Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile VA A PRATICA DI MARE PER DARE L’IMMAGINE DEL “BUON PADRE DI FAMIGLIA”, MA SUL SUL WEB VIENE CONTESTATO DALLA STESSA FECCIA CHE HA GENERATO
In diretta dall’aeroporto di Pratica di Mare, a Roma oggi il ministro dell’Interno e papà
Matteo Salvini ha mostrato come funziona l’accoglienza del governo del cambiamento.
Porti chiusi, cuori aperti e un volo che a consentito l’arrivo in Italia di 51 immigrati «arrivati sani e salvi grazie a un corridoio umanitario».
La prova provata che — come spiegava qualche giorno fa ai bambini de Alla Lavagna! — Salvini non è razzista nonchè la dimostrazione che il ministro dà seguito alle sue promesse.
Salvini oggi non vuole passare per il cattivo della situazione. Aveva detto che l’Italia avrebbe continuato ad accogliere chi scappava dalla guerra, soprattutto se bambini. Ecco che oggi il ministro ci informava che “accogliere i bimbi che scappano davvero dalla guerra è un piacere“.
E non si capisce come mai se i bambini arrivano a bordo dei gommoni possono essere lasciati in mare o rispediti in Libia mentre così le cose sarebbero meglio per l’Italia (e per la coscienza del vicepremier).
Il piccolo show allestito su Facebook e Twitter però non ha avuto l’effetto sperato. Molti dei sostenitori di Salvini e della Lega non hanno affatto gradito lo “straordinario” gesto d’accoglienza.
Al solito basta scorrere i commenti dei patridioti che incredibilmente (per la pagina di Salvini) hanno lo stesso tenore dei commenti degli italiani indignati contro i governi boldriniani e buonisti che accoglievano tutti quei disperati che scappavano dalla guerra e dalla fame (perchè morire di fame non è che sia un’esperienza bellissima). Chi ci dice che quei bambini stiano davvero scappando dalla guerra?
Magari a casa loro ci sono le loro famiglie che li cercano (e che se li terrebbero volentieri).
Non c’è nessuna guerra in Eritrea — spiega una patridiota informata — e anche se ci fosse “la combattono come hanno fatto i nostri avi”.
Il tutto commentando una foto dove Salvini è ritratto in compagnia di bambini che al massimo avranno dieci anni. Ma tanto in Africa è normale che dei bambini combattano
Ma siamo sicuri siano davvero bambini?
C’è un intero popolo la fuori — ma ben dentro i confini della nostra pregiatissima Nazione — che quei bambini non li vuole, così come non vuole quelli che scappano dalla guerra.
Prima la scusa era che non scappavano da nessuna guerra perchè avevano gli smartphone, i vestiti firmati e volevano solo conquistarci.
Ora dopo anni a soffiare sul fuoco dell’invasione inesistente i sovranisti non hanno più bisogno di Salvini. Stanno tutti troppo bene per scappare dalla guerra.
Ma il vero problema è un altro. Perchè quei bambini non se li prende qualcun altro? Per anni Salvini ha detto che non possiamo accogliere tutti convincendo gli italiani che un paese di sesssanta milioni di abitanti, uno tra i paesi più ricchi del mondo, non è in grado di ospitare centomila persone.
Salvini ha promesso di liberarci, ora ce li fa arrivare — sani e salvi — in aereo?
Chi paga?
Come mai Salvini non pensa ai bambini italiani e ai poveri cittadini italiani?
Quando è che Salvini farà davvero quello che ha promesso ovvero chiudere porti e confini?
Ma quale guerra e quali bambini! Lavorano per la mafia nigeriana
Non va meglio su Twitter, un social dove Salvini non riscuote i consensi oceanici che ha su Facebook. C’è chi avverte Salvini consigliandogli di stare attento “al rufffianesimo ecclesiastico” e chi invece ricorda che “si era detto basta”.
