia ancora, tre mesi dopo la tragedia, uno straccio di progetto, di brogliaccio con regole chiare, di dibattito sulle idee già  pervenute, di cronoprogramma? «Vogliamo sapere», hanno detto gli sfollati nella loro prima manifestazione. Sapere. E questo è il punto.
Perchè puoi anche raccontare che purtroppo non puoi «cacciare subito mezzo milione di clandestini» perchè al momento ci voglion ottant’anni e non puoi introdurre subito la «flat tax al 15%» perchè c’è chi si mette di traverso o non puoi ripristinare immediatamente l’«art. 18» perchè è complicato e non puoi «abbattere il debito pubblico di 40 punti percentuali in due legislature» e «tagliare la spesa pubblica improduttiva» e abolire l’Iva com’era nella prima stesura del Def e «cancellare immediatamente le accise sulla benzina che si rifanno alla guerra di Libia»…
Puoi anche rassicurare i delusi che tutto sarà  fatto un po’ più in là . A giugno, a luglio, ad agosto forse…
Quando si voterà  per le Europee, però, saranno passati nove mesi dal crollo del ponte Morandi. E questo rischia di diventare un incubo per le forze di governo. Perchè il cantiere del ponte, in felice anticipo o in drammatico ritardo, ci sarà  o non ci sarà .
E non si potrà  neppure, in caso di contestazioni, dar la colpa agli euroburocrati…

(da “NextQuotidiano”)

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IL REDDITO DI CITTADINANZA DI DI MAIO COSTA 50 MILIARDI, QUELLO DI MACRON NE FA RISPARMIARE 3,5