Quei bambini però non sembrano scappare dalla guerra, anzi sembrano ben nutriti e sereni. Non hanno certo i visini sconvolti di chi sta davvero sfuggendo da un conflitto ed è in pericolo di vita. Perchè Salvini non ci dice da quale guerra stanno scappando?Ora che i patridioti hanno ottenuto i porti chiusi per i migranti non si accontentano nemmeno della possibilità che chi scappa da una guerra possa entrare.
Quella era solo una scusa che andava bene per non passare per razzisti durante la campagna elettorale.
Ma come spiega un utente “dobbiamo fregarcene delle guerre dall’altra parte del mondo, si aggiustino”, ora che i gialloverdi sono al governo “devono cominciare i rimpatri di massa, altro che voli finti umanitari”.
C’è chi è più addentro alle cose africane e spiega che non c’è più spazio per “i turisti per sempre a cinquemila chilometri da casa” perchè alla fin fine le guerre africane sono solamente guerre tra parenti (non avete notato anche voi che i negri si assomigliano tutti?).
Ma è un utente che identifica come Populista DOC a dare la giustificazione migliore per poter respingere anche i bambini: “questi bambini sono nigeriani quindi sono stati reclutati dalla mafia nigeriana ancor prima di partire”.
E se prima usavano le ONG ora usano i corridoi umanitari. Ieri il problema erano i ragazzi troppo muscolosi e quindi sicuramente potenzialmente pericolosi e bisognava dedicare le poche risorse a chi aveva davvero bisogno.
Ora nemmeno i bambini che scappano dalla guerra vanno bene.
Quanto si dovrà continuare la farsa di chi trova giustificazioni razionali al proprio razzismo?
E quanto ancora per riempire i campi di rieducazione e le galere di questa fogna?
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile CONDANNATA IN PRIMO GRADO, MA SECONDO IL TRIBUNALE DI MILANO IL FATTO NON SUSSISTE… VIA LIBERA A TUTTA LA FOGNA RAZZISTA, ORA LA GENTE NON SI AFFIDERA’ PIU’ ALLA GIUSTIZIA E PROVVEDERA’ DIVERSAMENTE
“Il fatto non sussiste”. Con questa formula è stata assolta oggi dalla Corte d’Appello di Milano l’ex consigliera provinciale di Monza in quota Lega Nord, Donatella Galli, che era stata condannata in primo grado a venti giorni di reclusione per aver pubblicato su Facebook nel 2012 un post con su scritto ‘Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili’, augurandosi “una catastrofe naturale nel centro-sud Italia”.
“Noi siamo increduli e aspettiamo di leggere le motivazioni tra 60 giorni”, ha commentato l’avvocato Sergio Pisani, parte civile e che in qualità di presidente della Ottava Municipalità di Napoli aveva presentato la denuncia, dando origine all’inchiesta terminata con la condanna in primo grado a Monza nel marzo 2017.
La donna era stata condannata anche a risarcire la parte civile che aveva chiesto “un euro simbolico”.
Galli era accusata di aver propagandato “idee fondate sulla superiorità razziale ed etnica degli italiani settentrionali rispetto ai meridionali” e di “discriminazione razziale ed etnica”.
“Aspettiamo le motivazioni e faremo ricorso – ha spiegato il legale di parte civile – Questa sentenza può dare il via libera a tutti quegli insulti che si sentono nelle curve degli stadi e contro cui noi abbiamo presentato già delle denunce”.
Stando all’imputazione, la donna nell’ottobre del 2012 inserì su Fb la “foto satellitare dell’Italia priva delle regioni dal Lazio e dagli Abruzzi in giù e la frase ‘il satellite vede bene, difendiamo i confini …”.
E poi scrisse “Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili”, augurandosi, come ha evidenziato la Procura di Monza, “una catastrofe naturale nel centro-sud Italia provocata dai tre più grandi vulcani attivi là esistenti”.
Per il giudice di Monza Elena Sechi, che aveva condannato l’ex consigliera a 20 giorni (pena sospesa), quella che la donna definiva una “battuta” era, invece, un’espressione di “chiaro ed inequivoco contenuto razzista, nel senso di pregiudizialmente ostile nei confronti di alcune popolazioni”, “carica di violenza” e idonea a “propagandare l’avversione contro i meridionali”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile TUTTI I SUOI DUBBI: IL CAMPO NON SI E’ ALLARGATO, LE VOCI DI SCISSIONE RENZIANA, LE RICHIESTE SUGLI ORGANIGRAMMI
La clessidra di Marco Minniti non ha ancora consumato l’ultimo granello. La sabbia continua
a scorrere in attesa di una decisione che non arriva ancora. Oggi doveva essere il giorno del grande annuncio.
E invece l’ex ministro dell’Interno ha fatto sapere ai suoi fedelissimi che il travaglio della decisione non è ancora concluso. Il giorno buono dovrebbe essere domani, comunque prima di venerdì, giorno in cui sarà a Firenze alla presentazione del suo libro con Matteo Renzi. Chissà .
È un travaglio vero, non una trovata comunicativa per alimentare un po’ di suspense. Politico e personale, anche se, per molti anche dei suoi, quasi incomprensibile, perchè “a un certo punto o è sì o è no”. Amici e compagni di una vita che ci hanno parlato in queste ore raccontano di pulsioni contrastanti.
Più scettico nei giorni scorsi, orientato al gran rifiuto, più possibilista oggi. Stefano Esposito, che ieri era con lui alla presentazione del libro a Torino, dice: “Al netto del mio convinto sostegno, è evidente che la sua candidatura ci metterebbe nelle condizioni di fare una discussione seria sulla linea, tra opzioni contrapposte, e sulle ragioni della travolgente sconfitta. Detto questo, se andiamo avanti così, faremo un congresso con posti in piedi, non perchè ci sono le folle, ma perchè non troveremo più neanche le sedie su cui sederci”.
È uno spettacolo surreale, questa sorta di “minnitometro” che va in scena in Transatlantico, specchio di un partito avvitato in una spirale politicista e in una discussione “nascosta”, con finora un solo candidato ufficiale tra i big in campo.
E due quasi candidati, col paradosso che il grande decisionista degni anni di governo al Viminale non si decide, mentre Zingaretti, che ha la fama di “Sor tentenna”, è l’unico che si capisce cosa voglia fare: si è candidato, gira l’Italia come una trottola, è carico come una dinamo.
“Minniti sì”, “Minniti no”, “si candida o non si candida”, “pare che si sta convincendo”. È questo l’argomento dei capannelli: “L’impressione — dice Walter Verini — è che siamo avvolti in un confronto che riguarda solo il ceto politico qui dentro, mentre fuori c’è una immensa domanda, vedi la piazza di Torino. Una volta si diceva ‘extra ecclesiam, nulla salus’, ora invece la salus è tutta extra ecclesiam”. Dentro, i chierici che hanno perso i fedeli e forse anche la fede, si muovono senza la percezione della straordinarietà del momento, in un congresso che, già sul nascere, pare diventato un gioco di società per pochi intimi.
Poco distante, Deborah Serracchiani affida la sua fotografia a un gruppo di parlamentari: “La situazione è questa, si litiga per l’eredità , ma col piccolo particolare che manca il de cuius”.
Perchè, politicamente parlando ovviamente, Renzi è vivo e lotta insieme a loro. È questo il punto, all’interno di una discussione sul suo ruolo evitata e rimossa in forma pubblica.
Diciamo le cose come stanno: quando Marco Minniti ha preso in considerazione l’idea di candidarsi pensava che attorno alla sua figura, e alla sua storia, si potesse realizzare una operazione politica.
E cioè: allargare il campo e andare oltre la logica della ridotta del renzismo, portando quel mondo sconfitto oltre il “come eravamo”. Tradotto, in modo un po’ tranchant: pensava che dal mondo renziano arrivasse una delega piena e che, per dirne una, Martina, a quel punto, corresse con lui, o che, per dirne un’altra, Gentiloni a quel punto mostrasse equidistanza e che, magari, qualche ex ds sentisse il richiamo della foresta.
Ecco, nessuna di queste tre cose è avvenuta. Anzi, è avvenuto l’opposto. Il campo si è stretto.