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

IN FRANCIA SI OPERA UNA RAZIONALIZZAZIONE DI TUTTI GLI AIUTI SOCIALI E I CENTRI PER L’IMPIEGO HANNO 57.000 DIPENDENTI

Siccome il presidente Macron sa far di conto (esce dall’Ena, è stato banchiere chez Rothschild e ministro dell’economia con Hollande), il suo reddito di cittadinanza, annunciato en fanfare come si dice qui, cioè in pompa magna, in occasione della presentazione, a settembre scorso, del Plan Pauvretè (l’Insee, l’Istat francese, ha contato 8,8 milioni di poveri tra cui 3milioni di bambini), non ha niente, proprio niente, in comune con l’analogo progetto grillino, i 780 euro mensili che perfino il sottosegretario (leghista) Giorgetti considera (si legga la sua intervista nell’ultimo libro, “Rivoluzione”, di Bruno Vespa) un provvedimento inutile che non creerà  un solo posto di lavoro. Assistenzialismo puro, stile Prima Repubblica.
Al contrario il reddito di cittadinanza macroniano, che si chiama “Revenu universel d’activitè” (Rua), ha caratteristiche del tutto diverse e tutt’altre conseguenze sul bilancio pubblico.
Mentre la pensata grillina costerebbe (pur nella versione più prudente con cui è stata inserita nel bilancio pubblico 2019 già  respinto dalla Commissione europea, com’è noto) una decina di miliardi (erano 50 nell’ipotesi iniziale), il Rua, a regime dal 2020, non costerebbe nulla, anzi genererebbe un risparmio di cassa pari a 3,5 miliardi di euro, stando alle previsioni contabili di France Strategie, un osservatorio esterno sui conti pubblici creato proprio da Macron quand’era ministro a Bercy.
La ragione è semplice anche se per scoprirla bisogna analizzarne in dettaglio l’architettura contabile come ha fatto, con l’aiuto dell’economista Julien Damon, professore a Science Po e animatore della società  di consulenza Eclaires, l’autore di questo blog.
Cominciamo col dire che il Rua macroniano non ha niente in comune con l’idea di “revenu universel”, reddito minimo per tutti, sbandierata durante le primarie per le presidenziali (2016) dal candidato socialista Benoà®t Hammon, ora letteralmente sparito dal panorama politico francese (l’altro, Manuel Valls, s’è trasferito in Spagna e corre per la poltrona di sindaco di Barcellona).
Pensate, il Ru di Hammon, senza sbarramenti e regole stringenti, sarebbe costato – secondo certe stime – 350 miliardi di euro. Il Rua di Macron ne fa risparmiare 3,5. Dov’è il trucco?
In realtà  il Rua non è altro che un grande contenitore di tutti i “minima sociaux” ancora attivi, vale a dire tutto quell’insieme di contributi e di “allocation” che lo Stato, attraverso agenzie pubbliche o gli uffici dei dipartimenti sul territorio, eroga alle fasce più deboli della popolazione.
Per dire, nel contenitore immaginato da Macron c’è l’ attuale Rsa, Revenu de solidaritè active (euro 524,68 mensili, poco meno dell’assegno promesso dal nostro Di Maio) creato nel 2008 da Sarkozy sulle fondamenta del Rmi, Revenu minimum d’insertion che dal 1988 era una pietra miliare delle politiche sociali di Mitterand.
Oggi l’assegno mitterandian-sarkozista arriva a 1,8 milioni di francesi “poveri” mentre altri 2,6 milioni di lavoratori a bassissimo reddito – quelli che gli economisti definiscono “working poor” – ricevono un “Prime d’activitè”, una sorta d’integrazione al reddito.
A cui si aggiunge, sempre per le fasce di reddito medio e medio-basso (si tratta di circa 6 milioni di persone), un contributo per l’affitto (si chiama, infatti, Apl, Aide personnalisèe au logement) che può arrivare fino a 50 euro mensili a persona (Macron, nella riforma della fiscalità  immobiliare, l’ha ridotto di 5 euro e da quel momento è diventato “le president des riches”).
Bastano questi pochi esempi per capire come la politica sociale macroniana si muova seguendo, in realtà , una strategia ben precisa, molto liberal-efficientista e assai poco social-assistenziale.
“à‡a fusionner le plus grand nombre possible de prestastions”, metterà  insieme un gran numero di contributi, ha spiegato al Figaroil presidente degli ospedali di Parigi, Martin Hirsch, che nel 2005 fu incaricato dall’allora ministro della Sanità , Philippe Douste-Blazy (governo De Villepin) di preparare un paper dal titolo “Famille, vulnèrabilitè, pauvretè” che è stato il primo strumento pensato per mettere ordine nel complesso e disordinato welfare francese.
Macron s’è ispirato a quel progetto con l’obiettivo di rendere “plus simple et plus lisible pour les mènages”, più semplice e più trasparente il sistema degli aiuti per milioni di francesi a basso o zero reddito.
I quali, però, per usufruirne, dovranno rispettare dei “devoirs”, per esempio il dovere di inserirsi all’interno di un percorso formativo (e per questo ci sono gli uffici del Pà’le Emploi con 57mila dipendenti, altro che i nostri centri per l’impiego) e di “ne pas refuser plus de deux offerts raisonnables d’emploi ou d’activitè”, di non rifiutare almeno due offerte di lavoro “ragionevoli” (e sul significato di questo aggettivo, c’è da giurare, si scontreranno diverse scuole di pensiero giuslavoristico).
Così come ci sarà  battaglia tra l’Eliseo e gli “èlus” locali, i rappresentanti politici delle amministrazioni, Comuni e Dipartimenti, che fino ad oggi hanno gestito il flusso delle allocation e dei contributi, a cominciare appunto dall’Rsa, Revenu de solidaritè active, i 524,68 euro mensili che moltiplicati per 1,8milioni di percettori fanno quasi un miliardo al mese.
Una cifra che autorizza qualsiasi “pensiero cattivo” su possibili risvolti clientelari.
Fa riflettere, sul tema, il recente intervento del presidente dell’Associazione dei Dipartimenti di Francia (somiglia alla nostra Unione delle Province), Dominique Bussereau, un politico di lungo corso, repubblicano di osservanza chiracchiana, il quale, alla vigilia del congresso dell’associazione venerdì 9 novembre a Rennes, ha dichiarato che “la politique d’insertion ne se decide pas à  Paris”, le politiche sociali non possono essere decise a Parigi, e che “l’humain a besoin de proximitè”, che le persone hanno bisogno di sentire la vicinanza (dei politici locali, sottinteso).
Quei politici che ti conoscono e possono farti avere un Rua (oggi Rsa), un assegno di 524,68 euro. La politica sul territorio è fatta anche di questo. In Francia come in Italia.
Del resto Busserau, il presidente dei dipartimenti, non ha difficoltà  ad ammettere che è proprio la politica sociale dell’Eliseo una delle prime ragioni di incomprensione con Macron. Il quale, al ritorno dal suo giro sui luoghi della Prima Guerra Mondiale (da Strasburgo a Verdun fino alla grande manifestazione all’Arco di Trionfo domenica 11 novembre, presente anche il nostro Mattarella), dovrà  rimettersi al lavoro su un reddito di cittadinanza che fa risparmiare 3,5 miliardi allo Stato ma non piace a nessuno.