A Salsomaggiore, di fatto, Renzi ha sancito il “liberi tutti”, lasciando libero sfogo a quanti, tra i suoi, si sentono ormai nel Pd ospiti in casa d’altri e lo spingono a fare un altro partito, in nome del “noi non chiederemo mai scusa”.
E nulla ha fatto per addolcire la diffidenza di un pezzo del suo mondo su Minniti, vissuto come troppo autonomo “perchè non è uno dei nostri”.
E ancora: nei giorni scorsi Maurizio Martina ha spiegato proprio a Minniti che, per quanto lo stimi, non ha alcuna intenzione di rinunciare a correre, anche se l’ex ministro sarà in campo.
E ancora: il mite Gentiloni si è schierato, definitivamente, a favore di Zingaretti. Politicamente parlando, dunque, il campo si è stretto, nè l’entusiasmo di un nuovo inizio ha preso il posto del reducismo di ciò che è stato.
Questo, per rimanere nei termini della politica alta.
Poi c’è la bassa cucina, che sempre della politica fa parte, ovvero posti, liste e organigrammi. Perchè è chiaro che il sostegno, anche se poco convinto, non è costo zero. E i renziani hanno chiesto posti e chiave, per lasciare pochi margini di autonomia al candidato: Lotti all’organizzazione delle liste, Teresa Bellanova o Ettore Rosato come coordinatori della mozione, come forme di garanzia e di tutela del potere reale nel partito.
Se così stanno le cose, deve aver pensato Minniti, il punto fondamentale è il dopo: come si gestisce un partito in cui il congresso non lo vince nessuno e va fatto un accordo il minuto dopo, accordo che inevitabilmente passa per Renzi che sta giocando su due candidature autorizzando i suoi anche a sostenere Martina?
Un quesito che spinge Minniti a dire “arrivederci a tutti”.
Però c’è l’altro corno del problema. Senza la sua candidatura, a quel punto vince Zingaretti e, il minuto dopo, il Pd perde un pezzo, perchè quella sala di Salsomaggiore non starà mai in un partito guidato da Zingaretti, sprezzantemente etichettato come “la riedizione dei Ds”.
E il tema dell’unità del partito è un tema sensibile per uno cresciuto nel Pci. E la sabbia continua a scorrere senza che la decisione sia stata presa.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile NEPPURE TRIA CREDE A QUELLO CHE HA SCRITTO
Le privatizzazioni non sono più di moda. Ma tornano sempre comode per irrobustire con numeri costruiti ad hoc qualche malfermo progetto di riduzione del debito. E’ una vecchia storia, quasi un tic contabile che scatta nella zona Cesarini della legge di bilancio.
Ma il governo del cambiamento stavolta è andato oltre la tradizione recente che da Monti a Renzi conteneva in 5-6 miliardi annui le vendite previste (e sempre marginalmente realizzate), piazzando nella lettera di risposta alla Commissione europea sulla manovra la cifra di dismissioni per 18 miliardi nel 2019 (avete capito bene 18 miliardi nel 2019!).
Dismissioni che poi per carità “non riguarderanno i gioielli di famiglia, ma gli immobili pubblici”, ha precisato il vice premier Luigi Di Maio glissando sullo stato quasi comatoso in cui versa il mercato di qualsivoglia mattone.
Le privatizzazioni non sono più di moda, un po’ perchè il liberismo è in caduta libera e molto perchè a quasi trent’anni dall’avvio del processo con il leggendario meeting del Britannia nell’anno di grazia 1992 gli esiti appaiono come minimo misti.
All’epoca lo Stato dava lavoro al 16 per cento degli occupati, controllava l’80 per cento del sistema bancario, i trasporti, la telefonia, le utility, parte dell’acciaio, della chimica e via elencando, perfino l’industria del panettone.
I bersagli erano moltissimi.
La prima spallata la dette Giuliano Amato con le grandi banche, Ciampi e Prodi seguirono con i gruppi industriali, da Telecom alla Sme, dalla chimica di Stato alle Autostrade.
Nel 2010, vent’anni e oltre cento miliardi di ricavi dopo, la Corte dei Conti ha scritto in uno studio che le privatizzazioni hanno consentito si un recupero di redditività , ma grazie all’aumento delle tariffe di energia, autostrade e banche senza che a fronte ci fosse un proporzionale aumento degli investimenti.
E soprattutto senza che le dismissioni avessero portato a una riduzione del volume del debito nel frattempo più che triplicato.
Quasi prosciugato il serbatoio dei “gioielli” di famiglia, dal 2011 i progetti di privatizzazione hanno continuato a fare la loro parte nelle operazioni di “windowdressing” del bilancio pubblico puntando, sia sull’immobiliare, sia sul collocamento presso la Cassa depositi e prestiti di quote di aziende partecipate dallo Stato (Sace, Simest, Fintecna per esempio).
Così tentò di fare Monti nel 2012 con il Piano Grilli (dal nome dell’allora ministro dell’Economia, oggi ai vertici di JP Morgan) articolato nella creazione di tre fondi di cui uno destinato alla cessione di immobili di pregio per 4-5 miliardi nel 2013 all’interno di un progetto più ampio.
Così tentò di fare Letta con il Piano Destinazione Italia, 12 miliardi in tre anni. Così provò a fare Renzi prima di passare il testimone a Gentiloni.
Ora ritenta con volumi al cubo il governo gialloverde. Con esiti che è facile immaginare visti i precedenti.
Nel secondo governo Berlusconi l’allora ministro dell’Economia, Tremonti, portò a termine un piano di cartolarizzazione di immobili pubblici, in parte sedi di ministeri, in parte appartamenti di enti venduti a prezzi agevolati agli inquilini.
L’operazione (tecnicamente definibile di lease back) ha dato qualche beneficio immediato alle casse dello Stato, ma con un costo elevato nel lungo periodo a causa degli alti affitti che i nuovi proprietari hanno preteso dallo Stato per continuare ad occupare gli immobili.
Oggi gli esperti del mercato immobiliare dicono che la vendita di immobili di pregio nelle grandi città è “difficile ma possibile, mentre nei piccoli centri è proibitiva”. Inoltre il mercato degli investitori esteri è frenato dalle vicende politiche e dalla percezione di un accresciuto “rischio Paese”.
Forse neppure Tria crede a quello che ha scritto.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile IN 8 ANNI I RICAVI DALLE VENDITE DEI GIOIELLI DI FAMIGLIA SONO STATI DI APPENA 8,7 MILIARDI, ORA IN POCHI MESI VOGLIONO FAR CREDERE AI PIRLA DI RICAVARNE 18 CON QUEL POCO CHE E’ RIMASTO
Nella nuova lettera di risposta del governo alla Commissione europea, il governo ha messo a
punto due importanti modifiche, che pur senza cambiarei punti più controversi del quadro macroeconomico contestato da Bruxelles, aggiungono nuovi elementi nello scontro con l’Europa. Una nuova richiesta di flessibilità sui conti per eventi eccezionali legata alle ultime alluvioni e alle spese per interventi sulla rete viaria (dopo la tragedia del Ponte Morandi) e la garanzia, molto ambiziosa, di far calare più decisamente il debito già dal prossimo anno grazie a un piano di privatizzazioni e dismissioni da 1 punto di Pil, circa 18 miliardi.
Parlando con i cronisti all’uscita da Palazzo Chigi, il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha assicurato che il piano di dismissioni del governo “non include i gioielli di famiglia” parlando di “immobili e beni secondari dello Stato”.
I risultati raggiunti negli anni passati mostrano però che l’obiettivo del governo, 18 miliardi di incassi nel solo 2019, se fosse concentrato unicamente su questi asset sarebbe praticamente impossibile da raggiungere.
Secondo i dati del Def del 2018 e di quelli degli anni precedenti il bottino è stato assai più magro: dal 2010 al 2017, in otto anni, l’incasso totale è stato di 8,7 miliardi di euro.
Di questi, nell’ultimo triennio, ne sono entrati soltanto 2,5 miliardi.