(da “Huffingtonpost”)

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IL CONFLITTO DI INTERESSI RAGGIUNGE CASALEGGIO

Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile

IL FATTO E LA STAMPA SVELANO L’OPERAZIONE BLOCKCHAIN CON I FONDI IN MANOVRA VOLUTI DA DI MAIO

Milano. Casaleggio Associati. Dirigenti di aziende pubbliche e private nella sede dell’azienda di Davide Casaleggio, presidente di Rousseau e figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, per parlare di blockchain.
All’evento organizzato da Casaleggio verrà  presentato il suo ultimo rapporto sul blockchain, una nuova tecnologia in fase di espansione definibile come sorta di registro digitale a pacchetti, gestito da nodi, controllato da tutti e per questo immutabile.
Dell’incontro ne danno conto Il Fatto Quotidiano e La Stampa. Il rapporto che Davide Casaleggio presenterà  ai convenuti è stato finanziato da Poste Italiane e Consulcesi Tech, 30mila euro cadauno, e verte su un tema che è molto discusso all’interno del dibattito sul futuro digitale, intelligenza artificiale.
Come ricorda il Fatto, da quando il M5S è arrivato al Governo, l’attenzione dell’esecutivo si è spostata gradualmente sulla blockchain.
“Il 27 settembre, Di Maio va a Bruxelles e annuncia: “L’Italia è appena entrata ufficialmente nell’era della blockchain” Ho appena firmato l’adesione per la Blockchain Partnership Initiative”.
Il ministro rammenta che la Commissione Europea ha elargito oltre 80 milioni di euro per la blockchain e ne può stanziare altri 300 entro un paio d’anni. [..] Il 15 ottobre nel decreto Semplificazione, il Consiglio dei ministri inserisce una norma per cerare un fondo – a carico di Casìssa Depositi e prestiti – per le nuove imprese che utilizzano la tecnologia della “catena dei blocchi”.
Il 25 ottobre il Cipe sospende le sperimentazioni sulla connessione 5G per i telefonini e dirotta 95 milioni di euro per la diffusione dei servizi wi-fi e per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e blockchain”.
Il sostegno del Governo alle tecnologie in espansione come la blockchain si evince anche dalla legge di Bilancio, in fase di approvazione parlamentare: il Governo, all’articolo 19 – scrive La Stampa – ha stanziato un fondo di 15 milioni per ogni anno per i prossimi tre a favore di “interventi in nuove tecnologie e applicazioni di intelligenza artificiale”.
All’evento della Casaleggio partecipano come detto anche dirigenti di aziende pubbliche come Poste.
Fonti del gruppo hanno detto al Fatto Quotidiano che “da oltre tre anni finanziamo questi studi”. Al dibattito per Poste c’è il responsabile dei Sistemi informativi Mirko Mischiatti.
Chiarisce sempre FQ che Casaleggio Associati non produce tecnologia blockchain, e che difficilmente sarebbe in grado di adempiere ai criteri che il ministero fisserà  per erogare i fondi a chi innova nel campo dei registri digitali.
Il suo business è la consulenza strategica a imprese che vogliono posizionarsi in Rete, anche avvalendosi della blockchain.

(da “Huffingtonpost”)

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