Posto che il traguardo dei 18 miliardi in un anno dalle sole dismissioni immobiliari è più un miraggio che un reale obiettivo, come sottolineato anche dal presidente della Commissione economica dell’Europarlamento Roberto Gualtieri, resta la possibilità che il governo intenda procedere alla cessione di quote delle sue società di Stato.
E nel recente passato a più riprese si è messo mano ai “gioielli di famiglia”: è lo stesso Tesoro a tenere conto di quello che si è incassato dalla vendita di quote di società pubbliche.
Nell’ultima relazione sulle privatizzazioni, di un paio di anni fa, si indicava curiosamente proprio in “poco meno di 20 miliardi di euro” il ricavato dirottato al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Peccato che ci siano voluti quasi sei anni per arrivare a quel risultato, con operazioni di vaste dimensioni.
Ora il Documento programmatico di bilancio indica un obiettivo dell’1 per cento del Pil, circa 18 miliardi, in un solo anno.
Nella finestra in esame nell’ultima relazione – dal gennaio 2011 al settembre 2016 – lo Stato ha venduto in Borsa con una procedura accelerata una fetta (la quinta tranche) dell’Enel per oltre 2,1 miliardi e ha quotato il 35% delle Poste per 3,1 miliardi.
Anche l’Enav è stata messa sul mercato in quel periodo e non va dimenticato il peso della cessione alla Cassa Depositi e Prestiti delle partecipazioni in Sace, Simest e Fintecna: una partita di giro da quasi 9 miliardi, 2,4 dei quali erano stati dirottati al pagamento dei fornitori.
Ancora, nel conteggio di allora andarono anche i rimborsi dei cosiddetti Tremonti e Monti Bond pensati per salvare il Monte dei Paschi.
In passato, ha annotato dall’Osservatorio sui conti pubblici Carlo Cottarelli, soltanto nel 2003 si è venduto per un ammontare pari all’1% del Pil.
Allora però vennero vendute quote pesanti di Enel, Eni, Cdp e altro ancora. Via via i “gioielli” dai quali attingere per far cassa sono diventati sempre meno.
E metterli in vetrina è diventato più complicato: in tempi recenti, più volte si è parlato di nuove privatizzazioni, a proposito di una seconda tranche di Poste o delle Ferrovie. Ma non se n’è fatto nulla. Ora, dice il Documento programmatico di bilancio, si potrebbe puntare a centrare l’obiettivo in pochi mesi per costruire “un margine di sicurezza per garantire che gli obiettivi di riduzione del debito” siano “raggiunti anche qualora non si realizzi appieno la crescita del Pil ipotizzata”.
Nonostante le attuali condizioni di mercato siano tese e gli economisti di una grande banca d’affari quale Barclays abbiano definito di prima mattina “incerto” quel target di introiti, considerando che l’Italia ha scollinato il picco del ciclo economico e il barometro dell’economia segna un futuro incerto.
(da “La Repubblica”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile I CINQUESTELLE SOSTENGONO DI NO PERCHE’ CONFONDONO LE GALLERIE DI PREPARAZIONE CON IL TUNNEL VERO E PROPRIO
Il tunnel di base della Torino-Lione esiste.
Sono già stati scavati 5,5 chilometri del primo lotto di 9. I 5Stelle e i loro ministri sostengono il contrario perchè confondono le gallerie di preparazione con il tunnel vero e proprio.
Il primo lotto di 9 chilometri di galleria sarà finito a giugno 2019 ed è sperimentale non perchè serve a decidere se fare l’opera ma perchè serve a tarare la talpa che scava.
Quella del tunnel che non c’è è solo una delle tante bufale che politici e media governativi diffondono in questi giorni fidando sulla disinformazione generale. Eccone altre
La Tav (che essendo una linea, è femminile) è una ferrovia che trasporterà merci e passeggeri. Così è previsto dai contratti e dagli accordi internazionali. Prima di dichiarare e scrivere che serve solo alle merci sarebbe meglio informarsi.
L’altra bufala è quella dei costi.
All’Italia costerà tra i 2,5 e i 3 miliardi. A questi costi in futuro andranno aggiunti 1,5 miliardi della tratta nazionale che per ora non verrà modificata.
La presenza di amianto non è stata per ora riscontrata lungo i 7 chilometri di galleria di servizio scavati sul versante italiano. In ogni caso il tracciato deciso nel 2011 è stato modificato proprio per limitare al massimo questo rischio. Del resto nella stessa montagna sono stati scavati senza problemi e senza proteste dei No Tav, 12 chilometri di galleria autostradale, quella che raddoppia l’attuale.
Un discorso serio invece è quello che riguarda l’utilità dell’opera nel suo complesso, anche alla luce delle previsioni iniziali sbagliate sul flusso dei mezzi pesanti, tarate su un incremento che in realtà non ha trovato riscontro nei fatti.
E dii quello sarebbe meglio parlare, evitando di diffondere bufale controproducenti.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile DIETRO LA SCUSA DI TUTELARE LA TERRITORIALITA’ DELLE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO LOGICHE CLIENTELARI CHE ESPONGONO GLI INVESTITORI A RISCHI ELEVATI
La rottamazione della riforma delle Bcc voluta da Matteo Renzi nel 2016 è ufficialmente
iniziata.
Con una doppia mossa – un vertice politico a palazzo Chigi e un pacchetto di emendamenti della Lega al decreto fiscale – il governo gialloverde parte dall’abbattimento del pilastro fondamentale, cioè l’obbligo per le banche di credito cooperativo di aderire ai gruppi unici. Cancellato.
La direzione di marcia è opposta : non si incentiva l’aggregazione degli istituti sotto il cappello di una capogruppo forte, ma si opta per un modello parcellizzato. A ogni territorio la sua banca.
Quella delle Bcc è una battaglia che sta molto a cuore al Carroccio per ragioni endemiche dato che gran parte delle società cooperative senza finalità di lucro sono ubicate al Nord, lo zoccolo duro dell’elettorato di Matteo Salvini.
Non a caso il comunicato stampa diramato al termine della riunione a cui hanno partecipato lo stesso Salvini, il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte, ha puntato su due concetti: territorialità e mutualità .
Territorialità perchè cristallizza l’azione su un territorio ben definito. Mutualità perchè si vuole rafforzare l’erogazione del credito principalmente ai soci.
È un modello – quello che sta disegnando l’esecutivo – che espone questi istituti a rischi finanziari più elevati e a logiche clientelari che negli anni passati non hanno fatto fatica a farsi spazio.
La logica politica è quella dell’erogazione di soldi, a imprese e cittadini, in modalità estremamente diretta con tutti i rischi del caso, dato che vengono erogati agli amici degli amici.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile IN PASSATO PIOGGIA DI FANGO PERCHE’ GUIDATA DA UNA MANAGER CHE ERA STATA ALLA LEOPOLDA
È stato uno dei tormentoni politici dello scorso inverno, a ridosso delle elezioni. La polemica sui sacchetti biodegradabili per gli alimenti freschi, obbligatori dal primo gennaio.
A lungo sono stati presentati come un favore a Catia Bastioli, una manager che aveva partecipato a una edizione della Leopolda. Versione sposata anche dai 5Stelle, attraverso i loro canali social.
Oggi Matteo Renzi ottiene la rivincita e twitta contro Beppe Grillo. “Mi hanno coperto di fango per tutta la campagna elettorale sulla storia dei sacchetti di plastica. Adesso, banalmente, ci inseguono”.
E spiega: “Vi ricordate la storia per cui io avrei favorito un’azienda amica?”, scrive sui suoi social. Quella squallida fake news per cui io avrei privilegiato una mia amica, Catia Bastioli, solo perchè aveva parlato alla Leopolda? All’inizio del 2018 la vicenda dei sacchetti di plastica fu utilizzata in campagna elettorale in modo vergognoso, soprattutto dai Cinque Stelle. Ieri Beppe Grillo si è recato in visita nell’azienda ‘incriminata’, la Mater Biotech (prima azienda al mondo per la produzione industriale di bio buttandolo da materie prime rinnovabili). Proprio lui, Beppe Grillo. Si vede che non si ricordava cosa scrivevano i suoi sui sacchetti di plastica”.
In effetti allega il link all’articolo con cui proprio Grillo, sul suo sito, descrive la bontà dell’esperimento
“La scorsa settimana – racconta Grillo – ho fatto visita all’impianto della Mater-Biotech, di Bottrighe Adria, azienda prima al mondo per la produzione industriale di bio-butandiolo da materie prime rinnovabili. Un’eccellenza italiana che deve essere valorizzata e conosciuta da tutti, perchè il rispetto per l’ambiente e il futuro dei nostri figli deve essere sempre al primo posto per tutti noi.
La Mater-Biotech ha infatti messo a punto una piattaforma biotecnologica che partendo da zuccheri fermentati ricava il bio-butandiolo”.
Il tutto corredato da un video.
Renzi conclude: “Va tutto bene. Se fossero civili i Cinque Stelle oggi si scuserebbero con Catia, con me e con tutti gli italiani. Ma non potendo chiedere troppo, mi accontento di meno. Non importano le scuse, ma almeno che la smettano di gettare fango sui loro avversari. Quell’azienda non era l’azienda di una mia amica: quell’azienda è un’eccellenza italiana?”.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile DALLO SCAMBIO ACE-MINI IRES NE DERIVA UNA CRESCITA DELLA PRESSIONE FISCALE
Gli occhi sono puntati sul braccio di ferro con l’Europa e sulle misure di maggiore impatto,
come le pensioni e il reddito di cittadinanza. Ma a ben guardare la legge di Bilancio, il settore delle imprese, nonostante le promesse di “meno tasse”, non ne esce bene affatto.
Di qui il malcontento della Confindustria e della Confapi, delle associazioni delle banche e delle assicurazioni.
La vera e propria sorpresa infatti, secondo quanto riferito dall’Istat durante l’audizione parlamentare di lunedì, è che per un terzo del mondo delle imprese le tasse aumenteranno del 2,1 per cento e solo il 7 per cento delle aziende sarà avvantaggiato dalle nuove misure.
Senza contare che l’aggravio fiscale del prossimo anno, rispetto alla normativa vigente, sarà maggiore per le imprese sotto i dieci dipendenti, cioè la parte più fragile, e spesso più combattiva, del nostro mondo produttivo.
La mini stangata fiscale sulle imprese dipende dal mix di interventi introdotti che prevede in primo luogo l’abolizione dell’Ace, cioè l'”aiuto alla crescita economica” che introduceva uno sconto fiscale finalizzato al rafforzamento del capitale delle aziende attraverso il reinvestimento degli utili.
L’Ace viene sostituita con la mini-Ires che si limita ad introdurre uno sconto del 15 per cento sugli utili reinvestiti in macchinari ma è meno efficace ai fini del rafforzamento patrimoniale.
Lo scambio Ace-mini Ires, oltre ad essere discutibile sul piano degli effetti sul profilo del sistema industriale, non conviene.
Il nuovo mix di imposte consente infatti un risparmio fiscale per le aziende dell’1,7 per cento; ma questo risparmio non compensa i vantaggi della ormai vecchia Ace che l’Istat valuta nel 2,1 per cento e dell’altra misura abolita dalla manovra, cioè il maxi ammortamento che avrebbe mantenuto per le imprese un vantaggio fiscale dell’1,5 per cento (misura ben considerata dalle aziende perchè consentiva di spalmare il risparmio d’imposta lungo tutta la vita del un bene acquistato).
Al contrario per la proroga degli iperammortamenti per chi investe in alte tecnologie, prevista dalla “Finanziaria”, scontenta le imprese più grandi e con progetti di più ampio respiro.
Gli “iperammortamenti” rimangono infatti previsti nella attuale maggiorazione piena del 150% del costo deducibile dell’investimento solo per gli investimenti fino a 2,5 milioni di euro, per poi ridursi al 100% per gli investimenti tra 2,5 e 10 milioni di euro, al 50% per gli investimenti tra 10 e 20 milioni di euro, fino ad azzerarsi per gli investimenti oltre 20 milioni di euro.
(da agenzie)
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